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D I
LlilGI ALAMANNI
V E IS E Z I . V
GIUSF.PPE ANTONELM EDITOHE
TIP. PREHIATO CON HCDAGLIF. T>* ORO
Sf.DCCC.XIJ
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^'<SJdo
'ire a
— —
Ad essere ingenuo, lacere non posso che il poema che or ti
presento, fu dagli storici assai censurato, siccome privo di estro e
di calore, non essendo che una imitazione pressoché servile del-
1’ Iliade. Ma il vederne eseguite varie edizioni, ed il riscontrarlo im-
presso nella raccolta de’ più celebri poemi falla per cura del chiaro
abate Pieranlonio Secassi, mi è pruova, che se mancano invenzione
e calore, il trovarvi sparse per entro ottime massime di morale, il
-sentirlo dettato con pura lingua, e assai volte con armonico verso e
leggiadro, il fece, più che non crede il Ginguenè, gustare c leggere
da chi ama occupare qualche ora di ozio in grate letture.
È per ciò che io te l’offro, o cortese; è per ciò che il corredai
di nuovi argomenti ad ogni canto e di nuovo indice delle materie.
Pensa che questo poema fu l’opera della vecchiezza di quel
celebre, che aveva dettato 1’ altro classico della Coltivazione ; pensa
che X: Alamanni^ è uno de’ [>oeti che diedero maggior lustro all’ Ita-
lia, e pensa che il lavoro che l’ offro è testo di lingua.
E per dirti qualche cosa intorno alla tessitura di esso, sappi che
1’ Autore prese il titolo d’ Avarchide dall’ antico nome della citta
assediala, come il nome dell’ Iliade deriva da quello d’ Ilio. Avar-
cum o piuttosto Avaricum^ è 1’ antico nome della città di Biirgcs
nel Berri. Gli eroi del poema sono Artù, Lancilotto l'rislano, e gli
altri cavalieri della Tavola ritonda, c l’ Alamanni operare li fa e
discorrere come Agamennone, Achille, Ajace e gli altri croi della
Grecia.
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Tulli gli avvpnimonli parlicolari dell’ assedio sono foggiali sulle
parlicolaritii dell’assedio di Troja ^ caralleri per caralteri; discorsi
per discorsi 5 Imllaglie per haltaglie. E vero ciò dice Ginguenè, che
manca il nerbo e la vita, die i nomi oscuri e barbari sono opposti
all’ armonia del verso ^ ma le altre notate qualità, non possono far
dannare (pieslo poema, come egli porla senlenya.
I falli son fatti, ed è vero quello, che per la bontà del verso,
1 opera si legge con piacere, e con istruzione di chi vuol a|>parare
la propria lingua.
Fiuvcr.sro Zavotto
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L AVARCIIIDE
D I
r
CAWTO 1
ARGOMENTO
1. cr r aeerftQ parlar del reo 6'orrso
t)' ira » a^ctndon Lam^UnUo t ^rturv^
Aè Ir offìrte fra loro haamo piit fretto^
Aé vai comsigiìo di garrnrr maturo ;
CAè LamcHolto, pirn d* aspro rraeao^
Di parttrf dal rampo ia tmor fa ^iiiro ;
Ma coHtoìato dalla madrr^ a parte
Himaa tangi dal fero Marte.
* AJoU, o Mma, lo tiìeffoo e l' ira anlmte
ni LanriloUo dtl re Baa fi|(littolo
Contra ’l re Artaro i oode $'t aoiaramenle
Il BriUoniro piaoae, e ’l Fraoco ilaolo :
E taole anime chiare alRille e apente
Laaciar te membra io aanpuinoeo duolo,
D* empi ooeelli • di can rapina iadepna t
Come piacque a colai che muove e regna.
Il
Or chi fn la copioo di Unta lile F
Cavea, che dell’ Oreania era iipo«»rr,
Che porht invidia alle virtù gradite
Di Laneiloltu, e ali pungeva il core,
Che per opra di lui loiter bllite
Le none, cb'ei bramò eoa troppo ardore
Di Claudiana di (<lnda»M figlia,
Che fu bella e leggiadra a maraviglia.
Bla temendo di luì, gran tempo tenne
L’uno c r altro dolor nel pcUo ascoio,
Fin che Trìstan eoo le sue genti venne;
Air arrivar del quale il re (amoio
Fe”l nmiiglio adunare, ove roorenue
Ogni duce maggior oode fu oao,
Di dar prinripio alle dannose riiw t
E drùaatoM in piedi, così disse:
IV
Invittissimo Arturo, poi eh'iu veggio.
Che tallo il cielo a^ vostri onori aspira }
K che nulla trmcnaa avem di peggi«s
Che ne possa d' alimi fare ìnglosl’ira;
D’aperto palesar divutu rhieggio
(Come rolni, eh' al suo dover rimira)
Qoel, eh a voi sia vergogna, e strasìo c murlc
A chi segua di voi l' ìstessa sorte.
V
Qui eoa voi tanti duci avete e tali.
Tanti gran cavalieri, c tanti regi,
Che di quanti mai furo, e fico mortali
Biporlar ne porrian le palme, e i prrgi i
Se non fusce tra lor chi gli immortali
(Non por simili a noi) par che dispregi ;
E nuQ sol voi, ma Chi nel ciclo ha regno
(Cred' io) che lien di comaodargli indegno.
VI
Questi per sempre aver l'impero in mano,
E voi signoreggiar con gli altri insieme.
Fa d ora Ìo ora ogni disegno vano
Uri tango assedio, che i ncmfci prrme :
'fai che *1 fin è pin che già mai lontani»,
R men eh* al rominciar si mostra speme
D’espugnar più lo sventurato Ararro,
t'.he prender si dovrà nel primo varrò.
AVARCHIDE
1-H
E certo <1 preodra con tnllo quello
r>hr '1 nemico Clod«»so u^p po<>ticde ;
S'aIIof rhc'l crudo cicri'ito riibeilu
Pn«r in Brcta^rna l' infelice piede,
£ che Viilorìo e Ma<»imu ìi fratello
Far deiro*te di voi famoie prede;
Alcun de* Tuitri, che pre»cnti «uno.
Non ne facean» al padre in^iiuto donu.
XIV
Ma «e non fosse l'alta riverenza.
Ch'ai nostro re, qual é dus'uta, porlo;
V avrei di tutti ì vustri alla presenza.
Per nun mi far dìsoor, non dirò uiorUi,
Ha la lesta lassala, e '1 mento senza
Gli elTemininalì velli, e '1 rollu attorto
D' uccello in guisa, e fatto elenio esempio
Ai falsi accusatori il vostro «cempio.
viti
Sefcaì *1 medesmo poÌ non di qni luO|(c,
Ch'cftli ebbre Claudiana priponiera :
Co«'t ‘1 «rcondo a quel primiero af giunge
Danno più fravr, e di pcf f^ior maniera ;
Perchè Irnrru amor di cu»tci punge
Tale il paterno cor, che in una «era
Varia dato quant'ha lontano c preM>o,
1 figliuoì, la corona, e poi »e »tea»o.
XV
Cbe se bea non diceste il nome mio,
Nè di fari' anco «eie degno asiai,
Bene intendo, Gaven, che «un quell’ io,
Ch' Arturo e tutti i suoi sempre «pregiai;
Che quanto aia menzogoa «allo Dio,
Che sa ben rh* altra ra«a non bramai.
Da poi eh’ io porlo lancia e cingo spada.
Che di far notte e di ciò che gli aggrada.
IX
E l'uno e r altro apertamente fero
Senza vottro congedo e «euza Toi ;
Per ben inuslrar, eh' ogni potere intero
Era in lor «olì M>pra gli altri eroi:
Or chi ciò «limerà fallo leggiero,
Qual può grave elùantar peccato poi ?
E chi ardi«ce cotanto, non luggellu.
Ma imperadurc c re puoi' e»«cr detto.
ITI
E «enxa ragionar de' merli vostri,
Coufermo, ch'io rendei certo a Cludaiso
I due suo' figli, rh'cran prtgion nostri,
Presi da me nel periglitmi passo,
Quand'io salvando di Britannia i chiostri,
Fui nel «angue de' lor vermiglio c lasso |
£ feci ai, eh' ci non ai vaaUn oggi
D'aver troppo calcati i vostri poggi.
X
Or quel, eh' erser devea utile a voi.
Sema fine a voi nuoce, ail altrui giova;
Perù che ‘n sicurtà di tatti i «noi
(Non molto ha) Claudiana «i ritruuva
Sputa di Segnran, eh' or verso noi
Farà più che giammai di vincer pruuta,
CuQ virta rischiarando, ove Fortuna
D'oscura povertà fi>r«c l' imbruna.
XVII
E s* io volsi del mio fare altm! dono
(l'.h' eran miei dì ragion, p«>Ì cirìo gli presi)
Perrhè aerusalo a si gran lori» sono.
Che del mio re la maestade offesi?
Nun avrebbe Cludasso in abbandono
Per questi due lassato i suoi paesi :
Fusela io non son (come voi sete) avvezzo,
Di guerra i prig’onier vendere a prezzo.
XI
E troppo è da temer eh' egli è pur cerio
Del buon «angne illu<lritiimo drt Bruno:
K «'et non patia, agginuge qua»i al merlo
Del corine Girone ìiivilto ctl uno:
Mi)llo è in eonsiglio, è più nell'upre esperto.
Onorato e gradito daciaarunn;
Ha multi cavalìrr multi altri a piede,
Poi «opra tallì «1 forte PaLmede.
XVIII
£ se nell* espugnar di qua dal mare
Beoìero; il luugu, dov’ io nacqui prima;
Mi renoe in sorte d' ivi ritnsvare
Del re la figlia ; e noo ne fei la stima,
Ch* iu veggio al vulgo, ed a voi stesso lare,
C.ome di spoglia veramente opima ;
Ma qual si roiivenia con donna tale.
La rimandai nell' abito reale;
Xlt
Ma perehè '1 ragionar del tempo andato
Par più di «consolato, che dì «aggio,
Più longu non sarò, poi che «fugalo
Quel, che nascofì lungo tempi, v’ aggio :
Vi dirò »oi, che poi che 1 Cielo ha dato
AI buon Tristan per noi lieto viaggio.
Si ricorreggan quei, che torli andranno,
Hichiodendu ugui varco al noovu danno.
XIX
Dovreste voi però tanto tiismarme,
£ metter tra i superbi e tra i rubelli?
Non volsi, come avaro, cunservarme
A miglior tempo lei cu' suoi fratelli,
Ch' iu rerco usar conlr' agii armali 1' arme,
E oon runtra ì legali e poverelli;
Né cangrrò voler per altrui vuglia ;
E seguane a chi può piacere u duglia.
xm
Qot «t tacque, e rassise t e 'mmantenenle
Sorge all' inroniro il fero Lanriiottu
Con gli occhi accesi, e con la faccia ardente;
K con torbat'i «uoii tremante e rollo
Di*te: Chi fogge tra l'armata gente.
Sempre in biasuiar i buon fu ardilo e dolio ;
£ la chiara virtù, che non è in lai,
OsCora quanto può tempre io altrui.
XX
Dehbon esser nemici ì cavalieri,
Hrnlr hanno spada in manu,u lancia in resta;
Ma rurlesi, pietosi, amici veri.
Come scarca dell' elmo aggìao la lesta:
1 fatti come voi, sian crudi e Ieri
Più die leuui, o turbini, o tempesta
Verso 1 prigton, verso le donue wmiii,
Qitauio verso i guciricr timidi e vili.
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5
l’ avarchide
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7
f. A \ \ i\ C n I l) E
8
E It^oe *<ì tiofM fu, che H' atlra parie
Erari là giiinlì «li r.lmÌaa<o i Gfli|
(‘.li'aveau (iià molle mura a terra i-paiie,
E molli vu»trì rampi erap vermifilì;
Qiirl rti'iu farrsii allor cup fona e«l arie.
Altri a narrarlo la fatica piftli«
So ben, clic Pun roti pare, e ì «iurcoo (iiierra.
Fri, clic non Jannee^iar la vu*lra Urrà.
xtxri
Or te, trarriati qui’i, venato tele
Qui per puniritli, c far tiruro voi,
C«in qual cor, con che voce affermerete.
Che |(ucrrc|(|EÌatc per ouor dì noi ^
Detio di f^loria, e di vendetta tele,
Non amor del re Bano, o d'altri tuoi,
Del i|ualr nr vi roooìr«> Iruppu partro,
Y'ba qui menalo ad espugnare Avarco*
xxxvii
E quandi) ei fotte pur, divotamente
Vi prego, rhe latriate «miai l'impretas
Ch'io iiuu inleiiilu voi, uè votlra gente
Ailoprar |>er aita o per difeta :
Ben ho fatto e fan» più rhe dolente
Con quetla nuii ehi m'aggia fatto uffeta;
Sirrhè polrrtle indietro ritorpare.
Se voi per r|ucaU» tol pattaste il mare.
XXKVIil
Da voi rifiuto ogpi paese c loco
Già da* miei per aildielro pottrclulo:
Perch'io preaait niente, non rhe poro,
Uirrhezae, pottettiou, regno o tributo ;
Ogni altra cosa in somma mi par gìoru.
Se non quel vero onur, che n' è dovuto.
Deli' i»lr»«a tirili, che da noi nasce,
£ di ciba iiumurtal gli animi pasce.
Cosi detto 6* assise, e ‘I re sdegt»t>to
Ritptsr : Senaa fiu grazie vi reudu
Dei biioa rirurdi, e del desio bramoso
Di tutto c|uelli>, ore la voglia intendo;
Che rerriuale per voi pare e riposo,
Lasrlando me, nessuno affanno preado ;
Che molli altri ho speranza all' oiior mio
D' aver piu amici, c sovra tulli Dio.
xuu
£ nnn ei scodo vai penserò avere
D'ngni lite e qtiestiou purgato il rampo;
Il qual più ili pare non polca tenere,
Nè contro al vostro orgoglio avere scampo;
Sr ‘I riel vi dìè il' ogni altro cavaliere
Di forza e di valor supremo lampo.
Dovreste in gurrra usarlo, « Ira i nemici,
Nuu, cum’ or, nei conugb e tra gli amici ;
XLIV
Nè eoolr'a me, cui la bontà divina
Ha più degno, rii' a voi, donato loco •
Gitene or duuque, dove più v'ìachiua
L'alta vostra siiperhia, e 'I vostro foco;
Che ({Ilei rhe 'I « irlo in allo luì destina,
Non mi potrà fallir, sia molto o poco;
Ahresi a voi, che 'I He della Natura
Egualmente dì tutti ha dritta cura.
XLV
Poi che 1 re sì Iacea, più non poleu«lo
Il fido Galeallo ornai soffrire,
InroBunciò: Per «pel ch'io veggio c 'nlendo.
Troppo infiammali son gli sdegui e I’ ire.
Invittissimo re, nè beu comprendo.
Come vi possa l'alma consentire.
Per si breve ragion di perder tale.
Ch’assai più sul, die lutto il mondo vale.
Lasciatemi pur voi povero e solo
Con l'arme, e coi pcnsirr, ch'io p<irto in seuo:
Cile s' io non potrò far trupp'alto volo.
Nella tuia libertà slarommi almeno :
£ poi che, <|uanto più v'adoro e colo,
Tanto suo più sclicruilo da Gaveoo,
E meno Ìl mio servir sempre v'aggrada;
Non iolimdo per voi cìnger più spada.
XL
Cosa che senza colpa io posso fare,
Non essendo tenuto a gìurauienlo,
Nè di cavalleria, uè d altro affare,
Che d’ ogni nodo libero mi sento ;
L'omaggio in vostra inau lassai pigliare
Da Buorle, c dagli altri, a coi rousento
Quanto mai Iroverau di lutto il bene
De' nostri antichi, che Clodasso tiene.
Lassiamo andar, rhe '1 suo partir vi toglia
Di mano ogui vittoria ed ugni speue ;
£ rhe oc dee venir disnore e doglia
Alla vo«tra corona, agli altri prue;
Perchè r tiom piiote aver talvolta voglia
Di convertire io mal l'avuto betic,
Ma qual potrete dir giusta ragione
Che da voi nasca un simil guiderduue f
x/.sii
Chi non sa di costui l'alto valore,
E ’n. servigio di voi le divia' opre,
O rh'egli c senza orecchie, o ch'egli è fiiore
Di questa vita, e luuila terra il cnopre ;
Ms (|uaudu ei fosse asi'ou», al vostro core,
Ch' è il sommo testiniooiu, ogour si scu«)prc,
Ogour si ni«j»tra I' alla sua virtute.
Che partorì pio volle a lui salute.
£ ver, che nel mio cor dirposto avea.
Dì voi sempre seguire in ogni guerra;
Ma dispose altro la fortuna rea,
Clie’l catnmiu disegnalo spesso serra;
Nè desio men di quel che già sulea
Di vedervi felice e grande in terra:
Dio vi dia pur vittoria, e metta in core
Di pregiare e innalzar chi merla onore.
Non è presente ognora agli occhi vostri
Quel, eh' ri fc' <x>otr* a me nel gran bisogno?
£i sul s* oppose ai gravi assalti nostri.
Gli affrenù voi (né a dirlo mi vergogno)
t.he chi *1 scrivesse, i piu famosi inchiostri
Tutti presMi di lui parn bbcr Migoo ;
t^l suo valore il mio furore esliuse,
£ s'UQ la sua boutade alfine il viuse.
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VintrmS verammlr In Lnntaffr,
Ch'or non ha rrrto e mai non rUbr pare!
P«T Im vi ferì lo do« delle rontrade
Vinte prima da' miei nel vostro mare;
Quando dall'altra parte, e in altre strade
Niiovo M>ftpnnse e periglioso alTare
De*5ftliaoi di f.lnda«<o ftià disresi,
K eh' areaa molti foorlii intorno aereti.
Fè,che*l ^ran re de' Franehi r'ha mandato
Qtiatirn *ooi fipli, e 'I re SÌramlin> insieme,
Con fi fiorilo «tunlo, e bene ornalo
E d’armi e di desirier, eh'ogoi «om ne tenne;
Che Lanrilnllo nel materno lato
Uscendo dal reai Franre»eo seme,
flan volnto mostrar, ohe rio ftli invila
Di dare a voi contro a Clodatso aita.
Con qnal enr,ron che amor, enn qoanto ar-
si mosse allora il rhiaro Lanrilotio ! (dire
Ritenne i molti che vnlean fiip;:ire,
Bimise insieme il vostro popol rollai
Poi come tipre irata, che rapire
Si ve^^a i fifili, corse a tìamelotlo,
Ch'era in man dei nemici, e ben |tiiardato,
E in mcQ d' nn mezzo dì I' ebbe rspngnalo.
Or »on questi però fatti e aerviti.
Che. ti possan rosi porre in oblio ?
Che ne dovreste «lopo i fiumi Stigì
F.«ser mai tempre ronosrrnte. e pin ;
Che ne diran di voi gli nomini ligi?
Che i cavalieri strani, qnal lon'io?
Che speranza avrao quelli? e qiie«li come
Pulran rrnder onor al vostro nome?
Non perde tempo, che ’l medesmo giorno
Con «nllecilo pasto anco ragginnic
Oli etercili neniirt, cite rìlornn
Al mar facraii per tema, rhe gli pome;
Fe'lor danno iiifinilo, r sommo scorno,
Quando non n>pellato «npraggiunte ;
Fer»i Fonde vermiglie in nn momento,
E ‘I rivi, la terra, e 'I mar n' ebber spavento.
K te por qni di noi nnlla vi cale.
Non vi cal di Caini che tatto vede?
Che ristora e poni«ee il bene e *1 male,
E da cui quanto abbiam nasce e procede?
Ositi impresa ritorna vana e frale.
Quando F ineratitadine é mercede ;
Ciò rh'ei fa, eiòeh'eì pensa, a scorno e «lanno
Al fin gli torna, ed a perpetuo lOanno.
Nnn Cessò, ch'el trovò l'alta regina,
T.a vostra nobilissima consorte.
Fatta per tema rome neve o brina,
Che pìangea lassa, e desiava morte;
Cuti il hoon duce, e la virtn divina
La tras*er qnindi da ti amara sorte.
Ma un putito sol, che i* indugiava ancora.
Era d'ogni speranza in lutto fuora ;
Spoetiate adunque ornai l'ira novella,
E rivestite in voi l'antico amore:
Mirale ben, eh' a ciò aegnir n' appella
Il profitto comune, e 'I proprio onore:
Che «e F oceasioo, ch'or bionda e bella
Vi presenta la chioma a tal favore,
Tornatse il volto disdegnosa altrove j
In van poscia aarian Fumane prove.
Che gli lo braccio F avean molti nnecbJeri
Per portarla d-il Ilio al palòrliemio.
Ma più che fosse mal pronto e leggieri
Fu Lanciloltn, e Inr nnn valse schermo ;
Molti ne pose morti sn'seotirri,
GII altri fotti non tennero il piè fermo*
Chi fogge in qnella parte, chi i'a«cnnde,
Chi l'aitufTò, tome delfin, nell* onde.
Così dist' egli ,e 'I buon re Lago il veglio,
Dell' ftrradi signor nel freddo cielo.
Di forza in prima, e di prodezza speglio,
Or rhiarissim» onnr del bianco pelo;
Che da Innge «cernendo il ben «lai meglio,
Del fninro «nivria ma» tempre il velo;
Non per divinità, ma per la vista.
Che vecchia priiova ne* molti anni acquUUt
Coi legni de'nemìei in qnesta parte,
Volando qnaȓ, discendemmo allora;
E mentre a fahbrlrar governi e sarte
Aitavate inteso nel passaggio anrnra ;
>inse otto volle tra conginnle e «parte
Le genti avverse, rh'ei trovò di fiiura ;
Acquistò più paesi, passi, e terre,
Che I migliar non farla con mille gnerre.
Egli adonqne levata ditte: Or enme
Non vedete voi. latti, apertamente,
Che «piagete tolterra il vostro nome,
F. date il pregio alla nemica gente ?
Qnesta barba nevosa, c qnetle chiome.
Che devean già molli anni essere spente,
K questa vita tianra ancor ai serba.
Per veder tal di noi rovina acerba ?
Egli ! monti spianò, largo le porte,
E VI fece il cammin dritto e sleorn,
Che poteste venir con p*»che scorie,
Senza impaccio trovar dì fosso o muro ;
Non vi fu alcuno a contrastarvi forte.
Se non Avareo, cui fa saldo e duro
Non gente, nè virtù, rh'ei rhliiHa ta Ìtii,
Ma il diviso voler, che trova in mi.
Nnn vi ulegnate, Artnm, a dar* credenza
Alle parole mie, che Pandragone,
K Votlimrro anrur non for mal senza
pene approvar la nostra opinione;
Come che poca avessi esperienza,
Nè sapessi però render ragioar
Di molto più, che di cavalli e H*arme(
Ebber sempre diletto ri* ascnilarme.
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L AVARCHIDE
ITtM
Voi, chiaro T.ancilolto, che ripieno
Di valor, e <1* ardir più d* altro eilinto,
Sappiate pur, eh’ anch' io nìi leoni almeno
Serondn «empre, e ben «irenle il primo;
Nè giammai di timor mi atrinae freno,
E paite<«emi il Cielo io alto, n io imo,
Coo Eltur, con Giron, con Febo si Bruno
Combattei apeato, e non cedeva a alcnoo:
iviv
E col Toatro re Ban, col re Boorte
Mi ritrovai più d’ una volta in pmovai
Vinai e perdei, come volea la aorte,
Che non sempre l’ ialeaaa ai rilruova:
E ae Inr non venia subita morte.
Io passava di qua con gente noova
Per dar aoceorao a quei, ma in mexzo Ìl mare
Ebbi d' ambedoe lor le nuove amare.
t*v
Qneato dith'io, perchè sappiate si vero.
Ch'io v'amo, e v' amerò qnal proprio figlio;
E rhe vogliate credere al lineerò
Mìo prego, ed amorevole consiglio:
Bendele obbedienza al sommo impero
Del vostro Artnro, e pongasi in estglio
Ogni altra rosa andata, ctie sovente
L' uom di tosto crucciar lardi si pente*
LIVI
E rilomivi a mente, come voi
Non sete in molle partì a Ini simile :
Dio gli ha dato pnder sovra dì noi.
Come al degno paslor sovra I* ovile;
£ r aver riverenaa ai signor aitoÌ,
NaKe da nobil animo e gentile;
E quanto in voi ri«plendc più il valore,
Tanto pìn onor vi fia rendergli onore.
tZVIT
E voi, famoso re, dovreste porre
Ogni perturbazione ornai da parte;
Legare s sensi, e la ragione scìorre,
£ rivestire Ì1 cor di reai arie ;
La quale è, dolcemente di riporre
Nel caramin drillo chi da Ini ai parte;
£ serbare, il corruccio all’ iiltim’ ora,
Cbe veggia altrui d’ogni speranza fnora.
LKVIII
Che troppo rpavenicvole è quell'ira.
Ch’accenda chi può far ciò che gli aggrada:
Chi non guarda al princìpio, indarno tira
Il fren da poi, che mal rilruova strada:
Rare volte cadrà chi fiso mira
Il camoiio cbe dee far. nè ad altro bada;
E chi più lien colle sue forre speme,
PIÙ tmova intoppo, che 1’ abbatte e preme*
LUX
Non ha tanto fallito, che non merle
Lanrilollo da voi largo perdono;
Che spesso prende I’ uom per vere e certe
Le cose, che incertissime poi sono;
Pensò, rhe voi gradiste quelle offerte,
Ch' ei fe‘ de' prigionieri, c eh’ esso dono
Non vi doves.se offendere; or rhe sente
Avvenirne il contrario, sì ripeole.
LEK
Ricordatevi poi, eh’ no tal guerriero
Non si trnova talor dopo molti anni,
E chi l'ha, noi dee pertler di leggiero,
Ma ben servarlo a simiglianti affanni;
Egli ha molto giovato al vostro impero,
£ molli a tulli noi schivati danni;
Egli è pnr sempre (c tulio tl mondo salto)
Stalo del vostro campo argine c vallo.
LXXI
Al buon vecchio reale il grande Arturo
Tal feo risposta, c multo meno irai»;
Ben vegg' io quanto sìa saggio e maturo
L'alto rousiglio. rhe da voi n* è dato,
Oltimo re dell' Orcadi, e vi ginro,
r.he la fona e I' ouor m’ hao qui menato,
Ch* io I ho mai sempre col medesmo amore,
Che si deve un figliuol, portalo ia core.
LZAIt
Ma con qual dignità soffrir pou'io,
E gli oltraggi, e gli schermi, rhe mi face?
Chi l'adorasse pur qual proprio Dio,
A pena seco aver poirelibe pace:
Sempre sprezza e contrasta al parer mio,
£ di maggior tenermi gli dispiace :
Di nessun più gli cale, ogni uomo sdegna
Quest' anima d' orgoglio e d’ ira pregua.
txxiii
Qnì Lanrilollo, Ini mirando torto,
Sdegnalo più che mai, così dicca :
Voi mi vedrete pria sotterra morto,
Che seguirvi mai più, com' io solca ;
Per altro nuovo mare, iu altro porto
Mi condurrà la mia fortuna rea;
K la ragion mi fa sperar eh' un giorno
Bramerete anco indarno il mio ntorao.
LXXIV
Fiuite le parole, volse il piede
Verso il suo padigiion poco lontano;
E Gaiealto pio. ripien di fede
Il seguitava sol tacito c piano.
Vota lasciò di sé la reai sede
Arturo, e seco ogoi altro capitano;
Poi ripien di peniier, turbalo c bruno,
Al proprio albergo riluruò ciascuno.
LXXV
Fo*esÌ Lancilotlo lungo il rio,
Lonlau da tutti i suoi, duglioso c solo;
E d' Derider Gaveno ora ha desio,
E di dare al suo re perpetuo duolo ;
Or, dove il porterà suo deslin rio.
Di prender brama nn disperato voto ;
E mentre questo c quel dauna ed appruova,
Viviana innanzi agli occhi si rtlruuvau
txzvi
Alla qnal cominciò ; Cara e gioc\»nda.
Più eh' essa madre, ch’io ooo vidi mai,
Chi v'ha menato qui sopra quest'onda
A contemplar le mie vergogne e ì guai ?
Olili' oggi si gran mimeru ui' abbonda,
Che per mille, oltre, a me, sariano assai ;
Or sou gli onori, or son te palme queste.
Che Unte volte già mi ]»redk-esle ?
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tXXTU
r.h* io dovei *ovr' o|;ui litro tinti pr«|<
Avrr vivendo, e dopo morte poi
UMÌrebber di nte Unti alti regi,
Adonti dii Galli e vicio itioì ;
Ch' eterni «erveriano manti e Ì fregi
D'ogni reai virtù sopri jcli eroi.
Il fauiuio Franrescii, il grande Enrico,
Ch* ivinierebbc ogni valore antico F
LXXXIV
Per cui ve ne seguir battaglie tante,
E di tutte li palma riporUsle:
Indi soletto e cavaliero errante
La dolorosa guardia conquistaste :
Per la qual mille volte, e mille avanle
Furo invao dai miglior rntle mille aste:
Ciò fu vostra virtù, ma la fortuna,
Par guidata da Dio, con lei •* aduna.
Lxivm
Ben Contrario è il principio, le Giveao
ila pure avuto ardir d'oltraggio dirzue ;
Nè voli’ io rìuluaiar l' empio veleno,
Pensando ronlr' a tal troppo avvilirme;
Parlai mi re, die mi pensava almeno.
Che per ragion dovesse favorirme;
E ’l trovai li contrario e tanto ìugrato,
Che 'a meraviglia estrema lon resUto,
txxxv
L*nno e l'altro gigante i Camelotto,
Che facea la Bretagna mal lìcnra,
Fo nell'estremo Gn per voi condotto,
K •liseiolio il terreo d* aspra paura :
Poi liberaste Arturo, ch'era sotio
Chiavi serrato, e fra incaniate mura
Di Camilla spielata ed impudica,
Con gran vostro periglio, e più fatica.
LXXIX
Cosi dicevi, illor che lospiriodo
Fece la donna a lui risposta tale:
Caro lìgliuol, cosi vi chiam' io, qgaodo
Sempre amor vi portai di madre cgnalet
Io vi trovai d' ogni ventura in bando.
Vicino al lago, il nido mio natale.
Con la misera madre, a coi vi tolsi
Nato d' nn anno, e meco vi raccolsi.
LXXXVI
Molle poi gravi imprese in si pochi anni
Al fin traeste, ch'io dovrei contare;
Però che '1 rimembrar gli andati alTanoi
Suole il presente duul tnen doro fare ;
Tanto più, quanto son d'onte e dì danni
Nudi, e vestili di vittorie chiare;
Ma questo basti assai, per farvi arcorto,
Che '1 troppo lamenlar sarebbe torto.
LXXI
Ove ma somma e vera cariUde
Vi milril fra gii stmli c buon cosinmi,
Quai d'anuo in anno ricbie«lea l'eUde,
Ma in dura vita, e nei selvaggi dumi; .
inviandovi ai ciel per Perle strade,
E di gloria mostrando i veri lumi.
Or con saggi rimrdt, or con esempi
Di qnei miglior dei piu lodati tempi.
Lxxxrti
Prendete dolcemente adunque in grado
Il presente dispregio, che vi viene;
Che mal ai può d'onor trovare it guado,
Senza spesso trovar rtii il piè rìlìcue :
L'asseuzio in terra è molto, il mele è rado,
Corto sempre il gioir, lunghe le pene;
Ma 1 buon contro a fortuna irioalzin l'alma.
Come contro all' incarco invitta palma.
MtXXi
Nè gran fatica fu, perche le stelle,
Com* io ben conosceva, v' inchinaro
Alle imprese lodale, altere e belle,
A mostrarvi fra gli altri unirò c chiaro {
Benché alcune di tur rontrarie e felle
Spesso qualche sveulura minacciaro :
Che *1 corso di virtù non dura troppo,
Che non Irovc in cammin più d'un intoppo.
I XXXVIII
Così disse Viviana, ed ei risponde :
Non m' afliigge il prntirr, madre pietosi.
Percossa o forza delle mortili onde.
Nè tempesta, che surga atra e noiosa ;
Ma U veder sol, che quella parte, donde
Sperava ogni mio ben, mi venga odiosa;
K quel, ch'io sersù' già con tanto zelo,
Hi spinga al centro, com* io 1* alzo al cielo.
I.XXXII
Ha questo è quel di'al gran valore aggradi.
Che senza allaticar non preaia onore.
Ora aduui|ue, figliuul, per tale strada
Del terzo liutru vi condussi fuure :
Dìevvi la lancia allor, cinsi la spada,
ben servale del Ciel le felici ore :
Posi sopra il destrier, mena' vi io corte
D' Arturo a seguiUr la vostra sorte;
txxxix
Ma tal prenderò volo, e sì lontano,
Che 1 nume ingrato non m'ofTenda il mret
Ove in Dio porto speme, e 'a questa mano
Di poterne ritrae piu largo onore,
Come trasposta in un terreno strano
Suoi la pianta portar frullo migliore;
E perché non si può destare in noi
L' indormita virtù dei primi eroi F
Lxxxm
Di cui doler nou vi devresle certo;
Cumiiieiando a guardar con occhio sano.
Pria Mdianso da ciascun deserto;
tonando voi sol con giorinelU mauo
Ardiste di sferrarlo, e dire aperto
A qualunque uuui, che fosse ivi o losiUno,
Ch'amar dicesse gli iniiaici suoi.
Che voi 1' uccidereste, od esso voi :
xc
Il cangiar di paese mi porria,
CiOme di molli s'è parlato c scrìtto,
(Cangiar di buona la fortuna ria,
E D lieto riti>riiar lo stalo afilillo :
Non è oggi per me chiusa la vìa
De' neri Garamanli e dell' Egitto,
O de luoghi piti là verso l'aurora,
Piu eh' a Baeco ed Alcide fosse allora.
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A V \ R C H I D E
XCI
Meotre coti |>li ri»pnB<l«
Sorrìdrndo U Junua io lai panile:
Non della luna ì tnonli, o drt Nil 1' uiide,
0 {qual di Giove la Tehaaa prole)
Là 've più clt' a Dui qui lardo a' aacondCf
O più lutto, e più l*cl ti iiiotlra il aule ;
O dove «calda più, cunvien «‘creare,
Vulcoduvi cui werli «terno fare.
xcvm
E 'n qnetlo ronvenenle gli promeui,
Ch' ci mi faceste nn loco fabbricare,
li qual icrraln eteroainenle iteiii,
Nè forza u ingegno vi polene oprare;
Ma che '1 modi» d' aprirlo io lola avelli,
Lontana, o prexo, eh'ìo'l bramassi fare,
PerrU' aveva un nemìro, ch’io trmea,
Che non mi condureiie a morte rea.
XC'I
Pcri'hè iu qtietlo parte, e *n quctio luco,
In qurale tiualre parti ime e paitutrì
V è dato ad ««ter tal, clte parrao poco,
Quante altre auliche furo oprre illuttri :
Slancherauti le prone, e verrà Cor«>
Per voi più d'un poeta, e pii aiiui c i lualrt,
E i aecoli iuflnili non pntraoao
Fare al grau nume vostro ingiuria o danno.
xcix
E eh' ancor mi mo*tras«e il modo e l'arte
D' antiveder, qoal eì, ciò eh' riier deve,
Che l’io rat riiroraevi In qnalrhe parte
Senza Taìla ina, mi fos«e leve
Per la virtù di tue celeiti carte
E<-aniìiiar mia lorle, o lieta, n greve;
Schivando accorta ogni mortale inganno,
Che mi potcìie far vergogna o danno.
xciu
E crediatemi certo, rb* io non dico
Cola, che ooo mi lia ben maoiretla:
Però che intera di Merlino aulirò
La divina icìeuza opp mi reità;
Che nel tempo eli' ri fu mio caro amico,
Udii rorleie la preghiera oneila.
Ch* io pii fei, di chiarirmi 1' arti oicure
Di preveder le cose a noi future.
c
Amore fopraodo in lui, lierome luole
Mai irinpre usare in ogni tuo irguaee)
Fe', che Merlino, il qual «apea del iole
Tutti ì irgreti, e d' «sfili errante face.
Non conobbe esser false le parole ;
Ma «limando il mio dir certo c verace,
Fabbricò il loco, e diemrai la dottrina.
Per cui li icurge la virtù divina.
»c»v
£ pria che ciò avveniiie, pii avea «Ietto
Ch'io d* aver un fÌ(tliuol bramava mollo,
Ma che lopra il mortai fune perfclUi,
Di virtù colmo, e d'e^ni vizio iriollo.
Che lì chiamane il cavaliero ciello.
Ove il ciclo o^nì bene avene acrollo:
Femuii rùpo»la: Donna, a non mcuUre,
Di voi noa debbe prole riuicire:
a
Onde agevol mi fu quali in quell' ora.
Mostrando far di quello alliergo prnova,
Di icrrarl'ivi, dove anc«tr dimora,
£ 'n rni l'alto laver nulla gli giova;
K di Irarl' indi mi rilieoe ancora
L'antica ingiuria, e la temenza nuova,
r.lie '1 Girl mi motlra. che t' ci foiic «ciotto.
Mi «aria con la vita ogni beo tolto.
xcv
Ma VI apprenderò il ron«lo, onde potrete
Averue im, che lia Ut, cirappuuto nacque
11 panalo anno, a cui le iletle liete
Proiuctton quanto onore in uommaì xiaeqiie:
In tal mudo, in tal tempo il troverete,
E uii fé' bea vedere il liio^n e T acque,
Là *v' iu v' accolli, e rioraulato lago,
Ju cui aolctta d'abitar m'appago.
Cll
Vedeva ancor, che'l gran valor di vm
Dovei nel tempo roorlaimriile odiare ;
Non cperand' ri giammai, rh' alcun de* «noi
PoteMc a pari altezza «orraonUre;
Nè pensava Ìo poisenti ambi due noi
D'alla ina gran dottrina contraltare:
Che la «pada non vai conir' a qneirarte,
Ed io K» multo men, che le «uè carte.
xcvi
Nè mancò (ulto quel di farmi poi,
Ole v' è avvcoulu, e vi avverrebbe, chiart;^
Alfermando : Li «ara mai lempre a voi,
t<omc del ventre itcìio, amato e caro;
E de' pregi diviu, dei inerti tuoi
Fia 1 voitru cor, pin che di rila, avaro.
(.Oli «iicra lovcute, e non trovai.
Che d uu moincato lol faiUiae mai.
CUI
Coli merla perdon la rotta frde,
£ '1 mìo duro voler, che «embra ingrato;
Clic r altrui mai, rhr per luo ben prorede,
Surenle ha Ira' miglior perdon trovato.
Or per tornare a voi; d'onore erede
V'ba fatto il CÌel, che tempre «ia hsdito.
E ciò «ia in quello loco, in questa terra,
lo quello teinpss Uteuo, iu quella guerra.
ieri
Deviando euo poi di «posa averme,
Non mi piacque accordarmi alle lur voglie.
Che poi cir uicir di aie non duvea germe,
Volli loia reitar fra le mie toglie ;
Ma perché di me tempi ire ed inerme,
Nnu riportane alfin vittoria e ipopiie
Uom, rh era armalo d' iminortal ia(>ere.
Mi convenne al mio lUlu provvedere.
av
Fregovi or dnnque, o min famoso 6glio,
Che lenza altro pensar, qoi vi reitìate,
E che nel mio materno iitil cuoiiglìo
(Qual cunviensi a ragion) i|>eranza agziate,
Che vedrete io tal pena, e n tal periglio
Le geoli altere, che vi furo ingraie,
E u rosi «anguiniiHi e largo «Irazio,
Che vi farà |>ieloso, non che «azio.
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l’ a V a R C II I d e
cv
Nel fin delle parole, il pran poerrìero
Tallo raociato in rur, rì>po«e tale:
Perch*opni roilro detto amico e vero
Sempre Ìiu trovalo, e eoa pii efiVili epaale.
Vi credo interamente, e a* all' impero
D' Arturo annnniia il CìeI futuro male,
Voplio obbedirvi, e i|ui rettar da parte.
Senza ferro veatir, nè aegair Marte,
evi
S' io noi vedessi alfine io tale alalo.
Che l'onore, e ‘1 dever forza mi fcMe,
Ch'ai non fallire in ciò pur m' hau legalo
Di chiara nobiltà le lespi iatraac;
Ha da neceiiitade in piu d' un lato
Lui vedrò prima, e le sue penti oppreatc ;
Non per conforto mio, che uubii petto
Non può dell' altrui mai prender diletto ;
fVII
Ha perchè tutto il mondo, ed epìi impari
A non euer ioprato a chi ben acrvej
A non mai dispregiar pii amici rari.
L'empie iiupue onorando c le proterve;
Nè totlo un pìupo fare andar di pari
Leoni arditi, e timidette cerve,
Ha tappiameulc, e con rapiun disporre,
Poi tecuudu il dever levare e porre.
eviti
E perchè snol la preppe, r '1 vile armenti'
Dormir con guardia di fossato u muro,
K 1 feroce leun senza spavento
Aperto in mezzo i boschi star sicuro,
Non vo* che cinga il ooitro alIupgiamenU)
Cosa, che renda il passo angusto o duros
Mero la guerra avrà, non con la soplia,
Ch» di quindi scacciarmi avesse voglia.
CI»
Cosi detto, spianar pii arpini c i valli,
£ riempir t fossi feo d' intorno,
Quanto lo spazio tiene, ove ì cavalli,
E gli altri suoi gnerrìer fai'can soggiorno;
Comandando ai compagni ed ai vassalli,
Che non ve«ti*ser arme notte o giorno,
Se contro a lor non si vedea 1‘ assalto,
Ed a suoi fe' 'I medrsmo Galeallu.
ex
Così tutto ordinato, già Viviana
D' averlo ritenuto assai contenta.
Da lui disparve, c già |h>co luntana.
Sotto il suo lago, a' primi studi intenta:
Ed ri eoo Galeallu, dell' umana
Miseria ragionando, si lamenta ;
Poi conchiudun fra lor, che I' unm lodato
Dee quieto stare a quanto il Cte! gli ha dato.
rxj
Ma perchè già inchinava all'occidente
Tebo, menando il giorno in altra parte,
Preutie ristoro ornai tutta la pente
Tra le semplici I 1 lcll^e a terra sparte;
Sotto r albergo poi, che rozzamente
Di froiidì è fatto con saivatic arte,
Si ripoo lassa, sopra pìum-hi e paglia,
Infiu che I iiuuvu dì uell' alba saglia.
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ARGOMENTO
rturo sorge dalle piume e aduno
t cnpiian per assaltare Aforeo,
44rinsa lory nè tace causa alcuna
Che so spinge a brandir la spada e f arco:
prendesi di pugnare, e la digiuna
Brama ss spegne in pria ; pos sotto il corco
fieirarmi ognun si mostra al rege /irturv.
Cludasso pur co' suoi esce dal muro.
^Tealr'ogni altro mortai dì rurr tciullo,
Dava ripoao all' affannale membra;
Di pravoit pensieri Arlnm avvolto,
li sonno ha in bando, c d'avvampar gii sembra;
Nell'alma ba Gsse le parole e '1 volto
Di LaoHIlotto irato, e ti rimembra
Di <|uaalo è stato, c '1 punf;e anror T immago
Del fido Galeallo, e del re Lago.
Il
L* ira lo ipingc c sprona, tema il frena
Di non portare a’ suoi danno e diiourc,
Che non vorria perù sentir la pena
In altrui gir del suo rommesso errore;
Ha la mente reai di dubbio piena.
**ul rtmibalte il prt>fiilo, e qui l'onore:
Viuce alfìa la virtude, c vuol eh' ei vada
Per più lodata e più daonosa strada.
ili
Die* egli, rh’ un tal re mo«lrar ti deve
Più tempre ardilo nell’ avversa sorte,
(die nulla impresa è perigliosa, o greve
Air alto, valoroso, animo forte ;
E le '1 prender Avarco fia men leve,
Non avend'ei di Lancillotto scorte,
Cile iQuIln ancor maggior fia la vittoria,
Senza quel che ricopre ugni sua gloria.
IT
Così fermo nel cor, pria che l' aorora,
Spiegali i biondi crini, anounzìe il giuruu;
Sopra del letto suo sedendo ancora,
Le sete c gli ostri si ravvolge intorno:
Poi l'imo e l'altro pié traendo fuora,
Di panno porporino il face adorno,
E ‘n basso armalo di ben culla pelle,
Gli sproi) s'adatta dell’ aurate stelle.
La reai chioma ina ricopre poi.
Onde possa sprezzar la pioggia e '1 aolc ;
Cìngesi indi la spada, che de' suol
Fu lunga possrs^ion di prole in prole;
Veste il bel manto, eh* a quegl' altri eroi
Mostra, che sovra lor s' onora e mie;
Prende lo scettro al fio, che in alto pende,
£, quale ardente sol, di gemme splende.
VI
Monta sopra il cavai, non un di quelli,
Ch* usava in gnerra, e *n perigliose pruove;
Ma picciolo, e che insieme i piedi snelli
D' un lato islesso dolcemente muove;
Vieta, eh' alcuno il segua, o gli altri appelli;
Ma tatto sol, mostrando gire altrove,
Al padtglion, che poco Innge avìa
Il vecchio re dell' Orcadi, s' invia.
VII
Trnoval, che del suo letto nirìto a pena
Tutte le vesti intorno anco non ive,
Tal che dì maraviglia l'alma piena,
Gli dice : O sommo re, qual caso grave
Davanti al giorno, e così sol vi rama
Verso colui, cui nnlla è più soave.
Che r obbedirvi? e perché non più tosto
Fu di farmi chiamar da voi disposto f
viu
Risponde Arturo : Io vi volea soletto
Innanzi all' apparir de* duci nostri
Aprir nuovo pcosìer, eh* io porlo in petto,
In cui pubblico ben par si dimostri.
Che non trovando mai d* amor difetto,
Nè d'alta fede, ne* ricordi vostri,
Ragione è ben, che ciascun mìo consiglio
Scuupra a voi prima, come a padre il figliu*
IX
Sappiate adunque, che I' andata notte,
Che sola in gravi cure consumai,
Conoscendo Ir cose a tal condotte,
Che se ne può temer vergogna e guai,
Poi che r aperte strade n' ha ìhtrrrutte,
Chi ’i devea meno, e di coi men pensai ;
Disposi in me, col pio voler dì Dio,
Dì non ceder (Irmcudu) al tempo rio;
X
Ma qual franco nocchier con vela e remo
Al contrario soffiar volger la prora,
E n'avvegna che può, ch'io oitlla temo,
Che 1 porto amato non si Irove ancora.
Che se in vera concordia oggi vorremo
Spiegar l' alta virtù, che in uui dimora,
So ben, eh' A varco non terrà sicuro.
Ferro o fuoco, ch'egU abbia, u fosso o muro.
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L A VARO HI DE
«
XI
Ma perché in dubbio son, rh’una gran parte
Drir ««irrito no«tn> noi cnnienla.
Che ehi invidiando *i starà in dirparte.
Chi perrh'a Lanrilotto ha Palma intenta,
Qiie4ti è tuo amiro.e quegli il tiene un Marte,
E «eoia lui veder tutto paventa.
Ma spero in voi. che (se ’l vorrete usare)
Il vostro dolce dir può il tutto oprare.
XVIlt
Certo che d'nn si ardilo cavallern,
Con gli altri poi, ch* a lui d'intorno tono
In ti stretto bisogno (a dirne il vero)
Troppo saria il soccorso utile e buono;
Ma senza quello ancor sicuro spero,
Prima per somma grazia, e proprio dono
Di Chi fa il tutto, e poi per l'opre vostre,
Che la vittoria fia nelle man nostre.
XII
$' a voi da%(Qe paresse, io loderei
Di chiamar tosto il pubblico consiglio,
Al quale aperUmente muterei
L'onor di tutti in quanto sia periglio;
E come oggi sarem di viltà rei,
E del primo valor posti io esigilo,
S' ali'uua pniova non moslriaiu dì noi:
Voi seguirete ragionando poi.
XIX
E ben dir sì porria, ehe qnella speme.
Ch’area ciascrm dì noi nel ino valore.
Ne ficea incauti, e men concordi insieme.
Che *1 soverchio sperar padre è d’ errore.
Ma l’alquanto timor gli animi preme,
Viro più sano il con^^glìo e salilo il core ;
Tal ehe noi non arem, chi dritto stima.
Più dubbioso il trionfo oggi che prima :
XIII
Dolce e ridente il valoroso vecchio
Risponde; Or vrgg' io hen Palla virtmle
Di PandragOQ, come in iin chiaro specchio,
Che col senno reale in voi ii chinde;
All' obbedir più pronto m' apparecchio,
Cli'a ricercare ornai martello o incude
Per fabbricar consigli entro al mìo seoo,
De’ quali ottimi c certi sete pieno.
XV
E tanto più, che forse ora i nemìri.
Che gli sdegni de* nostri avranno uditi;
Pensando i ('icli a’ lor disegni amici,
Mollo più del dover saranno ardili.
E ’n brevissimo tempo se Infelici,
£ noi vedranno di lassù gradili,
Pur che noi dì«pnniam con gran ragione
Di bene usar la dritta occasione.
xtv
Cosi fermo In tra Inr, fu mmandato,
Che la tromba reale immanlincDle
Al pubblico consiglio in ogni lato
Cbiamasse i maggior duri, e P altra gente]
Tosto che tulio il popol fu adunato,
Snvr' alto trono aurato degnameute
Posto il re prima, agli altri illustri foro
Dati dovuti seggi ai merli loro.
XV t
Loderei dunque mollo, che ’n quest’ora.
Quando si crede meno, ordin si desse
Di trarre il nostro esercito di fnora.
Che eoa diversi assalti rieingetie
La città intorno, a dimostrar rh' ancora
Avem quei cori, e qoelle mani iilc««e,
Quel medesmo valore, e qnella gente,
Ch’ han provalo olirà il mare, e qui soTentr.
XV
Allora in chiaro e placido semlHanle
Riguardandogli intorno, il sacro Arturo
Cosi dicea : Coltri, ch'ha sempre arante
Il presente, il preterito e ’l futuro.
Che 'utende il tulio, e con le luci sante,
Aperto sceme quel ch'agli altri è scuro.
Spesso conduce P nom per ria di pene
Al proprio desialo c sommo bene.
XVII
E quando anco, signor, paresse a voi,
Che ciò fotte a tentar troppo periglio,
Ma senza quello irato, e gli altri suoi
In pare dimurar, miglior consiglio ;
Col proprio amor, come se fusse a noi
Padre eia<ciin di voi, fratrlhi, o Gglio,
Prenderò tnllo in grado, e ’n questo giorno
Presto suo nel mio regno a far ritorno.
XVI
Ed ora che i mortali spesso fanno
Cose, ehe colme a noi sembran d' errore,
Ch* alGn veggiamo, onde s' attende il danno,
Il nostro util venire e *1 nostro onore :
Alle prime virtù, che in allo stanco.
Non arriva pensier d'uniao valore;
E perchè il lor voler più ascoso vada,
Non teogoo sempre la medesma atrada.
xvtti
Che comnn è di voi, non di me solo,
Qnel ehe oe dee seguir dimore, o giuria]
Bastami non sentir nell' alma duolo
1)' avervi ascosa, o tolta la villorta,
O che la colpa mia chiudesse il volo
Air eterna di voi chiara memoria;
Nè d’ altro calme, il resto pongo in Dio,
£ 'n voi moderator del voler mio.
xrii
Io non posso negar, ch* io dovea forse
A più grao soflerenaa ieri armarme ;
Ha P altrui fero orgoglio tanto scorse,
Ch'io più non volli, e non potei frenatine,
Ch’ assai giusta cagione a dir mi porse,
Ch’io non lemea restar senza quell' arme,
Cli' ei troppo apprezza, tra voi tali e tanti
Re, duchi, conti e cavalieri erranti.
XXIV
Qnì lì tacque, e ’l re Lago il dir riprese:
Famoso re, poi eh' all' antica etate
Ogni legge, ogni gente, ogni paese
Cnuce'lon la suprema dignitatc;
Rispsindo il primo, e dieo, che V imprese
Con SI chiaro valor già cominciate,
E luogo tempo andate, e al fin ristrette,
Non si devou lasciar, se non perfette.
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13
L AVARCHIDE
XXV
K't T43»lrn alto « tnapnanino diir^n»
AflTrrmo, r la tfrra ornai a*a«iaflia,
r.hr pur troppo p«r ooì >arrbb« imirgno,
Dar TÌIìs«imo inibieio alta battaglia ;
K non vrggia r.lo(ia*«Of rh’ un tal rrgoo,
Che non prn«iam, che sovr'ogni altro «aglia.
Sia per avere un toìo o iliir peritato,
AU'eitrema ruina oggi venuto.
XXVI
Gran danno veramente i alato e grave,
Di Galeallo, e più di Laneìlotto,
Ch'ai graa binigiio abbandonali n‘ ivr,
K '1 più «aldo pentier nel meno rnlln;
Ma per q«e«lo mi ben eh’ alenn nou pavé.
Che per servire a voi sia qoi condotto.
Di far fede ora, e sempre a quelle mura,
Come rontr* a virtù niente dura.
XXTH
Noi non venimmo in qiiesln lilo strano,
Di così nobit re seguendo t parvi,
Per far rbiaro con i' opre, che fia vano
Di noi l’aito rumor, ch’ai mondo fa<si;
Ma più torto a mostrar presso e loiiiano.
Che 'I valor nostro ìl grido snpera.«si ;
K ne vedrete anmr la pruova intera,
Pria che questo mattili si volga in sera.
xxvtii
So, che riarenn, rom’ io, ii lagna e duole
Della tema, che in noi pensate sia;
Come importar qncll' ultime parole,
Che del Inmarc indietro apron la via ;
Ma prima fermo, oscuro, e freddo Ìl iole,
La terra in allo, e '1 fuco in basso fia.
Che vegliale mancar la voglia in noi,
Ueotre in rila sarem, d'obbedir voi.
XVIX
E s' io giunto al conlìn, che cangia e fura
Il volere c '1 poter, così prtimelt»,
Che faran quei, che oeireU più dura
Ilan le membra robuste, e fermo il petto?
Vi pregheran, che sul prendiate cura
Di pur tosto inviargli, ove s'è detto;
E vi prometteranno, in qual sia sorte.
Che voi gli loderete, o ìu vita, o in morte.
XXX
Cosi dello, s* assire; allnr Careno
Comincia : Indarno fia tulli altri udire,
Dopo nn tal re, che largamente é pieno
Dì senno, di valor, d'arte, e d'ardire;
K cerio son che tutti abbiamo in seno
Il mrdesmo, eh* ei dice, allo desire.
Chiaro mio re, di far quanto a voi piace,
Nè senza darvi A varco essere io pace.
XXXI
Né crediate, di' alcuno *gg<a temenza,
Percir un sol cavaliero stia da parte.
Anzi più speme è nui di poter senza
Lui, veder quelle mura a terra sparir,
Cir aocur rh’ei mostre foore alla eccrllenza.
Non è perù nel bne Ercole o Alarle ;
Ma sì orgoglioso è lien, che spesso tale
Dispreiza e biasraa, ehi più d' esso vale.
XXXII
Rignardatc ogni duce e eapitaflo.
Ogni famoso re, rh* avete intorno, t
Che più d' nn troverete a lui sovrano,
Ma «!' altra cortesia I' animo adorno :
roscia ove sì rtiraovi ìl buon Tristano,
Ch'ali' antico valore ha fatto scorno,
l’.an sì 6orilo sinol, ch'egli ha condotto.
Si dee cara Icorr di LaucìluUo ?
XXXIII
Miicivansi pur le vostre al^re insegne,
E conosca il nemico, di' ancor vive
Quella virtù, die tutte I' allyr spegne,
fUime ogni lume Ìl sole, ove egli arrire;
E vedransi illiisinssime opre e degne.
Più che di quante mai si narra o scrìve.
Che firn donate al vostro nome «olo,
Non al superbo del re Ban figliuolo.
XXXIV
Come tacque Gaven, snbilo sorge
Il buon Tristano, e dire; Invitto Arturo,
Il parlar di costui cagton mi porge
Di ragionarvi anrh* io piano c sicuro
Di quanto il mio veder si frale scorge
Nello stalo presente e nel futuro.
Con quella fé, con quello integro core,
Che drbbe nn cavalier, che cerchi onore.
XXXV
Qnant’ha del buon voler di lotti noi
Barronlato Gaveno é fermo e vero,
Che mille vile, e mille oggi per voi
Spender siam pronti sotto il vostro impero.
Quel che ne seguirà, si resta poi
Palese ad altri, rh'ail'uoian peasiero.
Che non può veder egli, e non poss'io.
Ciò che n' abbia disposto in cielo Dio.
XXXVI
Deve il saggio di sé prometter l'opra.
Ma non I* effetto mai, che 'n lui non giace ;
Diiulmi poi che Gaveno oseiiri e cuopra
Delle somme virtù la chiara face;
Qiirllo opprrssando, eh* ad ogni altro é sopra
(E Ga detto con nostra, e con sua pace)
Che Lanrilnllo è tal, di' io posso dire
Non aver dì valor pare o d'ardire.
XXX vn
S’ei fowe stato io pruova alla battaglia
D’ogni sorte con Ini, com' io più volte;
Con più dritta ragion, dì quanto vaglia,
Poiria credenza aver da chi rasrolte.'
Quanto ferro schiantare, e snodar maglia
Gli ho poi veduto intra le schiere folle ?
Come pronto a scovrir dov' è 'I vantaggio^
E come al comandare accorto e saggio ?
XXXVItl
Questo didi' io, perché non sìa celato
Il ver, come ai signor sovente avviene;
£ perché si poù dir grave il peccato
D' un cavalier, qnando silenzio tiene.
Ove con si gran torlo sìa biasmalo
Quegli, a coi lude eterna si cuoviene;
Non per dire al mio re novella cosa,
Né di' a si gran bontà venisse odiosa.
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L AV ARCI! IDE
XXIIX
Ma «e por piarf al CicI, di tal« aita,
AI più gra>*e bisogno, Ofi^t prìvarve;
Non sia per qtieslu in n«>i niaofta e fallita
Qiirlla virln, rhr 'o tanti Inophi apparve!
Forte rhe l'ampia «Irada v'ha impedita
(Tom* altri ha detto) per più gloria darve:
R par Ga rcalivtiino contiglio.
Lo «prezaar per onore ogni periglio*
Che n* ha fatti illnttriitimt e iminnrtali
Sopra qnanli ton oggi, e che mai fnro ;
Pur che noi tte»««, a ti gran volo, l’ali
Non cerchiamo Impedir dì vìteo impuro.
Perchè il Gn delle ìmprrte a noi mortali
Rende tolto il pa<tatn. o chiaro, o tenro;
K la gloria acqHÌitata in danno e trorno.
Senza ben «eguitar, farla ritorno.
E quanto a me, non venni a tale ìmpreia.
Con tperanza d' alimi, che dì me tletso ;
Avvenga ai, ch’aitai mi duole e pcta
I)i non vedermi Lancìlotto pretto:
Muvele ornai, che nostra voglia inlcta
E tutta al fare il voler vostro ittetto:
Già tcoloraia ha il sol la bianca aurora;
£ mentre noi parliam, ai fogge 1* ora.
E a* al meno cammin dell* opre altere
Non cerca»«imo a lui termine degno)
Il penar di molti anni, in poche aere,
S' avria posto 1' oblio tolto il iiin regno;
Convien, eh 'or più chr mai cretea il volere
Di pervenire a! destinato aegno
D'espugnar la città di tanto nome,
£ carchi andar di preziose acme.
Lieto più che mai fotte, il re BritaooOf
Diceva : E questi sono i cavalieri.
Che fon l’ opere iiiuilri onor ti fanno.
Non cui mostrar orgogli», e gire alteri :
Qual faremmo a’ nemiri scorno e danno,
Se dne soli, olir’ a voi, colai gnerrieri
Nell' oste avessi? e con voi tulio solo,
Spero loro anco dar perpetuo doulo.
Nè malagevoì Ga, se *1 core istrsto,
Qnale avemmo inCn qni, ne resta in petto.
Che questo è '! chiaro di, che n' ha concesso
11 nostro re, per ai onoralo effetto :
£d oggi adempierem qnelch'ha promesso
Più d' un profeta, e piu d' un vale ha detto,
AMor che dri fnlnm volse il Cielo,
Alla vittoria c *1 tempo aprirne il velo.
Poi chiamalo in dìiparle Maligante,
Di Baodegam Ggliuolo, il re di Gorre,
C-omandò, eh' alla plebe intorno stante,
Doveste il tutto in alta voce esporre :
Ed ei, passando molto spazio avante,
Giunto al mezzo di lei, silenzio tiuporre
Fc' da' reali araldi, acciò ch'iiditte
Ciascuno il ano parlare, e cosi disse:
Non vi sowirn, eh' alla isola dì Vette,
Là ’v è più fgaarda la famosa Aninna;
Ch'eran le nostre navi io nn ristrette,
L’aura attendendo, che dall’ Orse sunna;
Ch' Arturo il grande, e le sue genti elette,
E poi di grado in grado ogni persona.
Al sarrifìrio avean le lari intente,
Che ’n sul lito si fea divotameote:
Poi che noi trapassammo il nostro mare.
Onorali fratelli, e dolci amici,
Seguendo il sovran re, per vendicare
I ricevuti oltraggi dai nemici.
Già sei volte vedemmo il miI lustrare
Del tuo ciel le mede»ime pendici ;
K sette volle poi la sua sorella
Tornar coogiuota alla medttraa stella.
Che in nn momento, d’alto ivi apparire
Vegsiam votando il fero acce! di Giove t
E di colombe timide assalire
Schiera, che fugge, e non sa, lassa, dove ;
£ mentre ha di predar maggior desire.
In questa, e 'n qurlla il erodo artìglto muove;
Sei ne pcrrnote indarno, ad una ad una,
Nè per pasto dì luì ne resta alcuna t
Tal che poco a ciascun Ga meraviglia,
Quando saprà di noi l'aito dr<>io,
Di riveder la dolce pia famiglia,
E far ritorno al suo terrcn natio.
Che se la pace della gnrrra è Gglia,
E *1 dì chiaro ha '1 oatal dal tempo rio,
Beo par che'l giorno ornai soverchio alleiida
A far che 1' una e 1' altro il parlo renda.
Che tnlte sopra noi caddero a terra.
Altre nel collo, altre nell' ali offese ;
Dopo la festa, irato il voi riserra
Dielr’una al Go, che la raggiunte c prete;
E ai tenacemente io pir I' afferra,
Che non più come 1' altre in basso scese;
Poi con la preda sua tanl' alto sale.
Che noi puteo seguir vista mortale.
Ma se noi guarderemo a qoanto è stato
Fatto ìnCo qui da noi, con somma lode;
Le eiltadi, e il paese guadagnalo,
E r altrui vrndirate ingiorie e frode;
Non ci dovria parer, che indarno andato
Sia 'I di veloce, che le vite rode :
Anzi a Dio ringraziar tenuti temo,
Dei molti affanni e del sudore estremo.
Taurino allor, che di Merlino è Gglìo,
E de' celesti ang^trii ha Parte vera,
Tulio informato dal divin consiglio.
Disse: Il Motore eterno d'ogni spera.
Colui, che quanto vuole opra col cìglio,
E fa pioggia c scrvn, mattino e sera,
Ne promette all'impresa alla vittoria,
£ che sovra 'I mortai n'andrà la giuria.
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un
Ma qaal pirroiie qui l’ aquila invano
Lr avi colombe^ or Iroulv 1' arv,
Nvlla tfttinia poi, 1* adunca mano
Viiiriirice ir ’o pio, di perda prave ;
Tale il irit' anno in qurt parar itrann
Vrdrrm, che indarno di dolor n'apprave;
Ha nel sellimo poi, durala salma
Avrem di lauro, e di famosa palma.
uv
Or non volete adnnque, anime ciliare,
Dell’ annunzio del Ciri vedere Ìl fine?
Che cinque volle ancor veppiam tumare
Cinzia, ch'or fuppa il sole, or a'avvicioe?
Grande error certo fora il disprrpiare
Per breve «pazio le virtù divine,
£ tanto più che in lè rnnpiiinlo (iene
li dovere, e I' onoee, e’I ooilro bene.
IV
£ perrh'io sn, come a pran (orto adopra
Chi di sprone il drstrirr rurrcnie slrinpa ;
Non vi voplio altro dir, se non, eh' all' opra.
Con mapaaniino core, opn' iiom s* accinga :
Ciascun dell' arme lucide si ruupra,
E cui ferro il valore intorno cinga;
Con ticarn sperar di dentro Avarro
Dormir, di preda c di viUoria carco.
tvi
Ma innanzi convenevole ristoro
AiraiTannato corpo dia ciascuno.
Perchè frale è la forza di colori),
Che soverchia soffrir sete o digiuno:
Poi per discernrr meglio il -valor loro.
Ogni pente, ogni duce, ad uno ad uno,
Comanda il re, eh’ a lui davanti vepna,
Con r ordine richiesto, e cou la insegna.
Lril
Cosi diss’epli, e*l popnl lieto intorno
Fere il riri risonar con chiaro grido ;
Quale il vroto, che vien dal mezzo giorno,
Spingendo il mare al più sassoso lido,
Ove il monte più rotto innalzi il corno,
Preparando agii ucce! sicuro il nido :
Poi r un r altro invitando in alla voce,
Uuovon verso l' albergo il piè veloce.
tvin
Chi porge ivi naor* esca al suo corsiero,
Chi la sella gli pon, chi addrtzza il freno.
Chi riguarda il suo snido, chi al cimiero
Le piume adatta, che venian già meno;
Quel si riruopre d'arme ardente e fero;
Queir altro chiude i suoi pensieri in seno;
Questi ha vergogna di voltarsi al cielo;
Quest’ altro il prega con divoto zelo.
LiS
Tra i privali goerrìer, già intorno al foco
Chi legne apporla, e dii vivande appresta;
Chi sgumbra sassi, c fa spazioso il loco.
Ove la mensa poi sì Iniovi presta,
Che riasciin la fatica prende in gioco,
Hrntrc la fame vincitrice resta:
La qual poi superala, ogni nom riprende,
O r asta, o r arco, che virin gli pende.
IX
Ha il magnanimo Arturo d’ altra parte,
Soli' ampio padiglion, che intorno ornalo
Di seta f d'ostro, con mirabii arte,
Ha riccamente ogni sostegno aurato,
Dal suo diyn genrnan, quel che le carie
Celesti ha tutte iolere rivoltato:
F. di Gallia passato a Pandragnne,
Difese ivi di Dio la pia ragione.
I.X1
Nè sol l'alta dottrina, e1 santo esempio,
Mostrò cantra i nemici allor del vero ;
Ha con l'arme compagno al duro scempio
Degli Angli fu con l' onorato Utero:
Il qual mancato poi del sommo (empio,
Sulto d' Arturo ancor, tenea l'impero,
Da costui dnnqne aliar dtvoln e pio,
Fu il suo richiesto ouor rcndnto a Oio<
{.xtt
Dopo il qnal, con le luci al ciel rivolte,
In atlo, e ’n voce umi'l, cosi direa :
Alto Signor, che le noslr' alme hai tolte,
Col morir del tuo fìgiìo, a morte rea;
Fa, eh' avanti che in notte il dì si volte,
L* orgoglio abbassi, che soverchio avea
Contr'a te, cnnir'a noi l’empio Clo<las<o,
Che dì crudele oprar non fu mai lasso.
tzni
Cosi detto, partissi, e gli altri anrnra
Vanno a prender ristoro, e Tarme appresso;
Ma per voler del re con luì dimora
Il re Lago, di' amò qnal padre istesso;
Il buon Triitan, rhe sovr* ogni altro onora ;
Il saggio Maliganle, e i giuoli ad esso
Bourte, e LtnnrI ; poi non chiamalo
Restò Gaven, che sempre gli era a lato.
I.XI»
Fatti assfdcre all’ onorala mensa.
Di preziosi cibi intorno piena,
Or a questo, or a quel dona r dispensa
li re, eoa fronte placida e serena ;
In quel modo migliore, in eni si penta,
t'.he scorger possa alcun di loro a pena
(‘hi sia più in grado alla reale altezza,
Ma rhe di sorte egual ciascuno apprezza.
txv
Quando alilo fu di vino e di vivande
Il desio convenevole adempito.
Disse il re Lago: Poi che 'I sole spande
Già caldi i raggi, in alta parte gito.
E dell'estivo di, eh' oggi è 'I più grande,
Il quarto del ramroin quasi ha fornito ;
Non tardiam piu di dar prinrìpio alT opra,
£ arguire il voler di Chi sU sopra.
ttvi
Noi disse invan, eh' Arturo immantcnente
Comandar fa, che le sonore trombe
Kmpìaiin il riel di grido alteramente,
Onde il fiume, e la valle oe rimhombe :
Al cui mro romor, T annata gente
Lascia gli alberghi, a guisa di culombe,
Ch' esran fuor nell' aurora, ad ali stese,
De' seminali campi ai danni intese.
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l’ avarchide
''
tUTU
LXXIV
E qoal poi di Inntan U fìamiiu «ppare,
Ove l'Usa, e *1 Sual mischiato insieme
Ch'a'LuKhì d«pr«dar le chiome *nole }
|,e plarid' acque, ove si gode in seno
Tal delle lurid'anni il Umpc|(giare
La riera e bella Udtina, che non teme,
Si Tctie iremolarf che muove il iole :
rhe'l nnlrimento sen le venga meno;
Nè Unte le itJ|(ion più belle e care
Ov'Ulla, c Beveria! 1* on 1* altro preme,
ilan (rondi, crlielle, Gor, roie e viole;
Per vicinanza, in quel medesmo seno;
Né tante ha alrlle il ciel, quanta li vede
E dove PalriotOD quel loco ingombra,
Geute sopra ì destrieri, c gente a piede.
Ove 1' acque insalar si vede all' umbra.
txvm
Lxxv
E come il boon pattor, che le tue gregge
Quattro anch'ei sopra lor portava insegne,
Sopra gli erbmi colli a pascer mena,
Non tnen che 1' altre, di valore ornate:
Che eoo la verga io man muove e corregge,
Altrettante ne innalza, né più iodegue.
Uentrc che questa ipinge, e quella afireua ;
Agravro leeo, di Gaveoo il frale,
4.0*1 la schiera sua governa e regge,
Sotto cui va la gente, ch'oggi spegno
Talor loda porgendo, e talor pena,
La sete in Dona alle sue gregge amate;
Ogni onorato duce, e guarda intorno.
Dico AsMdme, e Lincolnia, e dove ÌI Trenta
lù>nie r ordio miglior più venga adorno.
D'irrigar pure Ancaslro s’ argomenta.
LUX
LXXVt
Poi più di lotti Arturo, il re sovrano,
Lucano, il bratto ardito, aveva qoclli,
Firn di divino onore andar si vcde;|
Sbollo il numero eguale alle primiere,
li cui sembiante alteramente umano.
Più vicini all* Avon, eh* ampi niscrlli,
Di Giove al sacro aspetto ivi non cede,
Nel principio assetato, veggìon bere.
Nell' altre membra a Marte prossimano,
E tra i colli d* intorno erbosi e belli.
E nel petto a Nettuno, esser si crede;
Noriiigania, e Lerestria risedere.
E qnal l'invitto lauro ai bassi armenti,
E Norlantona, nel mi lilo aprico,
Tal quel dì si mostrava all’ altre genti.
Sun Bulrone, e Coveutria, e Varrivico.
LXX
txxni
Or, voi figlie rliiarissime dì Giove,
Ha in compagnia del primo duce dtero.
Sacrate Muse, cui niente è scuro.
Per meglio esser condotti all' opre rare.
Craniale a me, perch'io gli canti altrove,
Il possente Avirago, e '1 buon Gnndero,
1 duci e i re, che seguìlaro Arturo;
4ìh' han, non men di Lucan, le spade chiare:
t'.h' a narrar l'altro stuol, che seco muove,
Gli altri popoli poi, presso al sentiero.
Voce aver converrìa di ferro doro,
Ove più irato di Germania il mare,
Con mille lingue, e mille bocche poi;
Combattendo gli scogli, alto risuona,
Ond' io dirò quei soli, e gli altri voi.
Verso la Cantabrigia, e rUmlinctona; •
LXXI
LXTVItI
Del paese Norturobrio, ove a Boote
Ove da molli rivi cinta intorno.
Spande il Tiieda le sue frigid’ onde,
La vaga Eli. qnal isoietta giace.
E 1 tien diviso dalle terre Scote,
Ove lieta ValjMile il destro tomo
Là dove il Cheviula il di gli asconde ;
lugoiubra, c ricche le sue valli fare.
Non luiitau dalla Tina, che percuote
Dello scettro ducal fecero adorno
Dall* Austro il fianco, ron l' erbose sponde,
Il possente Agrevat, che io guerra e *n pace
Vollcr le genti aver per dure loro
Tal cunubbero in lui senoo e valore,
Solo il re valoroso Pclinoro.
Che '1 vollcr tutto solo a tanto onore.
LXXII
LXXtX
Sei chiare insegne arca spiegate al vento,
Ha Ganesmoro il nero quelli avea,
4We sotto ogni dne mille conlaro
l'.he soli sopra l'Oceano orientale,
Cuerrier pedeilrì; e riascua mille cento
Di Nurlfidcia. c SufTulcia, che solea
Cavalier d'esso, e d’altri seguìtaro;
Mostrar fra 1' altre, che più in arme vale;
Poi Gargautin, ch'avra tanto ardimento,
Con quei di Nordoviro, e gli reggea
Che *1 teneva al suo re pregialo e raro,
Con la quinta bandiera, all'altro eguale:
4juei di Uunelmia e Ricrìamoudia mena,
l*ui veniva il superbo re Gaveno,
Ove la Tesa, e '1 Vere empie l' arcua.
Ch' alla pietrosa Orcaoia regge il freno.
ixxm
LXXX
Seco eran di Darlìngia, e d'Alcrtone,
Era Gglìtio! cnituì del gran re Lotto,
E deir altre citladi, e ville intorno,
E della bella Elia, suora d'Arturo:
Per sangue e per virtù quelle persone,
E però venti insegne avea condotto,
t'.h' avean più il nome di rhìarczia adorno,
Di stool più ricco assai, che io arme doro.
Sopra cui sole quattro insegne pi>ne,
Oud' avea troppa invidia a Laucilotto,
t.h' a multe più di lor (ariano scorno:
Non scudo ai par di luì forte e sccuro,
Appresso era Aboudano Ìl fortunato,
r.iie con ogni altro avuto ardire avrebbe
f.he i guerrìcr d' Eboracc avea da lato.
Di coQlrasUr, come poi seco anch'ebbe.
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L AVARO H IDE
32
LIIXI
Qoci di Cjinxlo, e di RnlTa rou lui meu,
D' Éts«»ÌA, e Mi«lel»e»i*, dnv« c auiu
La nccliisjima Londra e Uclla, pirtu
De'bfD della furluiia io ogni gui»a,
DrIU Tamigia io tu la riva auiroa.
Che dal rur di Ciprìgoa mai divita
Nun fu, poiché le latta in dolci lempre
I tuoi candidi cigni a patcer tempre ;
Lxaxii
E gli maolien tecori dagli asialti
I)el Britannico mar, che la ritpìtigc
Verto il tuo fonte, a periglioti tallì,
Quanto in due dì va rnom, che nun t'iuCnge:
£ quei della Sutsetia, che men aiti
Da' liti ton, che 1' Oceao dipinge ;
Con gli altri di Surrea, pur tcgtion l' orme
Del ra, eh* io ditti, eh' a virtù gl' iofunne.
LXXStlI
11 taggio Haliganle, che fa figlio
Del vecchio Bandigamo, il re di Gorre,
Famotittimo in arme, ma in cuntiglio
Tal, eh* a quanti vi fur, tì dee preporre.
Con parlar dolce, e eoa allegro ciglio
Brgccva quei del lito, che ditcurre
Vintuoia, e Vetta, Titola, che siede
Al mar, citc Neutlrìa a meaxu gioruu Cede.
LXXXtV
AUretì di Cicettra e Bereherta,
Là verso il monte, onde Tamigia parte,
Ogni prude guerriero etto tegai'a,
Con «ette tue bandiere alT aria tparte :
Fui di Dorccitria, e di Sarisburia,
Sul lito pur della medetma parte.
Menar Gerlletio, Ottorìo, e Fratutago,
Con quattro sole intcgiie il pupol vago.
LXXXV
Indi vìen Goiiemante il core ardito,
Con quei di Sommerteto, e dì Devuna,
Che poste ton tra Tuno e T altro lÌto,
Ove il mar dì Boote e d' Austro tuona;
£ d' alireltauta gente era fornito,
Che tutti tre quei primi, e non mcn buona:
Creuso il Senrscial veniva poi,
Che '1 lerao piu di lui menù de' tuoi t
r.xxxvf
Ch' cran della Curuubìa, ore più sporge
Al sito orcidetiial, verso la Spagna,
£ dove più vicina e dritta acorgr
Di qua dal utar, TArinurira Brettagna;
Ma quei della Siituallia, che più sorge
Dritto al Selteiitrion, che 'i mar non bagna,
Uve il iVtnbrtico poi>olo, a Miiforle,
Nun pensò mai trovar dì té piu forte.
Lxxxru
Ebbero in duce loro il forte Ivano,
Che 'n fra quattro stendardi gli divide;
poi Meliastu, che in beltà sovrano
A ciascun altro fu, che mai ti vide,
Fuor eh’ al figlio onoralo del re Bano,
Ch' ebbe in tulio le stelle amiche c fide ;
Nacque cutlui d' Agiate, e dì Campo,
Ne mai simile a lui fu inoauzi o dopo.
tXKXVUI
Ma perchè la beltà fu in batto stalo,
E Tela gioviucUa auco il premea.
Fu d' una tuia insegna accompagnalo,
Che di Slrumorra, e di Norvallia avea ;
Mandrino il taggiu, che *1 segiua da lato.
Menava quei dell' isola Aoglitea,
Con gli altri di Bangarìa, ed ha la terza
Bandiera sopra lor, ch'ai vento scherza.
LXXIIX
Taurio che di Merlino era ficliuolo,
E dell' arte paterna dotto a pieno.
Degli uccelli ostervaodu il gusto e'I volo.
Prediceva le pìoggic e *1 cìci sereno t
Quante stelle sustien questo « quel polo,
£ qual propria virtù chiudano in seno,
Conuscea in lotto, c '1 corso de' pianeti,
£ quai fossero a noi dogliosi o lieti.
xc
Egli in somma vedea cosi ’l futuro,
Com’ogni altro il passato, o quel ch'ha innante:
Due frali ha seco, a cui Don giace oscuro
D'erbe valor, di fiori o d'altre piante.
Né di morte puleo T artiglio impuro
Sopra alcun mai, eh' a lor venisse avante;
Con T onde ciliare, o cuo radici sole,
Risaldaudo ogui piaga, o con parole.
xei
L*nno era Pellican, T altro Serbino,
£ lutti tre sei insegne aveano insieme.
Di Landaffi, c d' Lrfordia, che '1 confino
Tra T Uvaliia, e Cormibia addentro preme;
Con quei die 'I fiume Logo hao per vicino,
£ l'ondosa Sabrina, ov ella geme,
Scendendo al mar, che in uccidente guarda,
£ cui lorbo reflusso la ritarda.
XUI
Gli altri intra qnella, e *1 corso delTAvone,
Di Glicestra, Sufurdia, e di Yigorna,
Sullo il quarto onuratu gonfalone
Mandoro han primo, che la schiera adorna.
Perdi' ha di ben condurla ogni ragivue.
Quando innanzi s'addrizza, o iudìelru torna,
Pure riesser Costante c Vcrtigero,
Clic gli fosser compagni a Ule impero.
xeni
Mena in guerra Urian quei di Lircslra,
£ quei di Dcrbia, ove bagnando il Trenta,
Questa lassa a sinistra, e quella a destra.
Non lunge al niuule, onde rnscel diventa,
E per la piaggia sterile, e silvcstra,
Per sassoso cauauin rattu s'avventa;
Cinque insegne ha spiegale, e 'n compagnia
Condevallo, c Cunon seco venia.
ZCIV
Quanto ha Lanraslru.e quanto intorno gira
Dopo il fiume Bibel, viciuo al mare,
Che 'over T occaso, e nell Iberela mira.
Col buon Laudone, il destro volle andare:
l.umhria, e Carlela, che più ali' Orse lira.
Là dove il Cbeviata in alto appare,
£ dove all' Ot-ean passa Solveo ;
Brun senza gioia per suo duce aveo.
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33 l’ A V A R C II 1 D E
*c»
PorUo sci >DM|QC ì due, ma Telamoro
Condace quei, clic *on luii|;u il Tneda,
Tra Laoduiiia, c la Marcia, che 'n fra loro
Vc)(|cioo Furtca del mar latoo»a preda,
Cult quei di FilTa, ove io ni l>cl lavoro
Ila tempio il divo Andrea, di' a aulto ceda;
Con gli altri d' Edimburgo, e di Bombaru,
£ Ire iuiegue fra tutti alte apiegaro.
eli
Quei da Loquabria, che *1 medcsno Nessa
Van seguitando pur, oel Grampio munte,
Ove la selva siirge assai più spessa,
E Sun le fere più mordati e proulc,
Ilao la cura di lor larga rimessa
In Brallcno, il guerrier d'altere e conte
Virtù ripieno; e <|uattrn iosegue spiega
Air aura io allo, ch’or le drizza, or piega.
SCVl
Quei d' Atolia Alibello bau per suo dure,
Coi compagni, che sua tra '1 Tavo e l'Erua;
£ di Maruia, e d' Angusta, rhe conduce
La fronte iunauzi, die più 1’ onde scerna;
Due imegoe porta sole, e quel, che luce
Di ricdieua, eh* avanzi o^iit moderna.
Dico Argaituru, meua quei, di' avea
Tra le sue foci io mezzo Dona e Dea.
CUI
Amillan quei d' Argadia appresso mena.
Ove pin verso Iheniia esce il Novanta,
L'aalK’u pnimonturio, a cui l'arena
Bagna il padre Ocean dal terzo canto ;
Tre insegne ha sole, e quel, eh* al mondo ha
Gloria sovra lutti altri, e purla il vanto (picua
I)' esser io correr lancia ardilo e ibilto,
Fuor solamente il chiaro Lancilolto ;
XCTU
Sei meoaiosegne.'c'l buon Malchino il grosso
Quei di Muravia, e di Canori! ha seco.
Là dove è il Flirto di salute, scosso
D' ogui scoglio, che sia topr* acqua, o cieco;
Ove non fu mai d' àncora rimosso
Legno, per vrnlu oubiluso c bieco :
Lì di Nessa, e di Nardo 1’ acqua beve,
E di Liudurna poi Irauijuilla c leve.
CIV
Io dico di Norgalie il cavaliero,
Che meua quei di Glasro c di Dunihlano,
Pur lungo il Grauipiu, ov' ci circonda altero
Lomundu, il lago, che gli assiede al piano,
E di molte isuìclle lira l' impero,
Colme dì genti, rhe non stanno io vano,
Ma con quattro bandiere il forte dure
Seguono, ove a gran gloria gli ruodure.
acviii
Quattro insegne ha di lonFinasso il bianco
Ha quei dì (.atanesia, e di Storlanda,
E di Traveroia, che si scorge al hauco
L' Orcadi, ove più l'ali Burca spanda;
Ivi l'esca domestica vien manco.
Ma sol fere selvagge in luce uiauJa;
Onde a furuìr la iiicnsa fa uicstiero,
Clic sia *1 pupul più d' altro ardilo c fero.
cv
Taulasso vien dappoi della inoolagna,
Cron quei di Gallovidia, eh’ liaii |a sesie
Sopra il mar detto Hìn, eh* a Ioni» bagna
Il promontorio Mute, che st vede
SoUru yicin, che oell' Oceano stagna.
Poi cacciato da quello, indietro rirde
Presso all'isola Mona, e questa genie
Hau sopra lor tre iusegue sulaiucnte.
XCIX
Com* et son senza par, che quasi ignudi,
Al più gelato cici, lueuan la vita;
Prendono i cibi Sanguinosi e erudì;
La terra è il letto, cb'a posar gli invita;
Nullo é, di* a Bacco s' affalichi, o sudi,
Che la più seuiplicc acqua è più gradila.
Di questi adunque suo quattro baudicre,
E di dardo ciascun, c d* arco fere.
CTI
Il Imon re Lago poi, che d’aniti grave,
L' uuicu suo figliuolo ha seco Eretto,
C.onduce quei dell' Orradi, doud' ave
Lo si’cttro in mali d' imperadure eletto;
Deir Orcadi, ove il sul, se 1 verno aggrave,
In lai hrevìssim* ore ha il di ristretto,
Ch' a prua visto si ri|>on tra 1’ onde,
Poscia all' estivo ciel poco s’ asconde.
c
Bandegamu, il fralcl di Maligaiile,
Che dei padre onoralo il nome purla.
Famoso tiiice e cavalteru erraute,
Al pu|Hil di Rossia fo fida scorta;
Ed a quel della Lotia, ch'ha d‘ avaole
L* Ebridi, verso il sito, die coufurta
I fiori e r erbe a Irar la fronte fuura,
Là ver r aprii, cuu la sua tepid' ora.
CVil
Stanno a guisa di cerchio aggiunte insieme,
Pur d'assai puro luar fra lor disliute,
Ove più r aquilone iuloruu geme
Al sen Deuralion, che P ha rinate :
Pomoiiia è la maggior, rhe *1 mezzo preme
Delle Ireiit’ una, ciie di gloria ha vinte;
Benché famosa é pur Bure e Henolse,
Che *u vèr la Calanesia più s' accolse.
et
Ivi tra boschi stao paludi e lagliì.
Che Nrssa, e Nardo con Liudurna fanno ;
Ha di pcsr.i e di cai'cic assai più vagló.
Che di dare al terre» d’aratro affauiio.
Cui iiullo è, che sementi, u che l’ impiaghi.
Ch'ai culto naturai cuiileuti slaunu :
Quattro insegne ha spiegale di costoro,
Ch' bau pelli iulorno di selvaggio toro.
CVIIl
Era il niedrsmo {uiì signor di Tile,
Ove più varia il di, perchè oun pare
(tiamuiai tal volta, e poi cangiando stile,
Molli coesi di luna aperto appare:
Regge anco 1* Irta, cni nulla é sìmile
Dì grandezza fra lor, eh' é senza pare.
Ma più ver 1' occidente s* alluiiUtia,
Uve ancora è dell' Ebridi sovrana.
3
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A V A R C H 1 U E
SoD del tnrdrsmo poi Lrnì»sa r Sciita^
Molto a quelle virine, e Min tli»giaat«
I)a li breve ronfin, Hie ti tliria
l’na, e »e forte due, troppo conpmnte:
Or il tu» vrrchìo re lo ttiiol iritiiia,
Di fido e ver<» amor I' anime punte;
E ben tedici iotegne lianim ipieeate.
Le più vaglie di tutte e uieglio ariuale.
Menù adunque Baven qnei, rhe li itanno
Tra la Srhelda, e la Mota iu tu la foce,
Ov' liati tempre temenza, e tpetto danno
l)el furor di Neltuuo, rh* aitai nuore:
Ne il Baiato valore, oiid’rtti vanno
Superbi tra i viriiii, arpro e frrure,
fili può .«ratupar, che ben lovente vede
Di petei albergo la nativa tede:
Poteia di qua dal mare, ove ti ilendc
Della Galba il famuto e bel paete,
Quaulo la terra Annorica comprende,
E dal Britanno ten riceve ofleic.
Dal loco, ove iiiperba Era gli rende
Dell' onde il dritto, rhe 'ii Grbruua prete,
Fin nella foce, ove ditceiide Olina,
Cir al nioute di Michel dritta t incliiua ;
Sei interne ha di cottor : Neitor dì Cave
Ha quei ; più lunge poi di tal periglio,
Ove rarra é di merci, e d' oro grave
La rirra Anverta in popolar contiglio,
Con le vaghe cvllà, che vicine ave.
Guanto nel «angue tuo lalor vermiglio,
Bruggia,e'l dotto Lovan, di a buoni imegna,
De' quai tutti portò la tetta iniegna.
Fbbiditce all' impero di Trillano,
Del re Meliadutie il germe clcllo ;
A cui del pupol tuo ripone in mano
Lo teettrf) il re, che ti citiainava Ovetto:
Dì f ui ‘1 padre onorato era germano,
£ di tempo minor, ma più perfetto :
£ con dodici ìntegne era venuto.
Per dare ai campo al maggior uopo ajulo»
Né mrn n'ha Liooel dell'altra parte,
C.h'atqnanlo all'antiro, e roreideiite inchina.
Ove >on le famose in molte carie.
Tra gli Ambiaui, e la Samarobrina,
Atrebati, cittadi intorno tparte,
Ma loMlane all'odor della marina:
Dopo costui seguitano i quattro figli
Di quel, che ebbe dal del gli aurati gigli.
Però che ’l di medetmo arrivai' era,
Che’ntra' due primi fu l'amara lite l
Bluuiberiste, e Blanor menano schiera
Di genti, a quei per vicinanza unite
Della famoia Neutlria, dove altera
S' accompagna la Sena ad Anfitritc
Con tommo onor, ma in tutto ciò ti sdegna
Di lattar il terreno, ov'clia regna.
Dico del re de’ Franchi Clodaveo,
Il primier, che fra i tuoi conobbe ÌI vero
Del mondo Salvator, che tcarco feo
L’ uman Irgnaggiu del mortale impero:
Quelli per vendicare il torto reo,
Ch' a Lancilotto fra Clodatso altero,
Gli mandò vulcuticr con quelle tebiere.
Che più armate, e miglior potette avere.
Di tante alme eillà fiorite e chiare.
Sei iole iosrgnc han treo de' tnigliori.
Che'] posteule Buan non vuol restare,
Senza i tuoi, preda a' barbari furori.
Gostanza, c I* altre poi più presso al mare.
Ha il consiglio aitermato de' maggiori
Dì mandar pochi, e bene ati in battaglia,
E DUO pupui maggior, che poco vaglia.
Childeberto il maggior di quelli é dote,
Che'n mezzo pasce all' onorala Sena
Lutezia la reai, d’ ogni altra luce,
Lutezìa d'uro e di virtù ripiena;
Lutezia, ov’ ogni beo piove e condocc
L'alta celeste possa e la terreoa;
Con tiiltu 'I pufHil poi, di' ella ha d* intorno
A farle il tea d'uxni bellezza adorno.
Coo 1' Amoral di Gallìa, e Pcrtevalle,
Fu numero altreltaotu t'aecunipagua,
D' abilatur delia spigusa Valle,
Che la Iranqnilia Somma irriga e bagna,
Con quei, che dalla fronte e dalle spalle
Uroanu i coiti, e vesloo la campagna
Verso i Calesi, r gli ultimi Monni,
Che le Brittaunic' onde haii per cunfiui.
Le genti di Suesson mena Clotaro,
pur del gran Cloduveo figliuot tccondo;
De' Remi ancora, ov'è’l terreno avaro
D' alberi, ma di spighe assai fecondo ;
1 Brllovaci poi, con gli altri a paro,
Purgon le tpalle all' onoralo pondo:
Clodamiro di quelli arma la schiera.
Che bevuu 1 acqua, oude superba c l’Era.
Baveno a Lanrilnllo assai congionto,
Siccome Bloutberiste anco c Blaiioro,
Non volle, nè quei due, mostrarti aggiunto
All ira Mia, perché tlringea costoro
La fé, eh' a Arturo diedero in quel punto,
t/ir ebbero spruui e spada, e cinto d oro,
r.ome molli altri ancor, con qnei legati,
Che per cavalleria furo alorzali.
Seco mandò la nobile Urlicnte
La chiara gioventù, che'n lei fioriva;
Con latti ptii delle tue selve immense,
Abilatur Ira 1' una e I' altra riva
La regia Blei, la vaga Ainbuosa, arcrnse
I)' amor il verde lauro, e non d'oliva;
.Seguono il duce lur, con tanta fede.
Come alla giusta impresa >i richiede.
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L AVARO II IDE
rixm
Tradnrico U quarto ha quei piò Inn^tr
Tra la Ua^rlla airu&ì, e Ira la Moia;
] LoUrrìn^hì, e fili altri, rhe «JÌ5|tiua{^
r.i>n la froute Vu»rpo in allo omhrota;
Vormr, Argenlina e Spira, dove aj;sìuage
L'altero Ben con la tua barin ondoia :
Ciaacun tedici interne sole accolte.
Che di pari oaorar|'li il padre volse.
CXXX
E tanto pin t'accendon, poi che tanno
Che '1 Goto imperalur molli iu aita
ila mandati a Clodasto, e pastai' hanno
Per TAipi aperte, c per la via più IriU;
Ond'etfi allor senza timore o danno
Gir nun potean, che loro era impedita:
Betta solo il cammiii sicuro in mare,
Che nuovo, Inogo, e perigl?bso appare.
cxxhr
Venne con lor Sicambro, il dnre aniirn.
Che i quattro f;iovÌneUi in finardia prende:
Otiorìu ha leco il tuo perfetto amico, •
Che del tanfue medesimo discende;
Quelli passar per mezzo rinimico
Lito ftcrman. rhe quanto può difende
Quei di Clodasto, e senza tema, o danno,
11 Hen, mal grado tuo, superat’banoo.
cxxxt
Ha la chiara virtù, eh' è scorta e chiave
D* ogni serrato varco, gii provvide,
Ch' ove r Arno va in mar, non mancò nave,
Ma molte oe trovar sicure e fide;
Vroli oe appresta, e fa ciaicuna grave
D'una sua insegna, oUra i nocchieri e guide ;
E*1 chiaro ciei, eh' a’ bei disegni aspira,
0 TEuro, o )' Aquìlon di e notte spira.
cxxr
Però rhe di Francooia, che ti giace
Lungo r Ircinia, atl’oiMle del Mogono,
Sola al tao Cludovco figlia verace,
Come ti conveni'a, parlili tono;
Che de' tuoi più nemici ivi dì pace.
Di venti chiare insegne ha fallo dono;
Poi cou lor Ueroneo venne c Lotaro,
Ch' agli Alemanni in guerra eomaudaro.
CXXXII
Così il Ltgiiro, il Gallo, mare Ttpano
Trapassando veloci, e 1 Frelo ancora;
Volgonti presso a Gade a destra mano.
Con T anstro addietro, rhe lor presta 1' óra;
Il Promontorio sacro di lontano
Lassando, e '1 Nerio, e ’l Cantahro di foora,
L' Aqnilania, e TArmorica riviera,
Scesero al fine a Naote sopra T Era.
cxxvi
De'qnai sole otto iusrgne spiega a) vento,
Sendo la gente lor ridotta a poco.
Che *1 nntnero miglior allor fu spento.
Che 1 franco Cloduveo, con ferro e foco.
D'etti oppresse il furore r 1’ ardimento.
Dì libertà tpogliaodogit, c di loro;
Ha quei, cui perdonò, fede e valore
Gli motlrar poscia tempre, e puro amore.
cxxxm
E già '1 terz' anno area rivolto il snie,
Che sotto Arturo fea mirabii prnove i
Lanriloito non v' era, onde si duole
Ogni nobii gnerrter, eh' ivi si Iniove ;
Staisi irato da parte, e veder vuole
Il fin della battaglia, che ai muove;
E i suoi, chc'n «liece indegne avea compresi,
Tulli suo di diversi e stran paesi:
cxxni
Pretto ai quattro fratei del manco lato
Ne veniva il cluaritsimo Boorte,
D'un fratcl del re Bauo in Cave nato,
Nè molto mcn di Laocilolto forte;
Del paludoso Angiò, d’ arbori ornalo,
K di Torti fruttifero ave scurir,
r.oQ quanto abbracci d' ogiiinturno l'Era,
£ d*olU> piene iuicgne adduce schiera.
CXXXiV
Di Germania, di Gallia e dì Bretagna
I miglior cavalieri, e pien d'onore,
Chi della bella Italia, e chi di Spagna,
Dell' alte tue virtù corsi al remore ;
Non ha invidia fra lor chi più guadagna,
Ma chi mostra più ardire, e pìii valore;
Molti ha di Gorre, e molli tuoi cugini
Di fierri, e d' altri luoghi a lui vicini.
CXXTIII
Dopo colini teguia Fiorio il Toscano,
Che nobilmeote sopra t' Arno nacque,
Virino al chiaro moole Fìesolano,
Ove perde Mugnone il nome e Tacque;
Che giovinetto già •' oppose tn vano
Al golìco furor, ma vinto giacque;
Né potendo soffrir quel fero giugo.
Si dispute a cangiar fortuna e luogo.
cxxxv
Ua sopra tulli i suoi, più iliusti furo
Quei cjvalier, rhe liberali avea
Delia dogliosa guardia, ove in oscuro
Silo, Tempio ca»lcl chiusi tcnea.
Poi quel fresco di forze e d* anni duro.
Chiaro Lambego. il tutto corrrggea;
E '1 segni sempre in ogni «ua fortuna.
Che uudrito T avea fin dalla cuna.
CXXIX
E con tutti i miglior di sangue e d' opra.
Nel paese onorato a Ini vicino.
Intra '1 Tebro, e la Magra, ove '1 mar copra,
£ la nevosa fronte d' Appennino,
Con pregar tanto, c eoo promette adopra,
Che gli conduce a mettersi in cammino
Di dare al grande Arloro allo soccorso,
Il cui nome rcal per tatto è corto.
CXXXVI
Non v' era anco il possente Galeallo,
Che Lancilulto suo ami può lassare,
E fatto ha conir* Arturo il cor di smallo,
Per l'ingrato voler, che in esso appare;
£ vieta, che non vadano alT assalto,
Ch'ei sente contro Avarco apparecchiare.
Le sne genti, rhe seco avea menate
Dall' isole luoUoe Fortunale;
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L AVARO n IDE
rvxxvti
Dì Cernr, e ii' AutoUa, drll'alire molte
E*per»di, r«Ì '1 sui la fronte preme,
E (Irli' ultime terre più rivolte
Delfnerldeiite «u le piafi{:ie estreme,
t^h'a laole altre ttolelle in seno arrolle,
Che r Icam e I’ K|teo n* bau meno inaiente,
Tra ’l Breltoa Cavo, e 'I Frelo Mapagliano,
Là dove appari il ^ran TemistiUiio.
cxxxvni
Ma il popoloso nutnero, e ’nfinito,
Che dal terreo naiio primiero vrnue,
Poi che fa eoo Arinro in pace iiiiilu.
Rimandò nel suo rr^nn, e m>I ritenne
Venti insrpoe di tutte, ed ha seguito
Mai sempre poscia, ovunque il rammio tenne,
Lancilotti>, di cor sì atnìeu e fido
Che di Pilade antico avaoxa il grido.
(’^ti di questi due Ir genti sole
Manravan tra color, eh' a guerra vanoo.
Che io pace, or sotto roinltra, or sotto il sole,
Or rtirrendo, or luttaodo a rerchin slanuo;
Ma il mapnaottno Artur», un nuovo sole
Mei gionin più serra del più bell’anno.
Sopra un fero cursìcr d’altere membra
(.Oli r Armi lucentissime risembra.
Una candida insegna solamente
Ha innanzi, ovunque sia, che in alto porta
Caradowo Brrbassn, il re possente^
Alla qnal va d' inlorno, e (aee scoria
Numero senza fìn di nnbil gente,
In arme ardila, e nel imnsigliu accorta,
K latti cavalieri, or questi furo
I regi, e capilau, di’ aveva Arturo.
Ma dimmi, o Musa, In chi *1 più perfetto
Cavaliero, e destrier fu in tutta Toste?
Dei destrier fu quel da Sicambro eletto
Nell' aspre regioni all’Euro poste.
Su Tonde d' ELro, aliar rh’ al giovinetto
Giustino ìinprrator fiir T armi opposte
Dai Tartari virin, eh' egli il soccorse,
E cu’ Franchi, eh* avea. Palma gli porse.
Ch'olire a moli' altri don gli la cortese
Di questo nobilissimo destriero.
Ch'ai par de’ venti al corso si distese.
Ma il rampo tnlto io arme insieme aecotio
Mostra eoi sno splendor, eh' arda il terreno,
E ’l romore, e T andar del popol folto
Tremar fa il loco, che! riceve in seno}
Come là negli Arimi, ov' é sepolto
Vivo Tifeo, tra ’l Sipilo e ’l Celeno,
Ch* ad ogni aeeeso fulgor, che’l percuote,
Di spaventoso suon la terra Kuole.
cciv
Corta è in Avarco la veloce fama,
Ch’ Arturo io arme a lei rivolge il passo;
Tosto il consiglio paventoso chiama
Dei miglior duci e cavalicr, Clodasso.
Chi le mura guardar sectiro brama.
Fin che veggia il nemico afliitio e lasso ;
f^hi vuole, uscendo pur, presso alle porte
Porsi in loco, che sia vallato e forte.
CXLVI
Ma il chiaro Seguran, eh* a nullo cede
Di valor, di prodezaa e d* ardimento,
r.on orgoglioso dir già muove il piede
Verso le porte, e T apre in un momento:
Spinge ehi tardo va, muove ehi siede,
A chi non mostra ardir mette spavento;
Fa sonar d' ogn 'intorno altere trombe.
Si che T aria e la terra ne rimbombe.
CXLWt
Veggionsi qninri e quindi arme e destrieri
Con fretta rilrovare, e muover d'aste;
Quei, che vili eran pria, divenir feri,
St che d'ano il valor per molti baste:
Ma i vecchi infermi, e gli altri male interi.
Le madri pie, le verginelle caste
S* atlerran supplicando ai sacri altari.
Che gli difenda il di dai danni amari.
cxLvm
Nella parte d' Avarco alT Occidente,
Che d’alquanto nell' austro sì rivolte,
Lontau, come potrebbe arco possente
La saetta avventar solo in dne volte.
Giace un piano arenoso, ove sovente
Inonda 1' Eneo, alle gran pioggie e folle.
Che gli viene a man destra r sì distende
Dove un eolie alla fronte assiso pende ;
cxiix
l] qnal detto dal vulgo è Sabbinniera,
Perche tal la natura T ha mostralo :
Ivi adunque adunar eiaseuna schiera
Grande olir' a modo, e bel, forte e leggiero;
Securo e lido in perigliose imprese,
PrrcIT al freno era uttiile, all'arme fero:
Tra i eavalier di tutti era sovrano
Il possente c chiarissimo Tristano:
cxuii
Però rhe Lancilollo ir! non era,
Ch' avanzava ciascun d’alto valore;
Nè ’l suo cavai, di cui del sol la spera
Non vide, o vedrà mai fi>rs« il migliirre ;
Ma quello io ozio con T amica srliirra.
Di crucciosi pensier nodrisce il core,
E ’l buon enrsier sotto T albergo ombroso.
Tra la paglia e tra ’l Geo preudea riposo.
Fa il forte Seguran dal tnanro lato;
Venne egli il primo, ed ha la gente fera,
Che dalla fosca Ibernia avea menato,
D’ UlloDÌa, di Moniooìa, e di Lagina,
E di Coooaccta, cb' all'occaso inchina,
et.
Ha seco Bandnin, di Persia detto.
Con Ideo ’l forte, antichi cavalieri;
Vien Palamede poi. Tallero petto,
Ch' avea di tutte T Ebridi ì guerrieri.
Ed a lui degnamente dier soletto
Di quaranta c Ire isole gli imperi :
E non disdisse a Ini Tlla, e la luna.
Che pur raro, o non mai cede a persona.
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l’ avaro H IDE
CU
VifB GallIraDte poi «li Gtron
T)i Gìroor il (Uirlr«r, il ma^rpìor «liir»,
f'itr giammai foMir, d* armr o di rofltiglio,
K di vrra b«inlà divina hir«,
r.li’ur pianprria, «e rua l'auralo giglio
Non vcdrue Ì1 figli itol, di' oggi rundure,
Srgiiran tuo nigin, ruutro alle squadre.
Le qua! più che »c atcsso amava il padre.
ctvm
Diè Rossano, il selvaggio, dorè a* suoi,
Che fu sempre fra lor dì sommo onore;
L'altra, che eoi Danubio scende poi
Tra '1 Savo, e ’l Sao, Pannonìa inferiore.
Fortunato, e Grifon fer duci voi,
Perdi' odiaste Tristan d'acceso corei
Poi di quei tra 1' occaso e *1 mezzo giorno
Gente infinita avea Cludasso intorno.
CLir
Fu il o«)bll gìovinrtio capitano
T)i quei di Mona, l' iiola, cui bagna
D* Ibcrnia il mar, ch'ai Ilio pru»»imano
Qaaii cuQgiunla appar con la Bretagna:
Poi di paeie e popolo lontano,
r.h' altro cerchio rirnopre, allr* onda bagna.
Venne Broooro il Nero eoa la »rhìera
Di quei che ton tra *1 Reno e la Vìtera.
CLIX
Quei d' Aqnilanla in ent t* Oceano inonda
Pirene, e '1 promontorio Cuciano,
Ove Atnn'a, e Sigmen riversa l'onda,
Non mollo l'un dall* altro di lontano,
Mena Nabon, che nacque alla sua sponda,
Del Visigoto sangue e dell'Alano,
Che Rosiiinnda la bella era sua madre
Ch' Alarico di lui fece esser padre.
etiti
DeirUafalia, c di Fri«ìa, ove io mar rade
La torba Amaaia, e quei due primi insieme:
Di quei, che luogo 1’ Albi ban le conirade,
Che la >elva Semana adombra e preme,
Tiiringiì, c Hiioii, e per più baue lirade
Di Braosvir le fredde parli estreme,
Mena le schiere il fero Dìnadaoo,
Che di Bruooro il Nero era germano.
cix
Mrni'i la gente Terrigano il grande
Del fertile Sanlonge e del Polliero,
E dove a Burdigallia 1* acque spande
L’ ampia Garona, con sembiante altero:
GII altri, che son tra le pietrose lande
Del terrea Limosino alpestre e fero,
Di Caors, Perigatto, e i vicin loro,
Ilio per duce il valente Palamoro,
crrv
1 Sassoni, che pur tra l*Albi e 1’ acque
Del gelato Snevo han fred<b sede
VoUer dure Farao, che tra Inr nacque,
E di barbaro orgoglio a nessun cede;
E cui la cortesia cosi dispiacque.
Che virlude estimava il romper fede :
Gli altri di Schletia sopra il fiume Odero
Ebber per capitan 1’ ardilo Estero.
Ct-XI
Poi seguendo a levante i Pirenei,
Dov' è la famosisiìma Tolosa,
L'onorata Nerhona, che eou lei
Contese no tempo, e ne divenne odiosa ;
Ma piangea seco allora i tempi rei.
Che 1* avean posta in servitù noiosa.
De' Visigoti sotto il dnro impero,
Che diè lor capitan T empio Agrogero.
et»
I feroei Boemi, eh' entr'al seno
Della frondosa Errinla asrosi stanno,
Della fontana il nobile Dnimeno,
Per condoccrgli a guerra, eletto s'hanno:
Quei di pomeria, a cui bagna il lerreoo
L' Oeean dove a lui correndo vanno
La Vistula, e F Orici, per rapo e dure
Hanno Arvino il felloo, che gli conduce.
CLXII
Gli altri, che son su !' onde di Rnseena,
Drir Orino, e di Latago assai più presso,
Ov' al Gallico mar la torba arena
Rodan col doppio corno avvolge in es«o,
E *a ctii stagnando l'acqua, intorno piena
Di trista inipression fa 1' aria spesso,
Tal che Nrmauso, e Morapelicr ne piange,
Che '1 frenalo Nctlnno ivi non frange.
etn
L'Assia, ch'ai monte Anobe in mcizo giare,
E qna.<Ì sopra il Ren dritta si stende.
Tutto il popol vicin, eh* a lei soggiace.
Fa, che 1 Nero perduto in guardia prende.
La Suevia avversaria d'ngni pare.
Più verso TAlpì, ond' il Danubio scende
Tra j Vindrliei, Rrzii, e 1* £no, c Lieo,
Presero il duce Brouadasso antico.
ctxin
Ebber dare Galindo, e quella gente,
Ch’ olir' all' Ostie del Rodano ha Provenia;
D' Arli reai, cb' allora ebise, e sovente
Sovr' ogni altro vicin somma eccellenza ;
D'Acqua Seslia e Marsilia, eh* altamente
Già manienea la greca riverenza.
Tutta per capitano avea Margondo,
Ch' a nessnn' altro in arme era secondo.
ctni
n Norico tcrren, eh' all* occidente
Ha ronde d' Eoo, e dal settentrione
Riga li Dannbio, e 'I cinge all' oriente
Il C.ezio, eh* ha nevosa ogni slactooc,
A Bnstariao il grande, la sna gente,
Nel qual mollo si fida, io guardia pone:
L' Austria, che stende il suo valloso piano
Dall' latro e*l Narabone al giogo Albano,
etxir
Menava Graccdon della Vallea
Quei, eh'a levante son tra ’l monte e '1 mare,
Ov* ha il porlo Tolon, che te' potea
Meglio i venti schivar, non avea pare,
Ov'il Foro di Jiilio ancor piangea,
Che pnre allor tante memorie chiare
Fnro in lai tutte spente, e poco meno
D’Antipoli faceva il iito ameoo.
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CIST
Quanto riloroj poi v«r»o Boot««
Che più luupe a Nrtluon rl>l>e la tede»
Ovr ne] *ru de) Kotlano li puotc
Veder Sorga e Diirenza, che l'auiede;
E dove al fianco rapida percunte
Litera, e di »è ileiia Ìl face erede;
Qui Valenza gentil lasiaodo a tergo,
£ là il «acro Avignoo, dì venti albergo.
Clan
Con quel, eh’ ad e>ii d'ogn* intorno giare
Diede a* suoi rapo, e dure Matanai^o.
Ciò che più all' Alpi gelide foggiare.
Dell' Allobroge valli a) chiufo pano.
Ore al faggio Granopuli non tare
La Li«era, rhe viro dì lasio in fatto
Fino alla nobii Vienna, Ita la sua irblera
Donala a Maraboo della Riviera.
CLvrii
Con Sitmoodo da poi ino primo figlio,
Vien Gunebaldo, il fero Borgognone,
Che del fangiie fraterno era vermiglio
Tre volle flato, e funne empia cagione
Perfìdia, e crudeltade, e rio roufigiio
Di torre a qnei le debile corone;
E menar tutti quei, che'nlomo stanno
Di Sona all' onde, che si dolce vanno.
rLxnii
D'altri popoli appretto, e d' altra parte,
Della Borra Signor venia Vcrrallo,
Menando quei, ch'ai mezzo giorno parte
Dai Galli il Pireneo, dov' è più allo;
E del Canlabro Creano Tonde iparte
Ai Colli Bisrain dan fero asfalto,
Con quei d'Auftria, a cut tra’ sa*st e Tacque
L’opera paskiral piu d’altra piacque.
ctxix
Quei dell* aspra Galizia han Ferrandone
11 Pover, ch'ebbe io rnan tutto il paese,
Che da'Havanei monti t' interpone.
Fin dove il fiume Linìa il corso stese.
Ove ìl gran Promontorio al mar s' oppone,
Che dal fin della terra il nome prese ;
Gli altri, che d' indi van sopra il Duero,
Mena Calarlo il picciolo, ma fero ;
CLXX
Con quei, che bevon di Pitarga 1 onde,
Aiturga, e Borgo, e di Palenza appresso,
E di Nazera ancor, che si natcunde
De'monti alTombra,ondVl Navarro oppresso.
Quei lungo il mare infin là, dove ahbonde
Il Tago d'oro nell' arene impresto
Con tutto T altro, ove Mundaga corre.
Diede Lisbona in guardia ad EscUl»orre«
CLXZi
Quei, ch'abbraccia il Duero e Guadiana,
Pio rontr’ ali' Orse alquanto, e T oriente,
Ove ha Toleto, la città sovraoa,
Che di multe giornate il mar non scale,
Safaro conducea, pcr»ona estrana,
D'altronde iisrilo. che d libera geute;
Ma perch' era frale! di Palamede,
Avevan somma iu lui speranza c fede.
ri.xxi|
Quei, che fon poscia in mi famovi Beli
Onde il nome ebbe la provincia prima,
Infin là, dove loro il passo vieti,
Serra Morena con l’altera cima,
Ov'è Ira i rolli erbosi, e i campi lieti
Cordova, rhe più d'altra ivi si stima,
E ]’ Ispaiì, eh* adorna T Oceano,
Ueran|iò della porta han capitano.
rt.xtm
Poi qnei pin vrr«o il Frelo, e 1 mezzo giorno,
Che si reggion vlrtn T antica Oadr,
Ove cìnte da' monti d’ ogn’ intorno
Può Granata veder Ir sur contrade;
Cosi T altro parse assai più adorno
Di fior, che riero di felici biade,
Di Mitiga, di Marzia e Cartagena,
Il forte Morastallo in guerra mena.
CUtXiT
Valenza, che nel seo della montagna
Giare Idubeda, ed ha dall' occidente
Il Godamoro, che ’l terrea le bagna,
Come fa il Sema quel dell’ oriente ;
E con le rive al Ilio s' areompagua.
Ch'ali' onda Balearida conseute.
j Degli abìLater suoi diè in mano il freno
; per questa guerra al perfido Dmscheno.
CZKXT
Quei, che dell' acque del reale Ibem
' Bevon nel primo fonte d' oud' egli esce,
C.on qnei, rh' al mezzo rorsn. ove piu altero
Con la Singa, e col Sicorì s’ accresce,
Infin ch’ai mar privato del suo impero.
Presso a Tortosa il doppio corno mesce ;
Han per dorè il re Loto, e gli altri poi,
C.h* bau più verso Pirene i campì anoi.
I (XXXTl
Dico l’antica e chiara Taragona
Con quanto abbraccia il periglioso lido.
Ove Tornata e vaga Barzalnna
Ha il suo rìpien d' odor leggiadro nido,
' lofio là, dove ancor la fama suona
Del tempio di Ciprigna, alior più fido
I Forse, ch’oggi ai norchirri ; e capitano
I Han chiamato Bodcrco, il crudo Alano.
I CLKXVII
Uba vien poi, del gran Teodorico,
Degli Ostrogoti il re. rhe in Roma allora
' Teneva il seggio, sommo duce antico;
£ di Geppidi slnol menava ancora;
Nè’l menava quel re con eore amiro,
Per trar Ctodasso dì miseria fnora.
Quanto, perch' al re Franco Clodoveo,
Benché cognato suo, grand' osiso aveo,
cixxvm
Appreuo il re desti Ertili Odoams,
C.h' a Ravenna infelice Ìl giogo pose.
Menava il popol suo superbo ed arro
Contr' alT umane e le celesti rose;
Che più d'nn nome, e più iT un tempio sacro
Itìstrusse e spense già, non porr ascose:
L' ultima fu r.hidino, il Marte detto,
De' figliuoi di Clodasso il piu perfetto.
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L AVARO H IDE
CIJI9ÌX
I e vAMatli >ero Ave»,
Che piu riri e feilrli erano al padre,
Pui rlie 'i Tecclii» Clixlaitu non potrà
Seguir, come già feu, 1' armate »qttadr«;
E perché molta io Ini «peme tenea,
E vedute n'aveva opre leggiadre,
Uopo il buon Segiiran fc' lui primiero,
Sovra 'I tommo de' cnoi famoso impero.
ARGOMENTO
Jl er tiesto di Gut‘eno e dì Clodino
/ duo re liticanti in etti boa potto
Opoi lor dijfvrema; e nel divino
Ciudiiio in pria lor niuri hanno riposto:
La ballasl\a ha dipoi fatai dettino,
Chè un dardo vibra il reo /truichrn,na%eosto.
Dal qual resta 6'ai*rn di sangiie tinto.
Quando (.lodino a luì davoti vinto.
P oi rh* ha totle d* intorno ogn* alto dure
Le sae genti onlinate a schiera a schiera;
Il vecriiio re dcirOrcadi, in cui luce
I)eir arte inarzial la norma vrra^
Cumandato dal re, lutti conduce,
Ove lassa a man dritta la riviera
Del pirriul Euro io loco aperto e piano,
Dalle piagge c da’ fossi assai luntauo.
ti
Ivi in dne parti eguai tntto divìde
Il numero inruiito de’ guerrieri ;
Questi a sinistra, e qncili a drstra asside,
Astccoando tra lur larghi sentieri;
Si che ben |H>ssa, chi gl) regga e guide,
Menar per entro insegne e cavalieri)
Le genti delia fronte spesse e strette,
L' altre, che seguon poi, più rare mette.
in
Tra qnei dinanzi poti le piò lunghe aste,
Nelle spaile, e oe' fianchi ancor ristesse;
Ogni scodo nel mezzo, a fin che baste
De* primi a sostener le forze oppresse ;
!)' arcieri e frombator le sebicre vaste,
Sciolte da tulli gli altri ba intorno messe;
Poscia di cavalier distese 1’ ali
In eisucun corno, 1' nne all’ altre egnali.
IV
Fu del sinistro duce il buon Tristano,
Oaven dell'altro, e così vuole Arturo;
Gli arrìer, eh' erano a piede a drstra mano,
Guidò quel ginrao il buon re Pelinuro;
Lionello, il nipote del re Bano,
Menò i compagni, che dall' altra furo;
Drila drstra i cavai menò Boorle,
Maligaute dell' altra, il saggio e 'I forte.
V
Ne men di qacsii fuor d' Avareo venne
Il fero Segnrano a guerra armalo; i
Ma divìsi in Ire parli i suoi manteone,
E ron nrdin men saldo in ogni lato.
Sopra i pvirni a venir I* impero trone
Faiameiie, il possente nominalo ;
Degli altri Segoran a terza parte
Cuutlureva Cioslia, chiamalo il Marte.
V)
Palamorn il valente in gnardia arra
Di lutti ) ravalier le larghe torme:
Verrallo della Kncra rnodurea
De' pedestri Irggier le varie forme ;
Or r nno e 1' altro rampo sì vedea
Con ritenuto passo segnar I' orme,
Apportansk» eiascuno a poro a poco.
Al ano speranza, e tema all* altro loro,
ni
Di liarbaresrhe voci, e strao romorr,
Ernpion l'aria, venendo quei d' Avarco;
Come i gru peregrini, die 1* algore
Temon del verno di tempeste carco,
Allur eh' a ritrovar seggio migliore.
Fan sopra il mare il periglioso varco,
Cile delle lunghe file al gridar foco,
Hisuona iatorno ogni propinquo loco. •
vili
Il contrario parca di quei d'ArInro,
Che tacendo venian nel core inteso.
In qnal guisa il ferir sia più siriiro,
E posta r avversario esser piò offeso;
Quale ì saggi villan, che '1 campo impuro,
Ch* aggia di folte spine orrido peso,
Vuglian purgar, rhe disegnando vanue
Di schivarse all' oprar puntare e «bona. ■
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L AVARCHIDE
5o
»tn
Narra al <bo Sefrurano c PalanrtU
Cloiliao il lutlo« e ior ao^gia|CDe poi:
S’ aTeslCf alti si|nior, talvolta fede
Io qoel poco valore clic f;iace io ooi;
O *c sperate mai qualche mercede
Render al sommo amor, ch'io porlo a voi}
Fate, che *1 padre mìo vo|;lia d' Avarco
Sopra gli omeri miei por oggi il carco.
XXX
Con tutte r altre ville, c quel paese,
di' egli ha mai guadagnalo sopra voi,
E ntornarsen poscia ad ali stese,
Olirà il Britanno mar, con tutti t suoi ;
Ma se '] Cielo a Gaveo sarà cortese,
£ le sue stelle irate contro a noi.
Che gli darete Avarco, e quanto in mano
Biteuete de' Franchi, c del re Sano.
XXIV
E 1 (ara veramente, se v* aggrada
Di dimostrargli ben, quanto Gaveno
Sìa più uobii, che forte, c la sua spada
Quanto ila della mia pregiata meno (
E che per tal sicura e breve strada
Potrà iu pace riporre il suo terreno.
Senza mettere io riscliiu oggi altramente
Cosi bella, onorata e chiara gente.
XXXI
Ma ciò male esser può, che quella parte,
Ch'aggia il dritto e '1 valor per guida e duce.
Come avem noi, può cammiuar scoi 'arte,
Ch' ai desiato corso si couduce :
Or tulli i vostri io pubblico e 'o disparte,
Quasi allumali dalla eterna luce,
Son di stessa senlenia, else vi patria
Venir là tosto, e '1 tutto ivi si faccia.
XXV
De* due chiari guerrier quantDoqoe foise
Lor la nuova richiesta acerba e dura.
Queir alto sapplicar gli aniini mosse,
£ di lui contentar prcndon la cura;
E Dioadan, che '1 primo ivi trovosse,
Manda» volando nelle regie mura.
Che ciò narre a Clodasso, e 1 preghi appresso.
Che per meglio ordinar venga egli stesso.
XXXIl
L* antico re di meraviglia pieno
Si fece, udendo il subito consiglio ;
Poi con core e con volto assai sereno
Diue: Quando a Dio piace, che '1 mio figlio
Purga le spalle solo, e spanda il seno
Al comuo ]>eso, al pubblico periglio.
Non andrò contro a luì, die ’ndarno adopra,
Chi a' oppone al voler, che vico di sopra.
XXVI
Ritrova il vecchio re, che io allo autso.
Con quei, che per età non vestoa maglia,
E con le donne intorno, a mirar fiso
Stava qocI che scgiiia della battaglia.
Col eor tremante e 1* animo diviso
D* ogni dolcexza, e come piuma, o paglia
Dei venti preda, al lempeitusu giorno,
Or alta, or basaa si raggira intorno ;
XXXIII
Poi volto agli scodier, comanda loro.
Di tosto aver 1' usata sua letUca,
Di fuor lucente di Cuiasimo uro.
Cui gran fregio di gemme a torno intrica,
Dentro scolpiti dì sotUl lavoro,
Qnanti ha nel maggio Cor la terra aprica:
In essa dai medesmi si fa porre,
£ per compagno vuole il re Vagoirc,
XXVII
Così fanno i pensier, che tema c speoe
Nella canuta mente cangia e muove;
Ch'or per se la vittoria aperta tiene.
Come se *1 prometlesser Marte e Giove ;
Or si dipìnge aver novelle pene,
Siaiili a molle già provale altrove;
£ meaire questo c quello il sana e punge,
Dinadan vede, che correndo giunge.
XXXIV
Sno germauo ed amico, a cui t'elade,
Si come ancora a lui, la guerra vieta ;
D'alto consiglio, e pieo di verilade,
£ che rado smarrì la dritta meta :
Poi ratti van per te più corte strade,
Ove la gente sua dubbiosa e lieta
L* allendea, per veder quale il fin sia
Del desialo accurdO| ch^ era io via.
xxnu
Pccesi lutto pallido nel volto,
Ch’ ugni sangue, eh’ avea, ricorse al core ;
E se rallm lardava a parlar molto,
Quasi radea di subito timore ;
Ma lieto Diuadano, a Ini rivolto,
Disse: Ollimc novelle, allo signore.
Vi puri' io; che 'n voi sta, eh' un giorno solo
Purghe il vostro terreo d' ogn* aspro duolo.
XXXV
Dall' altra parte, più impedito Iruova
Gaveno, c più spinoso il suo senlicru:
Nè poote argomentar si ben, che muova
Arturo a cootenUre il suo pensiero.
Che dicea quanto è impresa dura c nuova
Il lutto espur, sotto r infido impero
Di fortuna, in un sul, che in un muiucisto
Sìa di mille e miU' anni il frutto spento.
XXIX
La gran lite, eh’ abbiam, riposta fia
Quando non spiaccia a voi, nella virtiide
Del buon vostro tìlodio, eh’ a guerra sia
Con unni, ch'ha di poter le fune uude;
Quest' è Gaveu, che la fortuna ria
Vuol, ch’a suo danno s'afTalicbe e sude;
£ se vinto sarà, promette Arturo,
Lassare Avarco libero c sicuro.
XXX vi
Par ripensando meco, ch'assai pare
Il valor sembra, ch'ha di voi ciascuuo ;
£ che più accorto, e di più senno appare
Gaveu dell'altro, e di furor digiuno:
£ che da sangue c morte conservare
Tanta c tal gente col periglio d'uno,
£' pur cosa degnitsinia e richiesta,
A chi d'alta corona urui la testa;
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AVARCHIDE
xnxni
Quando af^li altri patri, contento tono
Pi rìtncllcre in eni la lite nostra.
Sperando io Qnel che dal eeleite trono
Il verace cammino a'aervi mostra,
Che non vorrà lassare in aUbandnno
I) Itro di tatti noi nella man vostra:
Parli adno^ne Tristan, parli il re Lapo,
K quei, de cut consigli oggi a* appago.
axxsm
Allora il re dell' Orradi risponde:
Famoso Arturo, Ì1 più sovente Di»
Nel rur dei buon con la sua grazia infonde,
Di risi che può ginvargli, alto desio;
Del contrario volere opre, ch'abiKinde,
r.iecn dell' intelletto il erodo e 'I rio,
Quale è Clodaiso; e per dir vero il diro,
Non per biasmare a voi ehi v' è nemico.
Mosse il primiero il valoroso Arinro,
E io alta voce al cìcl rivolto, disse t
Padre il cui gran Figlinolo nnìco e puro.
Avvolto in nmao vel, fra noi già visse,
£ ritrasse nel riel dal centro oscuro,
f'.hi le divine membra al legno adisse ;
Te chiamo testìmon, per le prometto
Dal mio Iato aenrar quanto a' é detto*
XIV
Che se da *I tuo voler, eh* oegi Caveno
Sìa per man di Clodin, prigione o morto,
Ch'abbandonalo il Gallico terreno,
Ratto ricercherò 't Britanno porlo;
£ che tutto il mio campo terrò a freno
Si, che fatto non vegna oltraggio, o torto,
Mentre che '1 ino Clodioo a guerra Ca,
Ma ai, come on de' mici, sicuro sia*
Tal eh' oltra ogni disegno nostro umano,
Semln roccasion se stessa offerta,
Dovria creder ciascun, che non sia 'n vano.
Si breve strada a ai gran lite aperta,
E rhe'l pio Redentore, il suo rrisliano
PopuI, che '1 segue per la via piò certa,
£ eh* a ragion romballe, io guardia prenda.
Non quel, di' (>go’ahro,e la suainre oiTrnda.
E a* io fallassi Ìo ciò, la tua pìetade,
Che fu sempre infinita, cange filici
£ di onda giustizia apra le strade,
Facendo il mio poder negletto e vile ;
E sotto forza altrui le mìe contrade
Sten di barbare genti albergo umile;
£ così iu basso raggia ogni lor gloria.
Che uulla unqua di noi viva memoria.
Poi rivolgendo gli occhi a qnel che puote
Nel futuro veder colui eh' è saggio ;
Nessuna tema l’alma mi percuote.
Che mi mostre in Clodino esser vantaggio;
Come ancor pare a voi, ma d'egual dote
Fornito appare il nobile paraggiu;
Facriait adunque, e s' aggia larga speme.
Perché metzo è prigion colui die teme.
xit
Il medesmo affermò Tristan, dicendo :
Quantunque aggia più d’on che ciò poiria
Far, non men che Gavrn, pur non intendo
Diroe il contrario, che già detto sia ;
Poi svn colai, che vimilore attendo
Quel, elle pili di fortuna amiro fìa ;
Ma conir' a Srgiirano, o Palamede
Yorrci più forte man, più fermo piede.
Dall'altra parte un sacerdote all'ora,
Che lunghissima avea barba e capelli,
Detta sacrala gregge ha tratti fuura,
Senza difetto alcun, dnr vaghi agnelli:
L' un è semliiante alla più bianca aurora,
I.' altro ha più della notte oscuri ì velli ;
£ dure è più'] lerren di polve srarro.
Gli pose inuanrì al veediio re d' Avarco t
XI vili
Che recatasi in man la spada antica,
Che per memoria ancor non vuol lassare;
Ove più folto lor la testa intrica,
Risegò il pel, che fra le coma appare i
K *1 fere intorno della schiera amica
Ai cavalier più cari dijqsensare:
ludi, lenendo al eie! te luci fìsse,
In devoto sembiante così disse :
Disse il medesmn il saggio Malìganic,
Bonrte, e Liunello, cd altri molli:
Nel campo, allor che (erme avea le piante,
Già si vrggion cangiar pensieri e volli;
HiconforUuo i viti il rur tremante,
Pensando di periglio essere sciolti;
1 piu forti hanno invidia, sdegno e dnolo,
Che di tanti l' onor giaccia in nn solo.
Giove, che de* mortali e degli Dei
Padre, riascmia età verace appella ;
Né senza te gli effetti buoni o rei,
Può di lassù produrre alcuna stella t
£ tu lucente Siul, che ragion sei
Di cangiar le stagi oo di questa in quella;
£ vnì notturni Dei, signor di Lete,
Che i difetti fra noi punir solete :
Già gli araldi reali in ogni parte
Hanno a tutti silenzio im|iosto e pare;
Già Fono e 1* altro re viene io disparte,
£ di comune accordo a ciascun piare.
Che Gavenu e Clodin, chiamalo il Marte,
Debban fra hsr donar certo e verace
Fine alla lor qneslioii, prima che *1 giorno
Faccia all’ occaso suo fosco ritorno.
Siate voi testlsnon, servale voi
Quel ch’io prcuiietten'», che per voi giuro,
t.lie s' uggì il mio Clodin, de* giorni suoi
Vedrà in man di Gaveiio Ìl fìne oscuro,
Ch* Avareo, e tolto quel, eh' è sotto a noi,
E già fu del re Ban, turili d’Arliiro;
E mentre il re d'Orcania in guerra Ca,
Dagli altri miei guerrirr sccuro sìa.
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53
L AVARCHIDE
K]
u
IVIII
E s*io pii iDmlirù, Tfdrr po«s' io
11 medeimo, rh'aU' nom, fanno al destriero
- Preti» qtie»U città d‘ enne c dì foco;
Cominciando dal piè fino alla fronte,
La pia roniorte, ì Gpli* ÌI popol mio
Se beo ferralo sia saldo c leggiero,
Servi de*lor nemici iu chtu*o loco;
Da non gravare al gir le voglie pronte ;
Ed io fra loro in lunpo ciìiiof e rioy
Se ’l fren dritto di lui tenga l' impero.
Mi contarne di dopila, a poro a poco ;
E non troppo s'abbasse, o troppo munte;
Nè arditra a voi driaAar lamenti o prrphi,
£ se ciò che ’l governa e che ’l sostiene,
E s* io '1 (accAai pur, neuuo si piepbi.
Armato sta di fuor, come conviene.
Lll
LIX
Detto rosi, nella sagrala cola
Se la testa è eoi petto d’arme ornala,
AH* una e T altro agurllo il ferro mise;
Quanto è ’l bisogno, e con ragione assisa t
]l saogne in alto distillando vola
Se la sella è beo posta, e ben serrala,
Per le vene maggior, eh' erano indie ;
Da non temer di seggio esser divìsa;
E mentre la fral anima »' invola
Se r una e 1’ altra staffa è ben locata,
Dalle tremanti membra lo terra afEse,
Tra ’l lungo e ’l corto, io assai forte guisa;
Con r anfora, che tiene, aurata e tersa,
E vau tutto guardando, come deve
Puro ed annoso tìq sovr' cui versa*
Chi ponga sopra aè fascio si greve.
un
LI
Onde alcun fu, eh’ a rimirare ioteio,
Poi dì scodo possente a tutte prove
Divoto il del pregava Ira '1 suo core;
11 petto al suo guerriero armò cia»cimo;
Cosi veggia io di sìmil piaghe ofleso
Gaveo d'uro v’avca 1' ucrcl di Giove,
Rivenar con lo spirto il sangue fuore.
In campo porporin, che volga al bruno:
Chi primo avrà, runlra il di ver, disteso
De' medesmi culor, eh' all' aura muove
11 sacrilego braccio, e pien d' errore,
La fronte annosa, c non conlenta d' uno
Per diiturbar la gnerra, che in nn solo
Secol dì vita il sempre verde pino,
La pace apporla a cosi grande stuolo.
Ombreggiava lo scudo di Clodino.
uv
LXI
Poi che tolto ha compito il re CloJasio,
Già presenta a Gaven la nobii asta
1 BriUoiiì gnardaudo, c’ i suoi d' Avarco,
11 magnanimo Arturo in tal parole:
Dice: All' albergo mio rivolgo il passo.
Bendi’ ad alma reai sena’ altro basta
Poiché d' ogni dover mi sono scarco.
La virtù sola, di' ella onora e cole,
Ch’io non potrei soffrir vedermi, ahi lasso.
Che si dee mantener candida e casta
Già di taute miserie, e d’ anni carco,
D* ogni difetto umau, <|Ual puro sole;
In Si mortale impresa e ’n tal periglio.
Pur dirò questo ancor, che vi suvvegna
Senaa soccorso altrui, si caro figlio*
D’ esser quale a tal opra si convegna ;
LV
LXM
E chiamalo Vagorre* fan portarse
E che in mille emill’anni la lorluna
Nell’ ombrosa letlica, che gli attende;
Non vi porria trovar cagìoo più chiara.
E quanto più poleo ratto, disparse
Del nome vostro alzar sopra la luna,
Da quel loco fatai, che 1 cur gli olleude:
£ d' ornare e giovar la patria cara;
Or già si vede in messo apprcseutarse.
E che per vostra mau, serena o bruna
Chi del campo ordinar la cura prende,
Fia la sorte di noi, dolce od amara t
Che fn il buon Ualigante e Palamede,
Non sia ingannata in voi la somma fede
E ciascuno il vantaggio al suo provvede.
D' uocD, che di lauto onor vi face crede.
tvt
LXIII
Fanno io prima purgar di sterpo e sasso,
Gite con fermo core alla batta;.lia,
£ per tutto adeguar, l'eletto loco;
Nè lo abbasse timor, né l’ alzi spenc ;
Poi misurao lo spailo a passo a passo.
£ dopo il primo incontro, se vi assaglia
Dividendo il eoofio tra ’l molto c 1 poro,
Con furioso passo a vele piene.
Che non troppo al principio, o nel fin lasso
Sostenetevi alquanto, e non vi caglia
L’ ioconlro sìa, poi che già spento è '1 fuco,
Del vano onor, che dai men saggi viene,
Che più riscalde il corsj, ma io quel punto,
Ma come stanco sia, pronto e leggiero
Ch* al suo so suino vigor ciascuno è giunto*
Vi dimostrate allora, e prode e fero.
LVll
LXIV
Van r arme visitando in ogni lato,
Hovete adunque, che ’l favor divino
Se raddoppiata viene, ove s' allaccia ;
Non v’ ablsauduiierà, per quel eh' iu spero.
Se l'elmo è fermo assai, s'egli è fidato.
Cosi diceva, e già nel suo vicino
Se crolla in testa, o se la vista impaccia.
Popolo esercitava il sommo impero
Se la maglia è ben forte, e tien guardalo.
Tristano e Seguran, si che '1 confino
Ove piastra non sia sotto le braccia;
Disegnato a guerrier, rimanga intero :
Prcndon la spada appresso, e guardaq, come
Tenendo ogo’ nomo a freu che innanzi gisse,
Trovio sicure iu lei le guardie e ’l pome.
Per cagione schivar di nuove risse.
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l’ avarchide
Fan che rla»eana parte * terra steaila
Lo >rodo, o l’atta, per piu amico tegoo:
Nè fra tatti è più alean, che ad altro intenda,
Ch'a veder, rai di lor dimore il ref^no :
Questi di speme par, che l’alma incenda,
Quei mostra di timor non dnhbio se^o ;
E Ira lor ra|;iooando io diversi atti.
Chi condanna, c chi loda in gioali patti.
uvi
Poi che fo il campo voto d' ogn* intorno,
Questo e quel cavaliero in meziu appare,
Di sembianti colori e d'arme adorno.
Come d* ambo il valor ti mostra pare :
I possenti corsier, raspando intorno,
E rimordendo il fren, non pon restare ;
E i pennuti cimier, che in alto stanno,
HJoaccìatido al nemico o morte o danno.
txvit
Tosto che 'I marziale alto romore
Delle sonore trombe il segno diede;
L* ono e r altro gurrrier con più furore.
Che 1 folgore dal del, che t mouti liede,
Va per mostrare il primo suo valore,
Che nell' incontro della landa siede.
Che fu colai, che io mille peui andaro
I tronchi al cielo, e tardi riturnaro.
* LXVIII
Fu il colpo di dascnn sì acerbo e crudo.
Che i dne cavalli in piè restano a pena;
Gavcn rompe a Clodin l' aurato scudo.
Con assai gran periglio, c molta pena,
Che '1 saldo ferro, che '1 trovava ignudo,
CJiiara vittoria, e d' ogni gloda piena
Gli polea dar, t'on punto solo allora
Fosse integra rimase l' asta ancora.
I.ZIX
Ma Clodin fere a lui la spalla destra,
Ove eoi brartiii in alto era congiunta,
K gli facea nell' arme alla finestra.
Se ben dritta venia l'arnia punta;
Ma la fortuna, al suo voler sinestra.
La Ione in fuor, come fu al mezzo giunta;
Ma il ferro ruppe, che (enea coperto,
Ov’ il braccia! più in alto viene inserto.
1 xs
E per alquanto spazio, quella mano,
Con la medesma parte, ebbe impedita;
Ma r onor, eh' ogni infermo rende sano.
Alla battaglia seguitar l'invitai
Trae fuor la spada, e non la trasse in vano.
Che quella di Clodin vede apparila
Già eontr' a lui, che sopra l' elmo il fere,
E r ornato cimier gli fa cadere.
t-XSI
E fu 'I colpo colai, che con la testa
Al collo del drslrier tulio piegosse ;
L'altro, che 'I vede a tale, ivi non resta.
Ma raddoppia a gran forza le percosse.
Spesse assai più, che grandine moleste V
Al buon villan, che le sue spiclie ha scosse;
Ma vinto dal fnror sovente falla,
£ gli dà sa lo scudo, o su la spalla.
Ma riprese le forze il buon Careno
Con quanto ha più poter, vèr lui s'avventa :
Drizzasi al loco, ove lo sondo ha meno,
£ in ogni modo d’ impiagarlo lenta;
£ d'una punta al fine il trova a pieno,
Ove più l’alma area, die gisse, intenta;
E se quel doppio acciaro era znen forte,
Clodin poco lontana avea La morte.
LXXIIt
Por no '1 difese tanto, che la spada
Tra le sinistre coste, che nel petto
Son poste io allo, non facesse strada.
Ha di piceioi perìglio e gran sospetto:
Perehè Clodia pensando, ch'ella vada
Più oltre assai di quel che fu T effetto.
Non vuol perder più tempo, e pon da parte
La ragion del ferir, lo schermo e 1' arte.
LXJUT
E qnat fero leoo, dal cacciatore.
Che ferito si senta, olirà si getta,
Non men, che della vita, o d’altro onore,
Pien di caldo desio d'alta vendetta;
£ senza accorgimento, a gran furore,
La spada ad ambe man lenendo stretta,
Di tre colpi il ferì, ma tutti in vano,
E troncata alla fin gli usci ds mano.
LXXT
Nè per questo resisi, ma eoo le braena,
Quanto più forte puù. nel mezzo il ferra ;
E crollando e sentendosi procaccia
Dal possente corsier cacciarlo a terra:
Noo sa Gaven ciò che in quel punto farcia.
Che con la spada far non gli puù guerra,
H ai oppres«ato e ciato si rilmova,
Ch arme, o senno adoprar poco gli giova.
LtXVI
L'aspra neeessiU pure il consiglia,
C.he debba usare anrirei l'islessa forza,
E nel modo mrdesmo a lui s’appiglia,
E di trarlo di sella assai si sforza :
L'uno e 1' altro di lor lassa la briglia,
Si che puuno i destrieri a poggia ed orza
Gir Come aggrada lor, ma sono intenti
Coi piè fcrirse, e coi tenaci denti.
LXXVTI
Pur cercando le groppe rìsroltarse,
Per ritentare alfin sorte novella,
Vriiuer di troppo spazio a lontanane
1 due buon cavalìrr, eh* erano in sella;
Nè volendo osliuati abbandonane,
Anzi con maggior possa io cjuesU e'n quella
Parte, mentre ciascun sospinge e preme.
Ristretti più che mai caddero insieme.
LXXTItl
E for sì accorti allor, che nessun piede
Nelle staffe di lor sospeso resta;
Nè con altro roreor la piaxgia fiede
La querce antica, cui la scure infesta
Del pastor riperroote, infin che vede
Rovinar d' allo la frondosa testa,
Onde il bosco rimbomba, e n’ha spavento
Ogni vicino uccello ed ogni armento.
5 ;
L AVARCHIDE
Kl
r.xx(s
Che i <loe liuoa cxvalier premon la terra,
Senza vantaggio arrre in quello stato;
Se non cbe’l dentro brareìo apprava e serra
A «è sle«»0 Ctodio, che da quel lato
Stampò ia rena e l' altro a nojva guerra,
O fuue ii Kio sapere, o fosse il fatto,
Avrà la mi|lior man di sopra sciolta,
Che gli fa o«l cader ventura molla.
t-XtXTI
Or mentre che fra lor girando vanno,
E migliore stagioo ria<cnno a«pelta,
Drnschen, che s'assrdra con quei, che stanno
Fuor d'ogni «chìera, che sia larda e stretta}
Ma che sciolti e Icggter la guerra fanno
Sfd di fromba, di dardo, o di saetta;
Tra' quali ei fu il piò dotto e fu signore
presso a Valenza, al fiume Goldamore,
LXXZ
E perchè gU la spada area gettato,
Fin nel primo abbracciar, che l' impedia^
Va cercando, ore l'elmo era allacciato,
$' ci potesse trovar di aciorio via ;
E qnantunqne di guanto ri fosse armalo
Sì, che la man non molto l'obbedia.
Tanto va pur tentando a poro a poco,
Che mettea T avversario in dubbio loco.
i.vjrxvti
Non perchè di Clodin pietà il movesse,
0 lo scampare Ì inoi d’ aspra ventura;
Ha <r inviilia compunto infido elesse
Trar con l'arco Gaveno a morte oscura:
Cosi tacitamente 1' orme impresse
Per la gran calca, e quanto puole ha cura
Di gire a quei d* Arturo ai coperto.
Che '1 disegnalo colpo andasse certo.
r.xxxi
Ma Clodin qnantn può si scuote, e ennove
1 pie, e le braccia, e l' insidiata fronte;
E se mai l'ebbe al maggior uopo altrove,
Ivi tulle sue fune aveva pronte
Ma in lutto ciò di nulla mai rimuove
Oaven, ebe sì faria lo scoglio o '1 monte ;
Che gli slarria aliìn l'elmo, e con furore,
A mal grado di luì, glìcl trasse foore.
IXXXVIII
Tosto eh* è ginnlo al loco disegnato,
Che'l possa rimirar di dritta parte;
La faretra prendea, eh* ei porta a lato,
Fabbricata in un corno con moU* arte,
D' un capro alpestre, in tra i gran gioghi nato
Del Pìrenen, che l'Aragonia parte
Del terren Gallo, e'n cava pietra assiso
Con r (stessa sua man 1* aveva ucciso.
txxxti
Ha nel tirar, ch'ei fe' dal braccio sciolse
Onde il premea, Clodin, che ’l tempo vede,
E eoo leve destreiza indi si tolse,
E in un momento pur si trovò io piede;*
Poi eoo passo sollecito ricolie
La spada di Gaven, che ’n terra siede :
L' altro riiiirge anch' ci tristo e smarrito,
Che m«uo il sao sperar vedea fallito.
Lxxxrx
Or quella adunque, di grandezza pare
A quanto un nom le braccia stenderla ;
Da Conun fatta rirrameole ornare.
Come arnese più caro si potrìa,
Loca a' suoi piedi, e fassi innanzi stare
Gente, eh' a quei di là euopran la via
Di poter lui vedere, e basso in terra
L'un gtoocchio posando, la disserra:
LXXXIII
E tanto più, ebe la sua spada in mano
Sceme ilell' avversario, che l' attende;
Tosto il possente scudo, poiché in vano
Nella pedestre pugna al collo pende.
S'adatta in braccio, e stando a lui lontano
L’elmo già di Clodin con man riprende
Per le dorate fibbie, onde s'allaccia,
Perch' officio dì spada almen gli faccia.
ic
E *1 più saldo, pungeute, e duro strale
Tra molti, che vi son, traeva fuore,
Pennuto in basso di fioisshn' ale,
Onde più dritto è 1* ìmpeto e maggiore;
Tniova poi 1' arco, die non ave eguale,
Di fortezza infinita, e di valore.
Che fuor che Palamede c Segurano,
Ogni altro cavalicro il tende in vano.
LXXXIV
E s'invia verso Ini con largo passo.
Stimando nel suo cor vantaggio avere ;
Che tosto ha rotto il brando, o '1 braccio lasso
Chi sopr’clmo beo fino e scudo fere:
E spera anco nel sangue, che già iu basso
Pur tra 1’ arme talor vedea cadere ;
E non poca speraua anco gli presta
Sceraergli a' colpi suoi nuda la lesta.
xei
Questo con salda mano al mezzo prende,
Indi pon dello ilral la ferma cocca
Su la rigida corda, e quella stende,
Fin che cui ferro la sinistra tocca ;
Poi, con la destra, ch'ai deilr' occhio pende
Dopo aver ben mirato, a pieno scocca,
E con tanto furore il corso prese,
Cli* a mille il sibilar l' orecchie offese.
txtxv
elodia, che de) medesimo s* accorge,
E si sente le forse assai mancare,
Nè gran speranza alla vittoria porge
Il brando, che non sa dove adoprare,
Si beo coperto il suo nemico scorge
D'arme, eh* è tutta intera, e senza pare;
(tod'ci misura i colpi io tal maniera,
Che la spada, eh' egli ha, dimori intera.
XCM
Il minacrianle strai volando gio
Tra gente e gente, d'incontrar bramoso;
Giunge dritto a Gaveno, a cut ferio
La destra coscia, dove periglioso
Non pure c il luco, ma mortale c rio,
Tra mille nervi, e tn Ile vene ascoso:
Ma l'arme, e prima il cìci gli furo aita,
Ch'ei uoo perdesse subito la vita.
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L AVARCHIDE
Kl
sari
xcvu
Però che’l fino irrìaro aisai toitennr.
Cosi senza aspettar rieposta alcooa
die non andaise H colpo addentro multo;
Fa riportar Gaveno in miglior parte;
Fere il voler divin, rhe '1 ferro tenne
Ove d'intorno a lui ratto s’aduna
Senlier pjtsaodo d‘ofrni danno iciuUo.
Serbino c Pcllìran con la lor arte:
Tolto lEfii il tanp;oe tutto l'arme venne,
Taurino ancor, che'l corso delta lana,
E di tal duglia in un numientu avvolto
Con r altre stelle in cielo accolte e sparte.
Fu il mitrro Gaveno, e tanto arerba.
Ottimamente osserva, ivi sì truova ;
Che QOQ reggendo Ì1 piè cadde »u l' erba*
£ di quanto può in sè, ciaKun gli giova*
SCIV
xcvui
Restò meraviglioso e sbigottito
Serbin con dolce forza la saetta
Clodin, clie’l ino nemico a questo vede:
Tutta intera col ferro ba tratta fuore ;
Poi beo tosto $ accorge, che fallito
Guardala, e dì velcu la truova netta.
Avea'l suo campo la prouirssa fede;
Di che prima dubbioso aveva U core ;
Getta la spada in terra, e ratio è gito
Poi la coscia disarma, e spoglia in fretta,
L4 dove r altro lamentando siede;
Per veder beo la piaga, ove dimore ;
E come quel eh' ha pur reale il core,
Premela intorno, e poi col ferro tenta.
Auai seco si dnol del suo dolore,
£ di trovarne il foudo a' argomenta.
xcv
xax
Dicendo: lo mi vi rendo prigioniero.
Certo, che nessun nervo offeso avìa,
die facciate di me quel eh' a voi piace.
Nè infino all' osso il colpo è penetrato,
Infin che sì ritmovì il certo e'I vero
Disse lieto a Gaveo : Di morte ria
Deir alto crudelissimo e fallace;
Non solo oggi assicuro il vostro stato;
£ s' io poi, come giudice e severo.
Ma pria che ’I sole a mezzo giorno sia.
Non fo quanto a giustiaia si conface;
Sarete in guisa san, che vendicato
A voi mi voto etcrnamenie servo.
Di vostra stessa mano esser potrete
Con meno onor clic fuggitivo cervo.
Deir oltraggio ioumao, che sostenete.
xcvi
c
Ancor volea seguir, se'l grande Artoro
E mentre ancor dicea, già Pellicano
Non venia ratto, e di dolor ripieno
I preziosi unguenti ivi gli apporta ;
Non dicea fero, e con sembiante oscuro :
Stendegli intorno con salubre mano,
Gitene pur con la vittoria in seno,
£ la ferita acerba rìcouforla.
Da scellerato cavalier impuro,
Taurino, al cici mirando umile c piano,
Culmo d'invidia, d'mliu e dì veleno,
Con sacri detti ogni dolor ne porta;
Di fede avverso, e dì bontà nemico,
Indi io erboso, chiuso, e fresco loro
Dì tradimenti, • d' ogni vUio amico.
11 lasciar dalla turba lunge un poco.
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L AVARCHIDE
CANTO IV
ARGOMENTO
otta in fede $i dispone Arluro
F.ntmr co'tuoi puerrier nrìla battaglia}
Fa pur Clodasto al periplioso e duro
Ballo dì Marte, e fa veder che vaglia,
Palamede, con mano e cor securo.
Semina ìt campo di nemica maglia g
Tristano accorre, e fa strage altrettante.
Con Palamede a fronte è Oossemante.
I »
n qii«sto (rmfH) (tiJi d* Arareo 1' o*te
Tolte r arme la»iate area Hpreae,
E nell'crdìn medesmo eran ripocle
Le genti apparecchiate a onore offese;
Gii l’ insegne, che far per terra poste,
Hanno al cirl minaccianti l'ali stese;
Già le trombe sonore in ogni parte
Sreglian d' alto romor Bellona e Marte.
n
Perchè tosto Tristano e Naiiganle,
Boorle e Lionello, e gli altri insieme
Dicon, eh* è tempo ornai di gire arante
Verso M nemico, che riein gli preme ;
Ma il magnanimo Arturo, che le sante
Di lassa leggi, c gli spergiari teme,
Più che l'arme mortali, ordine diede,
Gh' affrenasse ciascun la mano e *1 piede.
Ili
Poi riguardando al nel, dicea t Signore,
Che redi aperto il tutto, e 1 tutto sai,
Rirolgi sovra il popol peccatore
L'aspra giustizia, e i meritati guai;
E ’u quei, che sentì d' ugni colpa fuore,
Drìzaa di toa pietà gli ardenti rai ;
La ragion pia col tuo poter difendi,
£ sciolto me d’ogni promessa rendi,
ir
Cosi detto, fe' alzar la bianca insegna,
E chiamar d'ogni loco alla battaglia;
H già sopra il desirìer lido s' ingegna
Di mostrar nel lembiaote, che gli caglia
Foco de’ suoi nemici, e che si legna
Tal la rittoria in man, che non I' assagUa
Alcun nuovo timore; e ‘n rotai dire
Ai miglior ragionando appurla ardire.
Valorosi mici duci e caralieri.
Andiamo al sommo onor con lieto petto.
Che ne promette Dio degli empi e feri
Nustri avversari in questo giorno eletto;
Perchè il mondo conosca, e ìn esso speri,
f^he' non lasse impunito alcon difetto,
Ma le cose mortali intenda c cori,
E più deir altre tutte gli spergiuri.
VI
E ri sorregna poi, che quelli stessi
Suo, che già tante rolte avem provati,
£ tante rolte rotti, e 'a fuga messi,
Che son tinte di lor le piagale e i prati ;
Or tra sì gran trionfi, e cosi spessi,
Che sempre con onor laran lodali.
Quest' ultimo rerrà si degno e tale,
Che la gloria di quei farà immortale.
ni
Poi quindi trapassando, ove srorgea
Tra' piu bassi guerrieri alcun, eh' al rollo
Si mostrasse temere, allo dicea:
Enlriam, cari figliuoì, nel popol follo,
Con sicuro pensar, che morte rea
L' aggia all'estremo di per noi raccolto;
Ma non convien lardar, che la Fortuna
Conira i pigri alla fin la fronte imbruna.
riti
Nè dona il elei favore a quei die stanno
Lenti a veder ciò che n' apporti 1* ora ;
Ma solamente a quei eh* ardili ranno
Con la man pronta, ore se stessa onora:
Chi desia di schivar futuro danno,
Al presente perìglio s'armi allora;
Moviamo il passo, e con sicura speme,
Che non taglia il colte! dell' nom, che teme.
IX
Seguitando oltra ancora, al loco arriva,
Ove de' furti Néuslri avea la schiera
Blomlierìsu, ed a quella ìanauii giva,
Quasi feroce cane in vista altera:
Tra gli estremi Blanor dietro segniva,
Come pailor, che la sua gregge intera
Va mantenendo, e punge io opra, o'n detto,
Chi non servasse a pico 1' ordìn perfetto.
X
Contento nel ino cor, gioioso disse
(Dolcemente chismandolo) il re Arturo:
Chi non fa il gran saver dì Blomberisie,
Della chiara vittoria andar sicuro,
Tulle l’erranti faci, e l' altre fisse
Serrando in voi, più ch'adamante duro,
Quanto alberga lassù valore? ood' io
Sprezzo eoo voi fortuna e'I «leslio rio.
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XI
Ed egli » Ini: Nel baon roler eh* io porlo,
Qiuoto in ro>a mortai fra noi ti po«»a.
Non è ’l vuilro «perar, sifiiure, a torto,
Se rÌ!>poDde»*e a quel la breve posta;
Sì ri promett'io ben, che prima morto
Sarò p«)>lo aolterra in poca fuua.
Che stanco di «ervirvi, c d'e«ser tale.
Ch’alia vostra credenza io ven|a eguale.
xit
Rendenti grazie con sembiante umano,
E 'o parlar dolce, e di sue lodi adorno;
Poi si volge il buon re, dove Tristano
Acconcia a guerra il suo liuistro corno,
E più d'un cJiiaro duce e capitano,
E più d'uQ cavalier letica d'iiitorou;
Poi di guerrier pedestri si vedea
La grande sclùcra, eh' alle spalle avea ;
ziti
Che folta nebbia sembra, ebe dal mare
Di zefiro il soffiar sospìnga a (erra,
Che d' atra pece oscuro fumo pare,
Che rabbiosa tempesta in grembo serra ;
Ond'ìl rozzo paslor tremante andare
Cercando scampo alla vicina guerra
Si vede, e rimenar le gregge seco,
Quanto può rattss, al più tìcùio speco.
ZIT
Disse alior lieto il re : Germe onorato
Del più famoso tronco, che mai fosse :
Dico di quel, eh* a pien già mai lodalo
Esser non può, del buon Meliadusse,
Tanto v’ha spinto in alto Ì1 vostro fato,
Con le natie virtù, che 'n voi produsse,
Ch'uopo non sono a voi conforti o preghi,
Perdi' a nobili imprese il cor si pieghi.
XV
Così piacesse a Dìo, ch’animo tale
In qualch’ altro di noi spirasse ancora,
Ch’assai più basse di speranza Tale
Avrta Cludasso, e chi con lui dimora ;
Ha con voi tutto solo, c nullo eguale.
Pria che dell' Ocean sia 1’ umbra fuura,
Aspetto io di veder condotto a porto
11 viaggio, ioflu qui dal Cielo scorto.
XVI
Olirà passando poi, vicin rìtruova
Il vecchio re dcll Urcadl tra* suoi,
Che r ordiue intermesso ivi rinnuova,
Cuo cerchio intorno di famosi croi ;
Eretto il figlio, a cui d' insegnar giova
Ciocché in guerra conviensì, e seco poi
Palridu al cerchio d' oro, il brun Matauzo,
Pieouro, Ualagraulc, c 1 pio Driauzu.
XVII
Posta ch'ha de' cavai la torma ìonarui,
Comanda: gite ognor ristretti insieme;
Nè |ier suo troppo ardire alcun s' avanzi
D* un passo pur, se '1 mìu corruccio teme.
Nè dall* orma primiera, uv' era dianzi.
Mai torni Ìl piè, se beo la forza il preme;
Che lo spavento, e '1 rifnggìr d'uo solo,
Pece perder sovealc il grande stuolo.
zvm
I pedestri guerrier pose alle spalle
De* cavalieri, e fece che i migliori
Fosser nel ^mo, e nell' estremo calle,
Nel mezzo i nuovi, e men feroci cori;
Quasi fra due gran monti un* uinil valle,
Ch'a viva forza par, ch'ivi dimori;
Poi di saggi ricordi empirà le menti
L* antico duce all' ordinale genti.
XIX
Stalo alquanto a mirar riavillo Arturo,
Io lai parole ìl buon volere aprta :
Posse oggi ìl corpo alle fatiche duro.
Come rinvino cur pronto saria.
Padre onorato mio, rh' io son sicuro,
Che tulio il mondo ancor vi lemeria;
Fosse in altrui la debile vecchiezza,
E 'a voi la già borila giovinezza.
XX
Gli rispose il re Lago: Or fors' io tale,
Qnal era, alior ch'appresso a Ualualto,
La bella donna, rhe non ebbe eguale,
Difesi solo al periglioso assalto
Di cento ravalier, che del mortale
Velo spogliali, ai gran Fattore in allo
Quaranta ne mandai, venti resUro
Feriti iu terra, e gli altri si saivaro.
XXI
Ma noi concede Dio, che Intto insieme
Non vuol donare ad uno ; alior mi diede
Gioventù senza senno, ed or mi preme
Vecchiezza tal, ma che più lunge vede;
Ond* io tengo, alio re, nell' alma speme.
Poi che forza non ha la man, nè I piede,
Che '1 nostro consigliar fia di tal peso,
Che di molti il poter ne resti offeso.
xxu
Passa olirà Arturo, e vede assai lontano
Maligante co' suoi di Vetta intorno,
È seco Bandeganio il suo germano,
Con quei della Russia, presso a Liiidoroo,
Cir atlcndean la risposta da Tristano,
Se dovean rimenar sotto al suo conio
Le genti, come prima, e ancor uou era
Lor tornata di ciò novella vera.
xxtii
Allora irato il re, dice : O signori,
Tanto famosi nella vostra Gorre,
E' questo il modo a guadagnar gli onori,
Che vi fanuo a mìll' altri innanzi porre f
Ch' or vi restiate ascosi tra i peggiori.
Quando ogui vii guerriero innanzi corre?
£ voi dovreste pur, s'io dritto estimi,
Esser con l'arme iu mauo ornai fra' primi.
xsiv
Tutto sdegnoso Maligante allora,
Rispose: £ come ìl c»r vi può soffrire,
In cui tal senno e cortesia dimora,
A tali a torto, e taJe oltraggio dire?
Guardale poi, quando venula l'ora
Fìa dal pubblico Kgno dì ferire;
K se innanzi alle nostre orma si segna,
Vengane pena io noi del (allo degna.
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L A V ARCHIDE
Q««ndo vide il fcran re rmi tnrhato
Qael, che Unto oaurù, rìdendo dÌMc:
Prendete in piveo et», figlio onorato
Del miglior cavalier, che già mai viiMf
E vi aovvegoa beo, che in ogni »Ulo
Ho solo in voi le mie «peranxe 6f«e;
Seguile pure, e '1 riel rivolga io gioia
(^«eaU breve Ira noi paaaala noia.
XXXII
Che qoei d’atio valor, come voi dite,
Perder Gave, Bcnicco, e i regni loro ;
In esiglin menar le regie vile,
E nell' alimi terrea sepolti forni
Ma noi ron queste spade assai gradile
Avem di palma e trionfale alloro
Le lur crneri ornate, e molte terre
Bacquistale di lor con molte guerre*
XXVI
Coti oltre pano, dove Boorte
I cavalli ordinando intorno giva.
Serio aveva Bavenn, e'I aaggio e Itirle
Nctlore il *uo fratei, che lui «egnìva,
Ch* a belgici ^uerrier fareano acorte,
Non lunge air Baro an la destra rtvat
I qnai parendo al re atarai in riposo,
Comincia alto a chiamar tutto adegnoao r
xxxni
Ma il piu Bonrte riprendea Bareno,
Dicendo: Or non più no, ch*a noi non lice
Di contender col re, ma tntlo a pieno
Ascoltando, obbedir ciò eh’ esso dice.
Che suo sarà Tooor, se '1 Ciel sereno
Gli darà della gticrra il fin felice
C se *1 contrario fia, sna la vergogna:
Però beo provveder per tutto agogna.
xxvit
Che lardate voi qui? perché non sete
Con gli altri ornai tra le primiere squadre ?
Boorte, r dico a voi, che ritenete
Il nume sol dell'onorato padre.
Clic di nuli' altro al mondo ebbe mai sete,
Che d' esser primo all' opere leggiadre.
Pronto, accorto svegliato, e sema lemi|
Di valor colmo, e di vìrlude estrema.
XXXIV
Cosi dello, il deslrier pìn innanzi sprona
E con cura maggior comanda intorno.
Questo chiama c lusinga, c quello ininona
Con alte voci, e gli minaccia scorno ;
Or percuote il cavatilo, or la pcrsuiia
Di qnet, che fanno all' obbedir soggiorno;
Tal che diede in un pnnlo alla gran torma
Di tulli ì eavalicr dovuta forma.
XXVtM
Noi vidi io già, ma tal per me s* udio
Il mio re Pandragon di lui narrare,
Quando egli uccise Habilaale il rio,
Che volea la Bretagna soggiogare;
Che presto a Cimelulto l' assalto.
Scodo latto soletto in riva al mare,
PI quegli avea cinquanta cavalieri.
De' miglior dì Sassooia, e de’ piu feri ;
XXXV
Or, come suo! NcUtino, eh’ al soffiare
Di zefiro, sospinto il lilo inonde.
Che prima di lonlan si sceme il mare
Montare al ciel con le sue lorbìd* onde \
Poi, come in bassa valle, ritornare.
Drizzando ìl passo alle viciiie sponde;
Ove in alto muggir, di spuma carco,
Gli scogli iogoiubra, e I* artooso varco ;
XXIX
E*n fra gli altri Sarondo e Fitidasso,
E di lutti sol un dimorò in vita,
Che fa Mogarto, a cni Boorte, lasso
D* nccider tanti, gli douò spedila
La strada, e comandò, eh’ a ratio passo
Andaste agli altri a dir, come seguita
Fosse fra lor quella battaglia fera,
Di cui sol letlinioa rimato n' era.
XXX VI
Cosi parcano allur le schiere folle,
Che separale pria son poste insieme,
Le quei con lento gir si son rivolle
Verso il nemico suo, che già le preme :
Poi che fnr più vicine in iiu raccolte
Coa r arme e con 1* ardir le forze estreme.
Con piu avvisalo cor, con menti nuove
Sì coufortan fra loro all* alte prove.
XXX
Tal fa il vecchio Boorte re di Gave,
A cui par, che 1 figlierai simìglie poco:
Fe'd* Arturo Ìl parlar noioso e grave
Al giovìn onorato il cor di foco ;
Ma eugto scudo a Laocilotto, pavé
Di non far, come quegli, e '1 prende in gioco:
Ma il famoso Bavroo, al re rivolto,
Cosi dieta, con acrossìtu volto :
xxxvie
Vrggonsi i duri avanti, e d’essi soli
S' udian le voci esercitar T impero :
CU altri guerrìer, qnai semplici figliuoli,
A cui muttrinn i padri il buon scotien.*,
Taciti van ; nell' un dei fermi poli
Guarda la nolle il provvido oucchiero
t^ou sì gran cura, come questi fanno
Chi può loro apportar vittoria o daouo.
xxxt
Noo ne rìlico, signore, in questa parte,
Il voler ucghilloso, o la villade;
Ma per muoverci a guerra, con qocH' arte.
Che si convicn, per raoimote strade;
Nè cederemmo io arme al proprio Marte,
Non eh* ad altro mortale, in altra elade ;
E come l'opra par, eh’ aperto mostri,
Vie miglior c* tegniam, che i padri nostri.
XXX vm
Veogon qnei di Clodasso, d'altra parte
Con vie piu gran roiuor, che nell' aprite
Non fa la greggia, che ’l paslor diparte
Da’ nuovi agnei dentro al serrato ovile,
Per trar piò largo il latte, ove in disparte
Sente afnitta chiamar con prego uiuilc
Il outriuienlo suo la dolce prole.
Che iu voci spesse si lamenta e sluole.
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AVARO H IDE
XXXIX
Eran 1« lin^soe poi varie e divrri'e,
Come vari e divrr*i Iianno i parti :
Di contrari rulur »on T armi a»prrte,
£ di mitlr maniere, {(li altri ariie»i«
£ beo pou quei il* Arturo anco vederta
Di ttrane patrie, ina gran tempo apprcai
Alla medesma friiuiaj io lor Tuianra
Come «pesto addiviene natura avaoxa.
XL
Già quinci e quindi ai vedean volare
Lo spavento e '1 timor con trrpid* ali,
Or alti in aria a suo diporto stare,
Or ne' cori avventar gelati strali;
Posrla scacciati in altra parte andare.
Dall'ira avversa, a mi non sono eguali;
Dall'ira, ch'ai principio Iruto il passo
Muove per up seolier, eh' è oscuro c basso
XLI
Indi Tali spiegamio a poco a poco
Prende aperto eamniio, rh' al del sormoote;
Pui fatta in vista di color di fuco
Infio sovra le nubi alza la fronte;
Questa adunque avvatiipando io ogni luco,
Pacca del sangue altrui 1' anime pronte,
£ nulla cura aver della sua sorte,
Portando solo in cor desio dì zuorte,
xui
Or già il buon Maligante, e 'I pio Boorte,
Questo a map destra, alla sinistra quello,
A' più levi cavai facendo scorte,
Muovon più presti, che rapace augello;
Dietro lor la pedestre sua coorte
Spinge il re Pelinoro e Lionello;
Le quai di fromhalnr sono e d' arders,
Tutu al corso prontissimi c leggieri.
xuit
n romor de* deslrìer, dell' arme il snono,
De' guerrier il gridar, 1' orribil trombe,
Sveglian sì grave c tempestoso tuono,
Che ’l mar, I' aria, e la terra ne rìmbombe
Per mi cadute io basso aquile sono,
Non pur eoroici, o pavide colombe:
Tremò intorno la valle, e d'Kuro i onde
S'alzar crollando tra 1' erbose sponde.
xtiv
Mouer di qnd d’Avarco, al mnover loro
Non men bramosi del mortale assalto,
Con genti eguali, il furie Palamoro,
Farabo, e Loto, che seguia Verrallu.
Primi allo iocoutro a ritrovarsi foro
1 ravalier, cb' adamantino smalto
Quinei sembraro, e quindi elette incudi,
Tanto strepito fer Palme e gli Kudi.
XIT
I tronriii delle lance hanno il sentiero
In un momculo sol tutto ripirn»;
Puossi steso veder più d* un destriero
Lottar con morte, e mordere il terreno;
Ivi oppresso riman quel cavaliero.
Quel tutto estinto r quel di saogue pieno;
Quel, che più ferma ancor sostien la vita,
Quaotooque a piè, col buon voler a’ aita.
De* pedestri, impiagato il petto o *1 fianco,
Chi va col volto a terra, p chi riverso ;
Chi vive anror, ma spento ha io tolto e stanco
Il suo primo valor, di polve asperso;
Chi lo scudo ha impedito, c '1 braceio manco
Di più d' an colpo, rhe 'I passò traverso ;
E chi si truova san, cangiando varco,
Ora io questo, or in quello addriua 1' arco.
XLVM
Ma con seggio silenzio, a passo tardo,
Vengoii r amiate, e le più gravi schiere,
Col cor ben fermo, e con sotlil riguardo,
Dei lor duci adempir tutto il volere :
Intra due comi il candido stendardo
Del Britannico re sì può vedere,
Non tra i primi a ferir, ma io mezzo il calle.
Che la froute di lor veggia, e le spalle.
XLVIII
Sopra un alto eorsicr, che di colore
Ratsembra aH'om, e mille oscure ruote
Della chiarezza adomhran le splendore,
Come stil di pitlor più accorto piiote;
£ in campo, che simiglia al nuovo allidre,
Il ciel, che l'euro d'ogni nebbia scuote,
11 suo scudo reai, ch'ai collo pende,
Di tredici corone aurato splende.
xu<
Con mille intorno cavalier perfetti.
Di cundor degni ogni onorala impresa,
(•he tulli insieme in un drappello stretti,
In ogui parte han presta la difesa,
Le trombe ha presso, e gli altri suoni eletti
A frenar 1* arme, o spiugerle all* olTesa.
Trislan va insanii al suo sinistro corno.
D'aurate sopravveste, d'ostro adorno.
L
E per gir, come gli altri, è sceso a piede,
Non deir armi durissime ravvolto;
Gravi por si, che se '1 bisogno vede,
Che convrogs stornar chi in foga è volto.
Onde possa talor chi non provvede
Ratto in più d' una parte sotTrir mollo ;
Montando esso a cavai, restino intere
Centra ogni colpo, che la landa trrc.
u
In sette doppi poi di 6no acciaro
Il gravissimo scodo al brarcio avea.
Ove nel campo verde a lui sì caro
Il doralo leooe allo sorgea ;
Cosi seo già con le sue schiere a pero,
Ma spesso l'occhio iolomo rivolgea :
Due dardi ha soli io man, che tutta speoe
Nella spada fatai secura licoc.
Ili
Del corno destro, ancor ebe d'anni pieno.
Il saggio re dell'Orcadi ha la cura;
Perrhe impiagato allor sendo Gaveno,
Egli io vece di lai latto procara,
£ 1 grerroso cor, eh eì porla in seno,
Facea forza in qnei giorni alla natura;
Che rat pìeciol cavallo è in ogni loro.
Nè mai stanche ha le membra, o '1 parlar rueo.
L’ AVARCHIDE
un
LX
Or in’anti ninkt virìo di pochi pa»i\
Poiché tanto ristretti ton già insieme.
Con più furor roniaoda il booo Tri»lAQO,
Che delibaste ferir non han più forma;
Che ii affretti il eammto, non «t, che lasu
Fan, eh' essa schiera lenlamenle preme
Arrìria dorè oprar ti dee la mano;
Per gli spazi lassali indietro l'orma;
Ma più che prima alquanto, c tiretti e batti
L’altra, eli’ è più sicura, e che meo teme,
Vadao con 1’ atte, che '1 nrmiro in vano
Cou gli scudi ferrali annata tonila,
Posta fra loro entrar d' alcuna torte.
Succede al primo loco, in ti bell* arte.
Ch« non Irnovi ferrate etter le porte*
Che uon appar cangiata alcuna parte*
uv
txt
Pan tolte rieonar le pia|(f(ìe e i colli
Retlao maravislioti e tbignltiti
Di quelli i colpi, die ferir primieri;
Dei nuovi luccessor quei di nudatto ;
Sospinge saldo ogn' uom, né par che crolli,
E te, Come leoni in selva ardici,
O muori il piè de’ fermi tuoi sentieri;
Non correan tosto con veloce passo
Ma già ti vrggioo far vermiglie e mulli
Palamede e Faran, eh' eran seguili
L'erbe del nuovo sangue de' guerrieri ;
Dal crudo Fortunato c Bronadatso,
E diverso gridar già 1* aria frange.
Che con minacrie e forza gli han rivolti;
Di chi minaccia altero, e di cUì piange.
S’eran già, spaveotati, io fuga volli.
tY
tvii
Non ton de* dod piò le voci iolete.
Poiché fermati gii han, trapana avanti
Cuti alto è il romor, che ingombra il cielo,
Palamede e Farm, ma indlclro retta
Qual rapido lurrenle, poi eh’ offe<e
L'altra coppia di lor, che spinge ionaoti
Febo nel tno montun del verno il gielo,
Chi con timido cor lunge Carretta;
Clic ricebittìmo donde iu basso scese,
E gli riduce all’ ordin tutti quanti.
Spogliando all' alpi il tuo canuto velo,
Ch' aver tolean nella primiera letta.
In cosi orribil tuono, e ’n tal fragore,
£ sopra i morti, allor che io terra stanno.
Che ti fuggon le gregge e ’l pio pastore.
Nuova altra guerra, e perigliosa fanno.
tvi
LXUl
Molti fon morti già, molti feriti,
Vanii premendo ti, che ì forti tendi
Che dagli altri calcali a terra stanno ;
Toccan I' un 1’ altro, e 1' ano Tattro piede
Ma dei miglior guerrieri, e più gradili,
SoQ fra lor giunti, e dove sìcn più nudi,
Sopra il campo d' Avarcu c ’i primo danno;
Rimirando ciascun, di sotto fiede ;
Perché fra gli altri giovinetti arditi
Poi con aspre minacce, e delti cmdì
Fo il lìgliuul del re Amioriro Unlanoo,
Corre ogni dace ove il bisogno vede;
E Cugio di Trislao, chiamalo Ovetto,
Tal che chi per onore, c chi per forza,
Che ’l misero Agciao feri nel petto.
Di virtù dimostrar te stesso sforza.
tvli
IXIV
E scampar noi poterò arme, eh* aTette,
Mentre fa Palamede axli altri strada.
Che tolta olirà pattò ratta fatale:
Trovò in fra i primi il forte Aremedoote,
La qual convenne ivi entro rimaneste.
Che nacque in Boreberta, dove sì vada
Nè fona, o ’ngeguo al ritirarla vale;
La famosa Tamìgia presso al fonte:
Cadde traveriu allor, come cadeste
Pongli tu l'elmo la possente spada
Arbor percusto da celeste tirale.
Con tal furor, che gli parti la fronte
Che di strepito ìl bosco empie, e la valle.
Per mezzo a punto iu fino al collo, eomt
Tal la piastra sonò sopra le spalle.
Suole acuto eullcl matnro pome.
tvm
txv
Bamerto, che tra i VeocU era nato
Cadde col volto in giu fra Ferbe aleso,
Sovra ogoi altro d' Ovetto amico e caro,
E *1 risonsr dell’ arme alto i' odio ;
Perchè del sno signor 1' allo onorato
Vico poi Pedasso, al vendicare inteso
Poste a chi fu lootan per vista chiaro,
Del suo caro germano il caso rio.
Si feec iosausi, e dal sinistro lato.
Nè men che 1' altro si ritmova offeso,
Ove lo tluol nemico era più raro.
E mai soccetse il sno disegno pio.
Prese Agelao nel piede, c d' indi trarlo,
Perche mentre eh' eì lenta lui ferire,
Quanto ci può più si sforna, e poUa farlo*
Si vedo ogni percossa indarno gire.
an
LIVI
Ma il fero dì Baviera Bnstarinot
Ma Palamede a lui tolta nascoso
Che pria n’ ebbe dolor, come or ver^gna;
L'ioviUa spada nel medesmo loco,
Poi cb' ba perduto un dolce sno viono,
In eoi chiusi fra lor natura pose '
Che non resti a’ nemici almeno agogna ;
Delia vita mortai gli spirti e *1 foco t
Onde a qucl,cbe ticn l'oecbio e ’l capochino.
Coti qual saao, a cui torrente rose
Intento meno a quel che più bisogna.
Della riva il sostegno a poco a poco,
^ol ferro aguto ambe le tempie passa.
Andò riverso a terra, inulil salma,
£ sopra il primo ucciso morto il lassa.
£ scolandogli i piè, si fuggi F alma*
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uvil
Dopo i (Ine pira d* erdire eirr PileotOy
Lo tcudier di Trtileo, clic »rr(» meoa»
Ovonqu' ci cada, e ’n lui ti fida taolo,
Oie |(IÌ dà lovra o|[a' unm credrnaa pirnai
Nato d' AlchiOf che di rìcheur il vanto,
Di qninli k>o Ira KOITa e )a Vìllcoa,
NrU'Annorico tcOf porta, e fiftliuolo
Ebbe negli ultimi anni quetto tolo.
txviv
Non si prende di luì cura allrimenli
11 forte PalamcUe, e iuoaoaì muove,
Qaal libico leun, che i grassi annenli,
Senza cani, o paslor. Ira i rulli truuve,
Che lassa questi e <|uei di vita speuti.
Con desiusu rur dì prede nuove,
£ mentre pur un sol vivo ne resta,
L’ empia fame a sbramar mai non s' arresta^
Lxriii
Vira dritto a Palamede, ed allo il cblama:
Bivollale, tigoor, ver noi la vitta.
Che non tempre l' ìtteuo gloria e fama
Sopra ciaK'un vitturioto acqoitta ;
Ch' a qnel, cui la fortuna or pregia ed ama,
la un punto poi riene odiosa e trìtta;
E ben toTCute T iiutn piii lira in allo,
Perchè poteia rovini a maggior tallo.
LXXV
Incontra poi Laerro, e*1 biondo Arete,
Quel di Eburaro. e dì Limonia questo,
(.li'eblscr di vendicar soverchia sete
Del giovinetto il caso agro e funesti) ;
Nè le mature spighe al rampo mìetr.
Per la calda stagion, viilan più presto
Che facesse ci, gellando dalle spalle
Le teste d* ambe due sopra la valle.
taix
Coti parlando aneor, ver lui a' avventa,
E con la spada il fianco gli percuote,
£ quanto può, impiagarlo •' argomenta ;
Ha le tpcranie van d* elTello vote,
Che non io allea gniia in damo tenia
Drbil ferro tagliar ben salda cote,
Che faceti' el quell' arme, eh' è ai dura.
Che furia converria sopra natura.
LXXVI
E perch* era di lor nel mezzo entralo.
Sol due rulpi bastar, dritto c riveno;
(hin gli rimi inloruo, dal medesmo lato
Non cader tutte, ma in contrario verso;
E ’I busto di ciascun, cosi troncalo.
Si vide alquanto tu piè dì sangue asperso ;
E poKÌa io basso gir, di torre in guisa,
Dalla nemica man sotterra incisa.
LXX
Ma Palamede a quell* omero trova
Con grave rt>lpu, che ’n tal furia scende,
Cir arme doppia, ch'avesse, non gli giova.
Nè lo scodo forlitaimu il difende,
tihe fu pur fabbricato a tutta prova
Là, dove all' Occidente il romn stende
11 suo nalìo terrea, d'oUìma tempre,
£ '1 re Meliadussc il portò sempre.
LXXVIt
Per questi, e quel di pria, ai gran timore
Avea compresa dèi sinistro corno
La parie destra, che '1 piò nobil core.
Per la vita scampar, non cura scorno:
E ciasmn si fuggiva, se il remore
Non fusse andato già per molli a torno}
Tanto che, come suol, con levi penne
Di Tristano ali’ orecchie al fin pervenne.
LXSl
E dopo Ini Tristano, il ino figliuolo,
lofio else Marco, il re di Cornovaglia,
Gli donò quel, che fu nel mondo solo,
E eh* al presente avea nella battaglia ;
E die 1* altro a Filanto, ch’or di dnulo
Mortai non lo scampò, per qoant’ ri vaglia,
Pcreh' all* uopo maggior, lasso, gli falla
Di ben Coprirlo alla sinistra spalla.
Lxxrni
Il quale assai luntan, dall* altra parie
L'iberirn Eusioro ucciso avia.
Che dell* indovinar sapea ben l'arte,
Per cni conobbe già sua morte ria
Nel gran Tulledu, c non mentir le carte;
Perchè mentre l'insegna ivi segala
Di Safaro, il fratcl di Palamede,
Duce di quei, dove Casliglia ssodc.
txxii
La qual fa in modo oITcsa, eh* a gran pena
SI poteo sostenere, la fin ch’anctira
Un nuovo colpo, ma traverso, mena
Nel luogo stesso, ove il percosse allora t
Onde cadder rotando in su la rena
Lo scudo e '1 braccio alla medesima ora ;
Di ramo in guisa, che dal faggio atterra
Pastore alpestre, onde la mandra serra.
LXXIZ
D famoso Tristan, dritto alla fronte.
Di fona estrema con la spada il fere
Sopra Telmo durissimo, eh' isn monte
Avria potuto intero sostenere.
Perchè le stelle, ne' suoi danni pronte.
Gli avean fatto di Inoge antivedere,
Ch' alla testa il minaccia il suo destino.
Onde a tre doppi il fece saldo e fino.
UUlll
Non rollò a piede il misero Filanto,
Ma qual candido fior, ebe in riva siede
D* un verde prato, a cui passando a canto
Con r im de’ comi suoi l' aratro fiede }
Sopr'allo scodo, e sol sioiilro canto,
Dieiro al sangue che versa il corpo cede ;
£ poi che ’n terra ì piè tre volte accolse.
Gli occhi d* oscura nebbia il etcì gli avroUe»
• LXXX
Ma ’! ael, che *1 vulca pnr, ritrovò possa,
Ch* olirà ogni creder suo lutto il divise,
£ là, dove il piò duro dell' altre ossa,
Per guardia piò fedel natura mise,
Fc’ trapassando ancor profonda lussa,
lofio che sopra il collo il colpo assise;
Onde tosto coovìen, che morto gisccia.
Di cervella ripien T elmo « la faccia.
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""^3 ^ l’ ayarchide ^ ^7^
LXXAt
LXXXTItl
poro lonUn Ha lui ferì Toonei
E nel sinistro fianco a gran furore.
Che oarrfae aneh’ei w>Tra l'aurato Ta^co;
Mentre che in altra parte era rivolto,
Pa*M>|li a amo il core, e morto il pone,
Gli donò colpo tal, che venner faore
Ove fe’ intorno MnpiiÌno»o lapo ;
Faville assai, ma non gli norque molto;
Tra quei poi Hell' i»tet«a regione,
L' altro, rhe d' ira è colmo e di dolore,
Eneo trovò dì vendicargli vago.
Vna punta gli addrizza io mezzo il volto
A cui intera tagliò la devira cotria,
Sopra Tomo più curvo, che fa strada
Che non curato allor muri d'augOKÌa. *
lu tra gli ocelli all'odor, che ia alto vada;
f-VXXtl
LXXXIX
Or mentre era più d' un per terra andato
E'I trapassò dì dietro, ove natnra.
E che innanzi al tuo gir ria*run fuggiva]
Pria eh' altrove inviargli, i nervi accoglie:
Venner me**i e rumor da più d’ un lato,
Cadde morto riverso, e gli altri haa cara
Ch' altra parte de'snot danno mlfriva ;
Di Iriunfaiiti gir delle sue spoglie;
E Drìanzo fede], poi rhe cercato
Segue egli innanzi, e reca notte oscura
L'ebbe astai tempo in van per quella riva,
Ai chiari giorni, e fine all' alle voglie ^
Con voce stanca allìnr, e pira d’orrore.
Di Calesio, ch'ornai sperava invano
Gli direa di luolaii : Caro Signore,
L' unica suora aver di Seguraao.
txixm
xc
Se voi non loerorrele al popol noitro,
La qual dovrà sposar, come tornato
£ con veloce passo e tosto, io temo,
Fnue in Ibemia al nido suo natale;
Che ì di brevi di quello, e T onor vostro
Ma non glial censenlia T avaro fato,
Siene amai giunti al temiioare ettrrmo ;
Perdi' un colpo Tristan piò che mortale
Che Palamede, l‘ Incanutii mostro.
Vibrando, spinse in quello isicsso lato,
Ila fallo nn grande tluol di rifa Keno,
Ove il cibo discende, e '1 spirto sale
£ Ira i migliuri il misero Filanto,
Per doppia strada, e 1 una e l'altra incìse.
Che più che vendicalo è stato pianto.
£ morto a terra palpitando il mise.
LXXXIV
xci
Non mos*e mai pasior si ratto il piede
Trovò poi Drr«o, e nel medeimo loco,
Al latrar de* suoi cani, e dcirarmeoto
£ nel modo mcdcsno anco il ferio.
Al pietoso moggir, che virin vede
Ma di queir altro por più basso un poco,
Lapo aflamilo a divorarlo ioteuln ; ,
Ch al cominciar dri petto a ponto gio:
Che’I pio Tristaii quando airorecchic il (lede, •
Olelzio, biapo, (.romidn, Orsiloco,
Che '1 suo Filanto sia del mondo spento:
L on dopo r altro i primi due segoio,
E come Tali avesse, in no sul punlu, 1
Che nell isola istcssa insieme nati,
Ove i suoi stanno afilitli, é quasi giunto. 1
Di non si abbandonare cren giurati.
I.XXXV
xeii
E per tnlto domanda, e terrà insieme,
Ma chi contar potrebbe ad noo ad uno.
Ove allor Palamede andato sia ;
Quanti accise Ìo quell' ora il buon Trillano^
Perch' ha di vendicar srrnra speme
Egli avea tutto gii vermiglio e bruno
Del sno caro tendier la sorte ria t
Fatto a se intorno l'arenoso piano;
E rabbioso nel (in sospira e geme, '
Nnn piu, dovunque ei vada, truova alcuno,
Fui eh* ha trovalo, che per altra via * |
Ch'attender osi l'onorala mano;
Era gii» a snrrorrer quella parte |
In qnal parte rivolga, o V occhio, o 1 piede,
Mal condulla per luì, donde si parte. |
Fuggir la plebe paventosa vede;
txxxvt
XCitl
Nè men bramoso aneh' ei di riirovarse.
Io guisa di levrier, che 'n gioco prenda
Come altra volta gìè tee» alla prova;
Di lalor perseguir la greggia umile,
Ma da poi che Tristan le stelle scarse
Ch'or quella torma fa, che n basso scendaf
Vede al ssio core, • che ’l eerrar non giova ;
Cercando scampo al sno sicuro ovile ;
Lassa il fero disdegno riversarse
L'altra, munlando aì rolli, Ìl corso stenda
Conte a chi n ha men colpa; e quanti Imora,’*' ^
' Tra t usate erbe, paurosa e vile;
Tanti senza la viU abbatte in terra.
E quando ess» lontan •' addrizza altrove,
Nè ti vide giammai più crudo in guerra.
Si volgono a mirar ver cui si muove.
tXXXTlI
xctv
Di tatti Teutran viene il primiero,
Ha il fero Palamede in altra parte,
In Ha, una delle Ebridi nativo,
Chiamando I duci suoi, non meno adopra;
Sopra la qnal reggea del fren l' impero,
Riduce tosto in un le genti iparte,
D'ogni giustizia, e di pietade schivo:
E con minacce le rispitigc all’opra;
Or qui r indusse il rio peccato e fero,
Poi lutto impresso del furor di Marte,
Della vita inonesta ad esser privo,
Ai primi vincilor si mette sopra.
Perchè non conoscendo il buon Tristano,
Destando sol si orribile battaglia.
Mosse iaver lui la dispietaU mano.
Che non vai contr'a Ini piastra nè maglia.
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L AV ARC HIDE
Toconlra il primo il nobtl Connetr,
Ch’ rbbe il n»Ul dell* Era in lu la foce:
la cui dì vero onor troppo alla arie,
Giovando all’ imtnorlaic al corpo miorc;
Pcrrliè di molto ardir tal f'Ioria miete,
Ctraoror ne viene io noi chiara la voce t
Ma forni ftli anni neil* età più acerba,
E di pia^a mortai cadde tu l'erba.
xcvf
Ch* una pania pii vicn, dove a* appiglia
Nella pula alla all' ultimo palalo
La più carnota parte, eh* attolliplia
L' etea, e le fa il cammio più leve e prato;
Fotcia il prode ilinoo tra le due cìplia,
Iniìn nella memoria ha Lrapattain,
Con loro appretto Acatlore ed Aranco,
Qortto al vrolrc pcrcutto, c quello al fianco.
xeni
Già M fuppia ciatriin, come tt vede
Di (torni far la popolota tchiera,
Quaudo il rapace uccello alcun ne fiede,
Privo d' etca mipiior, vicino a aera;
]l grido pur del forte Palamede
Più tpavrnlo apportava che Mepera
Od Alelio non fan con 1* atpre voci,
A chi lorde ba le mao di colpe atroci.
xcviii
Ma in questa à torvennto Gottemante,
Il core ardilo, che di quelli è duce
Di Sommertelo, e te pii oppone avante,
Con molli capitan, che teco adduce;
£ *0 minaccioto orribile tembiante,
Mutlraudo allo lo tendo, in coi riluce
Hitrliiata in un la porpora c 1' arpento,
nallumava il valor, cb' ci truova tpcnlo,
xcix
Dicendo: O cavalier, non vi tovvicnc
Quei die voi fuile, c quei che Tur cutloro?
£ quante erbe in più lochi, e quante arene
Già diptnpetle voi del tanpuc loro?
Se voi tarcle quei, eh* riter conviene.
Gii troverete ancor, quai tempre furo;
Ch’or non più, che t* avetteru altre volle,
Hanno in purfiro fin le membra avvolte;
c
Nè taplian men ch'allor le nostre tpadc.
Pur eh aver ditponiam pii itetti cori:
nilroviam di virtù I' antiche strade.
Coi medeunì detir de' primi onori ;
Non contenliam della pattata etade
Otenrare or le palme e i verdi allori;
Ma d* addoppiargli c ritchiararpli tale.
Che non gli noccia mai colpo mortale.
CI
In coiai detti qnetlo e quel rarroglie.
Che tema altro sperar ratta fuggia ;
Già del primo timor gli animi trioglic,
E nel cammio latriato pii rinvia ;
Già di caldo detire empie le voplie
Di vendicar ria*cun la torte ria.
Chi del compapno tuo, dii del pcrmano,
Chi dell' onta, eli avea d* ctter luotaDo.
ni
£d cuo innanii a lutti l'apprctenta
Con la schiera ordinala, e ben rittrrtU :
E va con grande ardire, ove t* avventa
f.ontro a chi trova io pulsa dì sartia
L* Ebrido altero, e eoo la sptda il teola
Sopra la destra spalla, e beo che eletta
Fosse la piastra e pruua, noi difese.
Che 'n fin quasi tu I otto il colpo teete,
ou
Dicendo: Or senta il forte Palamede,
Come il sno Goisrmantc rorc ardito
Opra in puerra la mano, e non il piede.
Quale il pipo! pepaior da lui fuggito;
L’altro col ferro tol rispotU diede,
Che 'n tu la rroole io allo l'ha ferito.
Di forza tal. che te veniva a pieno,
Gli convertiva in notte il di sereno.
nv
Ha il fero colpo per traverso lato
Venne sfuggemln, e nello scudo il colse,
Ond' ei raci»na in ic medesmo irato:
Or ringraziale il Cict, che rosi rulsc,
Che beo ri die più che benipuo il Fato,
Poi ch* air iinphic dì morte oppi vi tolse ;
Ma Gottemanlc col primiero ardire
Di raìuacciar noa retta e di ferire.
E stala orribil la battaglia fora,
Perché prode è ciascuno e valuruso;
Ma de' puerrier lo sluol, che giugne allora
AH* impresa onorala, vieit ouiuso ;
Tal che per viva forza all* islctt ora,
Si truova l'un dall' altro essere ascoso;
Nè putendo, ove aveaa le voglie intente,
Spiegaa le lor vsrlu aovr altra gente.
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ARGOMENTO
Srpur ia fera pu^na, in cui fan pruoee
CAinrìssime, sluprnde. Eretto e Lapo t
A Brunoro ed a' jr«ot. tempre con naort
Biseotie dan tarmentOf e fer presago :
Itomi però cadeun ; ma a hr ti muovt
Boarie $nt>iito di tatrorli vagoi
tiiungr, e di tongue empie d intorno iieampo.
7'oi che I prodi guerrter trovano tcampo.
M » io qaclli pirlCf ove le piccioroadt
Per •eotiero Jrenoto l'Kuro «pingey
Non più cii’ altrove il tuo furore atcuode
Marte, o cou tueoo ardur la tpaila ttrioge;
Aulì le verdi pria Gorìte tpunde
D'altro fero culor ba|iaa e dipiuge;
£ tulio inluriiu all’ iiilelice fotta
Ha ttaiupalo il Icrreu di taogue e d* oua.
n
Ivi il buon re dell Orcadi tenea
La vece di Gaveo. meotre é ferito;
£ con triiuo e cun arte ti niovea,
Non però lai, che uiro ti motiri ardilo ;
Ma il valore e 1 eoutiglio correggea
{Si beo tra lur, che nullo era impedito;
Ed avea già run 1' atte sue primiere
Upprette di tiinur l'avverte schiere.
Ili
De' quai fu cooduttor Bruaoro il NerO|
Perù che il re Cludiuo era luutaoo;
Seco esliinaudu io uuLiI cavaliero
<’l ira di rur rouiuiuio c villano
Si lotto ripigliar l' ingiutlu impero,
K con ogni ragìun muover la mauo
Sopra la genie pia. eh' a torlo offesa,
Pur crcdca, che dal Liei fotte difesa.
JT
Coti r un corno e I' altro il proprio duce
Avea cangialo, c uuo cou men virlude
Di lur ciateuno all' opra ti couducc,
Nè Ui quei uien valor nel petto chiude:
Ben che d anni iucguali, lu ambe luce
Gloria teinbiaiitc, perché in mille crude
Battaglie ti trovar contrari e ntienie,
In CUI tcnou muttraro c forse ettrcnie.
Or nttchiali fra lor da ciateon lato.
Non ti diicerne alcun, che muova il piede;
Ma sta qual torre o tatto alto piantalo,
Che d'aperti eooCn termine siede;
Poi col braccio e col ferro imanguinato
Conira il fero vicin spinger ti vede;
E tenaa cura aver della tua torte,
Solo inteso restar nell' altrui morte.
VI
E fra molli miglior più d'altro appare
II figliuul del re Lago, il forte Eretto,
Tutto pica di desio d allo montare
In brevittimì giorni al Gu perfetto
Di somma gloria, e n dietro a té lassare
Gli alimi canoli onor, lui giovinetto;
Coti dove teeroea più gran periglio,
Dì più innauii pawar prendea coutiglio.
VII
Né a ti oobil disegno fa nemica
Nel primo iocomioriar fortuna infida,
C'.hé con sommo valor ratto t'intrica
Tra i piu folli nemici, ed ella il guida
Ove Boealion danno e fatica
Dava ai Britanni, e loro appella c sGda,
Dicendo: Ove ton or quei latito ardili,
Clic mioaccian ti spetto i nostri liti f
TUl
E quando ton lonlan, trmbran Itoui,
Poi pecorelle vili, ove noi temo ?
£ t' al calcar le nostre regioni
llanou opralo in cammin la vela e *1 remo,
Al tornar Ga mesiìer piu ebe di sprtmi,
Per chi non fosse pur di vita scemo ;
] quai pochi taraiioo, inGii clic basta
Questa mauo a portar la spada e 1' aita.
»
IX
E mentre dice pur, sopra gli viene
II valuruto Eretto e dritto pose
Il ferro entro la hocea, di' ancor tiene
Parlando aperta, e tutto io essa ascose;
Coti tema altro dir, qual ti cuuvieue,
Al folle ragìuuar tilenaio pose;
Cadde egli a terra, come sciolta salma,
£ mordendo il terrea ti fuggi T alma.
X
Olirà varcando poi trova Meriilo,
In Frisia nato, e nel medetmo loco,
Che del nimpagno tuo doglioso e tristo
Per desio di vemletla ha il cor di foco}
Ma il feru giovinetto, al nuovo acquisto
Yùlto il pensiero, il passo altrena im poco.
Fin eh* ei s' appretta, e poi vèr lui ti getta.
Come d' arco miglior leve taelU»
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XI
B pria eh* X lai ferir pretto il vedette,
Il colpo gli addrizzò* dove le coite
Soo nel mezzo del petto aggiunle e tpetie,
Delle parti migliori io guardia putte :
£ pattò levemcnte olirà per ette,
Nelle iptoe del dorto a quelle oppotle ;
Coti la man, percutte quelle a pena,
Latciù r atta cader «opra la rena.
XII
£d ei tatto incnrvatn, e rivertando
Per la borea doglioto 1* etra e '1 vino,
Andò eoi volto in già di vita in bando,
£ diè l’ultimo Bue al tuo dettino.
Trovò dopo roilui, che van rerrando,
Se tara il ferro lor del tuo più finn,
Attillo, Pulipele, Ablero, Elaio,
Ai quali ad ono ad an la morte ha dato,
XIII
Tolti nati in Utfalia io mezzo Tonde
Di Yiiurgo e d* Amatio, a cui del Keno
La detira foce di non molto aiconde
L* acque, ch'airOrrao ripone in leno.
« ? iie olirà Eretto, e qual I* aride fronde.
Poiché il calore estivo già vien meno,
Nel tardo autonno d'aquilone al (iato
Caggion, nudo lattando il tronco amato (
XIV
Tal da* colpi di lui cader ti vede
Gente infìnila poi dì tangiie otenra ;
E ’n guisa fa, ch’ornai ciascun r<d piede,
Non con la man la vita a' asteenra :
Già tutto il corno a lui tolelln cede,
Chi per forza d’altrui, chi per paura,
Perchè t pochi e miglior di tema tcìolli
Sua via portati dal fuggir de* molli.
XV
Ma il feroce Brunoro, e Dinadano,
Il too caro fratello, han lutlu udito
Il gran dauno de’tuoi, molto lonlano
Da Marigarto il grande, che ferito
Vicino al braccio nella destra mano
Non potendo altro far, volando è gito;
E grida in allo tuon : Drizzate il passo,
Ore il pupol vi cliiatua afflitto c lasso.
XVI
E lenza olirà più dir, ratti gli mena.
Ove d' un tol temea la folta schiera;
Air apparir de’quaì tutta ripiena
Tornò di gioia, e di speranza altera;
Non altrimenti, 'allor che rasserena
Il ciel, dopo r algente, orrida, e fera
Del no verno ttagino, tornali gli augelli
Sopra i rami a cautar gaietti e toelli.
XVII
Colai li teerter tutti rivetlire
Lo sroarrìto vigore, alla mercede
liendendo a Dio, ehe non volea tolTrire,
Che lungo foste il danno, che gli diede ;
Or già ricinto il dispogliato ardire,
('•iascuii verso i nemici toma il piede ;
K col favor de' duo gran duci insieme,
Ove indietro fuggiva, inuaoii preme.
XVIII
Area Brunoro Ìl Nero in quella parte,
Onde allor sì movea, l'asta troncata;
Però dal suo sciidier, ch'era in disparte,
Lo scudo ha tolto, dove in argentala
Sede sorge il leon, ehe io estrani arte
Di rosso e brnn la veste avea cangiata;
■Poi tratta fuor la tua pesante ipada,
Ficea col tao valore agli altri strada.
XIX
In compagnia non solo ha Dinadano,
Ma Nabrno il fellone ed Agrogero,
Che fu chiamata il crudo, e Terrigano
Il grande insieme, e Gracednno il fero ;
E perchè da qnel loco iva lontano
Di qnei, che dimorar, lattò 1* impero
A Margundo, Gaiindo, c Giincbaldo,
Che ’l Icucttcr composto, unito e saldo.
x<
Ma come air arrivar dei can piò fidi
Suol T orecchie levar lupo rapace,
Cli'avea trovala in solitari lidi
La greggia stanca, ehe nelT ombra giace ;
Che la fama al predar vuoi, che t'affidi,
E '1 cuntrarìo dì lei temenza face ;
E mentre è io dubbio ancor, tal forza ha sopra,
Che del botcu convien t' asconda c cuopra:
XXI
Coti nel torvenir di gnerrier tali
Fe'il valoroso Eretto, che ti duole,
Ch'aggian tarpate a lai vittoria Tali,
E desia di seguir, come pria tuole ;
Ha r arme di custnr, eh' han pochi eguali,
Già lo sforzano a far quel, che men vuole;
Onde i colpi schifando accolto e basso,
Si ripose fra* suoi con lento passo.
XXII
£ qnanto pnole Ìl meglio ivi conforta
Ciascuno a non temer 1’ atra tempesta,
Ch' una mbìta nube loro apporla.
Che quanto ha più furor, più tosto resta;
E per ben lor fermar salda la porla,
Baddoppia insieme alta primiera lesta
Quanti scudi ha qnel lato, e curvi a terra
Vuol, chesustengan sol, non muuvan guerra.
XVIti
Ma qnel, rimessa in an la miglior parte.
Mossi d'alto disio di vendicarse,
Veuian con tal ardir, che'l proprio Marte
Quasi avrta conir* a lor le forze scarse;
E ben ch'ivi rilrovio con molla arte
Ai diseicni animosi contrastane.
Non perdon la speranza, anzi T impresa
Yao seguitando più, eh' i più difesa.
XXIV
Son le due schiere già si giunte rasieme,
Che *1 braccio eoa la mau resta impedito;
Nessun ritira il pasao, e ciascun preme.
Senza avanzarsi il termioe d* un dito ;
Ciascun gli altri minaccia, e nessun teme,
Nè del suo percnstor cura il ferito;
E non gli scudi por, ma dansi in allo
Le celale c Ì citnier l’ istesso assalto.
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L ÀVARGHIDE
XXV
Ma il feroce Bmnoro, ehc noa vede
I)* otteoer la ritloria alcoaa via,
Mentre il »ao Dinadaao a quei provvede,
Con pochi dei mif^iinr quelo «' invia
In quella parte, eh’ alla delira liedc.
Ove la minor fsente e la più ria
Stava di quei tT Aiioro, che 1* eletta
Air inaegna d’ Eretto era rìitretta.
XXXII
Ha di pregio maggior destre il prese,
Che di Crcuto allor 1' orme teguìo.
Fin ehe, in van sospirando il tuo paese.
Per le man dì Nabon miser morto;
In Cioero e in Atsco, non men si stese
Per quel ferro medetmo il dettin rio.
Che gli fc’ d* un sol parto uscire intìcme,
£ d’ una isteasa morte ivi gli preme.
XXVI
Cremo il Seneiciai Milelto trova,
Che preiago di riù, d' intorno chiama t
Il pj«»o in ver di me mrreodo innova,
Chi la vita lalvar cerca e la fama t
('.he la ichiera, eh’ or viene altera e nuova.
Il noiiro aanpiie e la notte' onta brama
E «c non provvefipiam con «ommo ardire,
Porria forie adempir lo mio delire»
xxxni
Uccise Graccdono il bel Dolopo,
Che della vaga Alarla era figliuulo.
Di Crcnso sorella, eh' assai dopo
Il partir venne del Britanno ttiiulo;
Nè le ricchezze, nè la forma ad uopo.
Nè V rttcr di tal madre uscito solo.
Lasso ! gli faro, allor che 1' empia spada
Se gU fece nei cor mortale strada.
XXVII
Colt diceva, e poi eh* Iniieme ha poito
Ì.O ilMoI, rhe dì Cormibia arra menalo {
Prr dar baldanza a' inoi, (|uanln può lotto,
D' atialir cerra il gran netniro armalo,
li qual è nel ttto cor f^rnm e ditpoito,
Che '1 panar indi non gli lia vietalo t
K con impeto lai fra lor perrnule,
Che la valle al romor U fronte tcnole.
XXXIV
Di quella tlesta man cadde Lampeto,
Nato in Arforda al promontorio Uvallo,
Che fu nndrìto io luogo ermo c segreto,
Da chi lemea la pena del suo fallo ;
Perchè Fileda del famoso Cleto,
Che del tno padre Ivano era vassallo.
Il partorì nel bosco, e ’n guardia diede
D’ un paslor vecchio alla sincera fede*
XXVIII
Ha non cede per qncito Ìl bnon Creato,
Che ili tendo tien tallio, e ’l ferro tpinge,
Che in altra parte, e in altri tempi era otu,
Ove il terreo di taogue ti dipinge;
Ma poi che *1 ino tperar toma dehiio,
Brunoro irato contro a lui t’accinge,
E con la tpada urlio tendo il fere,
(^he non potè più intero rimanere*
XXXV
poi palesato il ver, dopo il perdono,
Fu deli* amante suo la donna sposa:
Ma quanto era per lui più largo dono
D' incognito abitar la selva ombrosa !
Ch' or non saria dal fero Gracctiono,
In troppo acerba età, qnal fresca rosa,
Ch’ ancor non apra il scn, disteso al piano
Dalla marmorea testa si lontano*
xvrx
Che qnanlnnqne il fm fotte 1* acciaro.
Che pochi altri o* avea tiioilì ad etto }
Tutte r ottime tempre noi talvaro,
Che ’l tinittro «no lato ha io terra |meito ;
Crciito gli rriidcu colpo più amaro,
Che di vibrante punta il colte, presto
lìrlla gola io quel loco che tutliene
E' otto, rhe dalla tpalia al petto viene*
XXXVI
Ma Tcrrigano il grande Orone accise,
Lo scudier valoroso di Mandrino,
Che al più basto del ventre il ferro mite,
£ tremando il gettò col rapo chino ;
La froole io fino al ciglio poi divise
A Calrnor, rhe fu di Bretlnlino,
Dell* isola vicina a Bangaria,
Ove r arte piratica il nutria.
XXX
E pa««A alquanto dentro, ma il periglio
Fu del danno in quel punto attaì maggiore,
Che tr bene tornò '1 ferro vermìglio,
Non gli tolse però spirto, o vigore;
Ha in questo mezzo rivolgendo il ciglio
('.rento, uve tcntia più gran romore,
Nabun vede, Agrogero, e Oraccdono,
Che quasi tre leon fra’ cervi tono.
XXXTIl
Ed Agrogero il crudo presso a loro
Non men bagna il terren di nuovo sangue,
Ch' avea reciso al misero Bauuro
Tutto il destro ginocchio, c fatto esangue;
Questi del re Gaven t' ampio tesoro
In guardia aveva, ed or povero iaiigne.
Senza sepolcro sopra, o pompa intorno,
Lontan di Coulurbia, soo nido adorno.
XXXI
Degli Ofcuri gnerriert accitì han tanti,
Che la terra di lor parca coperta;
D' altri poi duci e cavatirri erranti,
teudirri, o mgin di fama aperta,
Morto è Lamete, che in destrezza, quanti
Ebbe mai la Coroubia ai mrtu esperta,
Viorea già tulli, e viucerebbr anctU’a,
Se dallu stadio tuo non usria fuora.
xxxviu
Uccise appresso Clizio e Palidarco,
D' Etsesia questo, e di Mildesia qnetlo;
Percosse l'iin, dove ctMigiungoii 1' arco
Le ciglia iusieme, e trapassò il cervello;
Deir altro al manco lato orribtl varco
Fece, dove più il cor si addrizza in elio.
Or (|uandu tai cader la gente vede,
Tutta allo scampo suo rivolge il piede.
u
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l’ avarchide
XXXIX
Qoai fEÌOTiQe«Ì Imn, che in lacci arrolla,
0 io mcxio ai rarcialor, la madre morta
Srorftoo dogliosi, ond’ o^oi ipeme è tuUa,
Ch'aver aoleaa, della Gdata ^x>rta ;
Ch'ove la »eUa è più apiooia e folla,
E dove è più la «trada oroLroia e torta,
Fu|i|lon per ritrovar ae pon, Talberco,
Né per lemenaa mai |;uardano a tergo ;
XLTI
E ai congiunge a qnei, che indietro sta mio
Che tra gli ordia più larghi 1* han raccolto.
Poi tutti insieme unilamcale vanno
Ove il fero avversario era più folte;
E nuova altra battaglia insieme fanno,
Ore non apparta vantaggio molto.
Tra' primi colpi loro, in fin che venne.
Chi gli altrui mise in foga, e* suoi aoalcanc*
XL
Tal ti vedeva allor rafllitta schiera.
Che di Ui cavalier si seole priva:
Seguoola, quanto pon con vista altera,
I quattro Lnon guerrier lungo la riva ;
Perché non possa mai tornare inlcra
Nell* ordia primo, che dispetto giva;
Ma poi che luape assai loustrap le spalle,
Si rilirao fra* suoi per altro calle»
XLVtl
Venne il gran Marabon della Hvscra,
Con l'aspra gente, rhc tra l' Alpi giace,
Onde icendeodo rapida Lisera
L* Allobrugo terrea fecondo face ;
Margondo ha in compiagaia con pari sohiern
Di quei, che stanno, uve riposo e pace
Il Rudao porge al soo veloce piede,
E '1 mar di Gallia con due corna fietie.
XU
E dove OtnadaDo, e *l forte Eretto
Han di pari fra ior palme e cipressi,
Drittansi al fianco, in un drappello stretto.
Ove i Britaaiii scudi erao piu spessi;
I quai guardando a quei, eh* aveanu a pelto,
<^(iesli avvitar de* lor compagni isteui ;
Che chi ha nella vista, o lancia, o spada,
Non può teeruer tt heu, chi venga, o vada.
XLvni
Non può il valor degli Orcadi dorare
Contro a numero tal, che nnovo è giiinlo;
Ma in questa al vecchio re le nuove amare
L'orecchic insieme, e ’i cure hanno compuato;
Ond' egli ordii) lassando, che restare
Debba in tuo loco Ivan, l'istesso punto.
Appellando ì miglior con ratto corto,
Deir amato figliaol viene in aoccortoi.
XUI
Trovami adunque d'ogn' iotoroo cinti.
Che con quei quattro pui tono al^ri molti,
Che da'lur duci fur tatti sospinti,
Pria che la torte tua contraria volli,
Perché maravìgliaudo hanno dipinti
Di temenza e di diiol già tutti i volti;
Ma il gioviu valoroso nulla teme.
Anzi eoo più furor minaccia c freme.
XLIX
Di erti r ardente amor, V onor del regno
Dì tal fuco avvampò 1' annoso petto.
Che dì vecchiezza fuor non mostrò segno;
Ma come foste ancor d' età perfetto,
Le membra ha pronte, c di vaghezza pregno
Di tosto perveuir dove era Eretto;
Così veture va, che gli altri a pena
Han di lui seguitar si sciolta lena.
XUII
Dicendo; Or ch'egli è *1 tempo, vi tovvegga,
Onorati compagni e fratei cari,
Della virtù, che anticamente regna
Ne* maggior nostri supra gli altri chiarì;
E che teguìle or qui 1* altera insegna
Del gran re Lago rut non visse pari
Oggi in consiglio, e già in opre leggiadre,
£ eh* è non men dì voi che di me padre ;
L
Leva quanto alto può lo erodo aurato
Con le vermiglie leste del Dragone :
di' a' suoi, che dì lontan 1' aggian micato.
Sìa di fermo sperar dritta cagione:
Or come fu tra' tuoi lieto arrivalo,
Comiqriò con dolcitiimo termooe :
Non temete, figliuoì, ch’ora i con voi.
Chi tempre viocilor coaduste i tnoi.
xtiv
E che là sotto il futro e freddo ciclo
Dell* Orcadi il lerren nostro natio
Non si teme di morte il crudo gelo,
Ma di pigra viltà refTeito rio:
Non s* onora chi Ìq pace cangiò il pelo,
Ma chi con l'arme in znao giovìn zuon'o ;
Folle errore è il salvar la vita in sorte,
Che li sìa grave poi piò eh' altra morte*
u
Né vi spaventi no, te gli toimici
Soo più numero astai, che voi non tele ;
(*he tempre i pochi e buon too più (eiid,
Come per prova ancor tosto vedrete ;
Abbatte n» tol falcoo multe cornici,
Vu leon mille gregge mansuete;
Nè questo il primo di sarà, che Ì molti
Ho già solo, o con pochi io rutta volli.
XLV
Con fai parole il giovinetto ardito
Di tosleocre i tnui pregando adopra,
E non in vau, che da' migliori udito
Il suo chiaro voler fu messo in opra;
Ma il popolo inimico, eh* è infiuìto.
Al breve stoni, eh' avea, venuto è sopra,
Tal eh' è forzato Eretto a poco a poco,
heuza fronte voltar, cedere il luco.
I.II
Tenete pore in man forte la spada,
£ *D petto di virtù smallato il core.
Che in timi! casi, alla medeima strada
Va la dolce salute, e'I chiaro onore;
Che più perde la vita, dii più bada
A voler lei scampar con suo ditnorc ;
E per propria difesa il ciel ne diede
La mano e 1' arme, c non la fuga e *1 piede,
f
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Coafortaiido così, tjoto diro p«sia«
Che'l prode Eretto io furao perìglio troov«i
Perchè parte é ferita, e parte lassa
La gente tua, che ’o vita si rìtruovas
Or vedendo il figliuol roogiunta e batta
Al tocrorto venir la ichìera nnova,
E 1 pio vecchio, c magnanimo parente.
Gran doleeaaa e dolor nell' alma tenie.
Ua il giovin miterel, come t* accorge,
In che stato dubbioso il padre sia;
Non più dogliosa appar, te *1 figlio teorge
Dentro all' onde cader, la madre pia,
Che qual può lagrimaodo aiuto porge,
E rliiaaiando ctatcuo, che truova in via ;
Tale er'egll io quel punto, e in alte grida
Tatti appella color, cui più t'affida,
E dicer O sommo onor de* canati antri,
O dolcissimo padre, e qual mia torte
Rea vi conduce or qui tra tanti affanni,
lo rischio, a mia cagion, d' amara murter
Troppo m* era il soffrir gli avuti danni)
Sovra i cari compagni e fide scorte.
Sema che t* aggiungeste quel, per cui
Uillc vita darci, salvando lui.
Dicendo t Ora è, signor, quel tempo eletto,
Nel qual 6a guadagnar perder la vita.
Per salute di quel, dentro al cui petto
Ripose il Ciel la sua virtude unitai
Nè possa esser già maì saputo o dello,
Che fra si altera gente c si gradila
Fosse ucciso deir Orcadi il re Lago,
Senza ampiissìmo far di sangue ou lago.
Deh! fomatc, signor, poi che v* è stato
Amico il Ciclo in tale aita danne ;
Ch* altra forca bisogna in questo stato.
Più integri difensori, e più salde arme.
Rispose il vecchio re con volto irato:
Dunque vuoi tu, figliuolo, oggi privarme
Dì quel, eh' io bramo più, eh' è d’ esser lero,
Per cui dolce m' è solo il mondo cicco ì
E *n tai chiare parole oìtra ti mise,
E ben segnilo fo dagli altri suoi ;
Ippologu, Difrono, Anero ocrise.
Tutti Borgoiidi, e Sìcofaiido poi.
Tal che la stretta schiera si divise.
La porta aprendo a* valorosi eroi (
Cosi spingendo co* compagni appresso
Trovò il famoso re da molti oppresso.
Lassami pur venir, che poche notti
Ha in sua furia di me Fortuna fera,
E i giorni a tanto onor fin qui condotti.
Qual mai chiuder porria più degna sera?
Esser Isen potino a le troncali e rutti
Mille disegni, ch’hai l'ctade intera t
A me il sepolcro sol puole esser tolto.
Che non fa dai migliori in pregio molto.
E *0 tra* primi Nabone ed Agrngrro,
Quasi drl tutto all’ ultimo suo punto
L* avean condotto; e bene avea meslicru,
Che'l soccorso di Ini fosse ivi giinilo;
Ma quando ndi vicino il gritlo altero
Del carissimo figlio, fu compunto
Di tal dolcezza, che ripreso ardire,
Ilicominciò di subito a ferire,
Coti detto va iananai c viciu truova
L* Allobrogo Alciloo, di cui la testa
Percuote si, nh' a lei salvar non giova
Ferro ben saldo, che partila resta;
Poi vago d' acquistar vittoria nuova.
Segue olirà a suo poter, nè mai s'arresta,
Fio che traova Agaitrofo e Peonide,
£ de* duoì questo impiaga, e quello ticcide.
Dicendo: Or vegg* io ben, che dai leoni
Non Qscirnn giammai damme aè cersre ;
Nè bisogna al buon cor verga nè sproni.
Perchè '1 dritto srnticr d'onore otserve.
Non van con tal romor folgori e tuoni
Per l'aria errando alle stagion proterve,
Che'l prode Eretto per la schiera avversa.
Che lotto il suo poter nel padre versa.
Perch’al primo passò la destra tempsa,
E tutta r altra poi 1' agula spada ;
Ma la Fortuna sua men dura ed empia
Ebbe il secondo poi, che vuol, che vada
11 Colpo iodaruo, e non del lutto adempia
L' incominciala pria mortale strada ,
Cb* entrò nel petto, e non andò si addentro,
Che polcaae toccar dell’ alma il centro.
Dona nn colpo a Nabon, che più vicino,
E con forza più grave il vecchio offende;
Ma fu d' ottima tempra, e troppo fino
Il ferro, che la testa gli difende ;
Pur del grave suo peso, a capo chino,
Totli smarriti t sensi, si distende;
Poscia in verso Agmgrro il brando mosse,
£ *1 destro braccio iu alto gli percosse, ;
Tale all* alto valor, ché 'n core avea.
L'invittissimo vecchio allarga Ì1 freno.
Che quello stesso allora esser credea,
Ch'ai verde tempo, e di vigor ripieno;
£ tanto ultra varcò, che uuii polca
Ritrarsi indietro, ch'a'oemiri e su seno.
Nè sbigollilu vico per questo o stanco,
più che fosse ancor sicuro e franco.
Per cui gli fe* cader la spada a terra:
Così impedito t* uuo e Tallro duce,
Trìonfatur della pietosa guerra
In secato sentiero il padre adduce ;
Ma io questo mezzo si rislriuge e serra
Gran gente, che di nuovo riconduce
Brunoro il Nero, c'I forte Graredum*,
Cou altri cavalier, che'iilornu son«>.
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L’AVARCHIDE
tlTìl
E redemlo toHiar V unico alnolo,
Rilorna indietro il fiiovtn valoroso,
Com* aquila Ulor, che stenda il volo
Verso U suo nido in alti monti ascoso.
Là dove ai cari (if’li io aspro duolo
Ha vedato il serpente esser noioso;
Così fece e^li, e poi miaacria e pre^a
Sì, che rordin aostien, chc'ndietro piega.
zxxtv
Viene in si gran furor, che come egli era.
Senza gran compagnia, ratto si mosse,
E per entro passò la stretta schiera.
Non curando dì lei piaghe, o percosse ;
£ giunge a forza, ove a battaglia (era
Tniova i buon cavalicr, che Parme rosse
Avean fatte a più d’nn dì quei, che stanno
A cerchio intorno, c con men gnardia vanno.
txtni
Ha spinge io gnisa tal la gente nnova,
Che poco altrui virtù può quivi oprare,
Che la schiera percossa non sì muova
Per viva forza indietro a ritornare ;
Tanto che *n breve Eretto si ritruova,
Che pnr vuole ostinato contrastare,
In mezzo quasi sol degli inimici,
E tra le avverse insegne viocilrid.
LXXV
Come ba scorto del vecchio il pio figliuolo
Il subito arrivar la nobil alma.
Quasi che per lassare, aperse il volo.
Di lei spogliala la terrestre salma t
E se pria la bramò per P onor solo.
Or per doppia ragion ricerca palma;
Ei volea molle cose indarno dire.
Ma gli contese il duol la bocca aprire.
LXtX
Patride al cerchio d‘oro, c Hatagrante
Eran con lui rimasi, c'I suo Plenoro;
Di tulli quanti qtiri, eh* aveva avante,
E che mal grado lor disgiunti foro:
Or già, come leon per fame errante,
Con aUissirae grida vira Brunoro,
E qnai quattro cinghiai nei lacci avvinti,
Scontra i guerrieri alla difesa accinti.
LKXTl
Por con discreto avviso in mezzo il melte
Ove più mostra il l»co esser sicuro:
Poi rivolle tra lor le spalle e strette,
Fanno intorno di lui difesa e moro ;
Ma non mollo così P impresa stette,
Che ’l gran popui, che virn noioso c duro.
Apporta sopra lor sì grave incarco.
Clic da doe parli già s' ha fatto il varco.
tsx
E contea Eretto sol muove la mano,
£ di punta mortai lo scudo roglie;
Ha r altro il porge innanzi, e *1 tien lontano,
E tutto indietro, quanto può, s'accuglie:
Passò il colpo tutt* olirà, ma fu in vano,
E non ben di leggieri indi si scioglie,
Che per tirar, eh’ ei fesse allor la spada,
Di riaverla mai non trovò strada.
LXXVIl
Già si Imova Patride sulla testa
In tal guisa percosso da Brunuro,
Che come morto alla campagna resta ;
Il medesrao avvenuto era a Plenoro ;
A cui la gente d' ogni parte infesta.
D’intorno sta, come mastini ai lom }
E mille colpi asprissimi gli han dato.
Tal eh' anch' ci senza sensi è riversato.
LXU
Onde irato Bnuaoro in dubbio resta,
S* ci debba ivi lassar la bda aita;
Ha il giovinetto ardito pria la lesta,
E la spalla dipoi gli avra ferita;
Pur r una e T altra fu p«sco molesta.
Nè la forza, o la vista gli ha impedita ;
Che sì salde eran i' arme, ed ei sì oppresso.
Che ’l colpo ne sccndca frale e duncsso.
txxvtn
Riman sol Halagranle, c *1 padre e ’l figUo
Il coi sommo valor pur non s’ arrende ;
Avea 1 famoso re fallo vermìglio
Tutto il lerren, dove la spada stende :
Imnnio il Provenzal passò dal ciglio
Tutta la fronte, onde lo spirto rende.
Dicendo: Appressa pur, turba negletta.
Che non mi anciderai senza vendetta.
LXXIl
Tirò Brunoro, e quale iinpiagatn orso,
Toma a ferirlo miridiale e crudo,
E Gaiindo e Margoiidu è seco accorso;
E gli rendean del vel lo spirto nudo,
Se, tcome leopardi, al suo soccorso
Patride e Malagrantc non venia
Col famoso Plenoro in compagnia.
txxix
Con cosini poscia, del medesmo nido.
Uccise Arpalione e Perifete ;
Ma sempre a lui congiunto il figliool lido,
Come fieno il villan, la gente miele.
Pur ai grande è lo stool, che corre al grido.
Come i cani al leon, eh' è nella rete.
Che la forza e ’l valckre in van s' adopra,
S’ altra aita maggior non viene all' opra.
tzxm
Non si porria peour l’alto valore,
Che mostraroo quei quattro in tale stalo;
Ma chi vorrà narrar 1' aspro dolore
Del magnaniino re, poi ch'ha tornato
11 volto indietro al njarzial rumore,
Nè il suo caro figtiuol si scorge a lato; .
Ma il sente e vede, che da lui ben Innge
Ridoto è inturuo da chi 1 batte c punge.
LZXZ
Ha il famoso Boorte, che non lunge
Co’ suoi levi cavai ferendo giva,
Come a lui messaggicr volaodo giunge
Di quanto in dauno loro ivi seguiva,
Con sollecito core il deilricr punge.
Dot' è dell' Baro 1' arenosa riva;
K seguilo da' suoi, quanto piò puote.
Per traverso i nemici a^pro percnote.
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l’ avarchide
*■
tnxt
msviit
Qn«l r ntÌT* lUfìon Ulora avviene.
Li non ad on ad un, ma a tchìera a schiera.
Quando il più caldo dì le piappe feode,
Stende totli all' arena, e molli nccide,
Che d'atre aobl ioghirlaodato viene
Nulla parte di lor rimane intera.
L'Anatro, che aorra il mar l'aH distende;
Ch’ove insieme gli scema, gli divide;
£ scorando le luci al del serene,
InGn che Marebon della Riviera,
Cerer, Bacco, Pomona, • Palla offende
Che par rhe ori valor troppo •' alTSile,
Con prandine Mssosa, orrida, e eroda,
Con gli Attobrogi snoi ristretto Iniove,
Che le piante o la terra ha fatta i|;onda.
Che spiegate l’ insegne incontra muove.
Laani
LUXIX
Tal sopra i noi nemici allnr Boarie
Tosto chc'l vide tal l'accorto dnre,
Il valore e '1 fnrore tu no distese ;
Cangia a' consigli snoi novelle forme.
A qnesi» aspro minaccia, a quel dh morie,
Che '1 fren tanto ritien, che si conduce
L' nno empiè di timore, e 1' altro uffese ;
Uarabon per ferire all* ullim' orme ;
Poi rotte avendo le primiere ptirie.
Apreii poi nel mezzo, e i suoi riduce
Intento solo a «quello il srnlier prese.
Egualmente divisi in doppie (orme;
Ove il re Lapn, e 1' onorato liplio
E nel lor de«lm, e lor sinistro lato
Giunti crao ambo all' allimo periglio.
Dietro agli ssrdio primieri è ratto entrato.
Lixaiii
xe
Perchè quel sen/a scado, c tenia spada,
Cosi 1* aste schivando delle fronti,
Che gli si ruppe in ntan, si vede, e lasso;
Con sua più sienrtà percnote i fianchi.
Il forte Eretto ha l'elmo su la strada,
In prestezza colai, di' ancor che pronti.
£ del destro braccial si trouva casso :
Voltar non ponsi, ove la forza manriii ;
Pur con 1' altro a guardar la fronte bada.
Posria entrato fra lor, confusi monti
£ cui brando, eh* ha intero, Cuopre il basso;
D'arme e di gente fa, che vinti e stanchi,
Il terzo è poco men che sbigottito.
£ calcali son tutti dallo intoppo
Chc'l sinistro ginocchio area ferito.
Feroce de’corsier, che pesaa troppo.
LXXXIV
xet
Come al tempo novei dopo la pioggia.
Ua con sommo valor sirnra strada
Che da iCefìr sospìnta inondi e bagne ;
Ai suoi mostra il magnanimo Boorle;
Che veder ponti in disusata foggia
Sempre ha in danno d' alcun la grave spada
L' erbe abbattute, e i 6or per le campagne;
Di sangue aspersa, e di color di morte;
l,he Itnl poi chiaro e bel, che io alto poggia,
Tosto eh' fi può trovar chi incontra vada,
Porli dolce conforto a chi d lagne ;
Gli mostra aperte le tartaree porle ;
K di sì bel ristoro il mondo adórni.
£ di sluol popolare fscrist ha tanti.
<^he quanto era il dolor, la gioia tomi ;
Che del credere uraan vanno più innanti.
txxxr
XCII
Taì fur da prima, e lai sì fero appreuo
Poi tra* duci Aretaone e Pldila,
I gnerrier di fioorte all' apparire;
Del Koitan nati alla sinistra riva,
Per timor più d' alimi, die di se stesso,
Dentro la nobil Vienna, in cui gradita
Cile nessun cura il proprio suo morire:
Di Roma è ancor la gran memoria viva:
Or poi che 'n fra le schiere oitra t' è messo.
Fo quella offriu di mortai ferita.
Con r urto del cavallo, e col ferire,
Ove al collo congiunto in allo arriva
Si larga e bella piazza intorno face.
Della spina dei dorso il nodo primo.
Ch'ci può l'arme ricor, ebe 'a terra giace.
£ traverso il tagliò dal sommo all'imo:
txixri
xeni
Aipon sopra i destrier, eh' area de'sooì,
L’altro nrl destro lato fu percosso,
11 vrcrhio re dell Orcadi, e *1 bgiinolo.
Ove Tornerò al braccio si cuntirne;
Fatride al cerchio d'oro, e gli altri du«i,
£ tutto interamente tagliò l'osso,
Che fur feriti dal crudele stuolo,
Che più largo e sottil di dietro viene:
Che pos«an dare ai loro ordine; e poi
Isaodro ancor, che da pietà commosso,
Quei sicuri lassando prende il volo
Di vendicarli avea fallare spene
luvcr firunoro il Nero e Terricano,
Con la testa in due parti compagnia
Che * 1 ) luogo eran dì là poco ioutauo.
Fece ai cari ctigio per l'atra via.
f.xxxni
xerv
£ messosi tra loro, ambo gli atterra.
Melanzso poi che la nevosa valle
L'un colla groppa, e l'altro eoo la testa.
Drir aspro Tarantasìo patria avea.
Del suo nobil cursicr, che in aspra guerra,
Cito la testa tronr^ta dalle spalle
Or col piede, or col morso altrui molesta:
Diè fine acerba alla sua vita rea,
Poi nei popol vicin ratto ti serra,
Che quanto ivi contien l'alpestre calle.
Che 'n nuova tema, e sbigullilo resta;
Di giogo iosopporUbile prrmea ;
1 Cir ove pria sì credea vittoria avere.
Nè vi poteva alcun go«Ìer sicuro
1 1 due duci miglior vide cadere.
La famìglia nè i ben, iiè il patrio muro.
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9 '
Adr«ito poi, dtl qual mai piti felice
f^OQ vide alcun la rapida L̻craf
Che ipota area la rafia Berenice,
Che fu dell' alma lua la vita iulerit
Per le man di Boorte, I* infelice
Innanzi al mezzo dì fu giunto a sera,
Ch* alla gola Ìl percoue, ed eì morendo
11 tuo lontano amor, chiamò piangendo,
acri
Ha il raloroto Lago, eh*é dìaciolto
Dal numero infìnìlo, ch'area intorno;
Sopra 'I cara! montalo, e ’n tè raccolto,
Alla guerra iotermesta fa ritorno,
Dicendo agli altri con allegro rollo:
Or gimo a rendicar 1’ avuto (corno,
Che ben provvide il ciel fidale icorte,
Poi che qua fpuiac il nobile Boorte.
acvu
Coi! col figlio Eretto, e gli altri iniiene,
Ove la gente avversa è più ristretta,
Con impelo crndel la punge e preme,
E sottosopra attraversata getta;
Quel morto è in tutto, e quel languendo geme,
Quel d'uscir della calca io vao i* aiTretta,
£ quel, che più scampar crrdea la vita,
Più dagli ilesù amici 1* ha impedita,
xcviii
Pur fra quei, che fnggir, resta Piroeo,
Che ’n sul lago Lemanno avea la sede.
In cui gli abilator del fcrtil loco
Avran, più che io alimi, speranza e fede;
E quello Dio fra lor, ch’ha in guardia il foco,
Il sommo sacerdozio gli concede;
Ma questa volta, ìnvan da Ini pregato,
Non potè in suo (avor vincere il fato;
Ma il braccio contro a quel sì forte allora,
Verso il giovine ardito or parve frale,
Perch* ove più il ginocchio spinge in foora,
Percole iuvao, eh' a trapassar non vale;
£ l'altro a lai nella medesim'ora
Sovra il collo drizzò colpo mortale,
Che 'n basso gli gettò la fronte d'alto,
£ fc'in terra rotando amaro salto,
etn
Patride al cerchio d’ or 1’ empio Proete
Con la gola impiagala morto stese.
Coi di torlo regnare iogìnsla tele
Indusse a tal, che *1 proprio frale offese ;
Nè il SCO della pia madre Filemele,
Nè r aspro lagrimar, lasso, il difese :
Dopo il qnal fu tiranno ingiuslo ed agro
Luogo il Rodan del popolo Vcragre.
CtT
Plenoro, eh' abbiUolo era por dianzi,
E ch'ha d' offender qnei dritta ragione;
Come gli altri a cavai si mette innanzi
Là, dove incontra il misero Ezione,
Ch'a* dolci versi e placidi romanzi,
Piu eh' all’ opre di Marte, studio pone ;
Ma segala Gracedoo della Vallea,
Che di lui spesso adir diletto arca.
CT
Tra lauri, aranci, e mirti era nodrilo
De' colli Provenzai, ehc'nconlra stanno
Al mai sempre a' nocchter securo lito,
Che le Slecade incerchio all' onde fanno;
Or qai l'empio deslin l'ha fatto ardito
Di gir contro a Plenoro a suo gran danno;
Perchè, mentre eh'ei pensa ove ferire,
Può il cor sentir di greve punta aprire.
Che mentre al vecchio re con l’asta intende,
Disegnando a ferir quello e'I destriero,
Nel forte scudo di traverso il prende,
E sfuggendo ha fallitu il suo pensiero;
Ha il re spronando avanti io basso scende
Un colpo, che '1 trovò dritto al cimiero,
Ove sopra la incude avea Vulcano,
Ch' un doralo surtel sottieoe iu mano.
Pianier le Mnse aUor, ma non poterò
Col dolce lagrimar disdire al Fato:
Matagrante anco spinge il suo destriero.
Ove scorge Scamaodro a lui vullalo ;
Dona un colpo alla spalla, e tutto iulens
Il braccio della spada gli ha troncalo:
Cadde ìl meschino, e piange entro al suo seno
Che lassò mal di Sorga il lito ameno.
Quello abbatte lootan, poscia divisa
La celata, ch'avea di doppio acciaro,
Là fabbricala in maeslrevol guise.
Ove il Rodan riprende il corso chiaro.
Da' servi del suo Dio, eh’ all' opra arriae;
Ma non per tutto ciò fé' gran riparo.
Perch'olirà ancor la già sacrala lesta
In due parti disgiunta iu essa resta.
Or poi che vendicato In maggior parie
Ha gli oltraggi sofferti da' nemici,
L'antico re dell' Orcadi si parte,
£ torna ove aspettato è dagli amici.
Che sbigottiti ancor sono in disparte,
Seni' ordine tener, lassi e 'ofetici,
Come greggia in tra lupi, che lontani
Aver senta da lei pastori e cani.
Ucciso Eretto avea Bellorofoote,
Che così a’ appellò cosini, che nacque
Nelle fredde radici del gran monte,
Che a Lisera dà ber le gelide acque ;
Perché là intoruo al ano nevoso fonte,
Vinto per le sue man», e morto giacqtse
Un mostro rio di vista orrenda e fera.
Che fu simil tenuto alla chimera.
Ha qnando vider lui lieto apparire.
Come sceso dal eiel gli vanno intoruo ;
Ivi ciascuu narrando vuole aprire
Il riccrnto danno, e ’l sommo scorno ;
Di vendìcarse ogni nom mostra desire,
Pria che nell' Ocean s' attnffe il gioroo ;
Poi sopra la Fortuna, o in altrui pone.
Di quanto avvenne, lor, I’ aspra cagione.
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L AVARCHIDE
cn
n Tiloroso re cifrano esrolu
E come il merlo chiede, or bieimà or loda;
Scoia r alimi fallire, c 'd meglio il rolla,
EtalU il forte oprar, che 'I liaoa ne goda;
Poi la geote, che fu diigiuaU e iciolla.
Alle iatermeue achiere io oo raAnoda;
Coli ridoni alla roedcima via,
Coa Ui parole alla balUglia ìbtU:
ex
Maraviglia boq lia, a* awiea talora,
Che ì piu forlì guerrier ai veggiao violi.
Che DUO aetopre la graaia in boi dimora
Del ciel, cb'a bcoe oprar oe lieoc accioli;
Lo ipiat aovente I tool piò rari ancora
Con avversa forlona ha in basso spìoti,'
Per ammooirgli e rendergli piò accorti,
Cb* al sommo del soo beo gli ha poscia scorti,
rxi
Bendiam por grazie a Idi, che ne dimoitra
L'errore, ove il più saggio più s* inlrica,
Che non è la viUoria io forza oostra,
E ’ndarno senza lui T uom s’ affatica ;
Ben sempre gli è nelle terrene chiostra.
L'onorala virtù, sovrana, amicai
CuB la fpial dunque, e con la sua speranfa.
Seguitiamo il rammìo, eh* ornai n' avanza.
CANTO VI
ARGOMENTO
iVcfue ìa pu^na onror, «' il fiar Boorte
Vrcide a miiU a milU quei tF Ai-arco:
A'è Oruscheno tntute avrien che npporte
Ferrndolo col suo destrinim* arco;
Ch'egli d' m ntraao a suoi gli arreca morfr,
iC di rito A’erraltó fa pur scorro;
Trappassa ancora il biondo sposo Urlino:
Ma piagne poscia il suo fatai dettino.
Ta lai parole aU'ordin suo primiero
Bicondotlo riascno, muove i battaglia:
Ma io altra parie vincitore altero
Rompe aflìoalo ferro, e salda maglia
Il famoso Boorte, e già 1‘ impero
Di lutti ha in mano, ove t nemici assaglìa.
Che di lui sol 1’ aspetto c sol la voce.
Più che '1 ferire altrui, spaventa c nuoce.
Il
]| grave srado d'ermellini adorno.
Con tre purpuree bande, che gli cìnge,
Adoprava il meslesmo quali Ìl giorno,
Che di Medusa il capo si dipioge,
Che per fuggir da lui la gente intorno,
L'un r altro con timore urta e sospinge:
Così Irioofator per tutto giva,
E nessun piò dì rigOArdarlo ardiva.
m
n cimicr, ch'isna fiamma sosUoga,
Che di vivo piropo avea colore.
La vaga stella, e lurida parca.
Che davanti all' aurora spunta fuore.
Nella secca slagion, che all' onde rea,
N* apporta Febo al sno più grave ardore,
Che vien più sfavitlaole c più soave.
Ch'altea luce, che ia mar le chiome lave,
IT
Dopo n foggir di molti, alfia rìtruova.
Ove per altra strada ai danni grevi
PaUmoro ha condotto aita nuova,
De' SUOI cavai, ch’ai corso avea più levi;
Cosi la crudel gnerra si riaouova,
E chi cadeva pria, par si rilevi,
E Lsl rìpreeda ardire, e lai vigore.
Che già’l vioto mioaeda il viocilores
T
Non tarha cìò'l magnanimo Boorte,
Anzi più lieto assai nel cor diviene.
Che gli sembra onorato per vie torte.
Chi per r alimi fuggir palma sotlieoe ;
Or che seatc i nemici avere scorte
Di maggior forze, c sii virtù ripiene.
Spera, quelle abbattendo, dritta lode
BìporUrne più chiara, e 'a se ae gode.
VI
E gli pare or trovarsi a guerra eguale,
Cbe d' arme e di cavai sembiaule fosse ;
Or qual rapace uccel, che stenda l'ale
Alla preda affamato, il destricr moue {
Batto Esclaborre tra i priemier l'assale,
£ eoo r asta durissima percosse
Lui, che la spada ha sol, ma il curò poco,
Nè per colpo caogiò peasicro o loco.
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L’ AVARCIIIDE
TU
Nè io «lira ^uiia all' orrida tempeila
J)è in aspro *cosl>o UinucoUta nave,
Ch'ci non ai rrotia pur, ma quella retta
HiiUa e aommrraa, a ae niedcsma grave;
Cotal la lancia vien poro moietta,
A chi apuDla ogni forra e nulla pavé ;
Ma ai ruppe ella io vano, e lui pattando,
Boorte nel rimier ferì col Lraodo.
XIT
Or atterra i ravatU, or quella gente,
Ch' ai suo sommo poter vuol contrastare ;
Come talvolta il rapido torrente.
Quando armato di piogge i' austro appare,
Allor che '1 sol dupo la bruma algente
Suol deir Alpi canale il pel cangiare,
Ch'ei per doppio vigor leva la fronte.
Scendendo andito e minaccioso U monte ;
Ttll
£ fu il colpo cotal, ch'ai greve peto
Non ai può auttener dritto Etrlaborre,
Che quanluoque non tia di piaga offeto,
Coovieugli al auo Uetirier l' ine arco Iurte ;
£ tosto cadde sul sentiero aleso,
Qual d' alto in basso fulmioata torre;
L'altro senza guardarlo a terra il lassa,
£ aopra t suoi compagni innanzi passa.
XT
£ coi ponti sommersi a forza mena
Qualunque arbore incontra, argine, o sasso, '
Biade, armenti, pastor, la mandra piena
Degl' infelici agnei conduce in basso ;
Pur giunto alfin sopra 1' antica arena.
Ratto c vitlurioso allarga il passo ;
E quanto ivi la valle e 1 pian si stende,
Al suo impero nove! suggello rende.
IX
Olirà I monti Navarri ove a Paleosa
Va irrigando U terreo Ltoia e Ditero,
Kradmone area, rhc fu d'alta ereellenza,
Io sacre leggi espor dritto e aevem;
Tal eh' a luì fu con somma riverenza
D'ogni lite eslricar dato l' impero;
£ ’n supreme ricchezze dae figliuoli
Locaatro e Geailco si trovò soli.
xvr
Simil a lui '1 magnanimo Boorte,
Quel giurao par fra le nemiche schiere ;
Qiietle a fuga rondiuna, c quelle a morte,
Or col ferro, or cuo 1' arto abbatte e fere ;
1 miglior duci, e le più altere scorte
Non p<»Dno al greve caso provvedere.
Che tate stringe ogn' nom timor di Ini,
Ch'ei non sente se stesso, e meno alimi.
X
I qual semplici allor, le paterne orme,
Come spesso addiviene, ebbero a sdrguu,
£ di quei cavalìer seguir le torme,
Ch* EsclaboTTe teoea sotto Ì1 ano regno ;
Or luì vedendo, eh* abbattuto dorme,
E piò di morto, che di vivo ha segno,
Si divison Ira lor da riascon Iato,
E'mprovisto U guerriero hanno scualratu.
XVII
E 'n van snnie minacce, e ì preghi in vano,
E i ricordi d'nnur non han più loco;
Non giova contro a lor mover la mano,
Perch’ ogn* altro morir paventan poro;
Ogni alto duce e eavaliero Ispano,
Ch’ ivi erano i maggior, setnbran di foco
Per lor privata e pubblica vergogna,
£ di quei rilcuer ciascuno agogna.
XI
E ben seco pensar di pia vendetta
Gloria portar sopra l'ofTeso dare;
E '1 feri Gesileo dove più stretta
La cintura alla destra si condure ;
Lordato alia sinistra, ove d'eletta
Tempra sopra le spalle il ferro loee :
Ma gli fero ambe due sì lieve danno,
Che 'a duol sovcrcliio c meraviglia slaiiuu.
XVIII
Ma come ogni fatica indarno spende.
Chi vuol 1* omia serrar, eh’ a preso il curso;
Che può qiirlla veder, eh' ha destra scende,
Pt»i che nella sinistra avea soccorso:
O rhe da tergo il leve passo stende,
Allor che nella fronte è posto il morso;
Poi eh' abbondata al fin cresce il furore.
Ogni freno sprezzando esce di fuore ;
Ha il ravalicr di Cave al più vicino
Dentro al rovo del pellu addrizza il brando,
E delle rhinse coste apre il cuiiBiio,
E '1 può di vita e del destriero in bando;
Gesileo, eh' alla destra era io cammino,
£ *1 fratei d' aiutar giva cercando,
Sopra la lesta di traverso fere,
E non lungo al primiero il feo cadere.
xix
A quei duri Ìl medrsmo avvenoto era,
Che'l timore aflrenare ebbero speme;
M.s il friore Boorte or quella schiera,
Orqiiest'altra, ch'ri truova, abbatte e preme;
Or urlla fronte lor, rhe va primiera,
Or con gli iiUimi andar <ì vede insieme;
K sì altra talor passato ha il varco,
Ch'ei non sì disceruea da qoei d* Avarco.
xm
Quei, rhe 'nlomo segoìiDo i buon cortieri,
Ch'ivi de* lor Signor ivan disciolli.
Porgono ai dolci amici ; e cavalieri
Fan gii stanchi pedestri, eh’ erau molti;
Sprona il prode Buurle, ove più feri
Scorce in arme i nemieì, ove più folti,
E gli umilia in tal sorte, e gli dirada,
l.li’t>vuo«}uei muove il piè, truuva amjiiattrada.
XX
E gli tanto piegava «1 fero assalto.
Che indirirn si foggia tolto quel corno,
S' al gran bisogno subito Verralto
Non venia con gli arrier, rh' aveva intorno ;
E seco era il possente Mnrassallo
('.un qari della Granala al mezzo gioroo;
Dniscìieno c Loto, il dure d' Aragona,
E Hoderco co' suoi dì Barzalona.
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L AVARO rUDE
Ali' apparir cle'quaì ripreadr arrltre
Dt qiiri, rhr ci fiijzpan, la miftlior parie;
Ivi altro nitrivi» modo han di ferire
DI loiilan quelle feruti, r *ii |;im «parte;
Pitro piiote il valore incuntra pire,
r.h'han più che di lenn, di volpe Ì’arle|
E |(ii piò d’ nn fatnoto cavaliero
È ferito da lur, più d' nn deatrìcro.
■os«e il fido Baven tutto pietoto,
E di tema ripien del colpo rio,
Tirò lo strai, che intorno sanguinoso
Della placa stillante fuori nteio;
BiHirle schivo ancur d* opni riposo,
Hivolto al del diceva; O lame pio,
Cli' accendi opti* altro, e fida scorta sei
Dei migliori, abbagliaodo ì crudi e rei :
Non però di Boorte la virtnde
Per novello arddeate anco vico meno :
Ma con più sJepno, e più fnror si chiude
Deir aperte ali nel profondo seno;
Nè pran ferro aCocato sopra ìncode
Halle mai fabbro, allor eh* al suo terreno
Vuol dare il pio cultor sementa nnova,
r.h' al vecchio aratro il vomero rionuova ;
Se* li fn a pradn mai l*a]la sperania.
Che 'n te sol ebbi, e non altrove nnquanco,
Venpami oppi da te forza e baldanza,
Che la mia spada, o 1 cor non resti stanco,
Fin che Drnschen, eh' ogni perfidia avanza,
Per (questa mano ofTeso venpa manco,
E ch'io dimostri al mondo, che mal vada.
Chi non tepiie de’ tuoi la dritta strada.
Com’ ei senza arrestar la prave spada
Sempre menando a cerchio pii percuote ;
Quel pon morto riverso so la strada,
i^iid della mano, e quel del braccio scnolc)
(^ueH'orta eoi destrirr, mentre ch’ei bada,
Uve alcuno impiapar più dritto pnole ;
Tal che sol di lunian fallaci e lenti
Pofl commettere t colpi in aria ai veati.
Colai dicea. nè par finite a pena
Area le devotissime parole,
C.he le membra leppier, salda la lena
Trnova, e piò fermo il cor di quel che suole ;
Già sente asciutta la percossa vena,
Nè I* omcr l' impedisce, o *1 colpo duole;
Sprona lieto il cavallo, e si rimette.
Uve non cura ornai dardi o saette.
Ma 11 rio Dnisehcno, che in Valenza nato
Tra 'I fiume Goldamoro era, e la Sema,
Poi rhe sente il sno popolo affannalo.
Di morte in preda, e di soverchia tema,
Quanto pnò ascoso si Uro dal lato,
Ove Boorte allor la pente prema;
Poi tende I' arco, e di possente strale
Addriaia verso lui colpo mortale.
XBT
E nell* omero destro il prese a ponto
Ove più la corazza in basso viene;
Passa tulio oltra, e pii ha quel Iato ponto,
Da cni con molti rami escon le vene;
Lieto prida Dmseheoo: a morte è pìnulo,
f'.hi dava ai nostri inevilabil pene;
Non sia ehi tema piò, signor d’ Avarco,
€h' alla nostra vittoria aperto è il varco.
Che se pria tra* nemici ardito e forte
Fu piò d' alcun, come mostrò 1* cffcllu.
Or che pU sembra aver divine scorte.
In tre doppi valor gli crebbe in petto;
£ con piò gran desio dell* altrui morte.
Entrò tra ì primi, ov*é lo staci piò stretto,
Avendo sempre la crndcl ferita
Piò nel cor, che nell' omero, scolpita,
xxzti
In guisa di leon, che levemenle
Fn ferito al princìpio dal pastore,
Che difendea la greggia e 'nmantencntc
S* asct>se in parte di periglio fnore,
Ch'ei dell'ira novella ha il core ardente,
Né ritrovando quel, di'ppia il furore
Sopra l'abbandonala e poverella.
Che col morso, e col piè strazia c flagrila.
Di tatti quei d’ Arturo oppi il mipltore
Fia scarro per mia man dì vita ornai ;
Hivestiam pare il solilo valore,
Per tosto vendicar gli avuti gnai ;
Or risorge per me 1' ispano onore,
r.he piò che '1 chiaro sol dispseghe i rat,
Ovnnqoe arco si tenda, o spada stringa,
K quanto i* Oceano intorno cinga.
XX vn
Cosi dicea vantando Ì1 fero Ispano,
Che Ini morto eredea, che rive ancora;
Boorte io atto di timor lontann
Chiama Baven, che presso a lui dimora;
Or non vi pesi, o caro mio germano.
Di trarnsi il ferro della spalla fuora,
A ciò ch'io posea ì fatti, u i detti almeno
Vendicar di mia man sopra Drusclieno.
Tal è il chiaro Boorte tra i nemici,
Ove uccise con molli il feru Ormeau,
Che già fu numeralo un dei felici
Signor, ch'avesse mai Valenza in seno,
Htceo d'alti tesori, e piò d’amici,
Che 1 facevsn gratissimo a Drusrheno ;
Or per piaga, eh' al petto s'attraversa.
Lo spirto e 'i sangue doloroso versa.
xxxrv
Perconlc appresso Ippenore, eh* adduce
Sotto Loto ì cavai, ch'avea l' Ibero,
E *t passò tulio dalla destra luce,
Fin dove ha la memoria il seggio altero ;
Lo scndier di Ituderco il nobii duce,
Che sopra il Cataau reggeva imperi»,
Asiinoo detto, sopra I' erbe stese
Ui uiorlal colpi», rhe nei collo scese.
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1
loi L AVARO H IDE ^ lo^
XU»
RÌ«poadr j Ini Boorle: A qarl chf «*Abbi«
Di me difillo il Clel, m'arqnetn in pare;
Si »per*iu por eoo lui l'iniqua rabbia
0|t|ci domar del popolo ra]»are,
E 'nsan|;iiinar Ir ditpieUIr labbia
Di Druarheno inCrdrl, vano e fallace;
E *1 perno ritrovar beo tosto fune.
Se dentro Avarco per timor non corse.
IVI
Ginogein al fin, rhe molti ravalieri.
Che stretti roo Vernilo erano insieme,
L* han cinto intorno, e d' aspri colpi e feri
Ciasriino il Gallo doramrnte preme :
Ed ei, come in Ira i deboli levrieri.
Forte rigati, che i morsi lor non teme,
Trapa«s(à dentro a fnrta, e Drn«chrn truova
Rivolto a lui, poi che ’l fnggir non giova
t
Coti mentre direa, spronando gionpe
H drappell' empio alta sua niurte inteso,
E roQ dodici lance intorno il punite,
L* un dopo r altro con orribii peso ;
Cbi nello tendo, ehi nell’ elmo apgidtipr.
Chi l'ha nel petto, chi nel fianco offeso:
Ei, qnal robusta querria, rrsta in piede.
Ne* primi colpi, che 1 paetor le diede ;
LVil
E d’ offenderlo tenta, ma la mann
Trema di tanto dace ai grave aspetto,
Dia in leeura parte e dì lontano
Ferir, oairosa tra lo slnol negletto;
Ma il feroce gnrrrirr noi coglie in vano,
Che gli pose la spada in mezzo il petto,
E tatto oltra il trapassa, e d* urto poi
Gettò il cavallo, e lui stese fra tnoi,
M
Che ben crolla le frondi, « i rami srnotc,
Ma il sostegon maggior «aldo dimora.
Il famoso guerriero a cbi ’l percuote,
Nella cuisa meiiesma parve allora:
Chiamai Drtitchrno, *n mìuacriose note
Gli dire: Or ti vedrà, sr'l Cielo ancora.
Come già vi scampai dal forte strale.
Or dalla lancia mia salvar vi vaie;
tvin
Dicendo: Or vedi ben qnanto oggi sìa
La lancia, chr lo strai, di maggior peso
(Fallace Impano) e gloria non li fia
D’aver Boorte in tradigìone offeso.
Indi verso la schiera il passo invia,
(’h* ave il fugace arcier si mal difeso,
Minacciando; Or drizzato il torlo altrui,
Darò, chiari signor, risposta a vui.
Lll
O a* ordinato ha par, ch’oggi Boorte,
Che tra ’l pia basto sluni ti ardito rienr.
Debba in man di Druschen'giugnere a morte,
E deir Euro arrossir le bianche arene,
Sicché '1 tuo sctidu e 1' arme ne riporle
Là, dote Licaon lo scettro tiene.
Per appenderlo al tempio, a gran memoria
Deir avuta di lui chiara viUoria.
I.IX
Verrallo il primo nel voltarsi occorse.
Che coi Canlabri suoi vicino il serra;
Cni la pesante spada all’ elmo pnrM^,
E l'orualo cìmier gli manda a terra;
Nè gli noeque olirà più, perch'ella scorse
Torta più iu basso, c lo spallacrio afferra,
Il qnal tutto fiaccato tanto scende,
Ch' ove ha il braccio eonfin, l'omero offende.
LOI
Quando tenie Boorte, che Druscheiio
Era in fra quelli, e Contro a lui ti vanta,
Divien qual serpe, rhe del prato in seno
Al ealdo tempo de'snoi fior t’ammanta;
rh’ aitando il capo accoglie ogni veleno.
Poi che fu pretta dall' incauta pianta
Del pastor pio, che ’n quella parte piega.
Mentre ai piccioli agneì nuova esca tega,
r.x
E gli fece di man la spada n«cire.
Tal gli ha tutto impedito il destro lato;
Sopra la testa ancor torna a ferire.
Che di enndurlo a fine ha desliuato;
Ma qneglì ha con dne man, per ricoprire
11 colpo, che venia, lo scudo alzalo ;
In cni l’aureo leon, che in ostro assiede.
In due perii diviso a terra vede.
ttr
C con tre liogoe sibilando volge
Tntta Tira ver Ini, che’l cor gli avvampa,
E ’utomo al piè nemico si ravvolge,
E ’l dispietato dente in esto stampa ;
Tale il guerrier dagli altri ti disvolge,
Né cara tien di dii ver lui s'arcampa;
Ma tol cerca Druschen, lui segne solo,
£ tol cootra di lui distende il volo.
LXt
E scampato gli ha bene acerba morte,
K 'n«ingiato il «epolcro in altro lito,
Che’l colpo micidiai fn di Ul sorte,
Che ’n fili sopra 1' arcion 1’ aria partito ;
La terza volta ancor l’aspro Boorte
Il brando abbassa, e nel medesmo sito
Ritornando più volte, ha ferma speme
Di condurlo ìa tal guisa alt’ure estreme.
LV
L* altro, che teme, di scampar procaccia,
E ù nasconde pur fra gente e gente ;
Qual cervo tuoi, che perseguito in eacria.
Si mischia e ’nvola ove i compagni sente ;
Ma Boorte di lui non perde tracrìa,
£ dove volga il piè tempre ha la mente,
Qual bene appreso can, che la primiera
Non vnol già mai lattar per altra fera.
LXIt
Come il saggio cnltor, che troncar vuole
Inulti pianta, che le biade aduggr.
Che nell'ìstesso luco addrizzar suole
Mai sempre il ferro, e tutti gli altri fngge,
Per render tosto al chiuso campo il sole.
Che *1 suo noccnie gel riscalda e sugge;
Cosi fece il huno Gallo, il coi pensiero
Non fa mollo lontano allor dal vero.
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l’ a V a R C H I D e
Lini
LXl
Parche non giunta Mipr^ l'rlmit a pfna
E che prrsfo di luì Clodinu avea.
P'ii PtiUinu*! prrrot»», che Ycrrallo
Ch* è fuor d' impcdimenln e dì periglio
N* andò riveriu «u la tccra arma,
Della spalla impiagala, e già leoea
Come avello troncoo, che eafigia d' allo ;
Di tornare alla guerra ivi consìglio;
Smarrili ba i leoiì, c non può trar la lena,
Brunoro irato allora, alludicea:
Non perù morte ancor 1* ultimo aaaallo
Or che alleodele, o generoso figlio
Gli ha dato al tulio, ma Boorte il laua.
DrI famoso e magnanimo Cludasso,
Come >' «i fauc estinto, ed olirà passa}
. Che lutto il popol suo ria violo e lasso ì
XLIV
LXll
Poi che vepgioQ Verrallo quei U'Avarro
E che ’olomo alle porte ornai d' Avarco
(Un dei dori rna|C|(ior) condotto a tale,
O che dentro dì lur pur sìa la guerra f
Con la schiera di i^ucì, che suol con 1' arco
Or non sapete voi, che d alma scacco
Contro ai feri nemici esser fatale;
Con Yerralto Droschen si giace a terra?
Druschrno ancor, ch'assicurava il varrò
E che Boorte dì vittorie carco.
A lotti lur col suo famoso strale.
Qual le gregge il leone, i nostri atterra ?
Esser disteso sanguinoso a terra;
Posti ha in fuga i cavalli, c i levi arcieri.
Ciascun pieu di timor lassa la guerra :
£ i pedestri più gravi miei guerrieri.
LIV
LXSM
£ rifugge volando, ove le mura
Non olTendon costor le mie contrade,
Ha per sua soia speme e per difesa;
Nr cercan posseder quel die contiene
Nessun più deU'onnr, uè d'altro cura.
Emso e Vìsrra, ove V algenti strade
Clic di scampar dalla presente o/Tesa,
Il Gennaoico mar bagnale tirue:
E con si freddo ghiaccio ha la paura
Cuntra il vostro terrea cioguo le spade.
I)i ciascun l’alma streUameate impresa,
Per vrtidk-ar le ricevatc pene
Che Tuo l'altro in cammin preme c conquide.
Dei vecebi padri lor, eh' ebber da voi.
£ per morte fuggir Tua 1’ altro aacide.
£ ì regni rarquistar, che fur de' suoi.
LITI
ixxm
Non vai di capitan prego, o confòrto.
E voi xloria d'Ibcruia, o Segorano,
Nè altero minacciar, uè forza usare.
Che restate a veder coi vostri inioroo?
Ch'ivi non si disceme il dritto o ‘1 torlo,
In fio eh' ogni soccorso venga io vano,
Nè 1 maggior o'I minor, eh' ogni uomo è pare;
Poi che fiaccato l'uno e 1’ altro corno
Quel, che trnova cammin più ascoso e corto.
Avrà de' unstri il pnpul Gallicaou,
£ può gli altri fuggendo oltra varcare,
£'l Brilaunico sluul con tanto scorno?
E tenuto da lor la scorta e*l duce,
Ove dorme il valor del sangue Bruno,
Ch' al desiato fin gli riconduce.
Che fu sempre onorato da ciascuno?
LXVII
LKXIV
Siccome addivenir talvolta suole
Non vi sovvieu, che la reale sposa
Al combattuto legno presso al lito.
Nell' assediate mura oggi si giace?
Che sì vrggia affuscar di sopra il sole.
E nella vostra man sola riposa
E ’l mar cui cielo a gran tempesta unito,
Le presenti arme, c la futura pace?
Che '1 nocchiero avveduto in alto vuole
La mia dimora in altra p«rle ascosa,
ilivoltarse a cammin largo e spedito
Nè Irate di costor 1' uogiiia rapace;
Per gli scogli schifar, ma il vento sforza.
L pur ruu tulio ciò veder potete,
E ’l fa rompere a terra a viva forza;
Quauto adopro per voi, che ’u posa sete.
ixvm
LXXV
s In tal guisa miglior venia portato
Né per voi mancherò, signor, giammai,
Dal fnror popolare al proprio danno.
Fin ch'io snsleuga in maii lo scudo e '1 brando;
E Boorte col ferro insanguinalo
Ha gli afffillì gucrrier non punoo ornai
Va doppiando al prìmìcr novello affanno ,
Contrastare al furor, che va muolandu,
E nel mezzo di lor ferendo entrato.
Ch* è giunto a tal, clic maggior forza assai
Ove più per timor congiunti vanno
Convieoti opporgli, o di speranza in bando
Tanti ha soipiuti alle TarUree strade,
Porre i chiari disegni, e gli alti onori.
Che del suo crudo oprar quasi ha pìclaJe*
Le desiale palme, c i sacri alluri.
LUX
IXXVI
Ma raccerto Brunoro, ch'ai fin vede
Or non solTrite più, cb' nu ferro sol»
D'assicurar più i suoi chiusa ogni via;
Tulli i vostri miglior cuiidura a morir;
E ’l soccorso cercar da Palamede
E che si {tossa dir, eh' un taulo stuolo
Con Tristano occupato io van saria;
Fugga davanti al giovine Booitr;
£ distratto sarà, se non provvede,
E vi movete ornai. Signore, a voto
Inverso Seguran tosto s’ invia.
Con le vostre onorate e chiare scorte :
E riiruoval, che ’n man la briglia tiene,
Faccia il vostro valor nel mondo seguo.
Per muover poscia, ove il bisogno viene:
Che di regia beltà non foste indegno.
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lOJ
L AVARO HIDE
Posse Taspro parlar l'invitto rore
B' aiiiibe i due ravalirr, rh* erano indinne;
Na tinto il volto in piovintl rotiore.
Che 1 nome di rìlli più d’altro teme.
Direa Clodìoo: Il debito r l' onore,
Che integri ron*«rvare lio ferma »peme,
H’ban qui tentilo, e '1 iarrn gìurameoto,
Che di rompere al etel troppo pavento
Lxxvm
Perchè fuor di ragion tendo impiagato
Gaven, eootro a cui aol la guerra avea,
Di far torto alla fede avrei pmiato,
5c inoaaai a qneato tempo amie cingea ;
Or ch’io veggio gli amici in tale stalo,
E coodolti da quelli a sorte rea,
Fo voto al rie), che non per fare ofTeia,
Ma per difender noi torno all' impresa.
utxiz
Cosi parlando, a Segnras rivolto,
Segue : Oourato mio rognalo e caro,
Io vi prego oggi, che tra ’l pnpol mollo,
Che 'nlorno avete ai gradilo e rhiaro,
D’ alcun buon cavalier più ardito c sciolto
Non vi mostriate in tal bisiigno avaro
A chi tanto v'onora, acciò cb‘Ìo vada
Ai miei ripor nella ttnarrila strada.
LXXXIV
Or non vi splacria dunque avermi udito,
E pensar poi di ine, a|nal sempre frtle;
E rmi qnesto lirappel forte e spedito
Con Clodin gite, ove le genti ha preste;
lo vengo appresso, e nel medesmo lilo.
Ove le schiere avverse avem moleste,
Sarò ben tosto, e spero, allor che ’ii voi
Fia maggior lo sperar, eh* or qui di noL
LXXXT
Con più qnetn parlar Brnnoro allora
Disponde : E chi fìa mai. che ’n tal fortuna
Non sia vinto dall'ira nnd' esca fiiora
De' suoi primi pcnsier, che io core aduna?
Tutto il mondo sa ben, se innanzi rh' ora,
In cooosco il valur dell' arme Brema,
E se già mille volte al paragone
Ho posto Segnran col tao Girone.
LXZXVT
(Umì risposto, col reai Clodino
Tra molti cavalier ratto s'invia.
Ove Boorte al finme assai vicino
Empia di sangue l’arenosa via;
£ ch’ha incontrato il misero Erogino,
Che *B sul vago corsiero ivi apparia
Col ricco scado, e I' arme tutte aurate.
Che dalla donna saa gli furon date.
E ’a questo meuo, voi con greve passo
Verrete a sostenerne, e dame aita,
E *1 uenico Hdor sì frale e basso,
Chela via di vittoria sia spedita:
Il prode Seguran risponde : Lasso
Mai non sarò fìa della propria vita.
Di far quanto v* aggrada, e tu voler vostro
Sìa d'avere t miglior del coroo nostro*
txxxr
E con Bmnoro poi dolce ragiona:
Vi riograxio, Siguor, dei gran ricordi.
Che srenilendo di mente amica e buona.
Non troveranno in me gli orecchi sordi,
CJic quei, di' ad un sol fin virtude sprona,
Deveu gli animi sempre aver concordi,
K soffrir pianamente le rampogue
Di dii 'I suo ben, com' ci medesmo, agogne.
LXXXII
Or per darri ragion del min rnnsiglio,
Dico, rhe sialo snn sempre tu disparte
Con disegno di gir, dove il pericliu
Si scorgesse maggior, rhe in altra parte.
Col piè pronto, e la mano a far vermiglio,
Ove più mi chiamassrr Palla e Marte,
Che r ultimo sorrorso è quel, rhe spesso
L’incanto vincitore ha in fuga messo.
Cli’ nna (»g1Ìa sposò dì Morassallo,
He delta Carlagenia e d’AIÌrante,
Aodrofila appellata, di core aito,
£ di prnsirr magnanimo c costante;
E che ’l marito di porfireo smallo
Teuea (isso neU' alma o d' adamante:
La qua) giunto al partir l’ ultimo sole.
Glie le donò piangendo in tai parole :
LXXXVlIi
S'io potessi piegar gli numtni e i Dei,
K ’l deslin delle donne troppo avaro,
Hralìssìma ai mondo mi terrei
Sopra ogni lume in del più altero e chiaro ;
Nè di grazia maggior gii prrgheret,
Cile di voi seguitar, signor mio caro,
Sierome ho semprein pace, ancora in guerra,
E non vi abbauduoar viva e sotterra.
E se ciò m' avvenisse, uopo non fora
Di procacciar per voi più sicnr'arme;
Cli’ io *1 vostro scudo e la lorica allora
Cnnlr'ogni olTesa alimi penserei Tarme;
Sperando, o che Giunone, o s' altra onora
Casio amor maritai, dovessr aitarme,
K con voi manlrner per sommo esrmpio
Di chi più aggrade al suo famoso tempio.
lo icorgra da man destra Palamede
Da Trislsii risospinlo alcuna volta,
Che lassar ronvenia la prima sette,
E 'osieme rannodar la schiera srlolta.
Clic mi fea dubbio star : ma rhi non vede
Se non la parte sua, che ’n gnardia lia tolta,
Non pnò beo giudicar, come colui,
l.he sceme il suo bisogno e quel d’allnu.
Ma poi rh’essrr non paò, vipiarcia almeno
Di queste arme portar, rh hanno il mio nome;
E dai perigli riguardar non meuo,
Che si soglian le dolci amate some:
E quatur crollerete all' aure in seno
Sopra il ciinier queste durate chiome,
Che riciiverser già (lasse) la lesta,
Ch'or di loro, e dì voi vedova resta;
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SCI
Vi rikOTreo^a con quanta doglia
Liinge hao da lor la misera nutrica,
Trmeodo lol dì non wulìrie spoglia
Della nemica trliiera viiititrire ;
Ma segua pur di lur quanto 'I rìrl vogliai
Pur che torniate vui lieto e felice.
Da potermi narrare a parte a parte
I gran pregi e gli unur del vostro Marie.
SOI
Così direa la pallida consorte.
Di doloroso umur bagnando il sullo;
Ma il vago gius'iuetlu ìn dura sorte
Dal prezioso doti fu inioruo avvolto;
Poi ch'or contro alla spada di Buorle
E dal fero desìi» soletto accolto ;
E gli fa io ver di lui muovere assalto.
Per pietà di Druscheoo e di Vrrrallo.
xeni
£ con tutto il poter sovr'euo sprona
Con la lancia, eh' avea pesante e dura;
£ 'n mezzo al doppio scudo il ferro dona
Si, che ì suoi più yicìo n'ebber paura;
Ma il franco cavalicr con la prrsona
Non si vede crollare, e tanto il cura.
Quanto il robusto piu di borea il fiato,
Che già il decimo lustro avea contato.
aciT
Poi rb* ba Tatta Iroucata, il lassù in prima
Senza impedirlo pur, prender la spada;
lodi il fere allamcule su la rima,
Ov'c'l dono amoroso, ebe gli aggrada;
E la chioma di lei, ebe troppo stima.
Intricala convien, eh' a terra vada,
Ma la fronte non fu dal colpo oQesa,
Cbe dall’ oUima tempra era difesa.
xcv
Poi cbe B* è accorto 1* amoroso Ispano
Del prezioso e caro suo cimiero,
£ che in mezzo alla polve era lontano
L'almo splendor del suo terreno Ibero;
Qual tigre acerba lungo il lito Ircanu
Priva de Ggli suoi, diveooc fero;
Spronò verso Bourte il suo cavallo.
Gridando in alto suooo : O crudo Gallo,
xcvi
Già non ti vanterai d' ufTeto avere
II più onorato crìn, cbe fosse mai,
Che la luce viorca dell' altre spere,
£ dello ittcsso sol gli ardenti rai ;
11 quale alla sua donna mantenere,
E'nlero riportar certo giurai,
£ 'I farò veramente, o di' oggi il ciclo
Sciorrà Ì1 mio Spirto dai terrestre velo;
xeni
E dicendo così, fere alla lesta
Pendente alquanto dal sinistro lato,
Ch'orribiI suoo dentro all' orecchie desia
Del pio Boorte, ma uon 1' ba impiagatu;
Poi di nuovo il percuote, e non b' arresta.
In 5n che '1 terzo colpo è raddoppialo.
Sul braccio questo, e quel sopra la spalla;
Pur di fargli assai danno in tutto falla,
xmii
Ma r invino gurrrier, da poi che vede
Chi fuor del creder suo troppo 1* offende ;
Qual sopra lepre timida, che siede
Nell'erboso suo nido, aquila scende,
A lui s' avventa, e dispietato il fiede
Col ferro micidial, die sotto il prende,
Ove il ventre allo stomaco s' aggiunge,
E quanto ivi trovò trapassa c punge,
xcit
L* infelici armi ailur dri regio sangue
Pur di fuori oscurate, e dentro piene;
E '1 giiivin miseret, pallido, esangue
Sopra il furie corsier non sì sostiene;
E mentre (vssi ancor morendo langiie,
Della sposa fedcl sì risovvienr,
E coi vigor, cbe io quello stato ponte,
Si rivolge a Boorte in queste note :
c
Alio signor, che cosi amico Ì1 eielo
Al gran vostro valore e largo aveste.
Se mai vi svegliò al cor pietoso zelo.
Pregar divnlo di persone meste;
O se mai vi scaldar sotto un bel velo
D' onorata cniuorte fiamme oneste ;
Consolate al posar di questa salma
D* una promessa almen la misera alma ;
cr
E quella fia di far dì terra arcorre
Le bionde chiome, eh’ IO nel mondo adoro,
E mero iusiemr in chiuso albergo porre.
Coperto, com’ io son, dell' arme d’ oro ;
E 'I tolto appresso nelle mani esporre
Di Morassalto al corno di Brunoro,
Che mi deggia mandare alla mia dea,
Siccome al dipartir prvmctso area,
cti
Il pio Boorte, che in plii amaro pianto,
Che l'altro non diceva, intento ascolta.
Risponde: Or potesi' io con nuovo incanto
Render coti la vita, eh* io v' ho lolla,
£ felice tornarvi e Urlo, quanto
Giammai d* esser bramaste alcuna volta.
Siccome adempierò vostro desio,
E di ciò tcilimon o' appello Dio.
CUI
Ringrazìnl con la vista e col sembiante,
Che la parola scìor più non poteo.
Cosi condusse il già felice anianie
In eiirrma sventura il deilin reo:
La biooda chioma, eh' a' suoi piedi iaoante
Negletta si giacca, ripreoder feu
Boarie, poi condor col cavaliero
Dentro al suo padiglione, e 'I auu destriero.
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L AVARCIIIDE
CAINTO vn
ARGOMENTO
^Mnima i $uoi Clodin^ ma con Boarie
A fronte non rìmon; tanta è la forzoy
Tanto è il valor dt lui che spinf^e a morte
Molti eampionf e il buon Hossano sforza:
Ma Separano o* «aoi piu lieta sorte
Beca col braccio invitto, e in loro ammorza
La tema sì, cbe V inimico stuolo
b'ugge ricolmo di ipopcnto e duolo.
^Tià col fero Clodin gìoafceA Bronoro
Coi (ruerrier, che menò di Sef^arano ;
E diriie le parti hanno in fra loro
Per rì»pinger fra* suoi chi aia loalaaO|
E dare a((U alTamaii alto risloru;
Qtiel muove a dettra, e queato all'altra maao;
Poi ciascim quanto può '1 prcfcare adopra^
Per rideccrU ioNCinc alla prima opra.
Dair altro Iato ancor Branoro il Nero,
Quanti sparai ritmova, io uu raceo|tlÌe{
Non prejta omil, ma gli minarria altero,
E a tai Dote auperbe i delti acioglic:
Non aia chi speri dall' ariipliu fero
Scampar di morte le terrene spofLlir,
Con fiippir quinci il ferro de* nemici,
Che '1 troverà più agulo fra gli amici.
n
Che qaetla amata man, ch'or voi vedete,
Mossa io vostra Minte e ’o vostro onore,
In vostro danno e scorno sealirele
Purgar eoi Mogoe il pubblico disnore t
Qnaoto più adunqne gran cagione avete
l)i tosto rivoltar T arme e '1 valore
Contro al duro avversario, che vi preme.
In cui di doppio bea ai ausira speme f
vn
Se voi guardate ben, non è, eh* on solo,
Quel, che lutti vi scaccia, e vi spaventa;
Non perchè valga più, che 'I largo stuolo,
Ma perchè truova in voi la viriti spenta;
Che s* ancor si ralinma all'alto volo
Del suo furor, che sopra noi s'avventa,
(braverà l' ali tal, ctie verrà in basso.
Come dal visco aogello avvinto e laaao.
ti
Diceva lor Clodia: Fratelli amati,
Per cui già tante palme riportai,
Or non volete ancora estere ornati
Di vittoria maggior, rhe foste mai?
£ ritornarven carchi ed onorali
Di spoglie ostili, e nun d'ontosi guai?
Nè smarrire il valur, per quel eh' è stalo,
Mealrc il vostro Clodin non v' era a lato f
ni
E poi che ritornalo intero e forte.
La Dio somma mcircde, ora è con voi.
Se penster cangerem, caogerem aorte,
E r amica Fortuna fia con noi ;
Apriara de' nostri cor le chiuse porte
A virtù ioteaa c i due seguaci suoi,
Lo sperare e ‘1 soffrir, eh' han forza ìuaieme
Di portar sopra il ciel, chi '1 centro preme»
IV
Quaatoaoi più? eli 'olirà ogni noitra iaaegna,
Avrem di Segiiran l'alto socroriu,
Cun r aspra gente, che in Ibernia regno,
Ch'ai Britanno furor weilcrà il morso;
Or pria, cari fratei, chr questa vegua,
Drixziam verso ì nemid ratto il corso,
E che morte non sien, 1' opra dimoatre,
Sen ben «iormon lalur, le virtù nostre*
TISI
Così dicendo lor, gli rìsospioge
Nrir ordin primo, e 'n dietro ricondnre;
L' altra parte anco a guerra si raccinge,
Seguitando Clo<tÌn ano primo duce;
E di sangue novel si ridipinge
L'arenoso sentiero, e 'I ciel rilnce *
D'altro splendor di ferro, or che '1 rilornu
> icioo appar del foggitìvo corno.
IX
Il cui tosto arrivar da prima diede
Maraviglia e temenza a* vincitori ;
E '1 popol voleiiticr raffrena il piede.
Attendendo il voler de' suoi maggiori;
Ma il famoso Boorle, che ciò vede.
Con ardeali parole accende i cori,
Diccado; Or ginnto è 'I tempo in coi dì tutto
U lungo affaticar s'accolga il frutto*
X
Perchè Ìl fnggir di quei privi n* avin
D' ampie spoglie onorate e di vendetta ;
Or nostra buona, e lor fortena ria
Ne torna la mercè, ch'era inlerdcUat
Movìam pur ratti, e sì rìtrovin, pria
f^h' un' altra volta in fnga ai rimrlU
La vilipesa e mal guidata achìera,
K di lei riporliam vittoria intera.
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l’ avaro II IDE
1
11 »
XI
Nè {«Ilice pensiero Ìl cor v'ìnpombrc,
Ch’ur tiro J’ «Uro poter, che dianzi fura;
Ma •' all«>r come nebbie, or firn rom' umbre,
Che ’l pattalo timor cretee il futuro ;
Opoi dubbia ciascun dall'alma «pnmbrc,
Che pii moilre il cammin più alpcsiru e duro
Dell'altro iufino ad or, tna fermo creda.
Che quanto o||i veggiam iia uutira preda.
XII
Come ha detto coti, latta Baveno,
Che nell' ordine iitato gli rilegua;
Poi «prona avanti, ove d'orgoglio pieno
Tntuva Clodin con la primiera insegna;
Tutto il ennotee, e regger non può il freno
Air ardente detto, che in etto regna
Di ritrovarle in pruova contro a lui
Per la coofonne età, eh' è in anibedui.
XIII
E l'appella da Innge: O re famoto.
Dell' altrui povertà ti riero e altero,
Se voi liete d'unor tanto bramoso
Come tì vede ogn'uom, di torlo impero;
Vfligeie or verto me quel ferro odioso,
Ch' c tal contro ai plii «ili ardito e fero;
£ per prova veggiam, te tia meo forte,
Di quel die fu Gaven, con voi Bourlc.
XI»
Gli nipote Clodin: Nuli* altro bramo.
Clic con voi ritrovarmi oggi a battaglia.
In cui tpero ottener di palma il ramo,
Se non bene incanUta avrete maglia;
£ perché più il dover che l'util amo,
K'noo vo', che vantaggio alcun mi vaglia,
Quella laneia, eh’ ho in nian, latto da parte,
£ '1 medetno farei, te fotte Marte.
X»
In tai parole I' nn ver I' altro «prona,
Pien d'ardente detio dì giuria vera;
Clodin fa il primo, eh' al neintro dona
Sopra la fronte, e d' atterrarlo tpera ;
Ma l’altro alia lo teudo, e in etto tuona
La spada indarno, e pur rimate intera,
Se ben pìegottc alquanto; oud' et turbato
Biasmava nel tao cor le ttclle e 'I fato.
XVI
Ma di Cave il gnerrier con altra putta,
Abbassando la man, nell'elmo il prende,
la cui fece cadendo ampia la fotta,
Nè perù ioGno al capo il beando tceude ;
Ma i' intonò tì forte la percossa,
C.he la briglia abbandona, c 'I braccio stende;
£ uria in terra poro spazio scorso.
Se non aven de' suoi tosto toccorto.
XVII
Ha Rossan e Grilbn dell' alto passo.
Ch'aliar da Segaran compagui prese,
Sostegno fur, eh' et non cadesse iu batto,
E Filarle a Boorte ìl corso stese.
Qual di fromba Ulor rotondo tatto ;
K con la lancia all’ omrro T offese
Nel destro lato, e '1 colpo fu più duni.
Che regger non porria colonna o muro.
XVIII
Pnr sopra il suo cavai fermo sì tenne,
Se ben nella sinistra torse alquanto;
Ma poi eh’ all' esser sno dritto rivenne,
Si volge «I feritor, che torua iolanlo,
Dicrndn : Atprn gnerrirr, se non hai penne
D'aquila, o di falcon lìa breve ìl vanto.
Che potrà per tua lingua essere inteso
D'aver contro a ragion Boorte offeso.
XIX
Fui con tutto il poter drizza una punta,
Che scoperto il trovò nel lato manco;
£ dividendo il mr di dietro spunta
Nell'otto più vicin del destro Banco.
All'estrema ora tna l'anima giunta.
Lassò ìl terrestre vel pallido e bianco;
Onde freddo ennvìrn, che a terra vada ;
£ dell' arme al rumor sonò la strada.
XX
Indi il leve drstrier ratto ritorna
Al drappel, che t'.lodin gli asconde e chiade.
Gridando: O schiera di colori ailoroa.
Assai più che d'onore c di virUide,
Che fa il vostro gran dure c che soggiorna,
Ch’ io mi rrrdea, che foste eterna incusle
Cunlra i colpi dì noi gurrrier negletti f
Or ai fa scudo a me de' vuslri petti,
XXf
Come piccsol fanctui di madre soglia
Contro all' ape, a cui il mel furato avea ;
Ma poi che m' è per voi tolta la spoglia.
Della qual già vestilo mi tenea;
Il ilanno sopra voi forte, c la doglia
Purria versarne la fortuna rea,
Per far palese, come stolto adnprc,
Chi per altrui coprir tè stesso tcuoprc.
XXtl
E ’n aoetla t* avventò sopra Roasano,
Che deir alla Paonooia avea le schiere,
Il Selvaggio appellato, pcrch* è strano
Di rotlumi, di volto e di maniere;
Ma il rore ardito, e pronta avea la mano.
Quanto buon eavalier potesse avere;
Or vedendo il nemico, eh' a lui spinge.
Spiegando il suo valor U spada stringe ;
XXIII
£ stadia nrl ferir d' esser primiero;
Cuti motto il cavai veloce e lieve,
Percuote iu vista mìnaecinto e fero
Il l>rn ferrato scodo e saldo e greve ;
£ ben che, essendo tal, rettatsc intero.
Quanto avesse già mai danno riceve.
Boorte ili se di maraviglia avvolto
La virtù del Panuunìo appreaaa molto:
XXIV
E gli dice : Signor, d* oscure spoglie
Ha di chiaro valor vi sento ornalo;
Coti spesso veggiam dì sozze faglie.
Il frutto provenir dolce e pregiato,
(-he ’l sembiante di faur non dà, nè toglie
Il buono o '1 reo, che n han le stelle dato;
£ se nel giudicare oggi non fallo,
Devrebbe esser Clodin dì voi vaztailo.
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L AVARCHIDE
Ma it drillo par, rlte voi drlibiate ancora,
Di me, rum' io dì voi, scnltr la pruuva i
£ roti dello, alla medciitn'ora
£uu gran colpo la fruole gli rilruova,
Sirthé '1 veder turbato gli dimora ;
Ma la tempra dell' elmo intanto giova,
Che non restò ferito, e 'mmaniruente
Sì riscliiararu iti lui gli occhi e la luenle.
XXVI
£ 'ncomìacìò : Signor, troppo ho lentilo
Aneli' io «]iicl che pulrte, c non inr 'ii peulu ;
Che '1 trovar voi di forar assai fornito,
Accresce in tue il desire e l'ardimento;
Dqiiiuii pure il ciclo in questo filo,
Con voi morte, o vittoria a suo laleoLu ;
Che quetla unica fia, queir altra chiara,
Da non aver di lei vita più cara.
XXVJI
In tai voci ritorna alla battaglia,
£ 4' una punta il Gallo ripercuote,
Non n^llo scado più, che quanto vaglia
Per le cote passale intender puole;
Ha in quelle ascose parli, che la maglia
Difende sol, d'ugn' altro ferro vote.
Di sotto al destro braccio, onde Bourte
In rischio esser polca d'acerba morte,
XXVIII
Se non che ammaestralo, e dotto aU'arlc
L' ha con riguardo accorto preveduta ;
£ rivoltosi alquanto in altra parte.
Nel bene armalo petto gli è caduta :
Dnulti il Pannonio allor del crudo Marte,
£ U' esser più de' snui i^uasi refula,
Dicendo: Or se così mi toi gii allori,
Che puss'io più sperar dc'louì tesori f
XXIX
E mentre che *o suo cor disfoga l' ira,
Il cavalier di Gave il brando pone
Sopra il suo scudo, c mezzo in basso il tira,
E d' accrescer dolor gli dà cagione;
Rossan, di' al vcndicarse sul rimira,
£ eh' usa più il furor che la ragione,
t'.ou si gran colpi I' avversario assale,
Che truova al sno desio la spada frale.
XXX
Perrh'or mentre il bracciale indarno offeude,
Or deir elmo famoso il ferro invitto,
lo due parti troncata a terra scende,
Lassando il suo signor nudo ed ainiUu;
Jl cortese Boorle il tempo prende
Di mostrar, di amò sol 1' onore e *1 dritto;
E dal sciidicr Toante a luì vicino
Si fece uu brando dar sicuro e fino >
Ch'ove la Calidunia al mare Scolo
Le telvaggie sue chiome in alto spande,
Guadagnò, allor di' ei fc' di spirto voto
Con tal virtù Cher»Ìdanianlc il grande;
(di' ivi arrivato di terreno iguoto
Si fra de' prigionier crude vivande.
E quello appresso in ogni parte avta,
l’er usare ai bisugno, a avveuia.
Or questo all' avversario sno Rossauo,
Che ’u tale stalo ancor fuggir non vuole.
Con allegro sembiante ha posto io mano,
E '1 cooforla da poi cun tai parole:
La fortuna al vaiur, eh' é a lei sovrano
10 ogni opra mortai contrastar suole;
E per seguir con voi l'usala strada,
V' ha troncata cosi la furie spada.
XXXIII
Ha non Ha della vostra prggìor molto
Questa, di cui vi fu cortese dono;
E perché il vostro onor non vi sia t>itu,
A nuova altra battaglia presto sono;
11 selvaggi» Pauuouiu in lieto volto
Rispuude: 11 brand» mio vie più che buuuu
Mi fe' intero acquistar sovente palma,
E troncandosi poi, più dolce salma,
xxxiv
Send'ei ragion, ch'or mi sia fallo amico
Il maggior cavalier, die lancia porte ;
Nè rosa oscura, ovver novella diro,
Cir a tulio il mondo ornai chiaro è Boorle;
Ricevo il don, ma non come nemico.
Cercherò mai per lui la vostra morte:
Ma da qui inuauzi quello, e chi '1 so;>lirae
Sarà in vostra salute, e'u vostro bcnc.j
XXXV
Ch* io non vorrei però, che voi credeste,
Vedendo, cotn'ìo To negletto c vile,
Che lutto eguale il cor fosse alle veste.
Ben che meu del dever chiaro e gentile;
O che 'olrà le Pauooniehe foreste
Mai non surgcise olir' all’ usato stile
Per Gso riguardar vista possente
Della vera virtù la fiamma ardente.
XXXVI
E se non vi fusse altra, è pur la mia.
Che la somma, di'é in voi, chiara discerne;
A cui, supplico il del, che largo dìa
Tutto il favor delle sue luci eterne:
Eli io per ogni sorte, u buuna o ria.
Delle forze di fuor, dell' altre ìuterue,
Qiiaiitiiiique oiilta tia, per quel eh' ci merla,
Vi fu con lutto il cor divola olIcrU.
• XXXVil
Ma iu questo ragionar, vicin ss vede
Con le spiegale squadre Segurano,
t'.he cuu arte e con seniso a' suoi provvede.
Che con vantaggio poi iniiuvan la manti ;
£i con pochi gucrrier, con leuto piede,
Innauzi agli altri va poco lontano,
(.un I arme luceulissima, che splende,
Qual Pebo suol, eh a mezzo giorno ascende.
XXX viti
Mostrasi in alto ancor P aerato scudo,
Che *1 bel raggio solar saetta intorno,
Ov’ é il nero Dragun, che iu atto crudo
Par minacce a* nriuici oltraggio c scuruu;
Così 'I cimiero, uve Nettuno igmidu
Col suo trideute ìn man ss mostra adoruo,
Però eh' avea del suo lerreuo Iberno
Sullo a lai deità posto il governo.
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XX^IX
mollo a Ini l«>ntan Bronnro il Nero
r.o'yiioi rìmefsi io un il pas»n tnitove}
Ma pili eh’ appiiinti arrivano al lentierO}
In riti Boorle fra Triirepie prove;
Drila polvr, cU’ alaava, o«nirar fero
Nel >iiu M*|{EÌo (rrrd'io) Saturno e Giove,
Ctraifin raiJrnilo, di montare slanra,
Tolto il pupo! Britanno e 'I Gallo imbiaoca.
XI
Sirrnme «itol orila a»<elata retale,
Quando Itelo il viUan di arloplter brama
Dalle pnnprnli ipislie, e paglie aurate
11 bmin »eme gentil, rbe lierer ama,
Che eoo le spoglie pria rotte e squarriate
1/ avventa in allo, e 'Aelìro poi ehiania,
Ch* civonque e»se volando intorno spinge,
D’ oscurato color tutto dipìnge]
XLI
Tali erano a mirar l’arme e i destrieri
Di quei, di' ad incontrargli erano intesi,
1/ ornate sopravveste, i bei cimieri,
t gli tendi lucenti e gli altri arnesi.
Per cangiante vaghezza in prima alteri,
!>' un medcMn» cvslore eran compresi;
Nè r un 1' altro scurgea, come se ’l velo
Notturno, e senza luna avesse il cielo.
xt.ti
Già nel venir di qnei son fatti avante
Il nobìl re dell' Orradi e ’l figliuolo,
Patrnle al cerehio d* oro, e Matagrante,
E Plenoro. e Urìauzo, c I forte stuolo
Di più d* un duce e ravaliero errante,
Il (piai desio d'onor eoiiJure solo
A seguitar deirOrcadi 1' insegne.
Non avaro pensier, die in esso regne.
XIJII
Le schiere di ipavrulo pria ripiene
Hai) tornale col dir liete e sicure;
11 «'otnaiidalo luco ugn'iinm ritiene.
Come chi d'obbedir, tion d' altro cure;
Nè nien che gli altri di minute arene
Ean l'aria intorno e le campagne oscure;
Ur giunti ove il magnanimo Boorle
Fea di largo tesor ricca la morte,
XMV *
li valoroso vecchio alqnanlo sprona
Il cavai verso ini, poscia gli dice:
O del regno di Gave alta corona,
K di quante mai fur la vincitrice;
Tra r antiche memorie indarno suona
Queir onorala celerà, e felice
Del buon Tìdide, d’ Ettore e d’ Addile,
Che presso al foco vostro eran faville.
XLV
Ben po«s* io dir la vostra rnvilla nano
Della rovina mia fido sostegno,
Cir abbattuto c sracrialo ha di lontano,
Chi già sovra de' miei teneva il regno;
Erro che '1 bello oprar non cadrà in vano,
Ch'or più, ch'io fossi mai, bramoso vegno
D’ assalire i nemici, e le mie schiere
òariaii più che Icuui oggi a vedere.
Disse Ronrie a lui tntto rìdente;
O famoso mio padre, te ciò fìa,
Trop]>u ad uopo sarà, sì larga gente,
Per far pniova di noi, veggio per via;
Questi è ’l gran Sreuran, cui veramente,
(ihi noi pregiasse assai, torlo (aria,
Ma pur poi, eh* è mortai, vergogna fora.
Più che gli altri, e che sé stimarlo ancora.
XLTII
I Coti far si ennvien, lieto risponde
Il saggio re, che nel medesmo errore
Pflò cader riiom,rhe in troppo ardire abliuode,
E chi luverdiio ancor crede al timore:
Sommo senno e virivde il Ciclo infonde
In Srgnrario il Bruno, c gran valore,
Nativo net suo seme iovilto ed alto,
Quale in Eltor, Girone c Galealto:
xt.vtlt
{ Ch* illaslrissimi furo, e senza pare,
I £ di cui lutto il mondo avea spavento;
I Pure ove alcun di lor polca trovare*,
D' esser ro' suoi nemici avea talento;
Perchè le spoglie e le villorie rare
Non s' han di loro di virtude spento;
Nè mi fu '1 qiiinlu Ctel si avaro allora,
Che lodato non fusii aucb* io talora.
XLIX
E s' io non trmea lor giovine e furie,
Che troncar mi poteano i miglior anui;
Ora a che per costui curar di morte,
Ch' è sola il purto de' canuti affanni?
E poi r alla presenza di Bourte,
Che loilu m' ha da perigliosi dauoi,
Beo mi può assicurar iu stato incerto,
E trionfo di lui prometter certo.
L
Ha perchè riposato alta battaglia
Vien frescamente, e noi lassi rilmova,
(ih' all estremo calur, tra piastra c maglia,
Aveiu fatta di noi si lunga pruova;
È il mìo consiglio, se di lui vi caglia,
Ch' ornai quinci nessun più il passo muova;
Ma sui s'attenda, e cerchi so«tenere
Il primiero furur di queste sciiicre.
LI
Cosi (ermo fra loro, i cavalieri
Sì disteser per l' ali d* ogni lato,
Ove il re Prlinoru con gli arcieri
Quasi al medesmo punto era arrivato,
Cti’ a molli duci avevano, e gaerrieri
CundotUi con gii strai P estremo fato ;
Or sentendo il bisogno, l' altra impresa
Lassando, a' corno suo torna in difesa.
Lll
E ’nsieme esso, il re Lago, e 'I pio figlioolu.
Il famoso Boorle, e gli altri poi
Van tatti intumo all' ordinato stuolo,
£ ciascun quanto può conforta i suoi;
Ma il valoroso vefxrhio è qiirl, che solo
bupra gli altri si sente, e dice: Or noi,
Siam qui, cari fìgliuoi, per mostrar rhiaro,
Che non a torto aviam nome si raro.
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L AVARO II IDE
LUI
S«lc «nlichi ica^rrìeri, e noa v' è atro»),
Che ì gran valor conviene al gran periglio;
Fale a priiova fra voi, rii! piti hrairm^o
Muova il suo ferro, e cuu più allegro ciglio ;
Certi, che 1’ uom fugace e paventoso.
Sempre «iel sangue suo torna vermiglio;
Il Iurte scampa, e eoo supremo onore
Vive intra gli altri, e poi farauiu muore»
tiv
Fermi II passo ciasrnno, e solo intenda
A non muover giammai di loco il piede ;
E se pili non potrà tanto il difenda.
Ch'ai 6u morto di Ini rimanga sede;
Sé stesso a virtù sproni, e gli altri incenda,
('.he vinti dal timor vieta si vede,
(^on dir, ehi cinge il ferro, cinga insieme
D' alle lodi acquistar desire e speme.
tv
Con lai voci arrestò l' invitto corno,
Ristretto in un con maestrevoi arte;
In guisa che talor nel fosco giorno,
(Quando inchinando Ìl sol da noi ss perle,
Folta nebbia veggiam, eh' assiede intorno
I)ì monte alpestre alla più altera parte,
Allor che Borea, ed Austro, ed Buru giace
Csi'saoì Compagni in riposala pace.
Lvl
Già vien con largo passo Segurano,
E 'n superba sembianza •' appreseuta.
Dicendo: Or tragga fuor 1' ardita mano,
('.hi quest' arme, eh' io porlo, non pavi-iita;
Indi lina asta nodosa di lontano
Vibrando io aria Ira* nemici avventa;
Né corse in van, ch'aggiunse Licoiurde,
Che 'u meuo alla Coroubia avea la sede;
LVII
£ del nobii Creiiso era nipote.
Ricevuto Ira' suoi con soiiiiiio nuore;
E nell' estremo al ventre gli peri'uole
Il mortai ferro, e I trapassò di fiiore :
Cade inverso la piaga, e mentre scuote
Le braccia intorno, e i piè, laugoeiidu muore;
Ma pietosi di lui Lieo e Driante
Con voler del buon re si faDuu avanle.
LVIII
Eran questi fratei del sangue usciti
Del famoso c grand' Orrado Feloru,
Che poi regnando ue' Britauui liti
Fu possente tra tor dì terre e d'uro.
Padre di Perileo, che Ira ì graditi
Giierrier, che a Pandragon più amici furo,
Era il primiero, e questi cari e soli
Della bella Ippudamia ebbe ligliuolt;
LIX
t quai oodrì nel gemino valore
Del ferro illustre, e delle dotte carte;
Nè srerner sì polca, dii eoo più amore
Gli ricevesse in seno Apollo o .Marte,
Che per l* uno e per 1* altro in sommo onore
Eran salili altrove e 'n aurlta parte,
E di più d* UDO alloro s' eran cìnti
Dì cavalicr, di' aveano uccisi o vinti.
tx
Or quai duo tigrì giovìni rk' usali
Sien con la madre lor gregge assalire,
(ìhe già d'esse più volte insanguinati.
Sema la scorta poi prendono ardire,
Contra i più grossi armeuti, e meglio armali
Di pastori e di can, snletli gire,
('.he da quei, più di lor sagaci e forti,
Sica col troppo voler battuti e morti ;
r.xi
Tale allor questi due con Segurano
Ebber di pari ardir siinil fortuna,
Ch* ad ambo tusieme la spiclaU mano
La vita e ‘I glorilo in un momento imbrima;
Di questo getta 11 rapo a Ini lontano,
E queir altro perrnole, ove s' adnna
1/ ultima rosta al suo sinistro lato,
E presso ai pio fratello è riversalo.
LXII
Pianse il vecchio pietose», quando scorse
La valorosa coppia a m<irle giuola;
E ch'alia gìovin voglia non occorse,
Di paterno stolor 1' anima ha punta,
E quasi al veudicargii irato corse:
Ma in questo mezzo streltameotr aggiunta
K l'avversaria già con U sua gente.
Tal di' ad opra maggUir piega la mente.
LVliS
E rivolgendo il guardo in ogni loco.
Pur i suoi nel bisogno riconforta,
Che nessun per timor mollo nè poco
Al furor dei nemici apra la porla ;
Ma il fero Srgoraii, di' ardente foco
Negli occhi, nella mano, e nei cor porta,
.Siipra i primieri, uve col ferro aggiunge.
Quanti puute incoiilrar jsercuule c punge.
LXIV
Trnova, che 'nsiciuc Amintorc e Dinca
A quei, che indietro son, sì fanno scudo;
I quai scampando altrui da sorte rea.
Hanno in sé ricouvcrso il ferro crudo;
Perdi' all' un col poter, di' estremo avea.
Passò la spada, come fusse ignudo,
Per entro ìl petto alla incurvala valle,
Glie nascosa io tra lor formau te spalle,
c
LXV
Dinca fere alla fronte, dove appare
Assisa in mezzo la piti larga vena;
E ’l fé' col vollu in allo riversare,
E di sangue irrigò la pressa arcua:
.Segue olirà, ove più insieme riserrare
Vede la folla sciiiera, e sta ripiena
I)' ostinato voler di morie certa,
Pria che lassargli mai la strada aperta.
LXVI
Ivi con più furor s'accampa allora,
E liitli i suoi miglior d' intoruo arcuglie ;
Qual rapido torrente, a cui talora
II semplice Cultore il corso toglie,
E per altro camoiin, dd vecchio fuora
Spinger il vuol, contrario alle sue voglie;
Cb'ove intoppo maggior traverso trnova,
Taolu più d' espngoarlo usa ogni prnova.
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T*I I‘a»prr» S«piiran quanta ha virtndr,
Qiuot* ha lorxa e valor n»Tr’efM »pirpa ;
Mi *1 Britanno JrapprI, via più dir iiintdr,
Sta laido ai colpi, « non li torre o piega;
Dure non ha, che non i' alTanoi e lude,
K ‘I valoroio re conforta e prega ;
E dove alnin de* iiioi veggia ire a terra.
Con nuovi altri gnerrier loslien la guerra.
r.vviii
Nè il famoio Bnnrte indarno liede,
r.he pronto ha in oeni parte il patio e'I cìglio,
E nelKnopo maggior dt«re»o a piede,
Tolto ivi arrorrr al pubblico periglio ;
Air apparir del qnal tnlto li vede
H rampo piu rhr pria fariì vermiglio,
Che spinge innanzi, e eon rinvìlla «pada,
Ove ita Segtiran, prende la strada.
IXIX
Il qual, come virin venir lo irorge,
Il chiama, e dire: O niiiero Roorle,
Qual contrario pianeta ogci vi icorge
Nel fiorir vo«tr« a coli acerba morte ?
Alla pietà di voi nel cor mi lorgc,
Né ni dolgo anco meii della mia sorte,
Ch' all* ncridrr mì iforzi tin giierrìcr tale,
E rh'ajnai sempre alle mie luci eguale.
IX*
Ben udiste già dir, ch’io gìnvinrilo
Fui del re vostro padre intero amiro:
Mrntr‘ io giva formando il rozzo petto
Col Ilio valore, e col gran lennn antico;
I)' ugni contento luo prendea diletto,
E quanti in odio avra, mi fn nemico;
Nè mai iiegio figlinolo amò più il padre.
Ch’io fei luì letnpre e I’ opre me leggiadre.
txxt
E *n que<to iileim loco mì trovai
Seco con rarmc io man contro a Ciodas«o,
I.à dove il popol ino colmo di guai
Itcndci più volte, e la! medesmo lasso;
lofio che in altra parie me n'andai
Verso il Castel del periglìuio pano,
Che mi sforzò 1' onore e I dever mio,
£ ’olaoto iJ miscrel del mondo nicio.
Dopo il qual vi rimembre il sommo amore,
Ch'a voi, come a figìiool, portai mai tempre ;
Or le il Ciel, rivulgetido i giorni e I' ore.
Dell' esser nostro poi raogìite ha tempre;
Non avrà forza mai, che questo core
(Se 'I composto mortai non sì distemprc)
Non Ita pure il medeimo in ogni sorte
Verso il nome onoralo di Boorlc.
IX XIII
Ma poi che sposo son di Claudiana,
E di Clodisso ino genero fido;
Non ftia liimata a torlo opra villana.
Se di (jiiella, e di lui difendo il lido;
E se gli l'altra età poro lontana
Vide A varco de’ vostri antico nido,
Giove riguardi a rio, che 'I nostro Marte
Volge la vista ina per altra parte.
ixxrv
Ben mi dorrei, mi sforzasse tale,
Che foste per mia man di vita in bando;
E però vi riprego, che 'I fatale
Corso v'adduca in altro loro errando;
E sopra il nnovo popol, che n* assale.
Possa la mia virtù mostrar eoi brando;
Nè mi vegnan vittorie, onde le spoglie,
Più larghe, che gli onor, m' apportin doglie.
txxv
Ma V ardito Boorle in atto altero.
Poi rh' ha qnelo ascoltalo, gli ri<ponde:
Se ’I Ciel vorrà (che 'I tulio sceme intero,
E lenza il mi voler non crolla fronde)
Che mi tolga del mondo il braccio fero
Di Scgnran, cni tal valore infonde:
li mio foggine altrove indarno fora.
Che scampar non porria, nè indugiar I* ora.
txxvt
Il medesmn avverria, signor, «li voi.
Se ‘I fin per questa man lassù v'è dito;
Però fia ben tentarlo, c 'I vrilrera poi,
Che r unm conosce sol quel eh' è già italo;
I.' antico e chiaro amor, ch’ora è fra noi,
Anco dopo il morir non cange stalo;
Perchè non debbe odiar I* anima forte.
Chi col ferro d'onor la .spinse a morie.
i.x*vti
Così detto, rtpten d'alto delire
Di gloria rivestir con gnerrier tale.
Drizza alla lesta II brando, ma ferire
Altro non pnò, che del lerpeiiir l'ale;
Ch’ alto levo lo scndo a ricovrire
11 colpo, che scendeva egro e mortale,
L' aceorto Segnran, che non diiprezzi
Quella giovine età nell' arme avvezza.
Lxxvm
Non vien perqneilo men l'altera rpeme,
Ch* al valorn«o Gallo il petto avvampa.
Che in diversi altri modi il punge e preme,
E l'arme inionio perrnteiido stampa;
L'altro, eh’ offender lui nell'alma teme,
Solo a difender sé le forze accampa,
E li cuupre or col brando, or con lo scudo,
Infin che ’i vide poi di pietà nudo.
txxiz
Però che sopra il hrarrio il ferro iceie
(Ch'ei non poteo schivar) con tanta possa,
Che la man tnlla, e *1 destro tato offese,
E dentro gl' intronò la carne e I* osta :
L ira di Marte allor ratta s* arrese
Nell’aspro Iberno, e la pietade ha icona,
Dicendo' Poi che in voi non vai Timore,
Valga di Seguran l'odio e ’l furore.
LXXX
E qual levriera pia, che talor soglia
Co' tuoi stelli figliiioi moniersi a gioco,
Ch' ancor che i denti lor te apportin doglia,
Se moderata vien, la soffra un poco;
Poi se passa il dever, cangia la voglia,
E 'I gran materno amor non ha più loro;
Che disslegnoii al fin lor corre sopra,
E l'unghia e ’I morso a gastigargli adopra;
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L A V A R C II 1 n E
T^le avvirn di Rnorte a Seenraiio«
Chf ’n dis«lfcno»o pa««.o a lui •’ avventa ;
L'invitta spaila, la femee mano
In batto <pinj(e al vemlirare intenta ;
Of»ai ferro, of'ni teurfo era ivi mvann,
Per far riparo alta tua vita tpenla ;
Ma il (tinvinello inetlo in leve «alto
Seeur ti fe’dal pcrigUotu attallo.
txxKvni
Nè si saria, com’ or, con tanto ardire.
Di sì gran ravalier mc««o al pareggio;
Il qual pensando in alio di ferire.
Già dalla esperienza è fallo saggio,
Ch' ei ve«le indarno il colpi rinseire,
E nel nemico tuo tiilto il vantaggio ;
Che la spaila gli pun sopra il cimiero,
E in due parli il ripose sul sentiero.
LtKXII
On«r il gran colpo con ilannnio tehemn
Sopra r arena scorte a lui vìrtna ;
Dietro al coi grave peto il fero Iberno
Le sollevate membra stese inchina:
Con più romor, eh’ al lempestoto verno
Non fa di eerro antico alla mina,
f.he ’l rapido torrente intorno *%elte,
E del torbido corso preda frlte.
txxxix
Vien ilopn qnestn il nobile Efìmone,
Che nato d'alta stirpe in Hangaria
Mezza soggetta avea la regione,
CIte *n verso Breslolina apre la via;
E 'nenntrn al gran furor folle s'oppone
Del possente giierrier, eh’ a morte ria
Di gir volando gli mostrò la strada.
Trapassalo nel ventre con la spada.
t.VXXMI
Il cortese B«»orle ratto aeeorre,
E peiitj ogn'uom, che per ferirlo vada,
Quando veggion pirinto, rhe'l soccorre, *
E tieii Inoge al suo mal l'agiila spada:
In questo mezzo d' ogni inlomo corre
Gente, ehe’ntra lor due chiude la strada;
E giti le srhiere son sì strette in ano,
Che ’l suo loco a guardar toma ciasenno.
xc
Giva segnendo anenr, sicché in poc’ ora
Derisi avea taul’ Orradi e Britanni,
i ('.he oessun più d* avanti gli dimora,
1 Ammaestralo in se dagli altrai danni ;
Già più d' un dure di speranza è fnora
Di rimedio trovar degli altri a^anni :
E più eh' alla vittoria, o alla viriiile.
Volge ogni suo pensiero alla salate.
I.XXXIV
Ma il forte Srgiiran, qual rapìd’ orso.
Che d’alto artvnr pomoso cadde a terra,
Cile con tutto il poter d' nnghia e di mono
Delle piante più basse i rami atterra;
Tal egli abbandonalo all' ira il morso,
Seodoicii tolto in lui, muove aspra guerra
In quei, che primi incontra, e d’essi fare
Quel, che di cervi suol tigre rapace.
xei
Era gito Bnorle io altro loco
(^niro al fero Clodìnn, e ‘1 re Rrnnoro,
Ote arreso trovò si ardente foro,
Ch'ei nnn può per altrui lassar costoro;
Ma il bnt'ii re Lago, poi che stanco r rnco
E de’ Mici richiamar, che in fuga ftiru.
Come altra volta già, si spinge arante
Con passo e cuor di caraliero errante.
I.XXXV
Trovasi presso il misero Balanle,
('.he di Mambrino il saggio era cugino;
Passogli il petto, e con la fronte innante
Giacque al suo percussor tristo vicino;
Ippasn poscia le gli oppose arante,
Cli' ebbe al compagno pio pare il destino;
('.he come in grado egnal vissero insieme,
Una morte medetma anco gii preme.
XCi|
Ma il pietoso Cgliuol, che viein vide,
E molli altri suoi duci appresso chiama,
Malanzn il Bruno, e ’l raro «no Patride,
Che nnn men di se stesso apprezza ed ama;
Matagraiile, Plenoro, e 1' altre fide
Srurle più amirlie, e d' onorala fama;
Le qnat senza tardar gli vanno ìnlurno.
Come semiti levrieri in caccia ai corno.
LXTXVt
Ma ferito fu questi, Ove la gola
Aggiuogehdosi al petto è cava alqnanlo;
La vita appresto rriidriinenle invola
A Stichìo, Micisteo, Caso, e CIrantts
Delta progenie Uvallia, che già sola
Tra i più ciliari Pembrnrhi a\eva il vanto
D’ aver domala la famosa Arfnnia,
Che col nobii Icgnaggio mal a’ accorda.
xcm
Quando il gran Seguran vicina scorge
A* suoi danni venir 1' eletta lurma ; :
(Quanta piu pnole, al rnr baldanza porge, I
Si che vieti al suo piè di cangiar orma ;
Sveglia ogni forza, e con Ir spalle insorge,
E nel saldo ferir se stesso informa :
Conferma ben nel bracrio il grave snido,
E nella destra mano il brando crudo;
Lsxxvrt
Ritmova, olirà a cosfnr, I' altero Alito,
Parente di Scrisino e Prliirano,
Del seme altero dì Merlino uscito,
Ma dell' arte di lor mollo lontano;
In cui se, come i suoi, fosse nutrito,
Avria previsto allor. che ’n Segnrano
Fu riposto il suo fine, onsie potea
Forse altrove indugiar la sorte rea.
xeiT
In guisa di cinghiai, che ’ntorno cinto
Tra cani e cacciator del bosco fnorr.
Si veggia in loco aperto esser sospinto.
Ove al suo srampo ha sol l'amie e'I furore;
Che ’l dente mostra alla ballaglia arcuilo,
Ineurva il dorso, e ’n minaceio«o oirore
Drizza 1' ispide sete, r.vspa e freme,
nel sno detperare ha solo speme.
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123
J
1 .
L AVARCniDE
xcr
Sopra n primo, chr vien, ic iterro «prona
L* irato Ibrmo, e »rf»r 1' a»pra »«rlc
Nrl pio Driaoao, a cui tal colpo dona
Sopra I' elmo beo fin, che ’l pme a morte
Poi con «aperbe voci allo raf^iona :
Veniva ionanzì di voi chi fia più forte,
Perche potsa lenlir, *e quetU spada
llea ^rave in loi, che nel compagno vada»
xcvi
Ha r altra ichiera ioiietne va ristrelLa,
Che coti gli ammaestra il vrerhio saggio,
Dicendo: Chi desia di far vendetta.
Noi deve refutar qaand'ha vantaggio;
S’io fossi ancor di quella eli perfetta.
Che fn degli anni miei V aprile e 'i maggio,
Andrei certo più tosto igotido e solo,
Ch'or con tali arme, c con ti largo sloulo.
xeni
Ha il meglio è d’ obbedire alla natura,
E quali ella oe dà, le forze usare;
E tanto più colui, che sol procura
La salute ei beo pubblico servare:
Però senza tenere or d' altro cura.
Che di questo crudel quindi levare,
Andiam cougiontì indeme, perché iiivauo
Sarebbe un sol di noi eoo Segurano.
xcvui
Ch* ancor che' sia di me più giuvìn tanto,
Ch'io non ftissi giammai seco a battaglia,
Senio da tutto il mondo dargli Ìl vanto
Sovr'ognI cavalier che vesta maglia;
E benché ceda a Lancilotlo alquanto,
Al p«>ssenle Trislao forse s' agguaftliat
E r un scudo lontano, e 1' altro irato,
Deviam bea riguardare al nostro sialo.
xax
Così dicendo, angusto rerchiu faooo,
Che ben doppiato Qa da ciascun lato.
Al feroce guerrier, che mortai dauuo
A' Halagrante d' ima punta lia dato.
Che gli ha passato il cor, ma gli altri rhantio
Col sovente ferir tutto iolonat».
Si che gli sembra ìl mondo gire ialorao,
Di color varii, e di facclle adorno,
c
Onde sferzalo al fio ritira il passo,
E poi eoo dignità fra' suoi ti resta,
Di sdegno più, che dì fatica lasso,
O che d'aspre percosse della testa;
E quando è in se d' ogni speranza casto
Di passare olirà il vallo, che I' arresta.
Rivolta in altra parte, e in altra siracù
L' aspro furor della mortale spada.
CI
Sìmile a quel poiseole altero fiume,
A cui l'arte e '1 valor d'umani ingegni.
Ove il corso drizzare avea costume,
Chidser con gravi sassi e duri legni;
Né sia di forza tal, eh* apra e consume
Di sotto, o intorno i validi sostegni:
Che per altro sentiero abbatte c svelle
Quanto incontra, e 'I romor vola alle stelle.
cti
Torna alla sua tìnitlra là, dov'era
Creoso, Ivano, e '1 nobile Mambrino,
Nella parte, a cui stende la riviera
Il tuo lido arenoso più vicino ;
Ch' a battaglia ivi perigliosa e fera
Soo con Bninoro il Nero, c con Clodiun ;
Ma così van di par, eh' essi non sanno.
Chi piu s'aggia di lor vittoria o danno,
au
Ha nel primo apparir di Segurano
La volubll Fortuna il dubbio solve:
Ch' a pena giuuto ancor, la cruda mano
Ha gettalo riverso tra la polve
Il furte Atlorìun, cugin d' Ivauo ;
Il qual, mentre che l'alma si dissolve.
Chiede al suo vel terrestre sepoltura.
Per non restar di cani empia pastura,
av
E luogo ebbe il pregar, ma non sì tosto,
Ch' allora è in altro alTar ciascuno ìiilesn;
Perché non lunge a lui prr terra ha posto
Il gioviu Meueslen da morte offeso.
Ch'ai possente farnre indarno opposto
Sperò di Sostener più grave peso.
Che Dun fu '1 suo valore, e se u' accorse.
Quando ìl colpo mortale al ventre scorse,
cv
Dopo costoro uccìse in un momento
Sfeleo, Cionio, Hicipso, e Licurone,
Che lutti aveati suggelli e reggimento.
Ove uri mar Sabriua si ripoue ;
Passa olirà il crudo, e tra '1 fugace armento
Sembra afTainalu c rabido leone,
Che d'altra preda pria spagliato fosse
Da pastorale schiera, che '1 percosse,
evi
Crenso il Senesciallo, e '1 prode Ivano,
Coi miglior cavalier, eh' aggiauo appresso.
Ben ristretti fra lor, drizzati ia manu,
Ove il popol vicin piu vicuc oppresso ;
Ma quanto oprano io ciò, rilorua vano,
Che lo stuol paventoso in fuga messo
Avea chiuso il cammino, e ’n tutta forza
Di fermare ivi il piè ciascuno sforza,
cvii
Surge Hambriuo il saggio d'altra parte,
Che meo l'aspra tempesta avea sentita;
Sveglia chiamando ìl buon popol di Marte,
E 'n lai conforti alla difesa invita;
Ora è '1 tempo a mostrar, se I' antic' arte
Del militare studio è in noi fallita.
Che fu già sì pregiala in Baogaria,
Che di tutta Bretagna in vanto avia;
cvm
O se siamo i medesmì, che più volte
Al Betico furor ponemmo ìl freno ;
Che già con mille navi insieme accolte
N' avean privati del natio terreno;
Oode tante poi fur tra fiamme avvolte,
Quando del sangue lor, c'cinpicmniu il seuo;
O quelli stessi, eh' al vicino Iberno
Aviam fallo sovente e danno e seberno.
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L AV ARCHIDE
Qaeiti, di cui teoiclc il gnardo tolo,
SrjR lutti di color» di eh' io rapiuoo»
Nati e nodrili dal medetmo polo,
Nè dal riri più di quelli tian proprio dono {
Ora al primo valor lì spirghe il volo,
£ rlarrr»clii di lui 1‘ aotico tuooo,
E irptiilr il mio piè, che vì ruoducc
Alla vera dì gloria «terna luce.
ex
Coll direa Mambrino, e moilra loro.
Per più ìofiammare i cor, I' alirro tendo,
Cihc dì peno colore c d' oilro e d' oro
Digito appar, d' opoi animale ìpnudo:
E iauaodo Oiooel col re Brmiuro,
$* invia co* snui, dove l' Iberno crudo
Opra in danno d Ivano c di Creitio
Olire a quel che iMQvrgna al luorlal om«
exi
E lui con grande ardir primiero assale,
E eli dà in meMo al capo aspra prrrotsa,
CJie beo r offese assai, ma non fu tale,
Clic iiiipiagarr, u impedir dì nulla il possa;
L* altra sua compagnia formata in ale
Da sinistra e da destra iniirme è mossa,
E eoo r aste e coi braodì gii stan sopra,
£ di metterlo a terra ogni uomo adopra.
cxti
Ma quel rìgido scoglio è sempre io piede,
Né paventa il furor di questo mare;
Pria di lutti Mambrìo ori braccio Cede,
E gli fere la spada abbandonare;
Poi fra gli altri guerrier, che 'oturoo vede,
Tra fugaci colombe aquila appare.
Che ehi in fronte ferito, e chi nel naoro
Tra *1 fuggire e *1 morir venolo è inaucu,
CXIII
Or poi che s* è veduta quella spemr,
Che piu gli sustenea, ratiere in vano;
E che quanto egli inrttiiira abbatte e preme
L’allo valnr del fero Segiirano,
Ciascun si forte ornai la morte teme,
Che sprexzalo ogni duce e rapilaoo,
Sirudeodo il corso per l’ angusta valle,
Al nemico vicìn vultan le spalle.
ARGOMENTO
aicofiUe I fugf^itivi il prode Arturo
A* S'irò contro ài ntfoi*o o Scfiurono ;
Torna quindi per amèo il l'ìncee duro f
Ma dal campo il secando va lontano^
t'Aé l,loda*sn lo appella entro del muro
Ove al A’umc sacrifica, nè ìnt'onu;
La tposa abbraccia, e con Clodino poi
7urnu ri//a pugna a tostcnere i suou
3i tosto rnmr awien eli* al grande Arloro
Le soitecile orecchie riperrnola
Del re Lago e de* suoi lo stalo oscuro,
E l'aspra fuga di speranaa vùla;
Fa che 'I re Caradosso il biaoru e puro
Bel vesaillu reale al vento setiula;
E le sonore Irunilsr in quella parte
Sveglia dal nido suo l’ invitto MarlCi
n
B de* suoi cavalier 1* ornate iqiusire.
Che nell' aperto campo avea distese,
Vien tutte rivedendo, e qnal pio padre
Lor rinfresca d’ onor le voglie accese.
Dicendo: Or vico dell' opere leggiadre
(Alle qnai sempre aviam 1' anime ìnlesc)
La slagioQ convenevole, da poi
Ch' ogni estremo rimedio è posto in noL
ui
Ben potete veder, eh* or sola giace
La salute comune alla man vostra:
Che se Ila del valor, eh' a lei conface.
La viUoria e la gloria i» tulio è nostra;
Ora a quel sommo onore, e beo verace.
Che la grazia di Dio o' alluma c musira,
Andiam con lieto cor, seguìam 1' insegna,
Che '1 celeste senlier con l'orme segna,
IT
Cosi detto a ciascun, posato e tardo.
Ben fra loro agguagliato si passo niuove,
lulln cb' all’ avvrnlar di lancia, o dardo
Viene, ove Seguran (a falle pruove;
Indi come cervìer. Icone o pardo,
Clic la preda affamato in selva trssove.
La polve iusino al sul destando in allo,
Sprona il corso veloce al fero assalto.
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L A V A R C H 1 D E
»
Il romnr dr’ dettrirr, JcM' an»p il ìuuqo,
NpH’oKrum tenlirr rhr ntJi» appare,
Srmbra ail’antuiino il tempfktu^o liiono,
(thè sopra il futru cirl ai sente andare,
Spaventando culor che carchi sono
Dì proster erudì, e d'atre colpe amare;
Po'^ria in ardente folgur »Ì converte.
Che le gelate nubi ha inloruu aperte ;
xtt
Le quali ad aspettar sedette a piede
C obbligarti un tal re di tanto nome,
Che d'alto allur sopra la fronte il fìede,
E di sangue gli empiè 1* eboo e le chiome ;
E liella sua virtù venne a mercede
Lo srarrar Taliua dì terrestri some
Per la più ritiara mau, che fosse altura
Dal mar d'iberia a’ liti dell'aurora.
VI
E ma mortai frapnr girando scende,
Ov' han l’ombra magp;inr gli eccelsi numti,
Ch’ or Ossa, or Pelio, or Apeonìno uITcnde,
Ove d’Arno, e di Tebro esron le fiati ;
Or r alte Uirrì, or col furore iiireode
De* aacri tempii le fainore fronti ;
Or degli arbor più antichi abbatte e doma
U piè, le braccia, c la cangiata chiama.
XIII
Il nobile e famoso Childeberlo,
L* allo crede primier di Clodovco,
Quantunque gìuviaello e poro esperto,
Diede aipra morte all' infelice Argeu;
Che nacque ove pili moitra il fianco aperto
Ver la Cinlabria il salto Pìreneo;
Che sposò di Verrallo la sorella
Nell' età sua ciascun fiutila e bella.
VII
Con aembiante furor, dì notte avvolta
A ferir vien quest' animosa schiera,
niempiendo d' orror quel, che ravvolta,
Ma più di lei schivar (laiio) iiou spera;
Cviuoge ove Scguran con sente folta
L'kttendeva nrguglioio, e *n vista fera ;
E a'h^d'aste e di scudi fatto schermo,
Quanto può, contro a lor sicuro e fermo.
XIV
E *1 privaro in quel dì le stelle infide
Dell'alma e delia fiamma ond' egli ardca;
Che dalla destra spalla gli divide
Il braccio, che la spada sustenea ;
Cadde il miser, chiamando le sue fide
Genti in aita, che ben liinge area ;
E lo spirto, che breve in lui dimora,
Dal premer de' cavai fu tratto fiora.
vili
Ma non ha il mondo forai, che sostegni
Di tante lance, e lai l'estrema possa;
Tal eh* in un punto sol la regia iusesua
Fa di mille guerrier la terra rossa.
Che nessun resta in piè U, dove segna
D’esso colpo primier l'aspra percossa;
Nè sol quei, ch'ivi fiir, ma molti poi
Dal medesitiiu urtar cadder fra' suoi.
XV
Cldtario uscito dal niedesrao Frauco
A Helaiiippo il rio la vita toglie.
Nato io Pomeria, ove le bagna il fianco
Con l'onda Ortelo, che le nevi accoglie;
Questi del padre suo canuto e bianco
Beiidco sanguigne le sacrale soglie;
Perché il frate), che di lontana sede
Dovei tosto tornar, non fesse crede.
IS
Passando oltra i destrieri, e mille ancora
Premendo van sotto il ferralo corno ;
Quasi simili a quei che traggou fuori
Della spoglia il frumento al caldo giumo,
Quando il vìilan cui fren saldo dimora
Del loro in mezzo, c fa gìrarse intoruo
Di giunieulì e di buoi 1' cietle toriue.
Che r arido tuo vel Irìlin con 1' uruic.
XVI
Or per qoeH' empio cor, eh' a fabbrirarc
Il pensiero infcruaic era stai' oso,
Da giustissima spada ullrapassare
Fc' io fiuo al dorso il gioviue famoso ;
Nè Cliidamiru il frale vuol mostrare
D' esser nianru de' diioi d'uuur Lramusu ;
Come it quarto con lui Teudorìro
D esser mcn di virtù, che gli aliti, amico.
X
Botta la lancia poi, ti reca in matio
Ogni buon cavaiier la grave spada,
E con quel^ da proso e da lontano,
Ove spinga il cavai, •' apre la strada;
Tal che più d' un guerrier, che sia sovrano,
f^ovien per opra tur, eh' a morte vada,
Oltre alla turba abbietta ed iitCnila,
Che Ira gli urli e '1 furor lassa la vita.
xvu
E rosi questi due congiunti in uno,
Non luiige mollo all' onorato Arturo,
Che qual padre provvede, che ciascuno
S<a di lor ben guidato e Leu sicura,
Truovano insieme Ifito, c (^roiuiu il Bruco,
Frateì Burgundi, e non di sangue oscuro;
Ma cugin di Cintilda, che già feo
Questi quattro figliuui dì Cludoveo.
XI
Decise il gran re Ariaro Ciiiofonte,
Congiunto amalo di Brunoro il Nero,
Nato in Usfaiia alla gelata fronte,
Ove al Cimbrico mar volge Viscro,
Di sangue tlliislre, e di ricchezze conte
Sopra molli vicio teneva impero.
Saggio nel cousigliar, nell' oprar forte,
E 1' onore c '1 valor gli erano scorte.
xvui
Ma le parli seguìan di Guoebaldo,
Che di lei il padre Cliiipericu uccìse ;
Nè il legame fraterno iulero e saldo
Al desio di reguar teruiìuc mise,
Or «questo unico par sicuro, e baldo
Oli incontrali nemici sì divise :
Clodatuiru percosse in fronte Ifito,
K ‘nljo sovra la gola c il colpo gito.
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l’ avarchide
XIX
Ferito é Cromio nel ftÌBÌitro Iato
Dal Laon Teotlorim, e posto a terra;
Indi triiova A|;raveno il forte AcatO)
Che tra* suoi pochi pari aveva in gnerrt)
Nel aatHs reg;iin intorno circondato
(Come invitta eilU moraplta serra)
Dalla frondosa Errinia, e poco meno
Era io Praga oaorato, che Dmmeao.
XXVI
Dopo coslor Bralleno ed Amìllano,
Taurino, Ì frali, e Ueliasso il Bello,
11 Brnn quel senza gioia, ed Uriano,
Con l’altro invitto e nubile drappello,
Nei suoi nemirì insangoiiiù la roano,
£ fece ‘sopra tur largo flagello ;
Nè l’un mai più dell'altro apparta lasso,
£ d'una riga egual moveaoo il pasto.
XX
Gli trapassò la gola nel traverso,
E di lei l'aipra (ì«(iila divide;
L’ardilo Gar|;antin, Dolone il Perso
Della patria roedesma, seco nccìde,
Che di sangue infinito il petto asperso,
Jliasmando il ciel, eh'a quella sorte il faide,
Rolando fio, come in sospesa piaffia
Suole il secco troocon, che spinto caggia.
XXVII
Come dopo 1* aprii si pon vedere
Gli aecorti mtelilor per gli ampi prati,
Diparlirse fra loro in larghe schiere,
E *n drittissimo 61 gire agguagliati;
Poi nell' ordin medesmo l^ar radere
Gli aridi 6en per terra riversati
Con 1* adnnrhc sue falci ; e ’o colai forma
D' Arturo ivi apparsa l'egregia torma.
XXI
II cavatier famoso di (Vorgalle,
Che tra* miglior guerrieri il mondo slima,
Che quelli arra della Lomnnda valle.
Che *1 Grampio adombra con l’altera cima,
Net petto fere, e *1 passa olirà le spalle,
Oftlesle, che lien la gloria prima
Nel puisente liitlare, e fu il più chiaro
Del terreo, che contien Rodano c Varo.
XXVIII
Ma il fero Seguran però non manca
DI mostrar la vìrtnde, ond'è ripieno;
Sosticn la gente spaventosa e stanca,
K raccende il valor, ch’ha speoln in seno;
Or nella destra parte, or nella manca
S' avventa, come il folgore o ’l baleno;
Or tra i nemici in mezzo si vedea.
Or dietro a tutti i suoi, che gli spingea.
XXII
Ma non gli valse allor enntra la spada
Del nobile e forlisiimo Britanno,
4-h* abbattuto convirn, eh* a bas«n vada,
Avendo de* murtai t'ultimo danno;
Segue codini per la medesma strada
L' Iberno Cebriun con meno affjnuu.
Perché nel cor da Ganesmnro asgiunto,
Senza duglia sentir muore io un punto.
XXIX
Quale invitto nncchicr, che da tempesta
Perigliosa sospreso esser si vede;
Ch'or en| fischio, or Col grido mai non resta,
E nel suo cominciar tosto provvede ;
Ch'allenta e lira or qnclla curda, or questa,
Com* or drilU>, o traverso il vento fiede ;
£ scrondu il furor, che il legno assale.
Cresce, o tarpa di lui le candide ale;
XVII
Malcliino il Grosso, ch’ai giganti sembra,
Incontrò di Sa«<<onia Polemune,
Che smisurata forza anch'egli assembra,
Piu il' altro assai di quella regione.
Per tutto ciò con le possenti membra
D' uii colpo nei cimiero a terra il pone;
E sonò nel rader 1* armala spoglia,
Come d'eccelso pin rovina soglia.
XXX
Ma poi ctiel suo senlier sente, che sforza
D'uua sol parie l’ Austro, o l'Aquilone;
Con bassissime vele, alla sua forza,
Tutto roiiiilu in se, la prora oppone;
Volge il timon routrario, e stringe l'orza,
£ di non traviar la cura pone;
Che se '1 cainmiu, che intende, gli sìa tolto
D'avanzar per alb>r, noi perda molto;
XXIV
Fece il medesmo il nobile Gerflello
A Reso il Provcnzal ferito al fianco;
Polibu poi con larga piaga al pellu
Resta abbaitolo da Finasso il bianco;
Landune il destro tra t miglior pcrfello,
Il cui sommo valor non fu mai stanco,
Con la punta mortai del fero brando
Pose il miicr CiflTco di vita in bando.
XXXI
Tale il gran Seguran, poi ch'ai furore.
Che improvviso Ksrveorte, è ìn piè rimaso;
Rinforza il tutto pui dentro e di fuorc,
Che fKsssan contrastare ad ogni caso.
Con r aste i suoi guerricr di più valore.
Che di Connacia avea verso 1' «wcaso,
Pun nella fruuir, e di ior duce feo
11 soo più chiaro amico il forte Alceo.
X9V
Non resta indietro il saggio Talamnro
Con la doppia virtù, ch'ha Ìii guerra e'n pace,
Ch* oecise Ileo, come il ciigiii Manduco
Spento il miser Cmm di spirto face;
E per man del ricchissimo Arganoru
Urll« lesta privalo Emonio giare;
iJ>Mrl, che nato Ira* Goti Orientali,
Pochi al fero suo cor trovava egnali.
xxxtl
Quei dell’ Ullonia pose alla man destra
Sotto il signor di Persa Handuioo ;
Gli altri, ch'ha dì Laginta alla sioestra,
Ove il fiume dell' Euro avea vicino;
Questi alla guerra intrepido ammaestra
Mogarlo il Biondo, col fralel Sabrino;
Quei di Momonia strade alle sue spalle,
E du«‘ì han Terrigauo e Horialle.
u
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.33 L’ A V A l\ C H I D E
Xf.TII
IIV
E di Hi> rapnnaiidn a r.litnm^F,
Qni si tacque il re antico; e ’t fero Iberno,
Che del sun toiniim tempio è «arerdote,
Mie stima Ì1 tuo poter suvr’ogni fato.
K le ro«e foliirr aperte vnie.
Gli amorosi rioirdi prende a scherno.
Come noi le pa«.«alr, e le più onte,
E risponde in seniion d' ira infiammato :
Dopo al(|(tanlo mirar d* un* alla arde
Or non sapete voi, che ’l proprio infermi,
Jn fallai vnri pretaglie Tali trunle
Cim quanti ha mostri, e furie in ogni lato.
Ogni rapare iierrl, guardò nel foco.
Non detleriaoo io me tanta paura.
di’ è l'elnneato »on, pur in qoel luro:
Che di fona, qual sia, letie&si cura.
xr.riM
LT
Indi a me ritornando in lietn Tolto,
Nè sete voi ’l priniirr, nò Clitomede,
Mi ditte t Alto mio re, secnro «pero,
Che di lui m'ha narrate aspre novelle;
Che 'd «angue e morte C arrertario arvullo
Perche la Fata, che nel lago assiede.
Todo vedrete, e vinrilore intero
Mriilrr il nnlria prr le stagion novelle,
Segiiran fia, *e di quantunque tolto
Sovente mi narrò, eh' aperto vede.
Avrà di preda al tuo nemiro fero,
Per quanto al uascrr suo muslrìn le stelle,
La qninla parte almen promette in volo
E per quel che Uorlin gli stilea dire,
Al Dotlro altero Dio, piano e devoto.
eia io per la spada sua dovei morire.
XLie
I.VI
E non latte pa««ar l'ora fugare.
£ mentre m* accogliea con qnelln affetlo,
Mentre che Lanrillntlo <ta lontano ;
Che far si po««a un più leale amiro,
Il qual ff con Arliir<» avrà mai pare,
(gunite fiate m' ha piangriido detto,
figni nokiru «prrar tarehbe vano;
Che ti dolca dri fato empio nemico.
Che morte arerba, n gran perìglio giace
Cagioo, che per suo figlio avesse eletto,
III <|uella eroda man prr Segiirano;
t.hi sormontamlo il veiu onore antico,
Ma te vorrà di lui tchivar la «pada.
Farebbe il nome rteruo esser di lei,
Sicuritiima avrà tuli 'altra ttrada.
Ma la ita recUerebIse ai giorni miei ?
L
LTIt
Soggiunte poi, che vi mntiglia ancora,
E così spesso al mio rnspelto poi
Cli’a tiiigular battaglia oggi rhiamate,
Miiainando lui, che faitciiillo era ancora,
Fra ciatron ravalirr, di’ ivi dimora,
Giurare il fé* sovra Ì parruti suoi.
Il miglior di valore e dì bnntate ;
E prr la deità, clic pìù s'adora,
C.ert4i rhe tovra ogn' uoiii quaggiù v* onora
Di non cinger mai spada rimiro a noi,
Il fero Marte, rhe voi tolo amate,
Per qiialiinqtie cagìuii portasse l’ora:
Per riti sarete a somma gloria indotto,
Quei eli’ eì sempre servò, ette in nc»i parlCj
8e •ctdvate il furor di Laiieilultu.
Ov.'io non aia cu' suoi da me si parte.
LI
Lvm
Nè ciò sembri viltà, eh* avvenir poute,
Che mille volte e piu, quauiPagein iidilo
Che sovente in alcon minor virliide
Drile pruve, di' ei fa, l’ altero grido.
Sia dal girar delle superne rmtle,
lirainusu di veder se «ia mrolìtu.
OiiJ* ogni bene e mal qiiaggtti si chiude,
Ilo eaagialu cercandolo arme e i̫lo ;
(ruardala si, ch’ogni sua f.iraa sruutc
Ma dopo ai priuti etilpi, ov' ha sealiio
A qoal Iruori maguìore, e 'ndarnu sode
Dcirocculto mio gir F abito iuiido.
Ogni altra al cunlrastar, rh'alfìn rnoviene
llipnn la spada allur, volge il destriero,
Yiiirilrice esser lei, che '1 Ciel suslieae.
L sdegnoso da me torce il sentiero.
ut
LIX
Non ci deve onorar per saggio o forte,
Oad’ Imi sempre portala, e porlo doglia,
Cliì spera il suo valor torre alle stelle \
idie da lui vilipeso esser mi sembra,
E chi four di ragion dispreiza morte.
E rcrlu smi di riportarue spoglia.
Via più eh’ ardilo e buon, crudo s'appelle;
Se d' adamaute ancora aves»e uirinltra :
(>cda il mortale alla mortai sua sorte.
Minacele pure il Ciri, dica che voglia
Nè «tenda le sue voglie empie e rubelte
Tutto il concilio, eh' a predir s'assembra,
Oltra r ordin lassù, ma prr la strada,
Che LanriluUo solo in guerra chiamo.
Che gli è rausLra miglior, coolcntu vada.
E con suiuitio desio sol csao bramo.
Lm
X.X
S'egli è dato dal Ctcl, che Segnrano,
Ed a voi chiaro suocero r siguore.
Il cui chiaro valor Fumano erreda,
Dolce padre onorato e re sovrano,
Aggia iutrepido eore, invitta mano
Avrò per obbedir con sommo amore
Si, rhe d ogui giierrier riporli preda;
lu ogui Italo il cor presto e la mano;
Ma la tua sorte al tiglio del re Bauo
Ma che mai di coitili tema il lururc.
<Ben che di men virtù) la palma ceda;
Il vostro affaticar del tutto « vano:
Soffrir coovieusì, e riograaiarlo appresso,
Che piu caro il morir per lui mi fia,
Che ’l poterla tchivar oe ha coocesso*
(.h* allungar gli auni mici per questa via*
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Sia «lei lerreslre quanto al Fato aggrada,
Che gli può poro tur, arnd' *i mortale j
Pur che lo ipirto mio per dritta itrada
Addrixac tempre al Ciri candide I ale;
Nè ai po«aa mai dir, che qiietia apada
(A cui di aomtno uour, non d' altro cale)
Se ben fuaae converta in ghiaccio e'n vetro,
Per temenaa d’altrui toroaaae indietro»
LUI
Di fare al qnìoto ciel solenne volo
D'ogni spoglia donar la miglior parte,
Consrnt'io col pensier piano e devoto,
Nè fien le mie promesse al vento sparte;
Che d'orgoglio è riplen, di senno voto
L' armato cavalier, che sprczai Marte;
£ che d' esse adempir eonleoto fai.
Voi quinci lestimon ne appella e lui.
LZIII
D' esser io poscia a sìngular battaglia
Con quel duce miglior, che segua Arturo,
Se *1 provocargli c ['invitar mi vaglia,
D’obbedir Clilomedc andrò sicuro ;
Benché pochi vi sicn, di cui mi raglia,
Se i medrsmi son qai, eh' altrove furo;
Se noo forse Tristan, che pure è certo
Ardito cavalier, prode ed esperto.
tXIT
Or questa sia la fin del parlar nostro.
Ripunendo nel ciel ciò eh’ etser deve,
Ch' io mrn vada volando al rampo vostro,
A coi di ritornar promisi in breve {
Vìvete lieto or voi, nè augurio, o nostro,
0 falso antiveder di spirto leve
Vi faccia noo sperar vita e vittoria,
Lnnga pace tranquilla, e somma gloria.
tir
Il buon vecchio reai, ch* intento ascolta
Del gran genero suo 1' alle parole.
Ha di doppio timor l’anima avvolta,
E del suo troppo ardir seco si duole ;
Non riipoude altro a lui, ma gli occhi volta
Piangendo al ciclo, e dice: O vivo sole,
Se r umana virtù ti fu mai cara,
Difendi questa in lui più d'altra chiara.
LXVI
E le mostra il cammio dritto e verace.
Che la conduca al fin de’ bei desiri ;
Opra col too poter, rhe nulla face
Dì sguardo miridial lassù la mìrt^
E ’l disegnar quaggiù tomi fallace
Di ehi più ai danni suoi spietato aspiri;
E lai deir ali sne sostieni il volo,
Ch* al sacrato arbor tuo pervegoa solo.
txvii
Poich* ebbe così detto, a lui si volse,
E con tsl ragionar lieto l’abbraccia:
Chi crederi, che l’uomo, io ttiì raccolse
Tanta bnnlade il ciel, già mai gli ipacria?
E di cui tanto onor la vita avvolse.
Consenta in morte, che negletto giaccia?
Che *1 passato valor pietà non muova,
£ di cosi sperar mi piace e giova.
Lxvin
Gite or con boonn agurio, e ri sorvegna,
Che non sempre è lodato il troppo ardire ;
Ma solamente iu loco, ove convrgua
Gli aspri nemiri abbattere o morire;
Poi sopr’ ogni altro cbì comanda e regna.
Non si tasse portar dal van desire
D' acquistar poca giurìa io gran periglio.
Ma via più che la mano use il consiglio.
LXIX
Qui al fin ti tacque, e dal suo sen discìolto
Il gran genero poi da se diparte :
ludi a (Jodin con lagriroovo volto
Dire: Ftgliuul, però che il senno e Parte,
Che distingnon 1' uum saggio dallo stolto,
E eh' hall del bene oprar la miglior parte,
Sno dell'uso e del tempo il parto chiaro;
Truovaou io giovin cur l’albergo raro.
LXX
Vi ricordo e vi prego per questi anni
Coti debili ornai, canuti e bianchi.
Che ’n dolor luiiglii, c ’n travagiinti affanni
Son di piangere i suoi pur troppo stauebi.
Che dall' odio mortai de' rei Britanni,
£ dall* aspro furor de' guerrier franchi
Con accorto riguardo, e con misura.
Quanto importa 1’ ouor, v* aggìalc cura.
LXII
E di quei cavalier seguiate l'orrne,
I qiiai sirn più di voi ueti' arme esperti;
Nè r ardue giuviail I' animo informe
1)' impossibili a lui ricercar merli ;
Nè vi muovali di quei le vulgar torme.
Che del vero valor vivuuo incerti,
E non san, che l'ardir di scotio trarrò.
Di vergogna, e di morte è il proprio varco.
LXXII
Già cerca Seguran dall’alma sposa
In breve ragionar congedo avere;
Quando lei sente afQilla e lagrimosa
Tra le sue braccia misera cadere,
£ 'n sembiante apparir qiial bianca ru^a.
Poi clie 'l raggio del aol la scalda e fere.
Cbe’l leggiadro splendore, und' era adurua
In pallidu color laoguendo turila.
LXXIti
Dopo alquanto vagar, poi ch'ai tuo loco
II travialo spirto era turuato.
Le due languide luci alzale un poco
Nel volto affisa del consorte amalo;
PoKia in greve totpir ripivn di foro
Dicea tutta tremante: lo quale stalo
Sol mi rechi il timor dei danai nostri.
Bea pulcle ur veder cou gli occhi vostri.
ixxtv
Però prego piangendo, o Signor mio,
Di mirar tfoi peiisier qual esso fura,
Se mi ferisse il c«»r qualph’atpn» e rio
Caso di voi, moie u' avvien talora.
Ma pria quei grati molor, quei sommo Dio,
('he per padre cuinno ciascuno adora.
Del suo terrestre vel queit'alma spoglie,
Che rtveslirU, oimè, di simil doglie.
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LXXV
Mi te m* amastr' mai, romc tovrair,
Ch' io mf I cretlra^i pur, tlr«io mostriate t
E di mcrto lirun Timore anlrnle.
Che 'afiimmi di Gianon te voglie naie ;
Aliar che 'o meuo atti Remica fteole,
latra spade ponpeati e risiile aste
Sprooerele ti rorsier, vi riaowrgna
Del nùo pregare unii, a' io ne ioa degna*
uxn
C dite io voi nedraroo : Claodianif
Clie*n si aogntcioae pene oggi laariati
Se per temenza imnusìaata e vana
Se le oicurir cosi del soie i rii.
Che faria miscrella, se lontana
D* ogni conforto, e tra infioìti guai
Si trovasse al più rio del corso amano,
Scoia la teoria aver di Segurano ?
Lxnvti
Che non è sposo sul, ma padre e frate,
£ mille dolci nomi aggituilt intirme;
L’ orate ornai calca all' aliime giornate
L* onorato Clndas«o, e morie il preme ;
De' suoi Unti geiman di utila etate
Solamente io Clodiii cliinde ogni speme.
Giovine iocauto, e l>en che d'allo core,
Non forte a sostener si gran furore*
LXXVIII
E rhi sarà il suo scampo, pni rhe'n seno
Fia de' Franchi c Britanni il nudo Avarco,
Che OOD la prenda allor Tempio Gaveno
Da lei per mia cagion d’ ingiurie carco ;
£ sfoghi tutto in lei T aspro veleno,
Del qual, mentre vivrà, non fia mai scarto,
E Ira te selve sue mattina e sera
Oprando l'ago c *1 (il la tenga a schiera f
txxix
EH misero Cgliuol, eh* al terso mese
PorT io. del nostro amor gradilo pegno.
Cerchi a nascer lonlan T altrui parse,
Prr restar servo fra i oemirì indegno}
£ dell' alle rovine in noi discese,
£ delle lor vittorie eterno segno?
E dir possa il più vìi con fero ciglio:
Quei sou di Segurao la sposa, e '1 figlio ?
txxx
Non sempre troverà cortese aflello.
Come già in Lanrilullo in altri tempi,
Che al padre la rendeo, contro al disdetto
Di quei, che la volcano, avari ed empì {
Ma trovandola ancor, se ’l patrio tetto.
Se le pubbliHie mura, e i sacri tempi
Sana destrutli, e tolti ancitì i sui.
Ove la tornerebbe, e 'n man di cui?
LZXXI
Deb consorte onorato, aprite alquanto
Alla preghiera nmil T orecchie e*l corr,
E tempre in voi T umor del nostro pianto
Qualche favilla al mariiale ardore ;
vogliate spregiar del sacro e santo
Vale, le voci pie scarebe d'errore,
Perché vcdnlo arem per prove antiche,
Che le stelle al predir seaipr* ebbe amiche*
LTXMI
Ridoeete qni presso i goerrier vostri,
Ch*a quest’ alma città gnardin le mura,
Ove d’ Euro c d’Oron gli ondosi rhiustri
Men la parte di lor rendbn sicura;
InCn rbe'l ciel con miglior segni mostri
Della vostra virtù tener più cura.
Che non sempre ha lassù le voglie egnali.
Ch’or minaccioso, or pio volge aì mortali*
I.XXtlll
R *n questo tempo tutte ai santi allan
Sarrifìri porgendo, e doni e preghi,
Con meste voci, e con sospiri amari
Sdpplieherem, rhe'n voi la vista pieghi;
E le notti felici, e i giorni chiarì
Per le nostre vittorie amico spieghi;
E doni a voi girlanda in questa riva
Di trionfante iatsro, a qui d' uliva*
MXXtv
E se avrrm le battaglie a noi vicine,
Potrò il vostro valor vedere aimrno;
E roDlar meco T anime mcscliioe.
Che ilrl fero Pliitnn porrete in seno ;
rrrgsodo allor, che le virtù divine
AI rotirn troppo ardir reggano il freno;
Ne Tuslioaio cur vi porte in loco,
di' ogni sforzo al tornar poi fusse poco*
tfXXV
E non sempre udirò fra doglia e tema
Di mcsssggier fallare le parole.
Che 'I ver rome gli aggrada accresce c scem a,
E sempre oltra il dover s'allegra e duole;
E *t min misero cor, ch'or arde, or trema.
Più sovente il peggior eroder ne vuole ;
In questo luco almen gli occhi vedranno
Il iur proprio contento, • '1 proprio danno.
LXXXVt
Poi tolti i nostri duci e cavalieri,
Che si vedran de' suoi le luci sopra,
Si mostreranno in arme assai più ferì,
Ch' ove T alimi viltà s’asconda e copra ;
Perù che in nom, che bassi aggia s pensieri,
La vergogna e ’l punir più «T aitivi adupra;
E tal qui con Tristan si farà ardilo,
Che là dal suo scudìer saria (isggite.
r.xxxvii
Qni si tacque piangendo, e Segorano,
Nel cui feroce enr dolce pietadc
Pur de^lo avea T nmil sembiante umano,
K le lagrime pie di tal bellade.
Risponde: Il contrastare iu tolto è vano
Al voler di lassù, né Irnova strade
Secure il piè mortai, che *1 meni dove
Non si Ucnda il poter del sommo Giove*
tx XX vili
Sicché 'ndaroo oprerem, se fia por vero
Quanto n'ha ragionalo i'dilomede ;
Ma non vola lant'allo umaii pensiero,
Né la vista dell' uom si addentro vede;
Però, ch'aggia meutito, affermo, e spero
Dì lui veder di tallo il danno erede,
('•he per voi lusingare a me predice,
£ me più clT ancor mai cou voi (elice.
LKXXIX
Or dulriiMina *po»», « »* p*ò cxra»
Cht le «edcene lati, t qoeiU vite,
O l'eltre coie mai piti emic* e rare
Hi può in aorte venire, o pi«i predile;
Spopliele il ror di que»ie doglie ^ere,
Cli’ a temer troppo, e leprimer v' invile |
E *1 rivejtite ornai di quelle tpene,
Ch* elio epirto rcal di voi conviene.
• »c
Che chi nate i di ianpa« «>«• «Itero
Il pcntier femoiinìl de te divida
Di quanto posta mai tolto al tuo impero
Eecar fortuna inttaiiile ed infide ;
Sicché r animo retti invitto e’nlero,
Difeto dal valor, che 'o Ini t’annida;
E morte o tervitù che da tei regna,
Non oicure il candor, che io etto regna.
xci
B ehi tutto ai pcntler ti pone avanti
Ciò che pnole avvenir nell’ alle imprese.
Di te il morir, de' tuoi più cari i pianti,
E de’ nemici poi le crude oOeie ;
Degno non è ira cavalieri erranti
Vettir di Marte 1* onoralo arnese:
Ha dì ripeto inerme, e d’ozio vtgo
Tra le fcramine usar la rocca e 1' ago.
xai
Convieni! all' alto cor, da poi che tcorga.
Che non tenia ragion tegne una ttrada.
Per quantunque ella teenda, o in alto sorga,
Col comincialo patto inuanli vada,
Solo al 6n detiioatu gli occhi porga.
Che mal ti può avanzar chi altrove bada.
Sia lontan d’ogni tema, e'i meglio attenda.
Poi quanto ha ’l ciel ditpotto in grado prenda,
xaii
Ben vi gior’io, caritiima contorte,
Per le fiamme d' amor, di' io porlo io core,
Che men grave mi fia ritleata morte.
Che il lassarvi ioolana io tal dolore;
E che per uoo recarvi a peggior torte
(Por ch'io non squarci il marziale onore)
Guarderò dalle insidie questa vita,
Ch'io prezzo sol, perch’è da voi gradita.
xav
Ma di qui rimeoar le genti indietro
Impotsibll saria leuz’oola avere.
Che più frali assai son, che ghiaccio o vetro
Per chi rercliì cangiar le assise schiere:
Che ingombrate talor da incerto e tetro
Timor, non le può a fren poi ritenere
Dure nè cavaliero, e meno ancora.
Se ’i passo ritirar convegna allora.
xcv
Ma battivi, che ’l loco, ove noi temo,
Ifon men,che‘atorooaquì,ne dia vantaggio;
E se ’l ciel nou ne sia nemico estremo.
Dello avvertano oinaii tema non aggio;
Vivete lieta pur, che poi di' avremo
Vendicalo di noi 1' antico oltraggio,
Fia dolce il rimembrar dri tempo rio ;
E te'l contrario avvieti, sia potio in Dio*
I
xevf
nirolttt appreuo alla famosa Albina,
L’alma suocera tua, rosi dieea ;
Ovunque inteuda la virtù divina
Dì eoodurmi o Fortuna o dolce, n rea ;
Madre onorata, con la mente inchina
Vi prego nmìl, che la mia sposa e dea,
Che di voi nacque, su tanta cara aggiate,
Che non sìa ensda io se la ina pielate,
xrvii
Qui ti tace, e 1' abbraccia, e l’ asta presa,
Che ’n terra al suo venire avea confitta,
Rivolge il passo alla lassala impresa,
Ove ancor rallendea la schiera invitta.
Della vecchia infelice, che compresa
Dal primiero languir rimane afQilta,
Al soverchio, ch’area, s’aggìugne il duolo,
Quando vede U partir del soo figliuolo (
j xcviii
Il partir di Clodìn. che già segoia
Del caro Segnran gli alteri passi,
Il qual rappclta seuntulala e pia,
Dicrudo: Or fate aimeo, che gli occhi lassi
Pussan di voi saziarsi alquanto, pria
Che ritorniate ove crudele stassi,
Di voi, di lutti noi bramando morte,
Il fero inesorabile Boorte.
xax
Nè pots'io beo saper, die ’n Dio sol giace.
Latta, s’ io debba mai rìvederv* auro,
O s' ancor aggia meco tregua o pare
Il rtcl, di' ai danni miei nou veggio stanco.
Che 'n dodici Gglìuoi breve e fallare
Piacer mi diè, poi che venuta è manci»
Già la parte maggior di latti, ed io
10 vita resto aucur per dauuu mio.
e
Fu nel passare il mar dì Lancìlolto
Che in tormeoto di me nel mouilo è nato,
In un punto medetniu a fio condotto
Ercole il forte, e '1 caro mio Dentato ;
Poscia, allor che Grifuo fugato e rollo
Fu pretto all' Era al tuo sinistro lato,
Lassò il verde terrea di rosso tinto
Per r itlessa sua man decimo e quiuto.
CI
Ch’ or volge il testo sole, allor di' area
Di nuovo aurato pel fiorito il volto
L'uno e 1' altro di lur, sicché parca
Nel più cortese aprii germe ben culto;
L’ alle* anno appresiu per Fortuna rea
11 mìo dulce Seltimiu nii fu toUu
Dall'arme di Baven rrodcle e fera
Sopra il Ilio fatai dell'empia Cera.
eli
Nonio non mollo poi da Lionello,
Del raaladetto teme aneli' ei di Gave,
Pur qui vicimi al tuo paterno ostello
Restò impiagato da percossa grave
Nrtr osso dotta frunte, di' al cervello
Fa di sopra, c di luor coverchìo c ditave ;
B senza il gran valor di Palamede
Gli dimorava in mau tra I' altre prede.
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L’ avaro II IDE
riti
Ma difrio da lui» dì polve e lanette
T<e (liovinctte rlii«ime e ’l volto pieno»
Mi fu portalo» oimè, pallido eian(;ae,
(>b* ornai poco di apirto aveva in »eoo {
Poi, qual venni|tlto fior» che rollo langae»
Fra queste braccia misere viro meno;
£ mi tenn* io rrtidel» che ’n quella vista
Non andai ìooanzi a lui dogliosa e trista.
CVll
Perù» dolce figlìuol, per gli ultim*anni,
Ch' a squarciare Ìl mio vel lon presti ornai;
Per quelli antichi già sofferti affanni»
Che del peso di voi gravosa andai,
.11 stmniain oprar, gii ascosi inganni
Che i Britannìri, e i Franchi ai nostri guai
TesioQ la notte e '1 dì» saggio schivale»
Nè vi dia troppo ardir la verde elate.
ov
Ma SOI] rimata ancor» per quel eh* Ìo temo
E già vidi per prova, a peggior sorte;
Però che acerbo allor di vita acemu
Il poverello Albio fere Roorle ;
Che perch' ri fu dì tutti il parto estremo,
Troppo il cielo arciitai della sua morte ;
E perrli* oltre al voler del pio marito
Del raedriroo mio latte era nutrito.
cvni
Con tal parole al fin gli occhi e la fronte
D'amarissime lagrime gli loooda.
Come suol sotto spero ombrosa fonie»
Che larga stille dall' erbosa sponda;
L'afTjnnato Clodia con le più pronte
Parole, ciTal dolor la lingua infonda»
Dice: Ornai son finite, o dolce madre,
L'ore del vostri ben rapaci e ladre.
CY
Così Tanica figlia Claudiana,
E cinque altri di voi mi rrslan aoli.
Che mi parca d'ogu' altra esser sovrana
In numero c beltà di tai figliuoli ;
K ciTio sia di Umor venuta insana
Che'l mio fero detlio voi non m'invuli»
Mi riprenda rolci, che se ne Iruova
Selle volte, com’io» già stala io prova.
ctt
Sperate pur, che dopo oscura pioggia
Si suoi vago e seren vedere il cielo»
Che non serva ad ognur T uaala foggia.
Come non sempre è caldo, o sempre è giclo;
tira il nume d* A varco iibislre poggia.
Cui gran tempo oscurò gravoso velo ;
E chi vive dei vostri in gloria e’n pace
Vedrete, e *n sommo onor chi morto giace.
rvi
Io non veggio arrivar mai messaggiero
Inviato dal campo in questa parie,
f.b'io non senta aggiarriar Talma e *1 pensiero,
K 1 cure sbigoltirsc, e battrr parici
Che ini par sempre udir» che '1 drslin fero.
Congiuralo al mio mal r>*n T empio Marte»
Per aggiongenni ognor lunnetili a duglie»
^ 01 » che priiuicr portai, dei muudu spoglie.
ex
E vi prometto poi per quello amore.
Che ’nverso madre tal conviene a figlio,
Cile i veraci ricordi in meuo il core
Mi itaran sempre, e '1 vostro pio consiglio:
Qui baciando la man con dritto onore»
£ mostrando ver lei pietoso il ciglio»
Allrrsc poscia alla sorella pia,
Dietro al suo Seguran ratto a’ invia.
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ARGOMENTO
Chiama Athinn t Claudiana te matrone
A porger voti a Palla, e incenti e vati.
Onde protegga nella ria temone
E padri, e sposi, e fratelli, e nepoti,
Clodasto pure invoca protezione
Dal Dio delle, battaglie, e con devoti
Senti al tuo tempio con le spoglie ascende
Piate da luì, e in voto ivi le appende.
I * .
MJ alle donne reali ib(f;utlite»
r.4ia fili occhi ver*o quei rotano io piede;
Coai Ian|(nide, afliilte, c acnioriir,
Che ptn lieta di lor morie ai vrde^
Simili a mote immagini, acnipile
Proso a marmorea tomba io fredda acdei
Sul del pio lacrimare i larghi rivi
Mutlran, che ì acoai por rimatcr vivi*
li
Poi che piò non poteo seguir la vista
Dei due gran cavalieri i prtinli passi,
Comincia Atbiua dolurusa e Irisla,
Da muovere a pietà le selve e i sassi :
Aimo lucente sol, ae mercè acquista
Il «Uvolo pregar di spirli tassi.
Spiega in noi ai felici ì raggi adorni.
Che la coppia, ch‘ ur va, lieta riturui,
m
Indi volge il parlare a Claudiana :
Tempo è di visitar, rara figliuola.
Il tempio sacro della Dea sovrana,
r.hr di saggeixa e d' arme ha Ìl pregio sola.
Che nacque senza madre (e nun è vaua
L' antica fama, che nel mondo vola)
Della fronte santissima dì Giove,
Che r eterno c '1 mortai conlenipra e muove.
iv
La qual mille fiate ha preso in grado
L'nmil preghirre mie nei |>atsali anni;
E srriir m' ha mostrato, e piano il guado,
Prr mi molti schivai perigli e danni;
Sirrh'ìo porto credenza, che in lai grado.
Infra tante paure e Unii alTafini,
Non debba abbandonar chi a lei rirorrc,
£ che suol tutta tu lei sua speme porre.
Ma pereh* al cor divolo ai conviene
Adornare i pensier di qualche offerta;
Cerchcrem pria l'albergo, che contiene
La donnesca rìecrhezia altrui coverta ,
ludi trarrem ciò che più in cor ne rime,
Che più possa spiegar la voglia aperta.
Che d* onorarla avemo, e con qualrh’opra
Aprire il buon voler, ebe questo adoprn.
TI
E per meglio adempir nostro desio,
Fareni tnlle appellar T altre matrone,
Che di sangue più illustre, e di cor pio
Aggian di noi seguir dritta ragione,
Con quelle, che 'I timore, e 'I tempo rio
N* han poi condotte d'altra regione,
Non nodrite in A varco, c eh' han seguito
Chi 'I parente, chi '1 figlio, e chi 'i marito
TU
Ma innanzi che ciò farie, è ben richiesto
Scoprire il tutto al mio reale sposo,
Ch' ogni principio ha il fine agro e funesto,
S' a chi dee comandar venisse ascoso.
Cosi vanno a Clodasso, a cui molesto
Non fu ìl lue disegnar giusto e pietoso,
Direndo: E dopo voi verso il mìo Marte
Farò il medetmo anch' io dall altra parte.
vili
Però che in ogni tempo e in ogni loro
Si devono onorar lassò gli Dei,
Nè il lor sommo poder recarse in gioco,
Come suvrole fan gli stolli c i rei,
Che stimap, che '1 temergli o nulla, o poco.
Sia grandezza di cor, che chiuda io lei
Proprio verace ardire, e gran valore,
E '1 conoscer d‘ altrui lo sciocco errore.
IX
Gitene avanti pur, ehe poco appresto
Seguirò ’l vostro andar nel prtspriu effetto.
Poi fece a se venir, che gli cran presso.
Il frdcl Anfioiie e Pnlidctto,
Tra i tuoi piii cari araldi, e di cui spesso
Avrà sentito 1' amoroso affetto;
Poi dice al primo: Andrete alla riltadc
la quante ivi saran case e contrade,
X
C direte a eìasenn di sangue rhiaro,
Che r età fanriutlcsca aggia varcata,
Cli' a gran pubblico ben, prr quanto ha caro
Di far rosa per me giuruiida e grata.
In abito sembiante al tempo amaro,
E *11 vista di dolore arrmnpagnata,
Dov* io gli atlcndcró nella mia sede,
Con sollecito passo addrizze il piede.
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Ch'io intendo vUiUr del sacro Bfarte
Il gran tempio divia eoo loro iiuìemet
£ delle palme mìe donargli parte.
Onde il crudo BriUono c '1 Gallo geme,
Pregando], eh' ei risregli i cori e 1' arte,
£ rantiro valor del primo seme
Nei nostri duri illustri, e meni a morte
U possente Tristano e'I rio Boorle.
Ove dentro apparta la regia soglia,
Di ricchissinie logge, e d' atrii adorna,
Non meo tacenti, rh'al buon tempo soglia
Sorgere in tauro il sol quando s' aggiorna;
Le superbe cuiunoe furo spoglia
Drl bel paese assiso in tra le corna
Del gran Ilodan famoso e dì Garona,
Ove al Galliru mar sedea Nerbona :
A Poiidetto poi comanda : Andrete
Alle caste matrone d' ogn' ioiomo,
E per nome d' Albina lor direte,
Che vengan ralle al soo reai soggiorno.
Dispogliando da sé le vesti liete,
E dell'anritn vel l'abito adorno.
Per gir di Palla alla virg*uea soglia,
else rivolga in dolaor la nostra doglia.
Ch'aller cb'ella coi snoi nel sangue avvolta,
Della vita, e dei beo unda rimase
Per la man Visigota, e 'o ceaer volta.
Come r empio furor le persuase ;
Quella più integra parte indi raccolta
Di pietre alle ad ornar le regie case,
Uaudù a Clodasso il giovine Odorìco,
Che fu sempre dei suoi perfetto amico.
Cosi dello Clodasso, ivi si accinge
L*nno e l'altro di tur tacilo all* opra ;
1 più pigri e i loulai) mouve e sospinge,
E per tutto adempir l'ingegno adopra;
Ma la turba devota si dipinge
l'ale iu cor lo sperar, clic vien di aopra,
fdie muove senxa spron veloce il corso,
Ove credea trovar pace e soccorso.
Eran d* egregio sUI nel maro stese
Del fero Slilicon le glorie auticiie.
Che per patria ebbe il Vandalo paese,
£ le stelle al principio troppo amiche ;
Del gran seme del qual Clodasso scese,
Ma dcolro a regioni assai più apriche
Di quelle, onde i suoi fur, però ch'ei nacque,
Ove Linia e Onero insalan 1' acque.
La dolorosa Albina e Qaudiaoa
Cou voler del gran re mnovono il passo,
Sospirando fra lor la sorte lunana,
E I viaggio mortai gravoso e lasso;
E che la cuadision regia e sovrana
Non è sempre miglior, elte ’l viver basso ;
E *11 lai folcili pensicr con pochi a tergo
Si riUnovan cundollc al proprio albergo.
Lì Teodosio il grande si vedea,
Che del nome Human reggendo impero,
Agli estremi suoi giorni Ìo man pooca
Di Stilicon sotto 1‘ arbitrio iulero
11 figlio Onorio, a mi lassato avea
Dei liti OtcidcQlai lo scettro altero,
Il qual poi giovinetto 1' obbedio.
Qoal maestro onoralo c padre piu.
£ montale di Ini 1' altere scale,
I suoi rìcrbi te»or Iruova ciascuna ;
E quel, che sia più degno, e che più vale,
Per disceriicr poi meglio, insieme aduna-,
£ l'esprrtc diioxclle iu opra tale
Soli rhianidte ai consiglio ad uoa ad una.
Che ili sua donnesca c semplice ragione
In ineaxo pon la propria opinione.
Sì eh' a sposar contento sì conduce
La figlia Buchera, nè di lei si sdegna;
Ma d' appellar lei sola scorta c luce
De' segreti peiisier 1' ha fatta degna.
Iodi il suocero ino rellure e duce
Si vede andar d'ugni romaua invegua
Cuaira il Gotico pupui, che iafinìLu
Ingombrava d'Italia il uobil lito,
Ma inUulo d' ogn' iolorno sì vedea
Delle douur apparir I' egregia schiera.
Delle qnai tutte accoglier cura avea
La vecchia Orusunda cun la vaga Aldcra
Dentro al ricco paiatto, ove spléodea
Di mille statue d'or la corte altera;
£ '■ veggi ricchi poi di sete e d* ostri
Le {accano aaseder per gli ampi chiostri,
Sotto il furor del crudo Radagaso,
Che fu il primo tra' suoi di tanto ardire;
Nè di fame timor, nè d' altro cavo,
Nè TAipt, o r Apeuniu p«ilè bnpedire,
Cb* ei mm venisse uve in più altero vaso
Vede il piccini Mugnou Tonda sua gire.
Tra i niuulì Fiesulani, uve a Fiorenxa
Guastò il nido gentil la ria sciueuxa.
Dicendo poscia in bel pregar soave,
£ cuu dolci parole e pellegrine,
Clic non venisse lor nuiuso e grave
D'alquanto ivi aspellar T alle regine;
Ma la più gioviu turba, che sempre ave
Bramoso il cor di viste peregrine,
Sciulla d' ogn' altra cura andava iutornu,
Higuardaudo il più bel del loco adorno.
Tra T aquile romane Dldioo e Saro,
Degli Unni duce quel, dei Goti questo,
Si vedea tratto da disegno avaro
Cuulra i meileinii suoi venir molesto t
Ivi lian serrato T avversario amaro
In luogo a' sussi disegni agro c funesto,
Dentro aspre vaili, iu Ira sassose strade,
Ore tuu tulli i suoi misero cade.
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^ l’ avaro H IDE
XXV
C/Oa 1* abito dacalc Slìiicone
Sf>riinar »i worpt^, c roiifurtar le ichlwe,
Ch'or al rorno ainùlro l‘ arme oppone.
Or nel de*lro, ehe vien, perruoie e fere ;
In fin ebe inleramenle a ba»«o pone
Le mloaceìanli |tolirhe bandiere,
E che (alili di tur vede per terra,
Che tenaa dubbio aver vinta è la gnerra.
XXXII
E senza cura aver del nome pio,
D' esser sumero suo, uè deita figlia,
Poi ch’appellato fu nemico e rio.
Con qnci, eh' amava in prima a meraviglia,
Euchero Ìl figliuolo, arrunsenlio
Di far del sangue suo l'erba vermiglia;
Ma il discreto piltor ncll'a»pra sorte
Tutta colma d’ onor ritrasse morte.
XXVI
Il aiiter Radafcato ivi apparta,
Che la vette reai da aè tpofcltala,
Sruza compaftoi aver ratto fuiipiia
Per deierta rampapna alimi relata ;
Ma il fa inrootrar la «ua fortuna ria
Grnte, che di quei Inofibi anmiarslrata
Sovra il pìo^o dell’Alpe aiceto il prende,
E 'n man di Stiiìcon legalo il rende,
xxxm
Poc' oltra si vedea soletto andare
Per monti alpestri il fido Marialle ;
K ’i pirciulo Iraronto via portare
D' Euchero figliuul sopra le spalle
Per r ombre ascoso, e le giornale ciliare
Fuggir temeudu, c 1’ abitalo calle,
Tanto cb' al fin, come a frdrl amico,
11 pose in man del gotico Alarico.
XKVII
11 qaal aenza pietà la regia testa
Del suo butto rrudel fere privare :
E r altro popol iuo, che ’o vita resta.
Per preuo a servitù perpetua dare;
Poc' ultra ii vedrà odo meno infesta
Altra gotira insegna radonibrarc
Deir infelice Italia il seno aprico.
Clic ’a fortuna miglior segue Alarico.
XXXIV
Che con paterno amore in guardia Ìl prese,
E ‘1 tenne infioo al di, ch'abbatte c doma
Quasi al lerz'anno in si crudeli olTese
li seggio altero della nobil Roma,
Indi adornato di reale arnese,
E di ricchi tesor con larga soma,
Seroro ii manda nel paese Ispano,
Ove regnava il Vandalo Marano.
XXVIII
Al quale è SlilicoD, non men eh' allorai
Con la medeuna gente a fronte gito.
Ma più langa slagiuu con lui dimora.
Or quel colle ingombrando, or questo lito,
Che ieiiza 1' arme usar prulonga 1* ora,
Con più torto pensier, che forse ardito \
Fui nel Co gli dà pjce e gli concede
D' Aquilania il lerrcu per propria sede.
XXXV
II qnal di Slilicon sendo cogino,
Avea col suo favor tatto acquistato
Degli alti Pirenei l'aspro cooGoo,
E io scettro tenea di ciascun iato;
Che quanto alla Garona era vicino
Dall Aquilano Oreao circondato
In Gallia pusiedeva; c nella Spagna
Ciò die il Canlabro mare c Liuia bagna.
XXIX
Nè molli giorni poi, che senza cura
Vide il Goto foror restarsi io pace,
Nel silenzio maggior di notte 0 !>cnra,
Che Ira '1 sonno e tra’l vio sepolto giace,
<jnel, cir all* aperto sol gli fea paura,
Tenta di far; ma ii suo pensier fallace.
Mal cunsegiiilo al Cn, dannoso e voto
Fu per l'alto valor del fero Goto:
xvxvi
Li si vede il fanciuJ cosi nodrilo,
Come Uscito di lui con somma cura,
Fui di t.lodia sua figlia esser marito,
E d acquistargli un regno assai procura :
Tanto che dei Santuai il fertil Lito
Con iosiilie e con forza ai Galli fura;
Di cui fatto Iracunsu eterno erede.
Dell amata sua Clodia un figlio vede t
XXX
Che io si ostinato ardir gli batte il fianco,
Che le insidie scoperte in fuga volge;
Nè potè Stilieoo lo stuolo stanco
Ritener più rhe fredda tema involge;
Cosi 1 suo disegnar venuto manco.
Nei caiDtnino, onde venne, li rivolge;
E vinto dal foror con ratto piede
La palma c 'i loco al gran nemico cede.
XVXVII
E *n memoria di lei Clodio 1* appella,
Ha il Vandalo vulgar volse iu Cludasio ;
Che poi crescendo per Peti novella,
Scguio degli avi ii glorioso passo;
Li giovinetto ancor sopra la sella
D'iiu feroce corsiero, or alto or basso
Si vedea rivoltarlo, or sciolto ìl mor>u
A'soui caldi desir, muoverlo a corso.
XXXI
Poscia adnnata ancor novella aita,
D' altra guerra mortai si pone io pruova,
Ch'assai men della prima ai Ciel gradila.
Più eh’ ancor rutto e vinto si rilruova;
La cui calamità, poi eh* ebbe udita,
Ultr' ugni creder suo dannosa e nuova,
L* imperatore Onorio giuviucUo,
Ch' ci gli sia disleali prende sospetto.
xxaVMt
Poc* oltra andar poiché P età fioria,
Tra infiniti guerrier di ferro cìnto
più inverso i Celti, e quanti traeva io via,
Ha roQ pace acquistato, o io guerra vieto;
Nè ii gir vittorioso gli desvia,
Nè l'ha fallo più tardo, o 'odiclro spinto
Ceraota, Scura, Lindro, Vienna, c Cera,
Che non meni il suo stool vicino all' Era.
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XTin
Ove potria inmoirò (<rore ioloppo
Del famoto B>»orte e del re Bano,
Che '1 «HO correr veloce sUoro e zoppo,
E 'i difef^o orf;opliow) renilro vaso,
Ma perché il «uo potere era pur troppo,
E t socrorto dì quei tnolUi lontano
In tra mille battaglie »i vedrà,
Cile *1 valore alla forza soppiacea.
xtvs
Lassando io man di Sergio, il qnalc allora
La lor vece reggea di quella terra,
Con gente assai, quanta al bisogno fura,
Per sostenere tu pie la lunga guerra ;
Parliti a pena, alla raedesim' ora,
11 disleal la cliiave, onde si serra
La porta del castel manda a Cliidaiso,
E d'eatraoi co' suoi gli spiana il passo.
xt
Si «rorfcan fra infiniti cavalieri
Soletti r arme oprar Bano e Boorte ;
E «opra opn'n»o «mano ardili e feri
Grande ichiera di lor menare a morte ;
Ma M numero lovcrchiu de' ^nerrieri
Gli «fonò di tornar dentro alle porte
Del irrande Avarro, a mi d' intorno fanno
Alle genti nemiche eatreiDO danno.
XLVII
Il qual per tormentar con nuovo affanno
Da luiige i cavalier la mette io foco;
E quei, mentre pensosi altrove vanno,
Volgon la vista indietro, e d' allo loco
Yeggion di tutto il lor 1' estremo danno:
£ come più sperar niente, o poco
Drbban nel uioiulo, e cua ristessa sorte,
L'uno e l'altro di lor desia la morte.
XLI
Ma del continoo affanno, e drl diginoo
Del lor pupol fedcl matti a pietade.
Ambo il lattar, non nel lilenzio bruno.
Che 'iitiiriio otctiri e cnopra le contrade;
Ma nel di chiaro, e'n vitla di ciascnn»
Per nirzz» il campo lor ai ferii strade ;
Ove di «è lassar si largo segno,
Che dì questa memoria era beo degno.
XI. vili
Né motto andò, che 'n solitari boschi,
Senza conforto aver di cosa alcuna,
Tra i pasturali alberghi, e n pensier foschi,
Lanieulando dei ciein, e dì fortima ;
I miseri gustar gli ultimi toschi
Di quella fera, ch'cguaimrote imbruna
La chiarrua mortale, e fur sepolti
Da ruzzo mani, e’n bassa terra avvolti. i
Ult
Non Innge Ìndi apparii Benicco e Cave,
L' nn dopo r altro poi, non men, ch'Avarco,
Da lor difeso in luogo assedio e grave,
Delle sletse miserie intorno carco;
E ‘n guisa di leon, che nulla pavé.
Che di cervi entri al dilettoso varco.
Si vede or questo, or quel con morte, o doglia
Degli nemici suoi portarne spoglia.
XLIX
Di lai pittore dollameote ornate
Intorno riiucean le regie mura,
In cui le gitivin donue ivi adunate.
Mentre attendono ancor, ponevan cura.
Ma la coppia reai mille fiate
In guardo soUil cerca c procura.
Coi consigli fra lor, che miglior tono,
Di trovar per U dea diecvol douo.
XLIlt
Né di quegli invidioso asconder volse
Al famoso pitlor la virtù loro ;
Ma fa che tutta aperta ivi la sciolse
In pregiati color distesa e in uro;
Perchè tanto pìii in sé d'onore accolse,
Quanto fur più le lodi di costoro:
1 quai di nutrimeuti al Co privati,
Ambe duoi dì lasciar furo sforzati.
L
Quell! scelsero al fin, che veramente
A lor degni parcau d’ unnr divino;
Trovò la madre candida e lucente
Di chiarissime perle, e d' oro fino,
La vesta, onde s' ornò primieramente.
Quando parti dal vecchio padre Alluno,
Che d' Olveruia fu re, da quel discesa.
Che già resse del mondo il terzo peso.
XLIV
Ma innanzi al dipartir si largo rio
1 Là intorno fan dell' iuiniico laiiguc,
Ch’ ancor ne ’ngiuuca il lor terrea natio,
E '1 vìnritor orila vittoria laoguc ;
Vollan poscia il pensiero, e '1 passo pio
Verso il popol dì Trìble, tutto esangue
Per la tema, rh' avea, visto 1' esempio
Del passalo per gli altri iniquo scempio.
u
Da quello Albin, che in Gallia imperadure
Per le mao di Severo oppresso gianpie,
Non per Fortuna men, che per valore,
Ove il Rodano e Suua assembran 1' acque,
Di cui '1 piedui figliuul fuggi ‘1 furore
Dentro ai monti Genica!, ove alfin piacque
Al ciel, che conosciuto olirà molli anni
Fosse urualo da' suoi di regii panni,
XLV
E pereh* era già innaozì provveduto,
E d' assai nodrimenlu era sicuro ;
Poi Hi' han dentro e di fuor rieonoiciato
Se sìa il fosso profuDdo, o saldo il muro;
Consigliati a cercar novello aiuto
Dal gran re Pandragon padre d‘ Arturo,
E dal re Varamonte, dove bagna
L'aspro Occan PArmurica Brclagoa ;
ut
Da mi di prole in prole il quinto venue
Il suorer di (dodasso, a lei parente.
Che fregialo d'unor lo scettro tenue
Con giustizia e pietà fra quella gente;
E la figlia, c '1 lUO genero mantenne
In pié couira ogni assalto, che sovente
K di dentro e di fuor gli sentia musso.
Che del regno acquistalo non fu scusso.
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L AVARCHIDE
I 53
titl
La oniial laa f;onn4 «dtinqne
Già dì tal padre don. la pia rrpina;
La bella Claudiana dalTirtetre
Sue man tulio ripien d'opra divina
Elei»e un velo, io rui le «Ielle iropre»«e
Erano, e*n meazo il »ol, rh'alto cammina,
Riscaldando «treno al mezzo pioroo
Del Ilio Friiieo Moolon 1' erboso corno.
1.1 V
Non mollo dietro a Ini l’alma sorella
Con la fronte falcala in Tanro assiede;
Dì Giove ha innanzi la beiiipna atella,
Che *n tra pii umidi pesci ha duire «ede.
Seco ha la 6pHa, che ridente e bella
Di pie fìammr d' amor pii animi fìede;
E l’alato eorrìer con la sua vrrpa
Lieto dì tale onor fra loro alberga.
I-V
Nel fondo eitremo alla contraria parte
Victn dove la terra ha mappior 1* ombra,
Nel fripidn Scorpion ai vedrà Marte,
Che con viata mortai nessuno ailinubra ;
Quel, che divora i Rplt, era in disparte,
Che r adeguante Libra di aè ingombra,
E1 punto orientai nell' orizzonte
Ila del Nemro leon la prima fronte.
I.VT
In lai p'uisa adornalo il riero velo
Sì lucente apparla di cernine e d' oro.
Che poco il vero aol. Ir stelle e 'I cielo
Avanzavan d'onore tl bel lavoro;
Che pia molti anni pria, eoo sommo zelo
Di placar per tal modo il divin coro.
Le mostrò lutto H «appio Clilumede,
Che r infelice Su di tutto vede,
tvit
Dicendo a lei: Poi cti’uom morta! non può le
A sua voglia temprar reteme stelle.
Che rivoipnn lassù l' eterne rote,
A rhi lìde eompapne, a chi rubrile ;
Le pili amìebe virtù, eh* a noi son note,
Qnant'è Ìl nostro poter, sien poste in elle
Per la vergine vostra e reai mano.
Pregando il elei, che non ■' adopre io vano.
LTIII
E 1 piomo poi di vostre nozze altere
Sopra il letto reai per voi si stenda,
Con voci umili e fervide prephiere,
Che M rìel simile a qnesto il corso prenda ;
E 'osieme accordi le sublimi spere
Epiiali al vostro velo, onde discenda
Tal favor sopra voi, sopra lo sposo,
Ch'eterna sia dei due gloria e riposo.
nx
Di latto t'oLbedio la repia figlia,
£ con bramosa man 1' addusse al fine.
Di lui destando invidia e maraviglia
Tra le proprie duiizelle e le vicine ;
Poi nel dì nuzial, tutta vcrmiptia
Nel volto ove splendean le bianche brine
Di pudica vergogna e di desire,
11 letto genial oc fe'covrire.
tx
Or questo prende allor, nè solo il volse
Per placare e 'ovnear l' altera dea;
Ma l'onoralo scudo seco accolse,
Ch* alt' albergo virino alto penclea.
Quel, che *1 suo Segitrano Ìo guerra tolse,
Allor che '1 regno sao gli coniendea
Il famoso d* Irlanda Lamoralto,
Di coi fa viocitor nel fero assalto.
LXt
E fu il consiglio pur di Clitosnede,
Ch' a lei disse : O regina, questa spoglia
Fia carissima a Palla, come erede
Di quanto armala mano acquistar soglia;
E s' ai consigli miei darete fede,
N' adornerete ancor la sacra «oglia;
£ *1 merla beo, poi che col soo favore
Acquistò '1 vostro sposo il largo onore.
t.xri
Perchè dicendo on giorno a Segnraao
Suo padre illustre Galcallo il Bruno:
Se sperate figliuot, sperate in vano
Coronarvi per me di regno airnno,
Che i}oo d' altrui, che dell' islessa mano,
Aspettar po>sesiioa debbo eiasnino
D' alto lepnaggio oictio, come voi,
E come han sempre fatto i nostri e noi.
LXIII
Della famosa GaMia una gran parte
Refiilò Febo, l'avo mio paterno;
Che scettro aver, che da' suol primi parte,
Non stimò dignità, ma indegno seheroo;
Poi sette regni col favor di Marte
Acquistò solo, e fe' il sno nome demo
Tra r Orcadi, tra I* Ebridi, e'n Bretagna,
E dove ìl Cimbro mar la Daunla bagna.
txiv
Ma dì latti ai più rari fu cortese,
E l'noor si «erbò snio e la spada;
Nè mio padre, e suo figlio, ad altro intese
Ettore, che seguto l'isteasa strada;
Il medesmo oggi fa Giron corle«e
Vostro proprio german, qiunlunqiie* vada
Di moli’ anni a voi innanzi, e pure è nato
Del franco seme il suo matcrnu lato.
tTV
E di quello, e di noi tott* altra aita
Schivando, e le ricchezze, irilorno solo
Rivolge il passo, ove I' onor rinvila,
Or dov' arde pìù il soie, or verso il polo;
E per l'afllitla gente e sbigottita;
Or abbaile quel regno, or questo stuolo,
£ portando dì lauri antiche some.
Cela qiiaulo altrui può l' invitto nome.
I.XVI
Or seguendo, figlìiiol, sì nobil orme,
Fate, che d'esser voi vi risorvegna ;
Né smarrite dì noi rautlehe forme
D'oprar rosa dì quelle, e tl' onor degna:
Fuggite dt'viilgar l'abbirlle torme,
E la scuola de' più, che solo insegna
11 posseder quaggiù terreno ed uro.
Della gloria sprezzando il bel tesoro.
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i33
L A VARO II IDE
LITtl
T)a Ui fimi r«rce«o, « di 1*1 padre
Il {ciovin Srpiran, rh* ardeva ìa prima
D'aho dr»ir dell' opere irg|riadre,
Brama di talli quei salire in rima;
£ ranpinnte de* soni pici anlile squadre,
£ le quali a virtù più intese slioia,
r«n pneht le|;ni al più prelato verno
Driua 1« prore lor nel lilo Iberno.
LU1V
Coti la bella donna ha posto in mano
Della vergine Onorìa tua dimzella
Qne«lo raniiido scudo, clic già tn vano
Difese Lamorallo io su la sella;
A Lamia diede il vel, dose in sovrano
Lavor Febo Iacea con ogni stella;
Poi tenendo alto il core, e gli orchi bassi,
Della madre seguia gli antichi passi.
ijcvm
E Col favor di Fallade, che fcli era
Sempre in n|rni consiglio amica e fida,
Ruppe al primo arrivar possente actiicra,
Che di farlo fu|i|(ir seco s'alRda,
Essendo et tolto sol nella riviera
Del Bnando disceso, ove s' annida
Col mar, che lassa in ver Boote alquanto
Il promontorio alpeslro di Novaolu.
Laxv
La qoale arra la gonna pretiosa.
Che poro a lei davanti era portata
Da Siaraia antira, rhe per madre ascosa
Del sno tnedesmn Albino era già nata;
Srendon nell' ampie logge, ove si posa
Delle matrone p«>ì la schiera ornala.
Che dentro Avarco avea più nobtl sede,
Di chiara pudìciaia illnstre erede.
t.TW
Ove |cli altri suoi leieoi risospinti
Fur dall' onde scendenti all' ora srsla;
Nè poter seco in ptierra essere acrioti,
Ned ei per latto ciò ferir l'arrrsta;
Così questi primieri ed altri vini»,
In sne forse il terreo qnri |iiorau retta;
L'altro poi Lamorallo, e nuova ((ente
H viene a rincontrar, che i danni scale.
txxvi
Co») sen va 1* onesta compagnia
Verso il tempio divin tacita c mesta ;
Del sacro limitar le porte apria
Silvia, l'alta vestale, in bianca vesta t
Poi tutto il casto coro la seguia,
Che 'n dolci note di laudar non resta
La dea, rhe senta madre usci di Giove,
Quella che 'nfoadc il senno, e l'arme nuove*
Hfa il) questo la smarrita rompapiia
Nello spuntar del giorno è posta in terra;
La quale agginiita al gran valor di pria.
Non avea diibluo alcun la nuova guerra;
Ma Lamorallo il frro allo t'udìa
Dir contro a Ini: Quanto vaneggia ed erra
Chi si Rita d' alimi, che di sé stesso.
Come la pmova poi gli mostra spesso !
LKXVII
Iv), poi rhe condotte ai divi altari
Fur la vecrliia regina, e 1' alma liglia.
Presentando % bri don Incidi e rari,
Mosser le donne, c ’J tempio a meraviglia ;
Poscia in caldi lospir grevi ed amari,
Tenendo C<se pur 1' umide cìglia
’Neirimmagin divina in allo assisa.
Disse Albina per tutte iu questa guisa :
ISSI
Se voi sete il possente cavallcro,
Che vorreste parer eoo 1' arme in mano ;
Sia posti la questiiin di questo impero
Tra Lamorallo solo e Segitrano;
Nè s’ ingombre Ì1 terren d' altro guerriero,
Nè si facrian perir le genti invano;
Quanti compagni alibiam restìn da parte,
£ sol venga con noi Bellona e Marte.
tXTTIll
Sacrata Dea, eh' al gemino valore
Snvr’ ogn* altro lassù l'impero stendi.
Trai da lungo periglio, e dal timore
Il tuo misero Avarro, e noi difeudi;
K eoi Franco il Britannico forurc
Dai tuo gran Seguran sepolto rendi,
K dal Ino buon (.lodino e Palamede,
Per quella, che 'o te aviam secura frde*
LXXIl
Il vnstm Seguran, eh* altro non brama,
Patteggiando a battaglia si conduce,
Ovr uccise il signor di altera fama,
Ottimo ravaliern e sommo darei
AMur risola tutta allegra il chiama
Suo vero imperalor, soa chiara Iure;
£ l’ha ron tale amor poscia ubbidito,
Qual mai fosse altro re per altro litu.
r.xxtx
Qoi finito il pregar l’alta regina,
L‘ alma figliuola sua, con l‘ altre iusiemc
HafTermando Ìl suo dire, a terra inchina
L'addolorata fninle, e |Mangr, c geme;
Voli facendo a sua virtù divina,
( he sciolto ogni timor, ch'allur le preme.
Nuovi doni otrrrran larghi e devoti ;
Ma giro i pregili lur d' elTello voti.
Ll&lll
£ l'arsrntato srudo, rh’esso avea.
Coi purpureo leon, che qnitiri appare,
Fia per memoria all* onorala Dea
Drll*upre iMustri, c delle glorie rliiare
Dell* allo Seguran, perché più rea
Non gli voglia Kiammat Fortuna dare.
Ma miglior tiiltii il*giomn, acriù che poi
La possa incoronar dei pregi suoi.
UVX
Or già r antim re dall' allo aito.
Onde veder polca rorribii gnerra.
Tornato era all'albergo, e 'u parte gito.
Che i più Cari suoi beni agli altri serra:
Seco ha sol dnr scudter, Mastorc e ('.Ilio,
Che sovra gli altri amò, rhe nella terra
Già Vandalica nati, dai primi anni
Gl) fur sempre compagni ai lunghi aitanot.
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i55
L AVARO H IDE
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l’ avarciiide
3tCV
Pur dopo a«&ai parlar col re Vaparre,
E con |i;li altri >aoi tre, die roo lui »udo,
Dispone al Gn, che sia rapiuii di porre
Air iiuiua|,in dì Marie >1 terso dono,
E die d‘ essi il primier »Ì deliba torre
Quel, elle diede il principio all' allo siioou
Del tuo piovin valor, net primo porno,
(«he 'a guerra uscisse mai dell* arme adorno.
Cll
Fur quelle d* E>caoor della Montagna
Per offrir al gran Dìo i* ultime spoglie,
Ch al Santonico lito, ove'l mar bagna,
Di Ciodasso assalio le patrie soglie,
Già nel tempo canuto, ove accompagna
La mente il senso, e eh* alle membra toglie
Il già stane» vigor, nun però lauto,
Che del primiero ancor non resti alquanto.
XO'I
Fosse il secondo poi quel, rh' all* ctade
Più perfetta gli venne, e fu il maggiore,
Allor cli'ei non teniea di mille tpade,.
Che intorno aveste il periglioso orrore;
L* ultimo nnel, rh* all’ onorale strade
Trovò r albergo, quando ìmbrunan Ture
Verso il torbido urraso, ove il nuioto
Già passalo cauimia chiede riposo.
CHI
Come avvenne al gran re, cui già vicina
Co* gravosi suo* inrarcbi la vecchirxza
Non fu tal sopra luì donna e rrgiua,
('.he ‘1 dispogliasse ancor d* ogni fortezza,
Oiiirei sospinge all* oUiina rovina
11 giovine Esranor, ebe non Tapprczza;
E con quel brando il pose morto a terra.
Che mai più dopo il di uon strinse in guerra.
XCVII
Cosi prcoder comanda dì Tarlano
L’ acquisiate da luì reali spoglie,
Allor che il vecchio Vandalo Marano
Giovioetio il nutria fra le sue soglie ;
Venne costui dentro al terrea Impano
Seguendo d Urico 1* altere voglie.
Il fero Alan, eh* al regno suo Nuinido
Volta giunger ancor d'Jberia il lido.
c»v
Del grave scudo suo, che candid* era,
Un nero crocodillo il mezzo imbruna ;
Chiudeva in sen la verde sua bandiera
Sopra squarciale ruote la Fortuna;
Dietro e davanti una celeste spera,
Ove oscurare il sol farea la luua;
Nelle spalle e nel petto avea Farnese
In tra picciule stelle in giro accese.
xcvm
£ *1 di, che trasse a Gu la lunga guerra
K privò gii African d* ugu’ altra speme,
Stese morto Tarsan sopra la terra
Di Ciodasso la man, che milla teme,
Tal che *n lutto il paese, che si serra
lo tra '1 Tago e *1 Dwero, c I' onde MlrMBe
Del Lusilaiiio mar ne corse il uoine,
E di lauro gli ornò le bionde diitime.
cv
Dopo questi tre don, di Gno acciaro,
£ dì ferro uovei peso iiifindu,
Che di quanto mai fu più illustre e chiaro
Avea fallo veuir di piu d' un liUi,
fiume al possente Marte amato e raro,
E più eh argento ed or da lui gradito,
Sopra possenti carri ordine diede,
(die seguisser di lui 1* elette prede;
XCIX
Or tolse di costui la spoglia opima,
Che 1 forte scudo avea di color perso,
Nel cui piegato sen verso la cima
Una falce spirndea d' argento terso;
Sott’ essa eguale a lei ruvida liuia
D' una dorala ìucude era al traverso,
Che *1 seggio (ieii supr* arido terreno
Di secca erba segata ioturiio pieno.
CTI
Con cinque alti corsier, ch* aveano il pelo
Del vcllu del liuQ più oscuro alquanto,
Nati e nodriti sotto al Tracio cielo,
Che '1 valor marziale onorò lauto,
E ch*avean di Slrimon bevuto il giein.
Ove de* suoi fralrlli ha Borea il vanto:
Poi che lutto è di)(posto esso s* invia
Con r onorala e uubil compagnia.
€
Fu *1 seconda suo don d’ Eliadcllo
Re dei Nortumbri allor raniie e 1 insegna,
Ch'ci vinse c spense al nubile ducilo,
Ove'l fcrtil terreo Carona segna;
(Quando il pupul miglior fatto rubellu,
Per dovuta ragion di lode degna.
S'armò ruiilra il Uusniuudo Visigoto
Di picU iusicine, e di giustizia volo;
etni
Perrlm tutte già intorno eran ripiene
D’antichi cavalier le altere soglie.
Che ciascnn quanto può veloce viene
Divoto in adempir te regìe voglie;
Passa iuuanzi la turba, che sostiene
(iou sollevata niaii le offerte spoglie;
Dietro lor segue poi la lunga schiera
Dell* dello drappcl, che vvuul'era.
et
Che Ciodasso di lui venne io aita,
E deiraniillu stuul fu l’altro duce;
Un grande scoglio avea di calamita,
Che *1 ferro di hmUiio a se conduce,
L' tusegiia alla sembianza colorita
Del piu tranquillo mare, ove il sol Iure;
D'oscura tempra, e d allegrezza ignudo
Sjilcndea d ardente fulgore lo scudo.
CTHI
Dopo gli iilliniì lutti è il re Clodass»,
Tra 1 domestico slitol di ferro avvolto;
£ *n vista di dolor muvrndu il passo,
Hevereudu il farea P abito iueulto;
Or torna, or va chi fa largare il passo
Del riguardante popolo ivi accollo;
Fui che giungnn del tempio alla gran porla.
Il piè ferma ciascun, che t dooi apporta.
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L AVARCIIIDE
C1X
C fnn 11 formi (l* 0 |:nr Ilio
Si liividoA fra Inr, lasiindo »tri(la
A rlù Inr dirifo virn, rii* r»»#r¥alo
Tulio l'ordin prtmirro ivi rntro vada;
Air arrivar drl r« di milra oroaio,
E K).«lritrndo iu man la tarra spada.
Con fa ptirpom tlula inrmo at piede
Si fa iiicunlra Ì1 §rau Vale Cliluiucdc.
CJC
K ron altri onorati ficrrdoti
In basto murmorare until I accolte ;
E per nome di Marte i dooi « i voti,
K *u vero ooor di lui lieto raccolse:
Poi die locati Tur gli oerbi devoti
In aembiarile pieloto al ciel riroUe,
Tenendo al re topri la bianca letta
La spada e 1 lembo della «aera vetta,
ext
Indi roti diceat Pottenle figlio
Di Giove univrrtal, di Intio il padre,
Com'ei eoi tuo valor pose in etiglio
Di Pel io e d* O^ia le iiiperbe l<|iiadrej
Coti d’ Euro e d' Oroit facciali vermiglio,
1^1 favor tol dell* opre tue leg«Ìadre,
li tuo caro Cludino e Segtiranu
Dei ormici crodei i* erbotu piano.
CXII
Qui lacr|ne, e per la man poteia il coodnre
Ov*è sopra 1' aitar l' iromigo altera,
(mi da lampadi ardenti innanzi luce
D'atro piceo color la fiamma fera;
E di qnel re gii urrt»o, e di qnel duce
Di tpogite ha intoruo taagoinuta icbìera;
Elia io «embiante è tal, che »ol la villa
Rende la mente altrui pavida e tritla.
cxiti
A quella il vecchio re tulio tremante
Con le ginorebia incbine aito dlcii :
O sommo Dìo, che di vittorie tante
Ornasii qnrsla tnan mentre boria ;
Or che debtl •’ arrende, le lue «ante
Luci rivolgi alla Kortnoa ria,
Clic sentendomi giunto all’ ore estreme,
Con ogni tuo poter m'abbaata e preme,
dir
Drizza inverso di lei le Ine chiar'armr,
Mostra, che contro a le niente puuie ;
K voglia il tuo valor dritto talvarme
Dal gravitiimo peso di sue rote ;
E t* io posso per te mai liberarme,
Nè le preghiere mie ritornin vote,
Di lutto il mio lesor la quinta parte
Prometto al tempio tuo, posteulc Marte.
Ctv
Non potè altro pìùdir, rhe'l pianto c'I duolo
Gli coniete all' uscir la voce stanca ;
Tacilo adunque col tuo amico stuolo,
A cui tema e pirli la fronte imbianca,
All’albergo tornando, incontra il volo
Dell' aquila in cainmin dalla man manca ;
K perchè il gran desio la mente appanna,
Ch’ci venga in tuo favor tè stetsu inganna.
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L A VAHCHIDE
CANTO X
ARGOMENTO
In *ul campo al venir di Srgurano
Si rinnova la pugna orriila e fera :
Sfa poi chr il vincer gli tornava invano
Sfida il più forte drlC avvena schiera:
(ili li fa incontro il giovane Tristano,
E combatte con lui fino nlht sera:
A'è vincente^ nè vinto è del rivale.
Quei gli dà il cinto, ed egli a lui il pugnale.
T •
Il f«ra Sr|;nrAn ron ratto pirite,
Poi che Cui tuo Clodioo era arrivato,
Ove't fataoso Artaro io lar|;he prede
Ha roodutlo Brunon» ia batto italo ;
Al bitogno, eh' avvien, lotto provvede,
Rironforla e ritpin|(r in riaicnn lato
Quei, eh' ri veda lufiftirtr, e 'n dolci modi
A chi gli altri totlieo, dà larghe ludi.
Il
Il medetmo Clodin dì far non retta,
Rivulgeodo il cavai per ogni parte ;
Questi itmanzi riraecia, e qnelli arrctla,
£ chr si (pieghi rgaal I' ordia roinpartc;
Già ratterrna il cur la gente mesta,
E le riveste il teu desio di Uirlr ;
Già il parlilo valor tornato addoppia
Al bramato arrivar di quetta coppia.
m
Nè piò dolce di qaella apparir luole
Al già Usti Doerhier l'aara toave ;
Lh han cui nodosi remi al caldo sole
Lougamente ^ospinlo il legno grave ;
Già della foga tua sì »ru«a c duule
Questo e quei ravalirr, che l’onta pavé;
Ogn* uum purga sé tinto, e gli altri imbrana
Poi tutti ìutirnie al fio la ria Fortuna.
IV
Ha il chiaro Seguraa tatto consente,
Ogni detto conferrna, e nullo atculia ;
idie in altra parte rurrupata mmlr
C<mlra i crudi nemici avea rivolta:
Poi sprona il buon dntrirr, dove ia gente
Vede piò io arme lariiU, e piu folta,
K tolto giunge, or* il tuo fato reo
Gli fa incontra vrnire Itiiauiico,
('he Htfeo taCTo della bella Aretta
Ebbe di fiomxna in tu P erbosa riva ;
Feri Tasta al traversi della letta
I.a dettra Iriupia, e delia vita il priva:
Clodin, poi eh* ci parli, taldo ano resta,
Ua vicio quanto può sempre veoiva ;
K quasi a un tempo «lesso seco nrcide
Trapassandogli il cur. Tallero Ifidc,
VI
Che dì Alastore il Biondo era figlinolo,
Ove il Belgico tea la Scbelda bagna;
£ Brumir, che dei due va dietro al volo.
Di questa vita Aiidreuiuoe scompagna
D' Elicle uscito, e eh' ebbe il uatiu suolo,
Ove '1 Neusirto terreii vede Bretagna ;
K 'I passo con la lancia, ove la gola
Doua vidii gli spirti alla parola.
vu
Il gran Nero perduto ebe non luage
Segue I ]>as*Ì di quei, Iruova Ippiuue,
£ nella terza rotta a destra il punge,
£ qual ramo abbatliilo a terra il (K>ur ;
T.lT arrusava ‘I dctliu, ch'ivi il disgiunge
Dalla tua chiara e nobil regione
Drila rirea Lntezìa, ove la Seua
D'aolicbi onori e di muslcrui è piena.
vm
Il Selvaggio Hostaij nel lato manm.
Ove il loco riman d’ogoi otto ignudo,
DrI possente Arclou trapassò ti fiauco,
Che noi potè salvar T eletto scudo;
Cadde ivi il mìterrl languido e bianco.
Nè si mosse a pietà I tuo Fato crudo
Della sposa infelice Arlenupea,
Che 'atra ì Uorioi indarno T altcodca.
IX
Dopo cottili Grifon dell* .ilio Passo
Iiironlro il grande Annorict» Falcete,
Nato non liinge alT Era, dove in basto
Al tuo padre Orean tragge la tele;
£ iT nn colpo nel cor di vita casto
Nel legno il pose del nocebier dì Lete ;
Crfisi d’Avarro T abbattuta schiera
Hiloma or piii die mai feroce e *ntera«
X
Ma non cede però dalT altra parto
D' un passo indietro il glorioso Arturo,
Che col medesmo ardir, con T ittrssa arte.
Come al tuo inroraiuriar, retta sicuro.
Sostenendo il f<>ror del nuovo Marte,
Come d' nn pìccìul rio p«issente muro;
C volge il tuo potere in ciascun loco,
Ove scola il bisogno o inolio o pw'o.
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XI
Epli area pran ilrappfl »rn»pre d ioturao
Dei pili famot) dar! c ravalirrit
E diiciiillu dapli allri in opni rumo.
Va ralraodo di fnor tutti ì •rntitri ;
E dnndr vpppia ii«rir dannappìa o scorno.
Ivi addrizxa >proiiandu i rolpi Ceri;
E |KÙ che r lia ridutio al primo »tato,
Toma il corto e la $pada in nuovo lato.
XII
Si che'l tORimn valor di Septirano.
Qtiautunqoe nocria par, non troppo «forza;
Nè d' Arturo e de' tuoi la proota mano
Pu<*i molto rontra lui «leader la forza;
L'ano e l’altro di lor sospinge in vano,
Ch’ epnal è d' aioLediie la poggia e l'orza;
£ ferendo dì par cia»cnna torma.
Non <ì «rorge ivi piè, che cangi l’ orma.
xm
In patta che lalor cruccioto il mare
Veder <i >aol nell'orrida «tagioue,
Che di cotiirarie partì oda sufRare
L’Ao«tro piovofo, e 'i frìgido Aquilooe,
In mezzo ai due furor «aldo restare.
Che quanto ha tolto l'un, I' altro ripone;
Ma pien di «puma al tempestato a«»aUo
Cun feroce moggir levarsc tu alto.
XIV
Ha poi che Segorao più d'ona volta
D'uppre»«ar 1' avvertano indaruo teota,
Di (.lodasse al parlar l'animo volta,
£ del pio Clitumede «ì rammenta;
£ dove ei veggia men la schiera folta,
E più largo il cammia, ratto «'avventa,
£ 'n voce altera, e di chiarezza piena,
Traversando il destriero i tuoi raflrcna.
XV
Poi levata la man dì pare in segno,
Ove Arturo vedrà, toma lo «guardo.
Che già, per non ai far di liÌa«Rio degno.
In fermar i gnerrler non fu piu lardo ;
Indi comincia a lui : Se non ha iudegno
Il novei mìo destre, onde lutt' ardo.
Poi clt’ ali' intera guerra oggi la line
Hostran negante le virtù divine;
XVI
Invittissimo Arturo, non vi spiaccia,
Ch' un de' vostri migliori incuntru sproni
A qnest' arme, eh' io porto, e priiuva faccia^
A cui Marte Ji noi vittoria doni ;
E chi pia, che dei due vialo «oggiaccla
Con morie, o con prigiou, non «i ragioni
D'altro danno maggior, che d' esser detto
Meu del suo vincitur gucrricr pcrfctlu.
XVII
E chi la palma avrà, 1' arme c lo «cado
Solo all'albergo suo liete riporle;
E che ‘I resto tra i tuoi ai turni ignudo.
Perchè possan di lui pianger la morte;
Che non ben ai cunvieii 1' animo crudo
Cuntr' a chi giunse al Cn d' uiitaua sorte !
Ha il desio di vendetta, che ne preme,
Aggia si (ermìue suo cui giorni iusicme.
XVIlt
Venga dnnqne chi vool fra tanti e tali
Famosi ravatier d' invitto core,
Citi di spiegare al del candide l'ali
Delta vera vìrtude accende amore ;
E ehi desia eon 1' opere mortali
D* immortale acquistar fra i degni onore,
Non sprezzo Ìl mio cliiainar, che raro è presta
Cosi bella cagiun, cum'oggì è questa.
XIX
Quando ascolta il gran re Tallero invilo
Con quei duri maggior, che ’nlomo avea,
Del cavalicr, che non più il core ardilo,
Chi poi pronta la mano aver sapea,
Tacito resta, e sopra il verde lito,
Senza altrove guardar, gli occhi tenea;
Nè gli preme il pensìrr uuova paara,
Ha di quel, che dee far, dubbiosa cara.
XX
£ mentre è in tale stato, e che dateuno
Dei migUur cavalirr sua voglia attende,
Surge Gaven dicendo: Se nessuno
Di gir contro a costui T impresa prende.
In, famoso mio re, sarò quell'ano,
Che d intero servar la voglia intende
L* onor de' vostri, e non ila indegna mano
D' ammorzare il furor di Seguraoo.
XXI
C per questa cagiun forse la piaga,
Ond' io fui punto allor d'ascosa parte,
M'ha il figliuoi di Merlin con arte maga
Salda io un punto, e con divine carte ;
Per dne volle mostrar, che noti si smaga
Il valor, che ministra il fero Marte;
£ «'altro iiiiuvo «trai non venga ascoso.
Farò il nume firiUnou oggi famoso.
XXII
Fui ch'ha così parlato, altero chiede,
Che gli apporltfi la lauda, e già «'invia;
Ma '1 saggio, accorto re, che T ode e '1 vede,
In troppo alto corruccio ne salta;
E gli dire: Ciigio, duv' oggi siede
Quel già lodato senno, che solia
Esser «i largo in voi, eh' al vostro oprare,
£ vie piu al vostro dir, perduto appare?
xxiit
Non v'accorgete voi, semplice, come
Gite al nostro disnor con vostra morte ?
Non è Tornerò vostro a «ì gran sucnei
Come «aria meslier, possente e forte;
Altre armi ha rotte, altre Gerezze ha dome
L'invitto Seguraoo, e d'altra «urte.
Che le vostre non soo, sircume mostra
Cun mille regìou la terra uostra.
x«iv
Forse sperale in van, che ’l crudo sdegno,
Che v’arma contro a luì di Claudiana,
Vi dovesse portar con Tira al «egno
Dell' alia sua vìrtude a noi sovrana?
Nuu lascia il bassu amor T animo pregno
D'altro valor, che di lascivia umana;
Nè scalda il suo vapor T illero loco,
In cui del quinto cicl s* accende il foro»
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XXT
Por dovreste saper, rhe Lancilotlo,
Che tanto piu di vnì nell' arme vale.
Se mai teen a haltaplia è stato indotto,
A(»ai gloria stimò Tessergli eguale:
Ricercar ne ennrira guerrier piò dotto,
E sostegno miglior d' un peso tale.
Per ch'impero o tesoro tr nnbiilade
Noa abbatte il furor di tali spade,
axvi
Al verare parlar tosto Oaveno
Il volere e l’andar tacito acqueta,
Colmo di sslegiio e di vergogna il seno,
Che ’l disegnato onnr chi può gli vieta:
Ma gii intorno al gran re preme il terreno
Schiera di eavalier ehe'o vista lieta
Chiede, e per sé ciaseun, d'aver T inearco
Coatta ’l duce maggior di quei d' Avarco*
XXTIt
In tra i pròni a venir fu Pelìnnro,
Bonrte appresso, e *1 raro suo fratello,
Ch’avea d' ogni virtù largo tesoro,
10 diro l'onorato Lionello,
Baveno, il pio ciigin d’ambe due loro.
Fiorio il Tosean, dei Gotici flagello,
Nestor di Cave, e *1 saggio Maligante,
E quel del core ardilo Gossemante*
xxvm
Fu r ultimo a venir pensoso e lento
DI Lionese il nobile Tristano,
Che quanto porta in cor più d’ardimento,
Tanto più nei sembianti apparve amano,
Dicendo: A chi vorri lieto consento.
Che si vada a provar con Segurano;
Ma quando manchi ogn'allm,s'al re aggrada,
Venga ia rìschio eoa lui la nostra spada*
xxut
Quando sente il gran re la degna offerta
Di tal nove guerrier, rhe’ntomn stanno,
De' quii tutti ciasruo l' impresa nierta
Senza mollo timor di scorno o danno;
Nella mente reai dubbiosa e ’neerta
L' abbondanza dei buoni apporta affanno ;
Che ben sa, che d’ un sol si largo onore
Dee di sdegno ingombrar degli altri il eorr*
XXX
E poi che t suoi pensier seco rivolse
Sema risposta far tacito alquanto,
Con lai dolci parole al fine sciolse
11 buon voler sotto cortese manto ;
Famosi cavalieri, a cui Dio volse
D’infinite virtù donare il vanto.
Ma sì pari io Ira voi, eh* ei sol porrìa.
Per disceroere il più Irorar la via ;
XXXI
Per non fare a nessun di tanti offesa,
£ perchè ’l giudicar sovente è torto ;
Se la sentenza mai non vieo contesa
Da chi veggìa di me più dritto e scorto :
Direi, eh' a si onorala e dubbia impresa
Fortuna sia, che ne rtmdura al porto;
£ mischiando in chins'nma i nomi vostn,
Chi deve esser dì voi, la aorte il mostri*
xxxn
E ’n rota! ginsa oprando, non ha loco
Il rordoglio d'alrnn, rhe sia seberoilo;
Ne può l’alma scaldar d'orgoglio il foco
A chi più M sno valor senta gradilo;
Né T intelletto uman, che vede poco.
Dalla nebbia mortai viene impedito;
Come in mepuò incontrar, qiiantun<|nea Inlli
Mi Stringa eguale amor, secondo t frulli,
xxxtn
Quando ha il sno dirfinilo,i1boon re Lago,
Ch’ai principio dell’opra era arrivalo,
Risponde: Allo mìo re, siccome vago
Degli onori e del beo del vostro stato,
Dirò con umìlli, ch'io non m'appago
Del moderato sili da voi lodato.
DI porre in man di Dea cieca e fallare
Quello, in cui tal onor per noi sì giace.
xxxiv
Or non direste voi di mente insana
Chi fabbricar cercando nn regio tetto,
Rimettesse al voler di sorte vana
Qnel, che dell* opra sua f«»sse architetto?
Nè si eleggesse alcun d'arie sovrana
Tra i migliori appellato il più perfetto?
Quanto è poi più da dir, dii in lei ripone
Il pregio d'infinite, e tai corone?
XXXV
Affermo io sì, rhe i nove cavalieri
Tengon d'alto valor si ben la rima.
Che non porrian fallir d'essa 1 pensieri,
E rendesse a qnal sta la voce prima ;
Tutti saggi al consiglio, alT arme feri,
Tutti «li sommo ardir ciasenno estima ;
Pur nun si truovan mai fra noi mortali^
Come moslrao di fuor, le cose eguali,
xxxvi
Ma perchè a tanto re pesar dovria
Un si grave giudizio in mezzo porre.
Né gli saria sentenza utile o pia,
Per donare ad un solo, a mohi torre;
Ilo pensalo io mio cor quest* altra via,
Ch'ogni ben ne dimostra, e non s* incorre
Ove invidia col tempo, ira, o disdegno
Possa aperto in altrui iteudere il regno*
xxxvn
Quest* è, che nell' arbitrio si ripose
Dei duri e eavalier, rhe quinci semo,
I quai con voci a tutti gli altri ascose
Neir orecchie di voi sacro e supremo
Moflriam colui, che T orme valorose
Al lodato seotier d’ onore estremo
Più degno di stampar dette U pensiero,
£ secondo il dever parlarne il vero.
XXX vm
E così non potrà T avversa sorte
Con TÌDgiiulo giudizio farne oltraggio,
Né d' invidia o d' amor le luci torte
Discovrire o covrir T altrui vantaggio}
Quel si può veramente appellar forte,
E senza dubbio aversi ardilo c saggio.
Ch'ai pubblico stimar rotale appare,
II qual rado o non mai si vede errare.
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Coti diite il re La|cu, c *Ì urro Arluro
In duirtiiime mite fli rt«(Kiadc :
11 più lido nucrhiero, e *1 più Mfiiro,
Che >• Ininve al varcar le niorUli oade.
Solo è il rumicliii d'ojcni alTelto puro,
Clic nell' antico aenno il ciclo iufonde;
E taoto c più, »c in onlòl alma virne,
Come al buon re dell* Orcadi a’ avviene.
Or aeoza più indnpiar si mella in opra,
Clic Don ^ravi al neuiiro U tardaiiaa ;
O eh* ei fossa pensar, che in noi s'adopra
Della palma arqnislar breve speranza.
Perchè I sol pia iurliioa&le si riruopra,
A cui poco eammin per o^pÌ avanza.
Pria che *n guerra niuvlrarsi, u a pena giunto
Il diparta del di I' ulliniu punto.
Fatto adunque di Inr cerrliio onoratu.
Che cingeva al sno reolrn il re sovrano,
Si niovea riverente d' ogni lato.
Chi d’ onor sia più in grado a mano a mano:
Fu il primiero il re Cago, e ‘n non celato
Suon, ma con allo dir, chiama Tristano i
Né vi fu dopo lui del chiaro stuolo
Chi nominasse altrui, che questo solo,
xui
Che non pure il valor, eh* era infinito,
Assai più ch'ia alcun, rit'ivi si Iruore,
Ma il modesto suo cor tanto gradito
Ogni buon cavalier d' amarlo muove;
Or gii d’alto rumore il vicin lito
Si sente risonar lodando Giove,
Che d'eleggersi un tale allumò ì cori,
Che difendesse solo ì molli onori.
E fu il grido colai, che in un momento
Del fero Seguran venne all' orecchie,
Che fuor sì dinoilrò lieto e contento.
Che incontra tal guerrier se eli apparecchìe;
Ha tale in ini la forza e 1’ ardimeuto
Per mille prove ornai novette e vecchie
Esser sapea, che non sicuro in tutto
Si tenea della palma io mano il fratto,
XLtV
Gii deir Orcadi il re ron lieta farcia.
Ove Arlnro allendea, Tristano addiire,
Che qoasi un pio Ggliuol, dolce ]' abbraccia.
Dicendo; Ecco dei nostri il sommo duce;
Quanto ringrazio il elei, ch'oggi gli piaccia
Di raceender per voi 1* antica luce
Del gran nume Britanno e Gallo insieme,
£ di quanti son qui d’ogn' altro sente !
xtv
Non si porria pensar parola degna
D' esser delta a TrìsUn per nuovo sprone ;
Se non che, d' esser voi vi risovregna,
E del gran vostro Arrouriro leisne ;
E che di tal goerner I’ altera iusegna.
Tutto il prrgin e l'onore in voi ripone.
Come in più di lutti altri ardito e forte,
Per propia elezione, e non per sorte.
Qui nnìl suo parlar, qnando il re Lago
Gli dice; Oprate pur, raro figliuolo,
Cli’ogn'uom vi stimi desioso r vago
DI seguir con la gloria il patrio volo,
Come m* afferma il cor di voi pre'-agu,
E ch’ai voi nominar m'iudiuse sul»;
Nè ponete in obblio qual sempre fusse
Il vostro gcnttor Sleltadusse ;
Xt.TÌl
Cui mille volte e mille io pniova ho' visto,
In battaglia di molli e 'u siiiguUrc,
E di cìasrana trar lodalo acc|uistu
Di fregiate ghirlande e spoglie rare:
Siccome, allur cb' ei fc* doglioso e tristo
Sentir di norie le punture amare
Al gigante crude! delta m<Mitagiia,
Che ’n perpetuo timor tenea BrcUagna;
XLVUI
E quando egli scampò, eh* cr’ io presente,
I dieci cavalier già prigionieri,
Ch’eran di Fandragon la miglior gente,
Presi cuntra il dover sopia i sentieri,
Da Cordipietra, che sì ainaratnente
Ne pianse al fin, con tutti i suoi guerrieri.
Che fur quaranta, e tutto quello stuolo.
Vietandomi il ferire, uccise solo.
Or d' un tanto trunrun si chiaro genue
Dovrà simile a quel produrer frutto ;
Onde avem di veder speranze ferme
I nostri in gioia, e gli avversari in lotto;
K pria cir io senta queste membra iufenne,
Come fur, ritornar cenere in tutto,
Potrò pur mero dir, eh’ anco itou langue
Degli aolicbì guerrieri il uubìl sangue.
L
Qui si tarqne abbrsrrìaodolo, e Tristano
In sembianza uiuiiissima risponde;
Grazie infiiiile al sommo Dio sovrano
Rendo, che ’n voi di me tal speme tofoodc,
Invillu Arluro; e’I prego poi, che 'n vauu
Non la faccia cader, qual secca froodc ;
Ma simile al desir, ch’io porlo io core,
A questa armata uiau presti valore.
it
A voi, gran re dell' Orcadi, prometto,
Ch'a tutto '1 mio poter del chiaro padre
Seguirò rortue ognur, con caldo effello
D'cgiial muslracmi all' opre sue leggiadre;
Ma non si punte andar contro al disdrllo
Di rhi ne invia le sortì o illustri od adre;
Tal che fìa, c<>m*a lui più vegoa a grado,
Lo smarrire u '1 trovar di quelle in guado.
La
Basta, che mentre avrò Tarme e la vita.
In ricercare onor uoQ sarò lasso ;
£ perdi' io scorgo alquanto scolorita
Già la luce del sol, die scende in basso,
Ne sforza il tempo, rJT ove altero invtU
II fero Seguran, rivolga il pa<su.
Senza timore aver di tal battaglia,
Se't ciclo al buon voler le forze agguaglia.
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L AVARGHI])E
tm
Mentre coti diceva^ uno trodiero
Del m^itaaoiin* Arturui Alcaudru detto»
Gli prcjrnla «m foi'liuitno curtiero,
Tra mille, eh* ei ne patee, Ì1 più perfetto»
Beo membruto a ra^l^or, alto e lcpKÌerO|
D'animo invitto, • fero nciraipelto,
Di ramlido colore, e lutto inloruo
Di va^hiattme ruote il manto adorno.
LI
L'etperieoza poi, che’l tutto introna.
Più die nell’ avvertano, era iu lui uiulU;
E canKiatu avea *J cure, in cui piu regna
Il voler giovinil, ch’ai furor volta;
Nè tale era perù, che *u lei ti tpegiia
De' verdi anni miglior la forza accolla;
Ma del ccrciùu mortai premea quel punto
Uve U telino « '1 vigur va icuicuic aggiuuio*
MT
Ginnto, ov'è il buon Triitano, a terra iretiile,
Ed a lui reca in man 1* aurata brìglia:
Ridente in vitta il ravalier la prcude.
Tutto ripien di dulre meraviglia}
E grasie al tuo gran re largite ne rende,
C^un voce umile, ed iuchiuale eiglia ;
Indi al montar non nielU «lafTa in opra,
Ala d' un tallo leggier gli talu topra.
LXI
Fu d'ìofìnito anlir, come il moitrarO
Le palme iiiauuterabtli e i trofei ]
Or^oj'iiuiu il faceva il tangne chiaro,
di' ci pcu6ava venir dai piimi Dei;
Perché 1' unico Febo, non pur raro.
Onde il touimu Gìron di»cete, e quei,
Che fcr |M>i lui, peutavan della prole
£*tec nati quaggiù del proprio tole.
tv
11 medettmo AIraudro gli preteota
Il tuo icudo maggior di tette teorie,
Di coti taldo acriar, eh' ei non paventa
Otiinalo furor di umane forze;
Ove il leone aurato t'argomenta
Con ruDghie di mostrar, eh' abbatta c afone
Ciaseun altro animai, che cou lui perde,
Posto io aeggio reai di color verde.
LXtl
Era il gioria Tri»lan dall'altra parte
Non pervenuto ancor nei cinque lustri,
Sprtìuatu.dai detir, che 'nhmde Marte, i
E dal volere eguar gli antichi iliutirt;
Ben tutta cueotrea la forma e 1' arte,
t^uai più deggian leguire ì duci induttrì
Ha d' usarle sdegnava, e la viriude
Sul ecli'iuvtlU apoda etter conchinde.
LVf
Il Gno elmo da poi ai duro e greve.
Ch'era troppo a ciatrun, gli pone in fronte,
Per la forza, e per 1* uto a lui ai leve.
Che di meo non avea le membra pronte;
Sopra r allo cimicr carco di neve
D'argentato culur turgrva un monte,
Nella cima del quale io più d' un loco
Si vedean Gamme nteir d'ardente foco,
LV11
Porgeli i guanti, e 1* aita poi ai groua,
Che nullo altro drirostc la ao»ticne,
Fuor che aol Laocilollo, che dì pulsa
Dei miglior cavalier la palma tiene}
Prendela il buon Trittano, e poi che acotta
L'ha in giro alquanto, per veder te bene
Corrìipoade a ragion la rima al baaao,
Rivolac al tuo gran re la viaU e 1 patto,
Lvm
Dicendo: Allo tigoor, col voler voalro
Air impresa ouorata addrizzu il piede.
In mi apero adeguar cui valor noatru
Quella avuta di me ai larga fede;
E l’altro uon potrò, 1* erbuao chioilro
Fia del mio «angue ai famo«o erede,
Cdie non potrà mai dir, che iiidcguo fiuto
Il cure aJmca del buon Mcliadiuae,
LIX
Coti detto altamcote, al gran nemico,
Culmo di bel deaio, la fmnte volge :
Ciaacun, eh' è 'uturiio dello «tuolo amico.
Tra aperinza e timor 1' animo involge;
Qaal uom aia più, tra lor nell* anno aatico«
E ch'ha veduto più, «eco rivolge
Del fero Seguran, tacilo in aenu,
Il aapcrc e '1 valore, ond* è ripieno.
Lxm
Ma r intrepida forza era iu lui tale,
Che d'altrui Mirmontava ogn' altra cura}
Tantu di' a Seguran per quella eguale
Il poteva alimar, chi ben nmura;
Macunir tempre a vvien, ch'or aceude, orzale
la chi brama, or la apeme, or la paura;
Il Brilannicu tiuol, die ’l vede accinto,
Ur deir una, or dell'altra era dipinta i
xuv
E rignardaudo il etcì, dicea : Signore,
Ch’ addrizzi con ragion tempre ogni tarlo,
Hendiri il pia Tritiau con lieto uaore,
E reati Seguran prigione o morto ;
Se por di lui pietà ti atringa il cure.
Non aia rou onta uu*lra e diteonfurlo;
E 'I devoto pregar tanto ne vaglia.
Che aia pari lur tra 1' a»pra battaglia,
tXv
£ con mcn di cotiur Toale d'Avarro
Dì contrarie prcgliicre il del percuote;
Pur d* assai men timor l' aoìoiu ha carco,
Che sa quanto I* Ibrruo in guerra punte;
Ma perché quel dell* arme è dubbia varco,
Troppo auggelto alle volubìl ruote
Della cicca Fortuna c ditleaie.
Il timor delia apeiue aggrava l'ale,
txvi
E tanto più, che la rovina imporla
Di tutto iusieme il perder Segurano ;
Perrhc aula è di lor ioaleguo e «corta
Il suo luuge vedere, e la «uà mano;
Senza le quali ogni fidanza è morta,
E lo scampo dì poi a’ aspetta io vano:
Coaì '1 auverebia pubblico periglio
Noi lassa rimirar con lieto ciglio.
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L AVARCHIDE
K
17»
tmTii
Or già in nmo «Un spazio t'tppmrnla
TritUn» dielra'dae rampi era lassato,
f.h' a Marte sembra, ov'ha piò i’ alma intenta
D* insanguinare il Lrarcio a gnerra armato {
Indi al nmiro suo, che noi paventa,
Appellando dicea: lleodié invitato
Abbiate oggi il miglior, viene il più rio,
Che sia fra tatti ì nostri, e sob quell' io.
txnn '
Ma pnr, qnal’io ni sia, più danno assai,
Che timor, Seguran, potrete farmi;
E quantunque mai sempre vi pregiai
Sovr* ogn' altro gtierricr, rhe ringa Tarmi;
Mnn perù mai formalo vi stimai
Oltra)’l «irso mortai dì saldi marmi,
O d’altra tempra inusitata c nnova,
£ mi fia gran piacer di farne prnova.
f.XIX
Or vi movete adunqne, nè sdegnale
Vn giovìn ravalier tra t molli eletto,
Ch'anro proslncer può la verde ctale,
Purché non spiacela al Ciel, maturo effetto.
Il furie Srgiiran, clTaltre fiate
l/avea velluto altrove giovinetto,
E del padre sapea Talla prodezza,
Come il merito appar, mollo T apprezza,
LZZ
E risponde: Trislati, troppo m' aggrada,
Contea nn tal cavalier di tal valore,
K di tal nobiltà muover la spada,
£ ’n nuovo risrliio por T antico onore t
Però eh' aneli’ in per la medesroa strada,
Degli anni giovinetti al primo fiore,
Cui gran re vostro padre in pruova foi,
£ qaal proprio Cgliuol partii da lui.
*tzzt
Debb'or dunque gradir, eh'avvrgna sorte,
Ch'oggi a quella d'allor fra noi s'agguaglie;
Ch'io non erre» di voi, nè d' altrui morte,
Ma pregiato lodar delle battaglie j
Or vrgniarao a vedrr, chi sia più forte.
£ più salde le piastre aggia e le maglie ;
£ se qui dee finir la gloria nostra,
0 rivestirse ancor la spoglia vostra.
fcXXII
Così detto, il cavai pronto c leggiero
Per lo spazio aequislarse indietro volta;
Fa 'I medesmo Tristano: c del sentiero
Poi che parte dicevole s* han tolta,
Si volge l'uno e l’altro cavaliero,
£ fermato lontano, intento ascolta,
Infin chc 'ntra le orecchie gli rimbombe
Desiato fremir di chiare trombe.
Lxxm
11 qual poi che Ire volte i colli c '1 cirlo
Di spevctitoso grido avea percosso,
L'uno c l’altro di lor con sommo zelo
Di si chiara vittoria il corso ha mosso;
£ fero al sol con polveroso velo
De' bei raggi splendenti il lume srosso,
£ la frontiosa fronte e T ampie spalle
Muggir d' intorno alla famosa valle.
LXXIV
Al meno del cammia T incontro doro.
Quanto fosse aulT altro, si rilrBova;
E nessun' è, che più d' un saldo moro.
Pur il piede o la staffa cange o muova;
Il possente corsier, che donò Arturo
Al sno caro Tristan, d' ottima pruova
Ben parve allor, rhe non sì abbassa o piega.
Ma dopo il greve urtar più il corso spiega.
LXXT
Ma (|ucl di Seguran, ch'ai fero intoppo
Ila ’l vigore smarrito, il passo arresta ;
E prrch' al suo poter fu T altro troppo,
Nrir arenoso suol batte la testa;
Ma *1 suo signor, rom' era avvinto e zoppi>,
Coi freno e eoo gli spron tanto il molesta,
Tanto il batte, Tafllìgge, punge e serra,
Clic, mal grado di lui, l'alza da terra;
Lxxrt
£ gli grida : O famoso mio Podargo,
Che di sì altere palme ho spesso cinto.
Quando del sangne Ino prodigo e largo,
Senza mai soggiacere, eri dìpiulo;
Quale or Tassai mortifero letargo.
Che fuor d'ogot uso too T ha io basso spinto.
Se allor reggesti a più feroci mani.
Che non porriano aver mille Tristani ?
LXXTII
£ con tal rampognare il torva in fuede.
Più che mai pieu d'ardir, veloce e ftsrte ;
BivolgcI poscia, ove il nemicu veste,
Già pronto a ritentar novella sorte;
Che poi die d’ Aqutlou famose prede.
Rotte in mille tronconi, in giro attorie
Le siile lance salirò al ciel volando.
Fan l'aria lampeggiar col terso brando.
Z.XXTUI
£ spingendo i deslrier, T un T altro dona,
Nel punto istesso, c nel medesmo loco.
Sopra il forte elmo, eh' aggravato suona
Dì faville ripien sii vìvo furo;
£ per modo a ciascnn la testa intaona
Dì stordimento egnal, che furo nn poco
Senza noiarse in pace, c tosto poi
Ritomaro i a«oi spirti ad ambe duoi.
txxix
E vergognosa in se la coppia sente.
Più d' ogni creder suo, forte il nemico:
Ma il fero Seguran troppo è doleule,
Che '1 giovine valor regga all' antico,
£ diceva io suo cor veracemente.
Che questi il qninto Cielo eUie pni amico,
Al primo nasrrr suo, che '1 chiaro patire,
Che pur solo abbaltca le molle squadre.
rjtxx
E con questo pensier più mosso ad ira,
£ di vittoria aver ron più desìo.
Sopra il loco medesmo in allo lira
Colpo, che Isen venia spietato e rio;
Ma 'I pio Tristan, eh' al suo rader rimira.
Col duralo lion si riroprio ;
Sopra cui virn la spada di tal forza.
Ch'offese dell' acciar la quarta scorza.
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l’ avarciiide
LXXXt
Nè rimale al ano acudo il rftlo aaoo,
Ch'aero l'altimr tre latte pie^aro;
E «rati dratro al brarrio, e nella mano
L' 4rnioriro ftnrrrier dolore amaro ;
E dnbila in fra aè, ch'ai tovr* umano
Podrr di Sepnran non lìa riparo,
S'altra prrco»»a aoror simile attenda,
Pria che lai ^avemente non offenda.
rxxxmi
E la spada e la man s* inchina a fona,
r.he non può contrastar, sopra la coscia;
E se non che 'J buon cor troppo si iforxa,
La natura cedra forse alP angoscia;
Ma il vivo spirto ogni dolore ammorsa.
Che *1 corpo offenda ; e sì può creder pssscia.
Che rilevalo il brando sì rìscrra
Verso il crudo nemico a maggior guerra.
fJCXXM
E con fona maitpor, che mai battesse
La siciliana ìnrnde aspro Cirlopo,
L* elmo di nuovo al fero Ibrmo presse
Sì, ch’averlo si buon fth venne ad uopo;
Però rh'allor senta suo danno resse
Al piò prave fnror, che prima o dopo
Potesse sostenere, e mostrò in parte
Quanto sia da pregiar l' ìncantat' arte.
LXXXtX
Il qnal rivolto a lui: Chiaro Tristano,
Ben dovreste apparar, dicea, per priiova,
Ch'ai maturo valor s'oppone in vano
L'aneur giovine forza c Pela nuova;
E quanto, e come alla possente mano
La lunga esperienza in arme giova;
£ non basta P ardir, se mio si mesce
Col senno poi, che '1 suo migisssre neercece.
Lxxxrii
Che per ordio sacrato di Merliao,
Col favor delle stelle, fabbricalo
Fo dai più dotti spirti, e '1 ferro fino
Nelle Slipie riviere era tempralo;
Che mentre Srpiiran, raro vicino
Della Faia del Lapo, in dolce stato
Seco si ritrovò, qoest' elmo tale
Fu di lei don, che mai noa ebbe eguale.
se
Non risponde Tristan, ma d* noa pnnla,
Quanto più ulda può, tmova Io scudo,
Ove il nero dragon la lingua spunta.
Tinta di verde losco, e ’o vista crudo:
Passai tati' olirà, c sopra '1 braccio giunta
Trapassa il ferro, come fosse nndo,
E dì sangue irrigò lotto Ìl sinestro,
Noa men eh' ci prima a lui facesse il destro.
t XXXIV
Fu Io scampo dì lui dunque In qiicirora,
Che ’o Un sopra la sella in due diviso
Il fero busto dell’ Iberno fora,
Ch' esser per altra man drveva anriso ;
Hìman latto smarrilu, e cade fiiora
Oell’alta sede il naturale avviso.
Ma non luupa stagion, che Palma chiara
Sforxò sé stessa dì vendetta avara.
XC1
Poi disse altero: £ Seguran rompremla.
Quanto al ginvìn poter sia il seuoo frale,
Per saldo coulraitar, cb' «i non P offenda,
Ove più del saper la furza vale:
Qual vipera mortai, che'l sole accenda,
Quando del suo rammin più in allo sale,
Si fece il cavalier, mcntr’ ode e sente,
Noo più il braccio impiagane, ebe la rneote.
I-XXXV
B qual ondoso ramo, nsccndo foore
Dal tronco estremo, e che ’i cammino ingombra,
( he con ambe le mani il viature
Torce in traverso, e ’l suo passaggio sgombra;
Che poi eh' è rilassalo, in tal furore
Al seggio torna, ove solca far ombra.
Che cbi a dietro riman si ben pemsote.
Che mal reggersi iu piè sovente puote;
XCII “
£ con sì gran fnror muove il destriero,
E ’q cosi sogusto giro P ha rivolto,
(die ’nlricandusi i piè, sopra il sentiero
Si tniova steso, e ’n fra P arene arvollo;
E quantnnqne il cadere al gran garrriero
Tutto il suo destro lato offese molto;
Pur P industria e '1 valor sì beo raccoglie,
Cbe del peso, cb* arca, tosto ss scioglie.
f-XXXVI
Tal lo spirto di lui si basso spinto
Dai possente ferir sopra il cimirr«>,
Più che fossa ancor mai d' orgoglio cinto,
Disdegnando risorge ardito e fero;
E ritruova Triilan, che t‘ era accìnto.
Per rilrar della palma il frutto intero,
Ad on colpo novcl, che se '1 giuogea.
Nel Jiscguato fin posto P avea.
XCItl
Ritorna iu alto, e più che mai s' accinge,
Richiamando il nemico a nuova guerra;
Nè il cor tema gli agghiaccia, o '1 volto pìnge
Di gir contra uu corsicr soletto in terra;
Alza il percosso scudo, e ’I ferro stringe,
E per la sua vcodclla il passo serra;
Ma il pio Tristan, come levalo il vede,
Con un salto leggicr si mise a piede,
LXXXTII
Ma il forte Seguran, nel destro braccio,
Mrutre ch'alba la spada, il colpo stese;
E *1 fioissiino acriar, <|ual vetro, o ghiaccio,
Dal taglio mictdial poco il difese,
CJir'nInnio sì schiantò, pur tanto impaccio
Diede al furor, che molto non P offese ;
(jaanluoqiie pur del sangue, eh' indi uscio,
Sopra P arme apparisse un picciul rio.
xerv
Dicendo: Io non so ben, se ‘1 senno antico
Hi dovesse insegnar torre ìl vantaggio:
E se chi sia ciirlese al suo nemico
K dai vostri dottor chiamalo saggio;
Ma sia, che vuol, che per fidato amico
Più Ponor sempre, che '1 profitto, avraggio.
A cui P altro risponde: É ben si deve,
Che quel vive immortale, e questo è breve;
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L’ a V a R C H 1 1) e
1
*CT
Non inlend* k>»Tri*Un, rlw»*I »tnno mo»lrc
Altra via. die di ini, rh' i '1 «omino lime ;
Ma che retpa col frrn le «oplie no«lrr.
Che non pa»»lno il 6o, eh’ altrui conviene;
E più al giovine eor. che imlarno giuotre
Sovente eoatra il eielo, e che ai tiene
Di aormonlar colai, «otto al mi regno
Non pur 1* arme portar aarchbe de^o.
Cll
Ma gli Araldi reali, Ì1 saggio Amaso,
Ch’ è tli sangue Hritanno, e *1 pronto Alloro,
Ch« per GlorLisM» er' ivi, al duro ea«o
Gli srrilri, ch'hanno in niao, geltao fra loro,
Direnilo: Cavalier, giil nell'Occaso
Ila ralluflatc il sol le chiome d'oro.
Nè convieasi a giierrier por 1' arme tn'opra.
Come il notturno vcl raria rictsopra.
seri
Qoal V* avrerria, »e ’l voitro eor eredease
Potere or eoolr* a me gran tempo alare t
Coat dicendo, si viein gli presse
L* orme, ehc 1 poò cui brando ritrovare;
E eoo fona colai poi 1' elmo oppresse, *
In coi lotto il furor volea sfogare.
Che tardando lo srado a ricoprirlo,
Come U diaegno fu, Tenne a ferirlo.
ali
Ciairnan è cavalier d' alla vìrtode,
L' uno e r altro è dal riel di pari amalo,
E non vuol, che *1 valor, che ’n voi si chiude,
Sia di sì nobili alme oggi prìraioi :
Noi romandiam, ctt' alle percosse erode
Sia posto ultimo Cn per ogni Iato,
Con quel poter cli'avcm; cui chi disdice,
Chiam^rse disleale in guerra lice.
xerw
Tal che, se la aiu tempra era men fina,
Fora la guerra lor condotta a riva,
Sqnarciollo al mezzo, ma non tanto inchina,
Ch' ofiToa entro ne sìa la parte viva:
Come al robusto pio la nere alpina
Fa la cima avvallar di forca priva,
Piegò la fronte il cavatirro allora,
Ha la rileva poi senza dimora.
av
A quel grave parlare il pii ritiene,
E ralTreaz ciasrun l’ira e la mano;
Che M» quale ha dìtnor chi coulravviene
Al pubblico vietar del re sovrano:
Or tosto d'ambe due quete e serene
Si fer te menti, e'n parlar dolce umano
L'un l'altro loda, e cvio amica gloria
Sopra il nemico suo pota la vittoria.
xrvirt
E col proprio furor, ch'orto impiagalo,
Che addosso al carrialnr rabbioso vada.
In fronte a Seguran, ristcsso lato,
Ov'ei percosse lui, drizza la spada;
Ma r altro, che '1 seolia d' ira infiammato,
Ratto al greve calar r.hiudc la strada,
L' aurato scudo suo levando io allo,
Conir' a ehi romperia marmoreo smalto.
cv
Ha il chiaro Segoran legneodo poi,
DÌeea:Tropp'og|i ho il cor lieto e contcalo.
Onorato Trislan, sedendo in noi.
Che pur uun sia scemato, non che spento
L* onur paterno, che tutti altri eroi
Si lasciò indietro, e eh' io col piede inleoio
Segui qual duce c padre, e poi col core
Gli fui sempre vicsn col sommo amore.
xctx
Ha lo apsclato colpo tal diteesc,
Che per tnerzo il dragon proprio ha parlilo.
Che 'n diverse maniere ad ali stese
Ingombrs) il seno all' arenoso lito;
K I braccio, che dt punta prima offese.
Novellamente anr<ir restò terilo;
Ma non lauto però, che le sue forze.
La percossa, ch'avea, di nulla ammorze.
evi
Il qoal vogli per sempre, cbe ii stenda
In voi, mentre vivrò, se'iioo vi spiare;
Qnanlunque questa mano oggi difenda
t^lui, che contro ai vostri guerra fare;
Ma il cìci sa ben, con quanta doglia olTeuda
Il grande Arlaro, e detto sia con pace
D'ogn' altro re, che tutti solo eccede
Di quanto al sul la pia sorella cede.
c
Noi caro Seguran, ma lieto gròla :
Or sarò più Irggier senz’etso incarco,
£ mi basta la spada amica c òda
Al securo passar per ugni varco ;
Cosi dicendo, il gran valor, ch’annida,
Hen che mai d' adoprar si mostra parco;
Ma quanto lasse ancor più ardito e fero
Verso il suo pcrcussur calca il senliero.
evu
Ma seguir mi conviene, ove '1 destino
H' ha mostralo '1 cammiuo e '1 troppo amore;
A cui per contrastar, più che divino
Valur convienue, e d'adamante il core;
Or sia che può, die nella mente inchino
Lui sempre, e tutti voi con soinioo onore,
Pregandu il ciel, di' altra cagiun mi vegua
Di far guerra per lui di lui piu degna.
CI
E '1 buon Trislan arU'arme si riterrà,
E eoi cor alto alla toa gloria intende;
Onde artica più che mai cruda la guerra,
fiatai l’ira e roiior ciascuno incende;
Questi il pussenle scudo avea per terra,
Il rotto elmo di qnrl poco il difende;
Così Unto agguagliata era la sorte.
Ch'ugni uom forse di iur correva a morte.
eviii
£ perchè '1 mondo sappia, di' a battaglia
Non ho per odio alcun fallo rìavilo,
Ma bramaudu provar di quauto vaglia
Il guerrier, di' è tra' vostri il più gradilo;
Quoto aguto pugnai, che rompe c smaglia
Qoal sia ferro piu duro in alruu lito,
Vi prego, in nome mio, prendiate in dono,
Cou uiemoria iiuiuortal, che vostro sono.
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L AVARO n IDE
Coi! delio, plìel pur|(e, eh' avea ialorno
It rtcrhiwimo alUer|(o di fio oro,
Di nibÌQ lotto, e dì uneraidì adorno,
E d'altre pnnme ron lollll lavoro;
Qoel temhra attorto della copia il corno,
Qoctle i frotti, eh* avea, moatrao fra loro;
In mi di lettre aurate arritlo appare:
Tal abbondo il gnerrier dì virtù rare.
ex
Il oorteic Trillano allegro il prende,
Il bel dono, e 'I ino cor lodando molto ;
Poi la larga cioinra, onde gli penda
La furtiaiinu ipada, a' ha dìiciollo.
La qual, non men di quel, lolla riiplende
Di lucente Inoro in eiaa avvolto;
E quanto in atto può loare c piano.
All* avvenario ano la pnae in mano,
cai
Direndo : E *n nome mio portando qneaia,
Vi potrà aovvenir, che la acmenaa
Del buon Meliaduiae avrete preala
In ngni vnalra alliaaima occorreoaa.
Non men eh* aveate Ini t ae ben non reala
Della inGnila ma chiara eccellensa
Miaima dramma in lei ; por, come aia,
Di potervi onorar brama ogni via.
cxii
Coli detto, ai torna, ove aapellato
Con aommo deaidrrìo era da tulli.
Ma più dal grande Arinro, eh* abbraccialo
L*ha dolcemente, c non con gli occhi aKiuUi,
E dire in alta voce t O dì beato,
Lhe dell* arbor gentil ai chiari fmlU,
K di al gran virtù al raro moalru
Producrili in onor del aecol noatro!
esili
t dnrt, i ravalirr, la plebe ignota,
Come a cova ìmmortal, pdi alanao luloeno;
Ivi a* accoglie ogni uom, lataando vola
La piaaaa alar tra l*anu e l'altro corno:
Ogni atto, ogni ano dello aicolta c noia,
E come da Plulon faccia ritorno
Il miran lutti, poi che dalla mann
Scampalo il pon veder di Segnrano.
exiT
Nella tenda reai corleae il mena
Arinro, ove il dì chiaro ai vedea ;
Chiama Serhin, che gli aaldù la vena
Dal aangne, che nel braccio diaccndea ;
Indi alla inroia di vivaodr piena
Il ano caro TriaUn, che duo volta.
Sopra la ateaaa aua dorala aede
Con dolce fona, e *n belle lodi aiaieile.
csv
C.crcan gli altri poi Inlli il proprio albergo,
E ’l ftolTerto del di pattalo affanno
Già rnn luave oblio laisao*i a tergo.
Poi che l’oca giorooda guilat* hanuo^
Indi d* arida paglia al latto tergo,
Quanto più dolce pon. ripoao fanno;
Il medeimo addivien deulro io Avarcu
Al popol d’ amte, e di «udore «carco.
ARGOMENTO
bianda od jdrtam propmta di pacr
H re Ctodasso, e tergila anen domanda.
Qunta è eoncesia, ijurlta a lui non pince
K pii jiraldi con doni ne rimanda.
Per noi'C di t ira di Marte tace^
E la pietà de' morti ni cuor comanda ;
Uttenpon essi preci e sepoltura
Tra il pianto de' parenti entro le mura.
Oi>niei inni bìonJt rrin la bianri AiM’ora
Surra il Oanftr ipìefraiido anniinzia il giorno,
1) pio rrtlor dell' Orradì vien fiiura
Dell’albergo viriu ron 1' arme iiitumoi
£ rinlo di pensieri, ove dimora
Del re Brilaniiu Ìl padiglione adorno
Eniró soletto, c già il rilriiova in piede,
Cir al bisogno roniime ivi provvede.
it
Nè eionto a pena fn, eh* ogni altro Dure,
Ogni altro cavalier dì grande onore.
Ch'era del suo splendor la maggior luce,
Venne ron riverenza e sommo amore.
Per saper in qual parte si rondure
L’allu voler del ««mimo imperatore;
1 qiiai posti a seder gli prega Arturo
Clie'l Uebban consigliar del di fuliiro.
Ili
Il re I>ago il pninìer (come degno era)
Già levatosi io piè, end dìrea:
ler poteste veder la lunga e fera
Guerra per ambe due tanto aspra e rea.
Che nnn si porria dir, qual parie altera
Render grazie ne possa a quella Dea,
Che con Tali eangiaiili in allo giare,
£ vola or quinci or quindi, ove le piare.
IV
Pcrrh'io la vidi aimrn mille Hate
Or tra i nostri allegrarsi or Ira t nemici.
Or tulli ruronar di palme aurate,
Or ripor tra ì più miseri e ’nfclici ;
Tanto che suro al nu si bene ornate
Del sangue dì ciasrun queste pendiri,
Che possiam dire rgiiat la nostra gloria,
£ di iluol pareggiata la memttria.
Pereh* io direi, che la pietà eb' avere
Di ehi mtior con onor fra noi si dere.
Ne sforzi a rìrerrar ria di potere
Covrir quei, che perir, di Inmol leve:
£ ’nsieme ristorar le vìve icbiere
D' alcun dolce riposo, anror else breve \
E rbi percosso sia, eh'al(|aanio possa
Con piu pace curar l' impiagai' ossa.
rr
Nè pu«> biatmo sentir d' anima vile
Il t-erear da' nemici alrnna tregua,
Ma di spirto pietoso e signorile
11 bramar, che 'I soo dritto ai morti segua;
Lo qnal ehi sprrxza, allo spietato stile
Delle fere salvatirhe ■* adegua;
E ehi per lai rirhiesta sprezzi noi,
Giiarde pur se medeamo, e guarda i suoi,
TU
Si dirà ben, che ehi sì ardilo il core
In guerra, e così pronta aggta la mano,
Non possa esser mropreso da timorr.
Ritrovandosi in paer, e dì lontano:
Ma sia, che pnó, ehr H candido valore
Non dee biasmo curar, chr rrnga vano;
Bastigli, che *1 pensier lodalo e pio
Egli stesso conosca, e ’l reggia Dio.
vili
E se per poca gloria, e cosi frale
Sì lasseranno i nostri ai corvi preda :
Non avrni da temer, ehr la mortale
Crudeltà nostra in noi medesmi rieda ?
La vrndrtta dri elei tarpate I' ale
Non ha, più che si soglia, a quel eh* in creda;
E 'nchitiarse ai nemici in si degù’ opra,
K via più bello ouor, che star di sopra.
iz
Come ha 'I buon re fìntlo,nzn‘allm iniieme
Del ronsigtio rral l’ istesso aflenna ;
Ma la cura medesma ìl petto preme
In Avarru la gente aniitta e'nfrrma;
Ch'ivi turba inriiiila intorno geme
Di giovinette donne c d'rtà ferma t
r.he chi I padre, chi '1 figlio ave sinarrilo,
Chi '1 fralrl cerca indarno, e chi 1 raarilo.
X
Tal rbc mosso a pietade Ìl re Clodasio,
Adouatu ogni dure e ravaliero,
Dìf-ea : Da poi eh' a sì dubbioso passo
N'ha condotti. Signori, il deslin fero;
Pria che '1 nostro cader vada piu basH*,
E mentre ancora in noi T arbitrio intero
Hitnan di piter dare all' aspro assedio
Con men danmsso tiu pare e rimesitu ;
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L AVARCHIDE
mi
Panni, che aot devìam »ol|:er ìa mente
A mcUrme in rammia, che* tua più pìaou t
Io cui non pera tal ìa mi^liur frale.
Né aia aempre in perielio Srfnraiio ;
Del qaal te privi armo amaraiucale.
Preda vepnam degli iaimici in mano,
Quantunque aomina ho pur aperania e fede
Nel tupremo valor dì Palamede,
XVItf
Né vi do per timor 1’ olii consiglio,
Che la soverchia età naviga in porlo;
Ma per levara' ornai l'aspro pcripliu,
Ch' io veggio sopra noi radere scurto.
Or non pensale voi, che ’l sacro ciglio
Del gran Giove lassù conosca il torlo,
Cb* a voi stesso ed a lui di ciò seguio.
Dispogliando del suo quel seme pio ì
XII
E d'altri molli poi, che foran degni
Per le rare virtù di auuimo impero,
£ di salvar, nou eh* no, o.ille altri regni,
l‘.oo TaUna invitta, e col giudiaio intero s
Ma qoello e*l oiio Cludìn ai chiari pegni
Soli degli anni miei alaurhi, ch'io ouii apcru,
r.h' altri potease mai arrvarinc iu vita,
Se mi toglicaac il càci la loro aita.
XIX
Nè vi sovviene ancor, che lunge poco
D* cito seggio reale, c di quest'ora,
' Voi prunictleslc in sì famoso luco
, A quel padre maggior, ciie più s'adora,
Chìamaudu lestimou del sole il fucu,
E l'umbra eterna, che la giù dimora:
Che s' ei vincea Oavcii, queto c sicuro
1 Lassaresle il paese in man d' Arturo ?
XMI
Or adunque li cerchi, amici e figli.
Il aenlier pio onoralo e'I piu aicuro,
tihe nou veggiarao (uimèl seiupre vermigli
f)eirEuru i liti, e'I auu cammino impuro,
E cir io non viva ugnur con lai perigli
P'ra la notte anguvcioca, e '1 giorno oscuro;
Ma sena* altro timor di nuovi affanui
Poaaa al rogo portar qucali ullìnai anni.
XX
1 E che poi fu sturbala la battaglia,
^ E ferito Gaveu con vostra feile f
Cura' or pcu.ate voi, che piastra o maglia
Regga cuiiira ragion, che in essa (lede f
O di gnrrricr fallace Ìl brando vaglia,
Che di tanta perfidia è fatto erede?
E la colpa é di voi, s’ ei fu ferito,
Pui che r iugiusto oprar non è punito.
m«v
Posto fine al suo dire, il re Vagorre,
C'.he di grado c d' età quelli altri av«nra,
r.oniinria il priitMi: Perche ùi Giove porre
Per la Cede, ch‘ ho io Ini, ciò che m'occorre.
Dirò con sicuriséima kaldaiiaa,
Seuaa riguardo aver di chi poi forse
Dica, clic '1 mio parlare il punse e morse.
XAI
E si chiedeise anrur. cunaigtierei
Tregua per qualche dì, per che sì possa
Dei morti in guerra agli infernali Dei
Coi fuco consacrar le misere ossa;
Che d’uii secol integro i giuruì rei,
Pria che varcar la sventurata fossa.
Non Irapasiiu vagando, e noi restati
Appcllin con ragion crudeli c'iigraU.
XT
Panni, o sacralo re, che sì devria
(Scora indugio interpor) proprio lu i|uest ora
Mandare al re firitanno, e dir, che pria,
4. he si mostri al balnon la uoua Aurora,
Gli porrete il pacNC in sua balia
Di là dal varco, dove larga irrora
1 lieti campi 1' onorala Cera,
In lio dove il suo curso arriva all' Era.
XXII
Qui si tacque Vagorre, e *1 fer Clodino,
Che d' impedii lo avanti avea taleiilu; i
Se iiun che Segiiraii, di' era vicino,
Di lassarlo finire il feo cootcnl» ;
Rispooile : Or prioia awegna, che 'J destino
Mi turni in giro, come polve al vento.
In tra TAIpi nevose, al tempo crudo,
D'ogui amico, c di ben povero e nudo;
»»»
Perch'ei possa di quel (ckc pure è multo)
Largamente rifar Beiiiccu c Cave,
E con suo largo onor Irovarse sciolto
Di ai dannosa guerra, e di ai grave;
Perchè d' ugni trofeo di palme avvolto
La prvGtievoI pace è più soave;
£ Unto più, che spesso è '1 pi«i lontano,
Chi la vittoria aver si pensa iu mano.
XXItt
Ch' io consenta già mai, eh' un re famoso
Qual or Clodasso il vecchio uiiu parente,
Il cui giovine oprar si glorioso
Già dall' liutiru Gauge all' Ocridente
Empiè d' allu rumor, dagli anni roso
Si vrggia or tributario a quella gente:
Della qual mille Bntnì e mille spoglie
CìnguD dei Tempii suoi l' aurate soglie.
xvu
E di latto poi quel, che ritenete
Che primiero agli scettri loggiacea
De' Britanni, e dei Franchi, prumetlele,
Che sarà sotto a ior, qual ei solca,
* E'I soo dritto a ciaKun ue renderete,
Come il re Bao, come Bourte feg : - j
Né ve '1 tenete a vìi, che 1 vero saggio '
Per ragion mantener fogge il vautaggiu.
XXIV
Or se qui Lionel fosse e Boorle,
E Lanrilolto anrur, Tauimu fero.
Qual ne porrian bramar più dura sorte,
0 dei disegni Ior Icrmin più altero?
Che non ccrcan di noi 1' acerba morte,
La qual lardi, o per tempo usa il suo impero,
Ma di rundurue all' ultimo disnuce,
Ch' è '1 verace morir d' un nobil core.
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L AVARCIIIDE
L
• K<
Se*Tole*»p pigliar per prAzia e «lono
(Come avete parlalo) alrtina terra
Slata dri primi inr, coiitrnlo »ono.
Non prr Irma tli qaei» nr il* altra {rurrraj
Ma prr non in6ammar nell'alto trono
L'ira di chi le nnbi apre e riterrà,
Poi che renza mia colpa un altro imparo
Ila fallo il nottro eiercito ipergiuro.
atri
Allnr eh* ebbe fornito, Gonebaldo
Che dei feri Borpondi il freii reppea,
Del miser «aiipne aneur bapnato e caldo
Dei Ire propri fratei, clic morti avca,
Con furinta voce, altero e baldo
In favor di Clodin coti direa :
Scnriii il sol per me, prima eh' io taccia.
Ove ai nostri nemici ti toppiaccia.
xxvti
Non fìa dello pia mai, che dove k> sta
Si faceta a Clodoveo ti larpo onore,
Che alcnn breve Irtbalo ti pii dìa.
Come a vero d'altrui tovran Sipnore ;
Perchè non mi rondaste a questa via
Titnor d'Artoro, o d'altro duce amore;
Ma l’odio tolt), onde non ton mai stanco,
Che mi divora il cor isel teme Franco,
XXVIII
Non é questo terreo tolto il poremo
Del Brilanniro re, rum* altri crede.
Mal del rio Clodoveo, nemico eterno
Delta nostra reai Borpooda tede.
Che per sommo dì lei dannappio c scherno,
E farti d'etta violento erede.
Sposò Clotllda, qual leale amico.
Del mio pcniian figliuola Chilperico;
XXIX
Ch'io pia con pii altri dne del mondo tolti,
L* infedele Odrtiilo e Gundemaro,
Che più lotto di lor la morte volti,
Che de* fìpli e di noi I’ esilio amaro ;
E dopo lor tutto il veleno accolti
In costui sol d' ogni mia dopiia avaro,
E eh* or per espnpnar le vostre mura
Con quauti ave de' tuoi tempre procura:
Xxx
Come ri vede ben, te tra Ì nemict
Di Ini quattro flelìuoi ciopon la spada.
Non per vera pieli, eh’ ha degli amici.
Ma per voi ditpopliar cercando tlrada;
£ come alle native tue pendici
Ritorni Arturo, allor come pii aggrada
Farà dell' altro poi, che frali e lassi
Sarete, e d' ogni forza ignudi e catti,
XXXI
E quantunque non lembrì, molto apporta
Solo il semplice nome di sovrano ;
Che poi mille capion sì fanno scorta
Al tutto trarre alla rapare mano;
D’ Arturo in tanto poi scemala, o moria
La forza fia, eh’ aspetterete in vano;
Ed ei, tempre creteendo, a poco a poco,
Sopra voi, sopra me, stenderà il foco.
xxxii
Ma te pur vi parrà, che *1 tempo sferze
E dei vostri il mancare, c del esci tema.
Di sptNnbrar quindi le nemiche forze,
Oiide'l popol vicia paventa e trema ;
Sol del vostro tcrrcn l‘ ultime scorze
Si deano offrir della provincia estrema,
<x>mc or diise Clodiiso, e pria Vapurrc,
Ha quel tìLol tovran per te riporre.
XV Kilt
Perchè tirpando in ver di fare offerta.
Ai nemici lalor di cosa leve.
Parria forse ingiustizia troppo aperta,
E ne cadrebbe in noi la colpa greve;
E la gente, rh'ognor di vita incerta
Ha p« r esca la polve, e '1 sador lieve,
Avria credenza al fio, eh’ alcun di voi
Si prendeste a diletto i danni suui.
XSXIV
E te ciò rrfntar (sì cocn'io spero)
Dalla superba gente oggi vedratse,
Fia par nolo a ciatcun, clic '1 nottro impero
Del dover dritto il termine non patte ;
E dal Motor lassù, che leerne il vero,
Perch' innalzi i migliori, e i pravi abbatte,
Potrrni con più ragion chiedere aita
Per questa affilila patria tbigoUila.
XXXV
La tregua ricercar per aleno giorno,
Nod meno util sarà, che grata e pia ;
K più toitn vergogna, e crudo scorno
A chi pur la negasse, apporteria.
Or quanti regi e duci erano intumo
Di rosi altera e oobil compagnia,
Approvar dei runsìgiì il proprio effetto.
Che Clodioo e'I Borgondo avevan detto,
xvxvi
Colai fermo fra loro, il re Clodazso
Ideo fece appellarte ed Anfione,
Dicendo lor; Huvete ratto il passo
Del Brilanuieo Arturo al padiglione.
E gli dite in mìo nome, rh'iu ton latto
(Come d’ esser anch'egli avria ragtone)
Di veder notte e giorno in rotai sorte
Di ti chiari guerrier i’ acerba morte,
XXXVIl
B per mostrare al ciclo, e 'I mondo tnrieme
Che da me non starà d' imporne fine,
Gli offro H largo termi, che Cera preme,
Ove la rapid' Era ha per eoiifine,
E d* iodi innanzi le tue rive estreme.
In fio eh’ ad essa il suo viaggia iiirhiue.
Che sarà multo più di quel, ch'io legno
Di Boorte e di Ban del pircìal regno.
XXXVIII
Ma eoa tal condizion, eh* a me si serve
Tutto il sapremo onor delle contrade,
K le sue innunicrabili caterve
Delle lor region Iroovìn le strade ;
Poi perchè I' onor debito s* osserve
Di seppellir ogn* tiom, che morto rade,
E per che 'I disegnato onhii ne segna.
Per almrn nove dì ri faccia Iregaa.
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XYXtX
Gii rano e Tallro Araldi it rìcìnf;e
DrIU rrtta reai per quello rietia,
i'.hr in celeste colore allo dipinfce
Il pÌBo aaralo, rh'AqniluDC alleila;
Patria 11 acettro in mano slnnfte,
£ pronto al soo dovere il passo alTfrUa,
£ d' Arturo all* alberato è toprapf^iontu,
Che Tolca i sooi mandar quasi inqoel punto.
XLVt
Dall* emps'n Seguran nasce il diaepnn,
C.lie voi mn tatti noi sempre ebbe a vile;
Nè di più largo don vi stima degno.
Che di breve terreno in nido umile ;
Ha contro gli oratori il piu«to sdegno
Vorrei versar in si spietato siile,
Ch* ei restassero esempio in ogui loco
A chi tal dignità prendesse in gioco.
XL
£d esposta al fran re tutta altamente
L* ambasciala d' Avareo, m prand' onore
Fiir rieevuli, e poi cnrlrtemenle
Per alleoder risposta mesti fiiore.
Lì domandalo il primo qnel rbe sente
Di qneita olTrrta il suo discreto core,
Fu il sappio re dell* Oreadi, che fisse
Ambe nei ciel le loci, t cosi disse :
XLVir
Ha il famoso Tristao, rh*ndir non vuole
Nel nsosiplio reai st lorde voci.
Io dolce ragionar 1* aspre parole
Chiiidra direndo : I cavalier feroci
Esser drvrirn sotto l'aperto sole,
Con r arme intorno, e contro ai falli alniei ;
Non alfombra, in consiglio, e 'nverso quelli
Disarmati, ionoeenti, e poverelli.
XLI
Dammi, Sipnor del cìel, praais, ch'io prenda
I) verace senler ro( mio r«>n*iplio,
Oede poi con onor per noi s* allemla
Il desialo fin d'opnì pertpito;
Or con fermo sperar, che in me s* arrenila
Quel sacro spirto, rhe ereii il Ino fiplio.
Dirò senza temer, eh* e* non mi piace
Dopo guerra colai si indegna pace.
XLVI1I
Che colpa è di costor, se *1 re comanda,
Ch* ei vi srenpano a far la vile offerta f
£ che orgoglio è del re s* offerta mansla,
Ch* a «ui, men che'l dover fi mostri aperta?
Che vergogna è d* Arturo, che si spanda
D' ambasciata colai la fama certa ?
Ben snperbìa saria, fallo e dtsnore.
Il non far oggi lor ricliieslo onore.
XUi
B che si possa dir ehe tanti regi,
Tanti prati dori illustri e cavalieri,
K ch'ornati Inr pii di tanti fKpi,
Che sovra ogni altra età vadano altieri.
Per si poca merrè, ch*opn*nf7m la spregi,
Appiaau in tal sndor tanti gnerriert
Già indarno alFalicali sì lunghi anni.
Che tutta Ewopa omxi ne senta ì ^nni.
XI.II
Direi ben, sacro re, che in alenn miwlo
(Sì come infino a qui dagli altri è detto)
Non si debba accettar, ma sriorre il nodo,
Che'l tessuto lacciuol nnn abbia effetto;
K ehe si segua ognor confermo e lodo
Taoln, ehe giunta sia nel fin pei^rlto
Questa pia guerra, in cnì sii cerio spero
Veder tutto ridurre al vostro impero.
XLttt
E se *1 Citi ne darà (rom* esser puole)
fChe nessun vede aperto nel futuro)
Le speranze, rh* avtam, d'effrlto vote,
K '1 cammino al passar piò acerbo e doro;
La colpa fia delle fallaci rote
Della cicca Fortuna, c non d' Arturo,
Cam* or sana, se di vergogna carco
Per sì poco tcrren lasMsse Avareo t
t
Ha la tregua arcorslar neeessilade
E giustissima legge ne cunsLrioge;
Che ehi de* morti snoi non ha pieUde,
A selvaggio leon limil si finge;
E conviene onorar l'anliHie strade,
I.à dove ogni mortai natara spioiec ;
E di quei più, ehe solo in vostro onore
S'hanno al mezoo del di troocalo l'orc.
XMV
Il qnal, s* è ver, che 1* inlclletlo umano
Possa ai vali divia credenza dare,
Secondo il prevciier di Pellicano,
Debbc alle vostre man tosto tornare;
Poi r aver nosco il nobile TristaiMi,
Non ei fa d' Ogni onor tienri andare,
Con voler ostinato in ogni sorte,
D* esso, o di Usiti noi vesier la morte f
ij
Dopo TritiaB 1* accorto Halìgante,
Lionello, c Baveno, e *1 pio Boorte, '
Ogni altro dare, e cavaliero errante
Segue dei ano parlar l' istessa sorte :
Arturo allor dai fido Gossemante
Fa del suo padigliosi I* aurate psirle
Agli Araldi d' Avareo ratte aprire,
E rende la risposta su dolce dire:
XIV
Non area fatto fin, quando Gaveno,
Al furor circo usato, rhe '1 trasporta,
Inicrrompcodo il vecchio, allarga il freno
Ed air ira soverchia apre la porta.
Dicendo: E perrhè placido e sereno
Si mostra il volto, a ehi ambasciala porta
Simile a ciò eh* tn sento, Arturo invitto,
t-hemacchiail vostro onor, la gloria e'I dritto?
Lll
Qnesti onorati frati, e fidi amici,
Che piò rhe '1 proprio cor mi tengo cari,
Ch'ai perigliosi tempi, e gl' infcliri
Non mi fur mai di lor medesmi avari,
E loutan le native sue pendici
1 figliuoi, le runsorli in pianti amari
Hall per me abbandonato, e per l'impresa,
Che run tanta ragioo da noi fu presa;
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L AVARO H IDE
■ 88
M' han lotli conii|(lialo intieme unllì,
Ch’ io non (irhba aflimnar pare ai Uaasa»
Nè per parte sì vii d'an|(ii»U liti,
Un regno abbandonar, dragai altro paua,
Tal elle ne ronverri raolidie IÌU
Cmi la »pada innalaala, e Tatla baita
Gìtidkar in fra nui, lircome Ca
Il voler di laasù, eh' a ciò ne’avia.
Li eoo treoiante man le miaerellr
1 corpi ad nn ad un vao rivolgetida,
Ove uemice fronti a lor rubelle
Truovan Mtvcntc, e run lioinre orrendo
Rivolgoo gli occhi alle più crude stelle,
Gontr'agli spirti suoi preghi porgendo;
Poi le piaghe, ch’avean rcnduo più fresche.
Perché vcugauo ai caa più gradite esche.
Ha per render ai mori! sepoitnra
Ben la tregua farrm del nono giorno ;
perchè non sol di noi, ma dritta cura
E di chi lutti i cieli avvolge ioturno.
Or secur d' essa nelle patrie mure
Cimi’ è *1 vostro piacer fate ritorno.
Riportando a Clodasso c Segurano,
Come il promelter mio non fu mai vano.
Ma di qoei, che dei lor per certi segni
Posson bene afTermar, le gelid* onde
Della polve e del sangue ai volli pregni
Con mesto esaminar ciascun infonde ;
Nè ritrovando! poi, gli accciì sdegni
Cresco» coiilra il deitin, che gii nasconde,
E spesso avvien, che io dolorose angosce.
Mentre ricerca il suo, 1* altrui oonoKe.
Cosi detto, comanda, eh' ambe duoi
Aggiano un don di ricca vesta aurata.
Giunti con tale onore ai signor suoi.
Poi che fìnita fu l'alta ambaM'iala,
Diceauo : Schiera di famosi Eroi
Vedemmo, che dal eie! parva mandata
Per riformar quaggiù la dritta legge.
Simile al gran Hulor, che lassù regge.
E con noie d' amor qiscU' altra chiama,
E per trarlo di là le porge aita;
ludi torna a cercar quel, ch’ella brama,
r.on la dolce compagna insieme ouila;
lo fui ch’auch'essa miscrella e grama
Della sua incbicsia pia resti compila ;
E 'n si fatto cercar quanto sia il giorno,
Triste voci e sospir s'odono iuUsroo.
Li coronata di stellanti luci
Cinaia opposta al fratei pareva Arturo,
Ove'l rhiarn splendor di tanti duci
Quasi appresso di quel ti mostra oscuro;
Gravi, dolci, ridenti avea le loci.
Il parlar riposato accorto e puro,
D' un* allcrczaa umil si ben commisto,
Che d' ogni duro cor farebbe acquisto.
Ne dell’ oste d' Arturo t cavalieri,
I duci tutti, c t re con men pietade
Cerran di riconoscer quei guerrieri
Ch' han di sangue u valor più degnìtaiie.
Che fian morti rimasi sui sentieri,
Cinti d' onor tra 1‘ avversarie spade;
Ma senxa lagrimar, cou quel dolore.
Che pon virtù nel generoso amore.
Benché il sommo lodar del saggio Ideo,
E del roinpagnu sno, mostrasse il vero;
Pur d'invMÌiusa doglia riempieo
Di Clodasso, ch'odia, 1* animo fero;
Ma con caro sembiante l'ascoudeo.
Dicendo: Esser non dee, eh’ un lanlu in^ro,
Così antico e si nobii non insegni
Di ti gran maiestà costumi degni.
Quei di preaao maggior fanno in disparte
Con r insegne portare, e cou gli arnesi,
E coi trofei. cJi* avean del fero Marie
Acquistati lontano, o 'n quei paesi ;
poi da' servi, o cugini, a parte a parte
Erano in un coudoUi, e in allo appesi.
Là, dove in sacro loco, e 'u somma cura
Surgea per loro altera sepoltura;
Or già fatta gridar per ogni parte
Tu solenne romor la nuova tregua,
li timor e '1 furor dell' impio Marie
D'ogni cor posto in baodo si dilegua ;
Ma si ripon nel luco, onde sì parte,
Scuro dolor, che I' uno e 1’ altro adegua,
Allo lamento, pianto, e discoiiforlo
Del popol, che giacca tra '1 sangue morto.
Pur di semplice sasso, che durasse
Coutr'al tempo vorace qualche giorno;
Io fiu che dopo alquanto ritrovasse
Dentro al patrio terreo loco piu adurno ;
Percliè r alla memoria nou restasse
In altrui nido al peregrtuu scorno,
Ma tra i suoi dìmoraudo uu dolce sprono
Fosse lor di virtù lunga alagtouc.
Esmn tosto d' Avarco in lunghe schiere
Le feroreinellr afOitle, e ì vecchi lassi,
E dove spenti pensan rivedere
Gli smarriti figliuoli, volgono i passi ;
E con più leve andar le pie tnogliere
r.ercan gli sposi lor di vita cassi;
Ma la parte maggior nel sangue avvolta
Ila risnmagiii primirra io altra volta.
Fecesi poi viein profonda fossa.
Che larghissimo sparlo in giro avea,
Ove condotte fiir Tiulìoite ossa,
Che di vita spogliò la sorte rea,
Dei privati guerricr, ch'ardire e possa,
Più che seniiu o splendor, chiari (acca ;
Che ricoperti al fin di sacra terra
Fur memoria iuimorul dell' aspra guerra.
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|8!) l’ avarchide
IJKVIt
LXXIV
Perché d' nn montk'el Irvat* in §nÌM
Poi fatto ivi di Inr «1 altero monte
Fu dì pielrc fkiritsimr rtrinla.
Che troppo a chi *1 vedea pietà commnove,
r.lir non piil#A dal traipo c>»cr ronqni»,
Tutto il ptipol miglior con voglie pronte
Nr »«nxa alla falira in bas*o fpinla{
Nella vicina selva il parto mnovc,
DrI magitiur roll« in U rima a^d^a.
E con ferro mortai 1' annosa fronte
Cit'ovc rad« del »ol la Inre ««tinta
(Sema temere alriin 1’ ira di Giove)
Guarda aH'Orra*Ot « d‘Ori«nl« al varco
Dell'antica ioa quercia a terra getta,
Scorile non luage a lei «edere Avarro.
Che noo rolea rarar pioggia o saetta.
isnii
LtXV
Iti il divo ferman eoo 1* altro coro
Chi dell'eccelso fraisino alle incide
De* «noi chiari mioialri e «acerdoti,
(Ond* ombra ti fae^a) 1* aperte braccia;
Per ((li onorati «pirti di roitoro
Chi *1 ghiandifero cerro al piè divide
Porfun colali a Dìo preghi devoti:
Dalle alinrte radici, c*n batto carcia.
Noo rivolgere il guardo ai falli loro.
Quel Tomo abbatte, che coi rami asside
Che dei «anli preeeUi andaroo voti;
Sopra ìl vìrin, che di rader minaccia;
Noo gioftiiia opra in te, ma la pietade,
Himbomba il botro, e le tne piagge otenre
Che col tuo gran figlinol n'aprio le atrade*
Per l'alto «non delle tagliaaU «ore.
r.tix
LXXVl
Al qnal canto divin prcteoli furo.
Cbt coi medetmi carri indietro apporla,
In lembiantc lugubre e ’n ve«li nere,
Ove rooitra il cammìn più aperto calle;
Pico di celcite >pirlo Ìl «omrou Arturo,
Cbi per più angotta «Irida attat più corta
E de* tuoi cavalicr 1* ornale ichiere,
Il depredato botro ha tu le «palle;
Che 'n aiicnaio umili»«inio, c 'n rur poro
Chi traendoi per terra agli altri teoria
Aiutavan di quei l'alle preghiere;
Facendo va per l’intricata valle,
Poi dato ai tntlo fin, largo i* infonde
Taotu che ‘n breve andar fornito il loco
Il farooko terreo di «aerate onde.
Fn nel bitogno pio del sacro foco.
LXX
txxvii
Ma in diverta maniera J' altro lato
Ove poi con dolio ordine locate
Fan quei d' Avareo il lor funebre onore |
Far le frondi, e i gran tronchi In doppi giri,
Che poi che i cavalicr d’altero «tato
D’attai tritìi lamenti accompagnate.
bella torba piw bai«a han tratto foorc,
In Ira pianti Hnrìttìmi e sospiri
Dentro alle chin«c mora era portato
D'anime mìterelle sconsolate.
Ciascun da* «noi con lagrimoto uoore,
Che ricordando indarno i suoi martiri,
E coi più rari pegni in allo loco
E bramando dì quei 1' afflitta torte,
Nel sen rìpa«U a pcexioto foco;
(aio voci di dolor chiamavan morte.
txxt
Lxvvm
Le cnt ceneri appre««o in ricchi vati
Ma già i raggi aicondea nell’ Oreidenle
Di fino or fabbricati, o ter*o argento;
Allora il »o), che la campagna imbruna;
De«eriUì intorno gli aoimoii ra»t.
Cosi dentro alle mura amaramente
Onde In «pirla lur giaceva «pento;
Nel tiin nido natal torna ciascuna.
Molti d' eisi in Avarco eran rimati,
LI sol riman della più ardila gente.
Cli' ebber di lui vìrioo il reggimento,
Chi al freddo corto dell'algente luna
Che «opra alte piramiili locaro.
Sia fida guardia alle infelici achiere
Cuntamtfle da poi dal tempo avaro.
Da' morti ingordi di rapaci fere.
I.XXH
txxix
Gli altri, eh* ebber lonlan la patria tede,
Gli altri all'albergo vanno, ove riposo
Con lunga compagnia di fari arcete,
Agli aflannati corpi intieroe danno,
(km l'iovcgne acqitiitate, e con le prede
Poi che fra l' esca e ’l vìn rimase ascoso
Mandali furo al dolce «no paete,
Di tulli altri, e di lor l'avuto danno;
Nelle pie man di chi rhianiato crede.
Il medesmu ficea col re famoso
De' «uggetli, di' avra, lo «cettro prete;
Ugni Gallico dnce, ogni Britanno,
Con chiaro ambateiador, che ben mo»tra«ie
Cli'ove manca il rimedio, nn nobii cure.
Quanto il lur doro ceto al re gravame.
Il luogo larocDlar tieoe a disoorc.
ijcaiti
LXXX
Iodi lo «tool maggior di quei guerrieri.
Poi che di nnovo Apollo all' Oriente
Che tenia nome aver ciiojire il terreno,
Saettava i bei raggi all* aria intorno,
Tutto lontan da* pubblici tenlicri,
Tutto d’ Avarco la dogliosa gente
Ove piu de' line culli allarga il «eoo,
Alt' intermesso oprar facci ritorno;
Sopra poMcoti carri alti detlricri
Ma tnnaoxì a tatti in vista riverente,
Traggun ratti rntaiidu, in fio che pieno
In nicuro, e Ingnbre abito adumu.
Il veggiao d eoi, e ’o turno la campagna
Tutto coperto il capo, a lento piede
Di Unti, cbn o avea, vola ritnagna.
Giva il gran sacerdote Clitomcdc.
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L AVARO H IDE
iija
t.XXXI
Nella forma medeima poi «epoia
Tra mille ravalteri Ìl re Cloda^io»
Che *1 Uel fregio real ilrpotlo avia,
E rìpre*u colur doplioto e bai»u;
Nè lunpe ivi ila lui ilietro venia,
Palliiia il volto, e di dulreaza rafm>,
Pur ron retti ueglrlle, e ’oriillo crine.
La coppia illuftire delle pie re{(ioc.
I.IXVU
L'altro popui piò vii mitcliialo intirme
Seox* ordine servar correva appretsu,
E '1 gran danno de'suui Mttpira e fteme,
(ion ramutcrilu in man d' atpro eÌpre»M»;
Chi 'I frutto acerbi' pianile del tuo seme,
Chi '1 »uu raro germao, rJii *1 padre itteaso,
Rttnancudu privato in teneri anni
Di chi lasso il nutria tra mille aflaoni.
LXXXIIt
Le femminelle al Gn d’otcìira torte
Tra kIì ratremi aepiiian con piti pietade,
Biasmaado ipes<u il ciel, uun pur la morte,
E 'I crudo oprar di percf^rine spade.
Chi del G|:lio si duui, die troppo (brle
Il cor portava in uou matura clade;
Chi lo sposo pianpea, eh* a pran peripli
Non si doveva oppor pensando a' GgU.
LxxaiT
L* acerbe virgioelle, die rimase
Son scnaa madre, e del parente prive,
PianpoQ, di' al sostener 1' arOitte case
Nulla verde speranza in esse vive:
Quella accusa il vìcin, che persuase
Al fratcl, die pudea 1' ombre native.
Dì cercar giuvioeUo io poerra fama,
E crudo c dìslcal pianpeudo il chiama.
LJIEXV
Tosto eh' è pianta ai destinalo loogo
La gran pompa reale, e gli altri poi)
hi ilìstesero in cerchio all' alto rogo.
< Osservando i gran re gli ordini suoi)
E <|iiei, eh' aitliclii di milizia al giogo
Kitr per somma virtn coi primi croi
Agguagliati in onur: poi l omil plebe
Più luoge assiede io fra l' erbose glebe.
I.1XXVI
Le due donne reali in altra parte
Dalle matrone nobili riciole,
Dei ravalier sedevano in disparte.
Di corlioa sotti! da quei distinte;
Le minor di fortuna in basso sparle
Sedean vicine di dolore avvinte.
Cunte fu il tutto queto, in alla sede
Saliti ‘1 gran sacerdote Cblomedc:
I.XXXTII
£ con grave mirar l' occhio rivolto,
Ove il rogo surgea, 6so riguarda ;
Indi agli ascollalur tornatu il volto,
Ruppe il sitensio al fm con voce tarda :
Se quel, ch'ha il sumrao bene io seno accolto,
K con l'ordine suo spinge e ritarda
D'ogni cosa il casnniin da lui segnato,
Jl cui certo voler s'appella Fato;
UUtXTIil
Avesse a noi concessa qoesta viU,
Come agli Angeli suoi, d' eterno corso ;
E talor conscnlissc, che rapita
Fosse di morte a alcun dal crudo morso;
Quel, che men di tatti altri slabiiila
La grazia avesse del divìo soccorso,
Ben che ciò eh' al rìel piace sia ragione.
Pur di alquanto deterse avrìa cagione.
LlXXll
Ma et qui ne rìpon con egnal sorte,
Che dopo un breve andar si torni a lui.
Quanto è iufelice error pianger la morte
Di se medesmo misero, e d'altrui!
E r ore misurar, se luughe o corte
Sien dì se stesso, o dei ucmici sui!
Se quai di paglie ardeuti le faville,
Come si fugge un di, ne fuggoo mille !
ac
Pcrrlic adunque dobbiam con largì piaali
Di rostor richiamar gli andati passi,
Ch' ur fra i giusti Minossi, c i Radamaali
Tosto lutti sarau del mondo lassi F
A cui lieti narrando i pregi e i vanti
De' nemici, eh' han qui di vita cassi,
E eh' alGn per la patria furo uccisi,
Gli farao cilUdiu de' campi Elisi.
xci
Nnn ne debbe doler d* alcuno il Gne
Ha il modo c 't suo sentiero, onde si parte,
Rendendo grazie alle virtù divine,
Cile gli han locati in si onorata parie t
£ pregar poi, che noi medesmi inchina
A iur con loda egiul l' invitto Marte,
E nel nostro passar (com' io confìdo)
Lieto c 'u pace rimanga il naliu nido.
SOI
Il qnal (come ch'a noi nel tempo arvegna)
{Ch‘ io non so ben ridir qnal io vorrei)
Veggio, eh' a farlo ampissimo disegna
II roncilin inunorlal de' nostri Dei t
E che patria sarà lodata e degna
Dì molti antichi e nobii Semidei,
Che di rami verran dell' arbor Franco,
Poi che quel, che veggiam,sU secco c manco,
scili
11 qual certo illustrissimo poi Ga
In Gn che gli ombrerà la tolta tede
Nuovo Ironcun, che per rislcssa via
Sarà degli aurei Gor famoso credei
Alla cni gran scmciua c larga c pia
Fia ciascuna virtù, che in aito siede,
Di cui molli bei germini radici
III questa terra avranno alme e felici.
SCiV
Ma via più di tutte altre, poi che ’l sole.
Dieci secol rivolti, e dieci Instri,
Di Francesco priniter reietta |NX>le
Vedrà qui superar gli antichi illustri
più di virtù, che di color non suole
Air apparir del sul rosa i ligasirt;
li cui nume reai Ga detto Enrico,
D' ugni raro valor perfetto amtcu ;
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L AVARCHIDE
BCT
Ch* alla «sa reaìiaùma sorella,
Ch’arri più di virtò, che fiori Aprile,
Di niirsU alma cilU pradiU e bella
fie urà dono a tale allesaa amile,
Perrbè Uula bontà fia pnsU in qnella
Alma, più eh‘ altra mai, rhiara e gentile,
di' a pena i^tuolo il ciel vede e rirnopre
Degno premio saria di sì bell' opre.
Cll
£ però, cinti il eur di questa speme,
Non rontrasliamo al ciel coi nostri pianti ;
1 quai mal si convengono al gran seme
(Quale il uostr'è) dei cavalieri erranti;
£ chi troppo il morir del mondo teme,
Dì generoso spirto non sì vanti ;
Ma lassando deir arme il nobil nsi>.
Spenda gli anni miglior tra l'ago e 1 fuso.
acri
Fia ’l chiariuimo nome Margherita,
Ch’a lei si eonverrà più d'altra mal
Candida c pura, e 'n qor»la liaisa vita
Spiegherà più rlie’l sol luridi s ras;
Del mondo schiva, e *n si bel nudo nnila
Con r eterno Motor, che gli nman guai
Nou potrau penetrar la divio* alma,
Nè dì lor sentirà terrena aalaia.
CJIt
Voi miserrlle donue, se piangete,
De’ sostegni miglior trovarvi prive;
Gli occhi all' alle regine rivolgete.
In cui somma pietà per tutte vive.
Se del lor breve corso vi dolete,
Ripeusale all' onor deiropre dive.
Che iu lor riluce, e s' al comprar sia caro
Per si poca itagion nome ai chiaro.
XCVII
Fia maiKlata quaggiù per vivo esempio
De* suoi saoti tesar dal sommo Giove ;
Sarà il pudico petto altero Tempio
Delle tre caste graaie, c delle nove
Sue dotte figlie, al cui parlare ogni empio
Cor perderà le scellerate pruove,
f'.li' ogni desir villaa, che i pravi ingombrai
Si vedrà dileguar di quella all* ombra*
CIV
Gl* innocenti, Ggliuoi, che in teneri anni
1 dolcissimi padri hanno perduti,
Trauvan largo il guadagno tra lor danni,
Srudune al partir d' un mille venali;
Cll' Avarco intero, e i pubblici suoi scanni
Abbondar si vedrao uci dolci aiuti;
Né più largo tess>ro al figlinol, eh' ama,
Può il buon padre lassar, che illustre fama.
acriij
Spiegherà le medesme amiche insegna
Delta sua famosissima Minerva,
Come sola di lei, non d' altra, degne
Nella mortale età dura e proterva,
Si che r aspra Medusa non si sdegae.
Che la fronte fatale ad essa serva ;
£ *1 serpe c ’l fosco augri, eh* Atene onora.
Con voler della Dea fie» seco ognora.
cv
Dato fine al suo dire, iu terra scese
II sacro Clilomede, c 'n basse noU
Mormorando tra se tre fari prese
Dal più vecchio degli altri sacerdote,
£ ’n Ire parti del rugo il foco accese,
Delle quai la primiera era a Boote ;
III vista poi di riverenza piena
Per tre volte baciò 1’ arida arena.
acix
R non senta eagton, perù che ad essa
La divina icieiixa, ood' ella é madre,
Come a dolce ina figlia, avrà couerssa,
Con cortese approvar del soiiiinu padre;
Da cui vrrran, come da Palla islcssa,
Pcosier celesti, ed opere leggiadre,
Senno, grazia, modestia, c carilade,
£ «|uaale altre virtù sian belle e rade.
evi
Già il tenebroso fumo intorno ingombra
E per torto camniin uell’ aria sale,
Mrulrc anror di Pirs^M i legni adombra
Vulcauu iu basso, ch'avvampar non vale;
Già con fiamitia cresrrutc il nero sgombra,
£ s* addi izza nel etcì con lucide ale,
£ di faville ardenti ba larga preda
Tra le froudi sonanti, eh' eì depreda.
c
Dentro all* altero petto umile il core,
£ ripien di dolcezza avrà la sede,
Che tutte abbrarrerà ron puro amore
L' anime afOilte, che Fortuna Cede,
Solo al vero valor porgendo onore,
Non al rarco furor d'ingiuste prede;
£ fia driita dei buon nella sua vita
Stella, limoD, nocclùero, e calamita.
CVil
Quel tre volle accerchiò con larghi giri
L' ìiirrme popular con ratto piede.
Il cui SUOI! di lamenti c di sospiri
Liupiea tutta del Ctrl la prima sede ;
Ricordando cia»cuo gli aspri martiri,
Onde al partir de' suoi rimane crede :
Fauuo armati il medesimo i guerrieri,
£ 1 duci, e i cavalicr sopra i corsieri.
ri
Or qual dunque di noi fortuna awegua
Non può danno apportar, che a qnesta spuglia;
Perchè piuma verrà non forse indegna
Più d’ogn' altra talor, che scriver soglia;
Ma quando futse pur, la farà degna
Questa terrena Dea, che ’n carte icioglia
Il nostro affaticar di lodi carco,
Tal che mai non morrà 1* antico Avarco.
eviti
Chi getta sovra lor Telmo o lo scudo,
CiT era d' aleno di lor lodata spoglia;
Chi la spada u lo strai, eh' aguto e crudo
D' aipra morte al vicin porlo la duglia ;
Chi '1 suo piu taro arnese, perche ouJo
Miser noli scenda alla Tai larea soglia ;
III quoto mezzo 1' mliiiiU trombe
Fau, che T aria, la teira, e 'I ciel rìuibombe.
1 3
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l’ a V a R C II I d e
I incili tarenJoli ti'JopD* ìnltvno
D* a»pri |M»rci kctuut tauri, C4Ì^a|itie,
Tulle d' atro culure Ìl maulu adorno,
Villime fanno all' infere cani|»afinci
Alia pallida Dea, ch'ai tris!*» giorno
Dal MIO icrreslre vcl T alma Mompaf;nr:
Airiitpurdo riuloQ, che d'ora in ora
Tulio quel lii’c niurUl, Jag|{iii divora.
ex
Toi che fiià anno iiaodii, r l’alu* foco
r.oti«unialo il fcran rufco in Lauo cade,
ràaM-tin urdendo nel mcdesiiio loco
Inponihra tolte a cerchio le contrade:
nalTrrnaia del cor la dui^lia un poto,
furiale iulumu fur per varie »lrade.
Per l'impero del re, vino c vivande,
Il cui bramato t>di>r dulceaaa spande.
cxi
Ivi chi menta avea l’ ignuda terra.
Poi che d' ugni altro arnrte era privalo:
Chi 'i forte tendo ino dall' empia guerra
Ilivitlgea UmIo io più gradilo stato}
Chi te vicine pietre aggiunte serra,
E più allo il snu seggio ha fabliricato;
Altri larghe stendean coi pnipri velli
Di lori e di luooloo le nuove pelli.
cxu
Ma il famoso Clodasso pur vicino
Sott’ aureo padiglione al luco istesso,
Ivi spandendo preiioso vino,
t hiaraa il gran Giove, e gliallri Dei con esso ;
Al gran llellor dell' infero ctinlìno
Fece il iiiedrsam riverente appresMs;
Poi de* gran cavalier la mensa piena
Realissima feo funebre cena.
UUII
Nè 1* onorata Albina c Claodiana
Le più nobil matrone hanno in dispregio}
Ma eoo voce doldsaima ed «mana
Lor rmtresaero al suo sembiante pregio;
E ciasmna ebbe par, nulla sovrana,
Delle pie donne ìl bel drappello egregio ;
('.he ’n tal gniaa mischiata era ogni sede,
Ch*ivi non apparta la fronte o*l piede.
cxiv
Or mentre si pascea di dolci note.
Più che d'esca, o di vin, reietta schiera;
Già nascondendo il sol l'aoralc rute,
Con l'ali nmitle sue venia la sera;
L' ultime voci allur triste e devote
Disciuglirndo cissenn, che'nlorno tv' era,
Disse: O turba onorala, al basso inferno
Viva del tuo valor il grido eterno.
cxv
Cosi d'essi rlascno rilmeva Avarrn,
E '1 passalo doh^ nel sonno avvolge;
Il niedesino farea, quantunque carro
D' alto itnul di pensier, che 'I cove involge,
il grande Arturo, e come trnovc il varco
Del disegnato fin seco rivolge;
Così latto interrotto sì conduce
Di sonno in sonno all' apparita loce >
ex VI
La quale, essendo ancor con l'altre impresa
Nelle tregue funebri, inturno spende
A rirercar, se intera ogni difesa
Sta del suo rampo aoeura; e Fon riprende,
1.0 scusa appresso, fioi che meglio ha intesa
La sua ragione; e l'altro al cielo steudr
Con alle lodi c pregi: e ‘n lai soggiortii
Tra^iassar della tregua i dati giorni.
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ABGOif EN TO
mrntrC- tht im cami^lin ton raccoUt
/ ffurrrirri d' ^varco, /4rlitro atsah
La città sparrnlaln. /4ccorron fotti
Atta difesa i prtnìi, r pupna rf*uote
Arde fra tot; ma nrt mrrip^r tutti
Soma ad Artur pii attori^ e tanta r fole
K ta rotta cAr soffre^ che nrt campo
Propria ritrosa misrrobit scampo.
T »
Il doralo balrott dell' Orirnle
(poi rhr r eltima trrpaa a Rn vrnia)
I.a «pota «ii Tilun vaga r riiirntr
(ìun Ir ro&ale mani al mondo ipria;
L' impigro Srgnrau ron poca grnir,
Oii> piu cara e miglior «rrnpre il »«gtna,
Air albergo reai del tuo C.IimJiuo,
Pien U' alierò delio, rivolge il passo.
Il
Nè mollo dopo lui dei duci elelti
I.’ altra tebiera onorala arriva insieme,
K 'n pnbblieo coniiglio »on rislretli
Sopra il tempo passato, e eli' or gli preme;
1 i;or vari fra lor fan vari eliciti,
r.he r un spera tovrrcliio, e Ì‘ altro lerae ;
Chi Yorria miI guardar la patria terra,
Chi di iinovo trillar più acerba guerra.
ni
Fu il primo a ragionare il re Vagorre,
Qoal più antico e più degno, e così disse:
Saggio è il ennsigliator. che sol ricorre
A queir ultimo Gn, ebe in rur ai lìsse;
Quel sul rimira, e tutto l'altro abburrc,
Come al siiu proprio danno cunscntisac ;
K chi farà in lai guisa, raro Ha,
Che d* iiicuotrare il ver perda la via.
rv
Da poi che volle il riel, che di Clodaaso
In Bretagna primicr fugato c rollo
Fu l'oste allor nel periglioso passo
Per la truppa virtù dì Lanciloito}
Di qua poscia dal mar di vita casso
Più d' un suo Ggliu essendo, a lai ridotto
Fu M Dotiro stalo, che dì tanta guerra
Ogni apcrania è chiosa in questa terra s
La qnal mentre sta in pȏ si debbe avere
Dell' auro rirovrsr strcita fede;
Che non pnò Iiingamenle sostenere
Il numero inRnilo io questa sede
Arturo o Clodoveo, rh’han tante srhìrre
Di sì varie naiioni, e 'già si vede
Mancargli alcun, ch'io sovra tatti esalto,
Come il gran Laneilotlo c Galeallo.
TI
Perchè passalo è già più che '1 scst'anno
Ch' a queste invitte mura sono intorno;
Tanto rhe stanchi ornai dal lungo afTanuo,
E dei gran faticar la notte e ’l giorno,
Si può sperar, che sema nostro danno
Tosto nel lor terreo facrian ritorno.
Che non più stìmeran, eh' al tempo addietro,
1 tentali ripari esser dì vetro ;
VII
Pur rhe sensa provar novella sorte,
Come a nostra rovina spesso avemo,
Siano uniti i voler, chiose le porle,
Fui con cura maggior ri guarderemo ;
E spresaando il rouiur d'invitto e forte
Che del proprio dever passi 1' estremo,
Volgerrm sol la cura e la fatica
A difender di noi U patria anliea.
vili
Or sema rirercar più gloria in vano,
Ma seguendo del ver l’ itiessn Rite,
Armiam solo al salvar la nostra mano
Del sacro Avarto il nobile confioe ;
E poi che 'I gran nemico Ra lontano
Sovr’ altre region dei suoi vieine,
Ove non sia dì noi si gran periglio,
Ne potrà il trmpo dar nuovo consiglio.
IV
Qui sì larqne ii btioii vecchio, e sì ripose
Nel suo seggio reale, onde levosse.
Al fero SrgHran uuo si nascose,
Che per lui ralTrenare il re si mosse;
Pur con voce assai dolce gli rispose,
E ijiianto orgoglio avea dell'alma scosse,
Dicendo : Al saggio dir dei re Vagorre
Non ai poù con ragion levar, iic porre.
X
Che senza dubbio avere, luterà apporta
La salute d'ogn’iiom guardare Avarco,
A cui basta il tener chiusa la porta,
£ difender dì Ini l'augusto varco
Con sollecito studio, e fida scorta,
£ d' Ugo' altro desire andare (carco;
E come al segno fa l'accorto arciem.
Drizzar solo a quel fine ogni pensiero.
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AVARO II IDE
Mi qne»lo «1 re Vigorre *ì ron*Ìene,
Che nrir ultimi etì ^ìì muove il piisOf
Mi non a Sr^riD, che detto tiene
Di ii*tirte in onore ogn' nom più Insto,
E che in quelli sligioo eon gli lani viene,
Ove il senno t' irrreice, e '1 vilor Usto
Non è lUI trnipo incor, mi rrgnin I ure,
In cui più J' ambe due riipleode il Gore.
Poi noi «ìim liuti duci tntieme e tali.
Tinti gran eirilier di nome alierò,
r>h'i Ire volte più srliierc di mortili
Non ndremrao d* un pié sciurre il tentiero:
Non fi il nnmero tol le forze egoiH, *
Non di briRiili palma arreca impero;
Ma il ftrao senno, il valor, Tardire, e V arte.
Di cui certo è fra noi più larga parte.
Io non venni d' Avarro già in aita
Con tanti cavalier dal regno Iberno;
Né a r.laudiana mia sempre gradila
Con bel laceio d' Amor mi cinsi eterno,
Per menar poi nascoso oscura vita,
E degli anticbi miei restare scbcrno ;
I qoai, fossi spreuaodo, argini e muri,
Sul della spada turo eran sicuri.
Non sia dal vostro dir dunque oggi tolta,
Sarratissimo re, la chiara strada
A cosi gran virtù per voi raccotla
D* iusangiiinar talor la chiara spada,
E diradar di quei la schiera folla,
A Cui il nostro morire e l’onta aggrada ;
Ma n'aprite il rammin dì gire al cielo,
Dell’albor cinti del tignor di Deio.
Senti io primi di me *1 cenere spino
De’ venti in preda al lempeslosu cielo,
O da vii foco ruusnmato ed arso
Da' miei stessi nemici il mortai veto;
Che d' OQor ricercar mi faccia scarso
D'altrui ricordo, o dì temenza gielo;
E ch'io non sta tenuto da ciascuno
Degno erede fri lur del singue Bruno.
Dello ch'ebbe coti, t' assise e tacque
L' invino Iheroo, c sarte Pilamoro,
Ch'ai Santonico mar non lunge nacque,
Possente di lerren d* impero, e d' oro.
Di Closlasio parente, a eoi già spiacque
Veder le nozze, che concesse foro
Al fero Segnran dì ('.landiana,
Cli’rra allor del suo cor doona c sovrana:
E se 'I suocero mio con tulli voi
Sol di guardar Avareo avea desirc,
Nè votea per valor d' alcun de' suoi
In aicnn tempo mai le porte aprire s
A che ti lunge in via richiamar noi,
E tanti cavalier di tanto ardire f
Perch’ assai men valore, assai men gente
A difendervi dentro era possente.
E sposata I' avrebbe, se non fusse
L* aspra necessità del vecchio padre,
Che per lei sola Segorano indasie
Di venirlo a servir con le sue squadre ;
Or cosi acerbamente a luì perrusse
Il cor r iovidia, che drli'o<lio i madre.
Che contri ogni opra sua, contri ogni detto.
Di nemico ad ognur mostrò 1' effetto.
Ma per un si gran re non basta solo
Il suo seggio sovran aver difeso,
E tarpalo al nemico V ali e '1 volo.
Che nel vostro terreno avea già preso ;
Ma quel romor, rhe I' nno e I' altro polo
Delle vostre vittorie avea compreso.
Mantener vivo si, che faccia fede,
Ch' all* estreme giornale anco non cede.
Siirse donane, e poi disse t lo noo saprei
Condannar, oeguran, qnel che voi dite ;
Che'l valore e l’ardir dei sommi Dei
Grazie son sovra tutte alle c gradile;
E che sien fra i mortali i Semidei
Qnei, eh’ ardore onorato all' arme invile,
Disprezzandn del mondo ogni aspra sorte,
Per la vita immortai comprar con morte;
E chi ben peserà con dritta lance,
Quanto glove il mostrare ardilo il core
In assedio colai, non fole, o cìance
Stimerà il nostro andar sovente fuore,
E le piastre smagliare, e 'I romper lance,
E 'I tenere i nemici in tal timore,
Che con sicuro cor goder non ponao
Il giorno il riposar, la notte il sonno.
Ma dico ancor, eh' ove 11 bisogno sprona,
Che si debba temprar 1’ arme e ‘I desio;
Che divtn l' intelletto il ciel ne dona,
Perché trrmer possiamo il dritto e *1 rio;
Nè qoelU opra medesma è sempre buona,
Nè per nsarla ogn' or l'ha fatta Dio;
Ha il modo, la cagione, il tempo, e ’l loco
Dan sede alla virtù tra 'I troppo e*Ì poro.
Se voi restaste ognor dentro a quei fossi
E vi mostraste sol sopra le mari ;
Sarian d'ogni sospetto gli altri scosaì,
Come i vostri ripien d* ogni paura ;
Che sempre han da viltà gli spiriti mos4Ì
(Chi con la pruova assai non gli astìru/a)
Quri, che vengon novelli alla battaglia,
Nè san V arme d' altrui quel, eh' ella vaglia.
Se noi tiam per guardar la patria terra,
E nuli' altro voler ne preme il core;
Perche devìam con perigliosa guerra
Cercare indi acquistar privalo onore T
£ non aver de' ben, che ’n seo risrrra.
La dovuta per noi enra e timore.
Che non vengino in man de' nemici empi
Le matrone, i figliuoli, e i sacri Tempi f
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l’ avarciiide
SET
Se atimale voi »ol (tt come 4 certo)
IHiiatritsiiiio e'tiTÌUo ctvaliero,
Motti «tiri «neon* ed io di qaslehe imerlo
Kiser crrdian oel pubblìro pcnaiero}
Ma perchè roooicìam chiaro ed aperto.
Ove del dritto oprar giace il lentirro,
Conienti ci cliiamiam, eh* oggi d’ Avarco
S«)lo ai firiUnoi «' aaoì ai chiugga il varco.
XXXIl
Non è semplice onor quel, che mi spinge
A COSI spesso andar con l’arme fnore)
Ma il devrr della guerra, che ne stringe
A (renar dei nemici il gran furore t
Che di sì fero ardir talor si cinge,
Che scnxa essergli opposto altro valore
Di quel, che pon mostrar le chinse spade,
Mal secure tarien queste contrade.
XSV1
Poi, le *i tefnpo darè, volger la meote
Io acqniilo novrl di aacro alloro,
Forte non fien le mao più pigre e
('.he dei grati Seguran, di Palamurn;
Ma mentre or la pietoia e inferma gente
Che da noi apera aol pare e naturo
In guardia avem, aerrìamo ogn' altra cura
Dentro a queate onorale c aaere mura.
XtXIII
E se molti ne son (come voi dite)
De' nostri cavaiier condotti a morte.
Non han già più di noi dure le vite
Gli aspri avversari, eh' all' iitcssa sorte
Larghe schiere di lur volando gite
Son per man nostra alle tartaree porle)
E mentre noi piangiamo i nostri danni.
Non han cagion di riderne i Britanni,
ixni
E non ai faecia in van tante chiare alme
Di tanti ahi gnerrier ooitri e lontani
Lasiar per terra le terrene aabne
D' impuntiimi corvi eira e di cani ;
Nè col aangiie di lor 1* antiche palme
Faccian qui rifiorir le votlre mani ;
R per mofirarvi ardilo alla battaglia,
Di perder ì miglior poco vi caglia.
xxsiv
Nè men gente di lor, nè meno illnslre
È, da poi rh' io ci son, venula manco ^
Nè vide questa terra ima c palustre
Più il isoslro ancor, che '1 tur valore stanco }
E s’ ei, chi più d' ogn' altro il nome illustre
TrarArmorico stuolo, e ’i popol Francis,
Han Buorie e Tristau, eh' a nullo cede;
E noi Bronoro il Nero c Palamede,
xxvm
Nè date raepiiion, ch'ea«endo liinge
Dalla voiira reale Iberna sede,
Mro rh* a noi più virin, tema vi punge
Ui lor veder degli avversari prede,
Ma ch'ai nostro desir lutto s’aggiunge
(jucl che portale in acn, ne faccian fede
Il lassare ogni gloria, e 'ntender solo,
(^he non potsan sentir vergogna e duolo.
XXXV
Che dall' Ebridi al nido dell* Anrora
De* suoi chiari trofei colmò le strade;
Alla cui gran virtù fn dato allora,
Come si vede ancor, cinger due spade;
Or mentre tal gnerrier fra noi dimora.
Chi vorrà contraddir, che le contrade
Non fien scenre del famoso Avarco,
E sia d* ogni timor Ctodaaso icarco 7
XXIX
Qnaodo udì questo il fero Segnrano,
Che <r attenderne il fin disposto avia,
Risponde: Adunque cor tanto inomano,
Tanto pien di veleno al mondo fia,
Che pensar debba sol, che per lontano.
Che dal mio regno proprio A varco sia.
Poi che venuto soo d’esso in aita.
Hi possa esser mcn caro, che la vita?
XXXVI
Avem poi Marabon della riviera,
Con Buslarino il grande e Terrigano,
DrI Fortunato la persona frra,
Il selvaggio Rossan col pio Fatano,
E d'altri eguali a lor lodata schiera,
Che non prexxa il Britanno, o*l Gallicano;
Tal che a chi teme sol quel che si deve,
11 nostro gocrreggiar non sxrà greve.
XXX
Non l'amor del terrcn, dov* io son nato,
Piò che la data fè, trova io me loco,
La qnal dee sol pregiar 1’ nomo onorato,
£ tati' altro appo lei recarse in gioco }
Or s' ogn' altro eh' Avarco sia aervato
Scalda ardente desio, me fa di foco :
R fico le membra mie trofeo di morte,
Pria eh' so aoSri vederlo so altra sorte.
XXXVII
Così mentre fra lor con aspra lite
L'un l'altro in duri morsi riprcndea;
Già le schiere al prim' ordìn riunite
Arturo inverso Avarco comliireat
Tal che*n voci tremanti ed impedite
Anfion pien di tema si vedea
Arrivato gridar nel regio albergo,
Che gli armati nemici erano a tergo.
XXXI
E •* io non fossi tal, che pnr il sono,
Nuu ho dentro io Avarco il maggior pegno,
Che ne possa dal cici ventre in dono,
Ch’ avanxa ogni tesoro ogni altro regno f
Potrei por quella cosa io abbandono,
Ch* ataai più che 1 mio cor gradila tegno 7
E per cercar, qual dite, gloria vana,
Lassare in si gran rÌKbio Clandiana 7
XXX Tilt
AI cui tristo romor Talto consiglio
Sema nullo aspettar tosto è disciollo;
Nè alcun vi fu, eh' al subito periglio
Di legato Ircmor non fosse avvolto.
Solo il gran Seguran con chiaro ciglio,
E più eh' avesse anrnr, con lieto volto
Disse : Or perdiamo il tempo in nostre ciaoeo
Mentre i feri avversari opran le lance.
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IVKIX
T* imxlri qui drniro arrorin r ««iccin
Cia»rano al confortar 1 * 0 x 10 c la parr,
Mrnir^ Arturo là fuori al ano vanla^fiio
Quanto punir aq>iranHo «prona r lare,
Lirlu d'aver sì >|ebiie parappto
Della nn«tra virtù, eh* a lui Mi^piare t
Non per forza minor, ma per la vuplia
ri|;ra o^gi in noi, rh* ogni valore spoglia.
«t.
Così direndo ancor, ratto s' avventa,
In giiiu di patine, eh'aU'oTnUra oscura
Latrare il (ìdo ran non liinge tenia,
4'lie delle grepce care aggia la cura t
Trunva il miterti slnol, rbe si «gomenla.
Voto d'ogni sperar, pien di paura,
Di veerhierelli infermi e fetnminrlie.
Che in divoio pregar guarJan le slcile.
xti
Poi rivolto ver lui grtdan : Signore,
Or ne valga il valor, rhe 'o voi si serra,
SS ehe ne «gimiipre Ìl periglioso orrore
DeM‘a«pra, e lunga, e tangnioosa guerra.
H!*pond‘ ri lieto lor; vestile il r<»r«
Della dolrrrza, ch’ogni duolo atterra,
Seeiiri ili vedere il mio ritoroii
Di rirche palme de* nctnici adorno.
ti.n
Pregate pure il etri, rlie non si mmiri,
Pili di quei che si soglia, a noi nemico.
Né più roiurnla agli avversar» nostri
Clt’ a noi Forinna il tao voltare amico ;
Che tatto rendi ró d' ftruue i chiostri.
Più che fottero ancor nel tempo aotieit,
Lieti c felici: e di quel sangue molis
Per molli anni a venir ferUli i colli.
XMII
Co^'i direa paitamio, c poscia chiama
(Cile 'n cimtra gli venia) lirunoro ìl Nero,
K dire : Or dove è or di tanta fama
Degli altri eavalier lo stuolo altero?
Già non deve aspettar chi l'onor brama.
Ove l'uopo è magginr, d'altnti I impero,
Ma presentarle lai, che dia cagione
Più del morso adoprar, che dello sprone.
ZI.V»
E*n questa ivi arrivar vede Ctodino,
Con Rossano e molli altri; e poi fra loro
Minacrìante splendea di ferro Hno
Con sembiante onoralo Palamuro;
Il qual, tosto eh' a lui si f«' vicino.
Grida: Erco Segnran, ch’io non dimoro
(Quando il bisogno vico) qual pigro e vile.
Ma dei miglior guevrier segno lo stile.
XLT
Nè fui veduto ancur tornare nn passo
Cui miei levi cavai per tema alcuna;
Nè mai di guerreggiar mi vide lasso
Caldo raggio dì sol, oè algente Inoa;
Se ben nel ronsigliare Ìl mio Clodassu
Temo iu servìgio suo l'aspra Fortuna,
t.k' ornai condotto Fave in grado tale,
Ch'ugni picciul cader sana mortale.
' nevi
Rite il pio Seguran dicendo : Ascoso
Non m' r I vostro valor. Signor mio caro;
Or gite rnnaoii col drappcl faraoto
Dei vostri eavalier d’unure avaro;
E spuntate al oemiru l'orgoglioso
Primo furore, e noi farem riparo
All'altro ti, che si porria pentire
(Com* altra volta ancor) di troppo ardire.
I X(.sil
Cosi parlando, giunse alla gran porta,
Che va inverso i Uritauiii, e falla aprire ;
Ivi i duci appellandis gli coiifsirta,
Che tlimostrin quei di l' antico ardire;
Manda appresso CliHlìn, poi che la scorta
Vede di l'alamuru innaoai gire,
E dietro a lui Yerrallo coi guerrieri,
Ch'avcao l’arnie più levi fra gli arcieri.
X2.VIÌI
Nè da lui lunge ìl fero Palamesle
Coi suoi tulli tlell' Ebridi era audato,
Ver Ir radici, dove il culle assieile.
Che 'I Come scorge al suo sinistro lato ;
Ed ei col resto (poi ch'ogni allru vede
Al dovuto caromìu bene inviato)
f.ol numero maggior il pasto move,
Ili più aniinusu cur, ch'aveste altrove.
XLrx
Già uon mollo lonlan da quelle porte
11 fero Palainuru, e I suo Verralto,
r.on Maligante aveanu, e con ilourte
Principtu dato all' onoralo attallo ;
E fu i ìocoolru lor Uni' agro e forte,
Che di cavalli c d'arme il verde smallo
Si vide ricovrirte, in quella guisa
Che suol prato il villan dell' erba incisa.
b
E perchè a lutti i tuoi davanti giva
Con lo sruds» alto il eavalier «li Gave,
Fu dal buon l'aUtnoro, che veniva,
Era conosciuto, che notizia o* ave ;
Gli sprona iucoiitra, e fiirìoiu arriva,
E di colpo il ferì dannoso « grave,
Che ‘I fataosissiiuo elmo gli percosse
Si, che fuor del suo loco quasi ìl mosse.
Il
Nè di men forra cr’ unpn al sostenerle.
Che quella del giierrier, eh' ugo' altra passa;
Ma il destriero avversario nua soITcrse
Il furur di Booile, «inde «'abbassa
Si, che convien che Palamor riverse
Sopra il tcrreii cadendo, e dietro il lassa
Tra ì cavai, che veitian, ai ch'e' polca
Levemeute eondurse a morte rea;
r.H
Ma Calarte, che 'I segue, e Fcrraodoiie,
Alla gente, che vìen col ferro in rcaU,
D'amor carco ciascuu ratto a* oppone
Si, che poco al varcar gli fu molcata;
Poscia io nuovo cortier (osto il ripone.
Perchè '1 vigor del suo tardo ai detU ;
Poi lutti in un con 1' altra schiera ftrelU
Sprooan con nuovo ardire alla vendetta.
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L AVARCHIDE
Mll
Djir«llro Ilio anror ran Malìginle
11 mrUfnnu Verralto fallo «vìa,
('.h'era »opra un Jettrirm agli allrì aranl«
Della trhiera d’arnrr, eh* a piè il aegaia }
E l'uno e r allru ravaliero errante
Di furia e di b«tntà «ì ben fiorii,
£ ai pari in tra Inr, eh' wnili in»ieane
L’ nn eTaltru il terren redrado preme i
I.X
Nè il re Lago e Gavni, che 'atomo vanno
Ai fero Segiirann, e '1 re Bruiioro,
Kaeean di tur nini saaguÌu<iso daouo,
Che quelli, e che Clodin farriao de' loro ;
Prrrbé in fronte a eìaseuu dì pari sLsiiuo
L* aspro oprt'sso c 'i trionfale alloro ;
E ruu furia si egnal T iiu T allru preme,
Ch'ugn'uom sema timor si ciuge speme.
M»
E 1*1100 e l’allni nel mrdetmo ponto
Sriollo dal ino rivallo r Ìii piè tornato ;
E già col brando in man »' rra ragptiinln,
Per provar la >u« aorte in «Uro alato;
Se nuu rhe torlo d' ogni parte è giunto
Lo ilnol, rhe gli aeguìa, tjMJnlnnqoe armalo
In diversa maniera, ove si vede
L*un tu' levi destrieri e l'altro a piede.
LXI
Or quanta il sol rotando in alto sale,
Ch' ancor nou scalda il giovinetto giorno.
Tenue sempre fra lor Io slato eguale
Quella Dea, che cangiando gira allumo;
Ma poi elTal mexiu di spiegando l'ale
Fa ibvcrsn I Urrsii Febo rituruo.
Prese la laocc io oiaou, ond' ella suole
Librando audar quel che in futuro vuole;
I.V
Maqiiesto a quel, rhe sprona, aperto il seno
Mostra, dell ordin ano furniando 1* ali ;
E come olirà è |>assato, a sriullu freuo
Driasa intorno di lui gli agiili strali;
E di molli di <^aci bagna il Icrrenu,
Pria rhe potersi ai culpi micidiali
Volgersi iu giro stretto, c *ii breve tpaaio,
Poi dei saetulur far luogo straaiu.
IXII
E le sorti d' Arturo c di Clodasso
Nelle pendenti sedi riponea ;
poscia aliandole par, cadere in Lasso
Chi reggeva i Britanni si scorgea;
L'altra volger in au Tallero passo,
Che allur quella d'Avarcu sustcnea;
Tal che seiilenaa die’, che iu essa guerra
Quelli andassero al cici, questi sotterra.
tvi
Or già eoli Palamrde ii buon TrisUno,
Con più grave battaglia si rilruova ;
Piede a piede bau eoogiiinto, c mano a mano,
£ snido a scudo, con mirabii priiova;
Spinge forte ciascun, ma spiuge in vano,
Clic nrssuo è di lor, che 'ndielro muova ;
Ma spesso questo o quel d' agule spade,
£ chi d' aste percosso, a terra cade.
1.1111
E eoo aperti segni dimostrasse.
Che in iia mowenlo solo intorno il cielo
S* empieo d' oscure nubi, e *n lui lurboue
La froule chiara del signor dì Uelu;
Tre volle sotto ì piè miigseodo scusse
La terra in giro il suo froiiduso velo ;
Tal di timore empicudo quei d' Arturo,
Che ucssuii della morte iva securo.
tni
Nè prima è morto l’tin, ch'ai proprio loco
Chi si troova vicin, Torma ristampa,
£ *J terso e *1 quarto poi ; sì grave il foco
Deirunore e dell' ira i cori avvampa;
Ciascuno il ano morir si prende in gioco,
£ par mosso a pietà dì chi ne scampa ;
Nè si sente ivi voce di dolore,
Ma d* altere minacce e di foroire.
LXIV
E *1 re medesmo il primo sbigolUtu
(Seiiia inlciider di che) quasi fuggìa ;
Tristan {rh' è lioppo a dir| sembra smarrito
Nè del suo gran valor Iruova la via ;
Boorle e Maliganle in altro Ilio
Sommersi itau dalla temcnia ria;
11 popui (ugge lutto, e non s'arresta.
Come suole .Vlcioo T atra tempesta.
tVIII
Ma il famoso Tristan in quella parte,
Come leoD famelico, s'avventa;
A questo il braccio, a quel la fronte parte,
E chi non può ferir, limge spaventa;
Ovunque «i si rivolga spira Marte,
£d ha già tanta genie intorno tpenla,
Ch' a* suoi colpi mortali è fatta iiicude,
Che 1 gir piu innanti a se medesmo chiude.
LXV
Solo il biiou re deli' Orcadi rìmaio
Era senza fuggir tra quelle schiere ;
Prrrbc Forali per suo maligno caso
Cou lo strale il corsier gli fé* cadere,
r.b'ove allarga la froule sopra il naso.
Benché possa gran colpo susteuere,
11 feri si, che morto cade a terra,
E '1 suo verchiu signor sotto si serra :
LIX
Nè nirn dall’altra parte Palamede
Sopra ì Franrlii e i Britanni era feroce.
Che larghissime d' essi manda prede
Al gran Nocrider della Tartarea foce;
Nè di ardente valore al Gallo cede.
Nè dì lui men tra gli avversari nuoce ;
Ma sì beu opra anch’ei T altera spada,
(/he di morii copria l' ìslcsia strada.
r.vvi
E restava li ancisu o prigioniero,
Perchè di Segurau la schiera arriva;
Ma il suo chiaro 0«H>rle in alto fera
Chiama allanicnle sì, ch'ogn’uonio udivat
Chi porla in petto cuor di cavaliere,
E eli abbia di disuor T auìma schiva,
Veglia a scampar dal!' avversarie squadre
Del studio militar Tautico padic.
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l’ avarchide
LXYII
LZZIV
Tornale indietro, o cliiaro Haltganle,
Nè con forza minor da lui riceve
Ch* na ȓ onoralo re non f(inn|ta a morlet
Aspro c duro ferir, ma nello scodo.
Senza toerorso arrre, ajcli orchi tonante
Cb' oltre avria trapassato, io modo è greve,
0* un f:iierrter, come eoi, famoto e fortef
Se r omero di quel trovavi ignudo.
E che del oomc pio fo fcntpre amante,
L*noo e l'altro cavai veloce e leve.
E per ooel mantener «prezza opni aorte ;
Qual saettalo lUral da braccio rrudo.
Che pno dora arveoir ai come moitra
Già scorso è innanzi, mentre vanno io alto
la mille re^ion la gloria voalra.
D'ambe Taste 1 Ironcon rotti all’ assalto.
ijirtii
tziv
Così dieea Boorte, ma sorpreso
Non poason ritentar battaglia nnova,
0i ai o scoro timore era il buon dnee.
Nè rivolger indietro i lor destrieri.
Che senza il ano ricurdo avere inteso,
Che ciasctino intricato sì ritniova
Verso il vallo del rampo ai condurr |
Tra i pedon, che scgusano, c ì cavalieri;
Ood* ci soletto il ratto corso ha aleso
\'a innanzi Segurao facendo pruova
Nei aoo soccorso : c qoal amica loce,
In Ira i miglior dell* Orcadi guerrieri,
DaHe tenebre oscure ond' è sepolto.
S* ei pnlesssc arrivar il buon re Lago,
Con la presenza sol l’ ba lutto sciolto.
Ma piò d' ooor, clic di aua morte vago ;
ZZIZ
LZXVI
£ 'a dolce ragioaar direva : Tema
Che sovra ogo* altra palma avria gradila
Noo stringa ai gran rellor del freddo silOf
Il poter lui menar secu in Avarco,
Che la aeroiea forza Ìl vtoca o prema.
Che gli parria d'aver la strada trita
Ove Boorte suo ooo sia impedito]
Per far Cludasso d'ogui affanno scarto;
Ch'o r arrompagtierà nell* ora estrema,
Ma la speranza sua venne fallila
O il trarri scarto di salate al lilo,
Dal fero LìuncI, che chiude il varco
E *B lai parole del destriero scende.
Al SDO correr veloce, e'ocoolra sprona.
E con le braeda poi nel mezzo il prende:
E col brando fatai 1' elmo gl' ioluona.
LBZ
LZXTIi
E del morto cavai disotto il lira,
Sì che forza gli fu fermare il pas-^o,
B sopra no altro il poo, eh* ivi ha de* suoi;
E risponder a luì, eh' ancor seguia;
Nè beo fermo era ancor, quando rimira
£ la secuuda rulla scende io basso
Larga sclitera venir sopra ambe dnui;
L'islesso colpo alla medesma via:
Punsi dietro ìl gran vecchio, e si rigira
£ del suo gran valor restato casso
Verso i nemici, ed a lui dire » Voi
Forte che il fero Iberno ne uria.
Nobilissimo re, tomaie >1 passo,
Se non che 1 raddoppiar eh’ ultimo veune,
Dal passato cader percosso e lasso,
Con lo scudo dal capo allo sostcnue.
tZBI
Lztvm
Verso il campo de* nostri, e non vogliate
Allor, come leoo, ch'ai loro c presso,
la periglio maggior di nuovo eoirare.
Onde spera sbramar la fame acerba.
Che'l valor primo, e la presente date
Che 'mfiediio dal can si volge ad ea*u,
Vi pon giuria apportar, noo che scusare;
E 'u lui la cruda voglia disacerba.
E vedete in ver noi le stelle irate
Che col inurso e coni 'unghia il tiene oppresso,
Tome la virlè aoliea e mioarriaret
Hivertalo aspramente sopra l’erba;
Che a piò giovin di voi, di più vigore.
Hivollo a Lionel l'omcr gli fere.
Di divina temenza haa pieno il core;
E '1 destro braccio a terra tea cadere,
LXXll
taxix
Nè vogliate ai aeniici eterna gioia
Se non era lì forte il fiuo acciaro.
Dar con vostro gran danno, o vostra morte,
Che la spalla io quel loco’ a guardia aveva.
Ed a noi, qnanti armo, estrema onta,
Ch'ali' andar molto addentro fe* riparo ;
Pio eh' altra, ch* avvenir mai possa sorte;
Ma eoo tanto furor la spada aggreva.
Ma «il giovine sinol, che viva, o smiuia,
Che per 1' aspro dulor, cb ci sente amaro,
Par, ch'ai pubblico ben non molto imporle,
Va in basso il braccio, e lardi si rileva,
Lassate priiova far s'ogsì il tiri viiule
Si cii'avea Segiiran comuda sorte
Far, che questo ne sia V ultimo sole.
Di poterlo condurre in breve a morte ;
tXXIII
zazz
E *a lai modo pregando, rimontato.
Ma il engìo ino Bsven, eh’ era vicino,
(Che nuova asta e cavai gli diè Gaveno)
(Come madre al figliuoli subito accorre;
Ove sten Srgiirao s* è rivoltalo,
E tal 1 altro feri, cb' a capo chino
Che d'aver quei grao re di speme è pieno;
Restar ìl fa senza lo spirto accorre;
Con la landa rincontra, e 1 destro lato.
Or Liuuc, bismandu il suo destino.
Ove scodo ooo è percuote a pieno
E ludandu ìl guerricr, che Usi soccorre.
Si, che sentir polca che la percossa
Già riprende vigore, e '1 braccio alzaodo
Uscia da cavalicr di estrema possa.
Può, come fesse osai, stringere il brando.
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L ÀVARCHIDE
UIXXI
B T> inrer Sc|cnraa, che tveflìalo
Dal colpOf eh' al dormir 1' ha prranaao,
Contr’eui aprona dì fnrorc armalo,
E di ver|(Opoa pìcn del darò eaao,
Tal eh’ o di ac adcmpica T oltimo fato,
O di lor vineiior aarìa rimaao«
Se dal popoi auo proprio iri roodoUo
Noo foaae il peaaàcr auo alato inlcrrolto}
tixirtii
Il nuai eolie alla cima della tcala,
£ ‘b no virtù al rollo la diviac:
CoM tra i due fuerricri in terra reala
Chi aovra il ano potere olirà ai mite.
Di aangiie e di cervei la aopravveila
Tulta, e Telmo dipinto io Iriate gniae ;
E con T arme tonando ani aentiero,
l«aaaù voto di ae T alto eoraìvro*
Mani
Che ai ratta venta la achicra Iberna
Dietro al duce magnior vìtlorioto.
Che non par, che dagli altri i auoi diarerna,
Fermando T occhio aol nel loco odittao ;
10 guita d'Aquiloo quando piò verna.
Poi che *1 mondo imbruni T Auatm ^iovoao.
Che lui acaceiandu, e T adre nubi intorno,
Rende in aapro aolEar la luce al giorno.
tassili
E coli qnclla urtando ini Iraaporla,
E coi nemici iniieme innansì apiuge,
Ov' altamente della gente morta
11 trrreno arenoao ai dipinge;
E neaaun più rilien, nettun conforta
I Franchi aflliili, anzi ciaaeun a* accinge
Spaventato dal cielo al ratto cono,
RcIT aperto fuggir largando il mono.
UXSIV
Ma il famoao Boorte, che lontano
Fu dai molli avveraarì ritenuto
Dell' orme leguitar di Segurano
E di dar al buon re più largo aiuto.
Opra al fin ai con la poaaente mano,
Ch' al loco, oode partitae, rivenuto,
II Iruova ancor, che arila airetia calca
11 penaier dall’ oprar molto diffalca.
LISSV
E quantunque Baveoo c Lionello,
E molli altri gucrricr gli lieno a lato,
Noi poaaun ben dal popolo rubellu
i^ndur fra loro in piò licuro alato;
Ma gli va interrompendo or questo or quello,
Ch' or scampa, or cade, come apporta il fato,
£ trrrala gli han ai ciaacnna via.
Clic di scoria maggior meatierv avia.
LXSXVI
Cosi convien, che la seconda volta
Gli aia lalule il cavalier dì Gave;
Il quale aprendo ornai la gente folta
Col brando mieidial, che gli era chiave.
Diceva altero, ove T Iberno ascolta t
Nuo potrà aovra noi rovina grave
Cader, fauioM> re piò d* altro degno.
Mentre ciac questa man vi fia aoategoo.
LSSSVtl
Ah, disse Seguran, non sarà forse
Si ver, come peniate, il voitro dire,
E tosto si vedrà se 'I ciel vi porne
Assai piò del poter largo T ardire.
Cosi parlando e minacciando corse,
Ove il chiaro gnerrier vedea venire;
Ma condnasc io fra lor auo fato reo
11 figliisol di Tersile Eoiopco t
LSKSIX
Allor verso T Iberno si ristringe,
Ove ti suo caro amico era cadalo
Il fer Boorte, e con tal forza spinge,
Cbe polca vrudirare il danno avolo ;
Ma mentre eh* alT uiu-ar presto s' accinge,
Dal fuggitivo stuol vede abballnlo
Il bel disegno suo dell’ aspra guerra.
Che '1 toglie a Segurano, e 'otorno i laerra;
se
PerclTogni cavalìero, ogni altro a piede,
Che dasanli di lui fone, o dal lato,
Cinto d’alto timore indietro riede
Senz’ordine servare spaventato;
Non meu che Tiiomo, a cui non Inogrfiede
Folgore ardente, che io dnbbioso stato
Si trova il cor, se resti morto o vivo,
Di senso e di ragion lorbalo e privo,
SCI
E con T Orrado insieme indi il trasporta,
Non ascoltando sua, uè d’altro duce
Minaccia acerba, o detto, che I conforta
Air accesa servar d’ oiior la luce;
Ma senza orecchia, o lìngua ha sola scorta
Il timor disusalo, che ’l conduce:
E come aspro torrente arbori e legni,
Traggc a fòru con lui questi piò degni.
srii
Qual mansnrto btsc, eh* al raldo giorno
Con l'aratro il terreo qoielo fende.
Che sentendoti agli occhi andare iotorou
Il violento aastlo, che l' offende,
L* usala ubbediroza prende a scorno,
£ '1 bifoli'o obliando, il corso stende,
E con ratto furor dopo le spalle
Il gran monte ai lascia, e T ampia valle;
scili
Tal faceanu i Britanni, i Galli e i Franchi
Di celeste Iremur percossi io seno.
Le labbia e ì volti aiulorilì o bianchi,
Dei maggiori sprezzando il giusln freno.
Or poi che fur di richiamarli stanchi,
E che ’i ratto fuggir non venia meno,
Ragionava a Boorte il buon re Lago :
lo del voler di Dio, figlio, m' appago ;
s^ir
E ben folle saria, chi contrastare
Con suo danno e disnor volesse a lui;
Oggi vuole ai nemici il pregio dare.
Che darà forse io qualche giorno a nui ;
Cediamo al tempo, rhe oc può ifnr/are,
E per or segnitiam gli orrori altrui;
£ sol riguardo aviam, die questo male
Mal curato per noi non sia mortale.
*4
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L A V \ R C H l D E
u>x
ICV
Disse Boorte allor; Padre famoso,
Ben vr;>gio il vostro dir verace e chiaro;
Ma troppo al core io arme valoroso
Sembra il fugfiir più che *1 morire amaro;
Lhe diri Seguraa vìiturioso.
Che d'ogni DHitro biasmo è fallo avaro?
Come dolce gli sia di piiler «lire.
Anco il nostro Boorte fei fuggire !
CU
Ma poi eh' altro non pnù, tolto sosliene
De' nemici il fnror, mentre ogni schiera
Ad una ad ooa in sicttrlà perviene.
Invidia avendo a chi v'andò primiera;
Lionello e Baven, che seco vieoe,
Oprano ancor eoo lui, die poca pera
Della genie scacciala; e i-ol piè fermo,
E eoo r armala man le fanno scbcraio.
XCVI
Allora il saggio re gli rispondea:
Se '1 fero Seguran di questo vanto
Si vorrà ornar con la meniogoa rea,
Non li sarà credulo tanlo o quanto
Da quella grande schiera, eh* io vedea
L’altr’ier vrrsarse in lamentcvul pianto.
Di donne e di donielte, che per voi
E'seaja sposi, figli c fratei tuoi.
CUI
Così qnesLì famosi cavaUers,
1 Quai qiiallru ferocissimi molossi
Ivi appariao, che serrino i senlicri
A* lupi io tra le gregge a ferir mossi;
Ch'or van mordendo inuanii arditi e feri,
Or di lor seegiu, c di potere scossi
Tornansi indietro, c fanuo alti romiKÌ,
Bisvegliaodo i vicini, e i lor pastori.
XCVtl
E cosi ragionando, il piè ritira
L* tino e r altro dei due con gli altri insieme
Verso i fossi del campo, e non rimira
Chi di dietro il cammìn correndo preme;
Ivi la turba rigida, ch'aspira
Alla morte di quei, d' iiilurno freme,
E con aste lonlao, dardi e saette
Fan dei passati lor larghe veudetle.
ctv
Ma il erodo Seguran chiamando i snoi.
Quanto po«i maggiormente, tnloroo suona;
Graditi miei guerrieri, c sacri eroi,
Non perdiamo il favor, che '1 del oc dona;
Or non sentile, or non vedete voi,
Come all' aspra Fortuna s’ abbandona
Ogni duce miglior, eh' hanno i nemici,
Coiilr' all’ arme d' Avarco viodtrics ?
levili
Ma il fero Seguran chiamando grida:
Dunque fuggite voi, chiaro Boorte ?
Ov'é l'alto valor, ch'oggi s'annida
Dentro I' animo vostro altero c forte ? ,
£ perchè, come suole, or non si fida
Nell’arme, che gli fur sì amiche scorte
In tanti luoghi già? pcrch'or s'addonue,
E d' un sol Seguran paventa romic?
«V
Or non lasciamo indarno trapassare
La bella occasion, che'l cria ne ososlra ;
Che non seuliam eoo danno poi bìasnsare
Il voler lento, e la pigrezza nostra ;
Leve ed agevol sìa d' olirà varcare,
Se vorrete spiegar la virtù vostra.
Quei fossi angusti, c mal difese valli
Ai nostri vcltKÌssimi cavalli.
XCIX
Quando il gucrrier di Gave ode il parlare
Dell' tirgoglioio Iberno, muur di duolo,
K '1 cavai gira indietro, e vuol tornare ;
Ha il Iraporta (mal grado) il folto stuolo'
Tre volte tenta in van quella sforzare,
E Ire volte da lui gli è tolto il volo ;
E condotto è nel fio dall' altrui possa.
Ove il campo cingea Fui lima fossa.
C.VI
Or è il tempo a mostrar ebe desiale
Sovra ogni regno nmaoo eterna giuria.
Che la patria v* è cara, e d'essa amate
Libertà, sicurtà, pare, c mrmoria;
£ cinto latto di gran palme ancate
Il fabbricarvi un tempio alla Vittoria,
Ove si leggan poi mille e mill'anni
I larghi nuslri onori, e gli altrui danni.
c
Ivi d'alto timor venia ricinla
La tarma dii cavai tutta fuggra«Ìo,
Ch'altrui sospinge, ed è d' allrni sospinta,
Con ordine intricalo, e suono orrendo;
Dirlru a lei ralla virn di doglia avvinta
1/ altra gente pedestre ; e augusta ciseodo,
La porla, ch'ai fuggir Cacca Ir strade,
L'un sopr' all* altro rivers^o caile.
CVII
Ha duro è 1* indugiar, che 1 tempo vola,
Ch* a lor toglie il timore, a noi la speme;
Ch' un volger d' ucdiio, una parola sola
Spesso quello assicura, c questa preme;
La Fortuna si cangia, e '1 cielo invola
Sovente il frutto, onde fu amico al seme;
Che 1' una c 1 altro contr' a quei si sdegna,
Nel cui gclalu cur UrtUoza regna.
et
Li diniora Boarie, che riliova
Non liingc a lei rArmuriru Tristano,
I hr di fargli voltar fare uguì pruuva;
Ma tatto il sua sforzar ritorna vano;
l-lic ’l coiiforlare, o minacciar non giova,
Nè Toprar verso lei cruda la luauo ;
Mie si cieco è*l timor eh* a certa morte
Vuoi più tosto rader, eh' a dubbia sorte.
cvm
Poi volto al suo dcsirier, diceTa : Etone,
Sopra cui laute spoglie riportai,
Or di mostrar fierezza hai beo cagione,
Se per altra stagìon F avesti mai;
Non aspettar puntura di mio sprone,
E sulo il coufurlar tì muova assai ;
E non li supravvegna aspro letargo,
Come veuue FalUr icr, lassol a Poslargo ;
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l’ avarchide
K]
CIV
Il qnal per giusta pena ho ginrjmcnio
Non cinger d' arme al termine d' no mese,
Ma di lassarlo star tra'l vile armento.
Cinto d abbietta corda, in ruzzo arnese;
E di dare e te il pregio oggi consento
Di quanti uscir del Belieo paese,
Di destrcua, d'ardir, d* arte, e di possa,
S* ultra mi porterai di quella fossa.
ex
£ da poi che qui avem compilo e violo
Qnesto giorno fatai (ti com' io spero)
Sempre di cullo fien li vedrai eiuto
L' albergo chiaro, e '1 tuo presepio altero ;
Ove in vago lavur sarò dipinto
Il tuo sommo valor, degno d'impero
Sopra quanti ha destrieri in altra parte,
Né a’ opporrà al mio dire Apollo o Marie,
VI
Cosi dicendo, il drizza al destro lato
Del fosso, ch'alia porla era vicino,
Loulaou alqnanto, ove Tristano armato
Difeso a suo poter tiene il eonSno ;
Il Ter cavai, come se fosse alato,
Coo acceso desio prende il cammino,
E quanti incontra nella turba slrella.
L'un sovra 1’ altro riversati getta.
Xil
Ivi no monte mischiato si vedia
Di cavai traversali, e gente a piede;
Chi già mortu era ìn tutto, c ehi langnia,
Chi si lassa oppressar, chi cangia sede ;
Quel chiama aita, c qnel la bocca apria,
Ma lo spirilo fral Tana non Sede;
L'altro miglior, quantunque steso a terra,
Ancor muove la spada, e spira a guerra.
CANTO XIII
ARGOMENTO
asta i7 fasto /* audace Segurano
Sirnge portando entro il nemico falla :
Si fan contro Boorte^ /4rtar^ Tristano,
E torna orrido aliar di Marte il ballo.
Scorre la Parca ria : furare intano
Mesce e confonde cavalier, cavallo;
Si ritira Trittan, pari a Itone ;
Al sangue e alf ire fin la notte pone.
L I . . *
aminolo TrìiUaf dove più vede
De* looi cb* oppreMÌ wn grave il periglio,
Con qnei ebe ’olorno aveva, ivi provvede,
£ lien pronU la man, rocchio e*l coniiglio:
Talor loipinge innanzi, e talor cede,
Poi che *1 brando dei lor fece vermiglio;
E lauto oprando va, eh* a poco a poco,
Ove leeori lìrn gli acorge al loco. '
II
E ben eh* aggia Baven, benché Boorle,
£ molli allri famoit cavalieri,
Nuo poò impedir, che per 1* iileise porle.
Onde cDtravan foggeodo • lOoi gnmieri,
Molti con lor delle nemiche tcfirle
Atpramealc raiichiali, arditi c feri
Non gli legoiiie dentro, e tali e tanti.
Che polcauu addoppiar gli aadali piauli.
Ili
Ma il fero Segnran, che allor li idegna
Dì stampar il leotier per molli aperto,
In man prendendo nna purpurea iiisegua,
Sprona Elon nel cammin più stretto ed erto:
Pana il fusto d' un salto, e l'argìu segna
Ove dal chiuso vallo k più coperto.
Ma eoo l'urlo anedestnu il getta a terra,
£ s'arma sol cooUa infiuili a guerra.
VI
Nel cui primo apparir non atlrimcnlc
Fugge il Britanno popol da quri lato,
('.he soul la greggia vii, che vede e sente
Nella mandra arrivar lupo affamato :
E'I grande Iberno dì destre ardente
D'adempir di co«tor l'ullimo fato,
(jtunlo più saldo può, fra loro sprona,
E con gravi mioaacc allo ragioua :
V
Or tornatesi iadielro o fesotniacUc
A ritrovar per voi piu degno loco
Dì U dal mare, uve I' amiche stelle
V inchinano alUamore, a 1' ozio, al gioco;
Ed a noi d'ogni pace alme rubelle
Lassate in preda gir dì Marte il fuco,
t'.he iic scalda di e uottc, e ne sospìnge,
Ove largo il lerren di voi si pinge.
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f-l 1 I
T — 1
l ’ AVARCHIDE
Chi v' b« caiuIdUo, o popolo infriiro,
Senxa «ver m«i d'Avareo «voto offese,
Nella sua strana Gallira pendice
Lassando, o stollo ! il bel nalio paese
A eeriis»!nia morte, ove non lire
Mai de' vostri sperar nnove difese ?
E eootro alle noitr'armi, (vili, opporvi,
Per esca rimaner tra cani e corvi?
XI It
E non tanto però, che come intero
Non pii serviste ancora in quella guerra ;
Ma uon senza vendetta il colpo fero
Offese Seguran, che '1 brando serra
Sopra r ornalo suo rapo cimiero
E qoanlo ne trovò fa gire a terra,
Che fur duo' terzi almen, 1' altro rimalo
A gran pena scampò dal doro caso.
VII
Duoimi certo di voi (che non lonlano
È da* vostri ronfiai il lilo lberno|
Q«i veder per desio (rapile e vano
Condur miseramente in pianto e scherno :
Sepoeodo lai, di' olirà lo stato amano
Rirerrando fra noi lo scettro elerno,
Tien la riira di voi, rhe si terna
Dell'armento più vii, ch'ai mondo sia.
XIV
Già l'un e l'altro al seguitar s* appresta
Ed era sanguinosa la battaglia ;
Ma la turba d' Avarco vico molesta,
E fa, che *1 faticar poco gli vaglia.
Che la spada d* entrambi a ferir presta
Fa, che in alto vibrando indarno taglia ;
Che come furiando entrò fra loro,
D'assai spazio lontan divisi foro.
•vm
E così rapionando, con ta spada
Non epiiale al suo dir mostra pietate;
r.he quanto può, di morii empie la strada,
K r arene ha per tallo insanpiiiaatr:
Non si triinva più alcun, che innanzi vada,
K pia talli han le (oste abbandonate,
(•he ciiiprvan la parte verso Avarco,
Si rhe aperto riman del campo il varco.
XV
Il meiicsmo a Boorte era avvconlo
Col fer Bmnoro, rhe ferito «via.
E dal destro bracrìal tutto abballuto
Il ccrHiio suo, che *1 gomito copria ;
Ed ei dsir altro in fronte ricevuto
Sopra il fori* rimo egiial percossa ria.
Si che non polca dir d' avere offeso
Chi ben suo dritto non area difeso.
IX
Se non che il buon Trislan pare e Boorte,
Con quei pochi puerrìrr, che seco stanno.
Dal Tuppirsi ciascun, dal sonar morie,
Senton vicino il cominciato danno t
r.unscpnalc a Baven le chiuse porte.
Come aquila e («Icoa, volando vanno,
Cui l'orecchia iulooò dc'fipli il grido
Per la serpe mortai, ch'aualla il nido.
XVI
Ma parimente • lor fa Iona allora
Di Ussarse portar dal corso altrui.
Che in tal modo rinforza in poco d’ ora.
Che con gran faticar poono «mbrdni
Salvar rislcssa vita, ed uscir fnora
Del po|K}l fòlio, e degl! artigli sui.
Che l'era ai buon gueirieri in gnisa avvolto,
Cb'opoi chiaro valor rtman sepolto.
X
Nè molto andati soo Ira'] popol loro,
Che temendo (oppia, eh' han rilrovato
Il (ero Sepnran, che pii Bnsnoro,
Ma per altro rammin, si trova a lato;
E gran nnmern ancor sepne costoro
Del drappel de* migliori, e più pregiato ;
Ma tutti all' arrivar di questi dooi
Pongon (reno al furor dei pasai soni.
Or qnci, come leon, che 'atomo ciati
Si ritroorin tra reti c cacciatori.
Ove soverchio ardir gli avra sospinti
Per lunga fame, che del bosco fuori
Bramosi trasse a nuova preda accinti,
Senza curar per lei cani o pastori,
Il gran numer de* qua! cresciuto troppo
Ila il primo disegnar renduio zoppo,
* XI
Tristano a Seguran fa greve intoppo,
Che col prave corsiero il petto trova
Del forte Eton, sì che gli parve troppo;
E per la forza inosilata e nova
Courieo, che arresti, e dia fine al galoppo,
A cni r esser armato molto giova ;
Che s‘ aresse scampalo la caduta,
Non rimaaca secar d'aspra (ernia.
XVIII
Tal che posto sn disparte ogni altra voglia
Solo allo scampo suo volgon la mente;
E dove men la turba si rarroglia,
Addrizzan quanto pon 1' artiglio e '1 dente;
E mentre questo e quel la vita spoglia,
Con orrendo furor fra gente e gente,
Già vinto in parte il cominciato assalto,
Quanti iu giro han lacciuoi passan d'un salto.
Xtl
Or restali ambedue nel mezzo corso,
Senza crollarvc pur, ferman le piante;
Poi *1 famoso Trislan, qual ferito orso,
Che il doro percussor si vepgia innante,
Svegliando il suo con doro sprone c morto,
Al fcr d' Ibernia cavaliero errante
Trovò lo snido in ai mirabil forza.
Che '1 fende in mezzo, come frale scorza.
XIX
Così il chiaro Trislan, così Boorte,
Che troppa a forza umana Irovan possa.
Già temendo de* suoi l'ultima sorte.
Poiché i nemici lor varcan la fossa,
D' indi ritrarre il piè cercan le porle,
Già d* ogni altro sperar la mente scosta;
E congionti ambedue, per altro verso
Del popol, che venia, vanno a traverso.
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L AVARCHIDE
XX
E Unti ckllo stoolo » morie dannOf
Che noi poma conUr nwe terrena.
Ha di quei più famoai, e di piu danno
Area potto Tritlao sopra l' arena
L' Iberno Peristeo, che quei, che Hanno
Dentro all' Ultonia eoo lo scettro affirena ;
Che 'I passò d‘ una pnnta, ove il palalo
Sopra il 6n della lingua i riversato.
XXI
Dopo il qual, sopra P elmo Erìoneo,
Che del gran Sepnrano era seodìero,
(U>n la spada percouo rader feo,
Dipartila la fronte sul sentiero;
Nè meo di quello il forte Lilibeo,
Che sovra la Lapìnia aveva impero.
Di percossa mortai nel lato manco
Mandò in man di Pinton gelalo e bianco.
XXVII
E così ragionando, ratto prende
La bianca insegna sna dall' altrui mano;
E dove è il padiglione, il passo stende
Di Maligantc a tatti prouimaoo.
Che io ntexxo aesiede, e lui secnro rende
Quel del buon Lancitutto, e di TrisUao ;
Che qua! d' ardire e di virtiide amici,
Voiser la sede aver presso ai nemid.
JUVtlI
Ivi adnnqoe il gran re, con chiare grida
Chiamando i capitani, allo dìrea i
Ov’ è 'I primo valor, che *n voi s'annida.
Che sprexxar snoie ogni fortuna rea ?
Or Dell’ albergo ascoso si ri6da,
E la pigrixia vii tien per Idea ?
Ove gite son or dì lutti qnanli
Le ventose promesse, e i falsi vanti,
XXII
Archeltolemo poi Boorle traeva.
Che gli vuole impedir, misero, il passo ;
Ma l'alta nobiltà nolli gli giova.
Ch’era di Segiiran poco più basso;
Che l'arme gli passò d' amica pruova.
Onde cadde il meschin di viU casso,
Panato in latto, ove congiunto al petto
Tiene il suo seggio.il core ascoso e stretto.
XXIX
Ch'allor che fummo all'isola di Tetta,
Di Curo o d'Aqutlon chiamando il fiato,
Udiva a mensa far tenendo stretta
La man con Bacco al suo liquore amato f
Che minaeciava ogu’ nomo aspra vendetta
Sopra 'I popol d' Avarro ove arrivato
Fusie di Gsllia al desialo loro,
E d' accender ivi entro eterno il foco f
XXIV
Dopo *1 qnal per sna sorte incontra AiOra
Che di Momonia ricca aveva il regno.
Che ’l largo fosso trapassava allora,
E gli par d' alla gloria esser al seguo ;
r.Oil Fortuna alla medrsim’ ora
D' aspra morte e d* onore il renden degno;
Che gli fece ampia strada nella gola.
Onde r alma fuggendo in alto vola.
XXIV
E'n tal modo abbattendo orquesto nrqnello
L' illoslrlssima coppia in dietro riede;
E districala dallo sluol rubello *
Corre veloce dove Arturo vede,
Che'nlorno solo avea piccioi drappello
Di quei di più valore, e di più fede;
Che di quanti allri son la maggior parte
Smarrito ha per timor la forza e 1’ arte.
XXV
Nel core allor si rasserena alquanto,
I due veggendo, che più d' altri stima ;
E gli occhi oppressi da sdegnoso pianto.
Dice: Or son io d' ogni miseria iu cima,
Or 1* empio Segnrao verace il vanto
Si potrà dar. come già falso io prima,
Ch' ri d' ugni dubbio sol trarrla Clodasso,
E 1 Brìlauoiro onor porrebbe ia basso.
XXX
E che ciasenn di voi sarebbe a cento,
Ed anco a più di quei di forza pare?
Ma create dal vin le portò il vento,
E le spense da poi l' ondoso mare ;
Ch’ora, a quel eh' io nc veggio, a quel eh' io Malo
Del vostro dir tatto il cootrario appare;
E ch* uggì io qncsla misera battaglia.
Più che mille di voi l' un d’ eMÌ vaglia.
XXXI
Poi con più dolci noie, Maligante,
C.h* è già corso al suo dir, prega e conforta;
Or non volete voi spingere arante
Con la vostra onorata e fida scorta,
Ch' a nessuna iva dietro, a molte innante.
Ed or par, ch* a viltade apra la porla ?
Torni quel core in voi, ch’io sempre vidi
Splendei' ìa tra i più arditi e ’o^ra i piu fidi
XXXII
E ve'n gite volando, ove Tristano,
E Boorle illustrissimo lassai,
Che mantengon di qui lo shnol lontano.
Che ne minaccia pur gli uUimi guai .
E segnrndo Brunoro e Segurano
Fia dei nostro lerren signore ornai,
Se voi con gii altri duci insieme accolli
Non gli avete eoo l'arme indietro volli.
XXVI
Ma il tempo altro chìed’or, che lamenlarse;
Però VI prego il pondo soitegnale
Con qnesli peschi, di' han le forze scarse,
Se dal vostro valor noo sono alzale ;
Ed io men vo’, dove nascose e sparse
Son r altre nostre genti spaventate,
E vedrò con minacele e con preghiere
Di rispiogerie fnor con le sue schiere.
XXXIII
Il medesmo da poi pregando alTcrma
Al nobile Abondano ed Agraveno,
E discaccia il timore, e 'I cor conferma
A GcHletIo, Arganoro, ed a Gavenu,
E la turba, che fogge, Ira vìa ferma ;
£ con parlar di riverenza pieno.
Senza lue danno far, senza minaccia,
Al difendersi indietro gli ricaccia,
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1
XXXIV
Dicendo : Ove fogfiitey o tcioeche schiere?
Non vedele voi ben sempre il perì|ilio
Via più nave e maft|(iore in qnei cadere.
Che rivulKon le spalle, dove il ciglio
Non può il vanUgfio suo presso vedere,
Nè pigliare io cammino nlil consiglio ?
Nè mai r armala man difesa Iniova
Coolra chi dietro a lei battaglia muova.
Il feroce Boorle, eh* era presso,
Ha trovato in cammino Ìl germao Iso,
E gli ha in cima dell* elmo il beando messo,
Che gli passa scendendo in mesto il viso;
Ei dall* ultimo sonno cadde opprcaso,
Infin sopra le spalle in due diviso;
E Bicnorc aeco, Ìl pio cugino.
Fon nel fianco percoMO a capo chino.
Nè il loco, ove fuggite, è piu sieuro
Di quel, ebe ’n tal vergogna abbandonale i
Ch* altro non è più io qua fosso, nè muro,
Fuor di Cfuei, che da tergo vi lassale;
Or non vi fia 'I miglior seguire Arturo,
E la fede e 1* onor, eh* ora spremale.
Che furando il devere a tutte ioticme
Seguir chi dì scampar non mostri speme ?
Cosi va insieme U famosa coppia
Con r istesso desire, c col valore,
E Tun r altro imitando, i colpi addoppia.
Pareggiando fra loro Ìl largo onore;
E tanto innanai van, che inlusaa e stroppia
Del fero Scgiiran Talio furore
Che come a se vicin venir la vede.
In nuova altra maniera a* suoi provvede ;
L* alte e vere parole, e *1 sacro aspetto
D* un si famoso re, tale hao vigore.
Che io un ponto cangiò '1 pavido petto
I dannosi pcnsicr eh* aveva in core ;
Ferma il passo ciascuno, e giunto c slrcllo
Si rivolge al nemico, c cerca onore ;
E tacendo obbedisce ad ogni duce,
Ch’ai lasaato cammino il riconduce.
Che appellando Bruooro, e *1 ino Rossano
Ch* uccidendo s Britanni, non van Innge,
Dice: Ordobbiamo oprar rocchio e la mano
Poi che uovellamente si congjonge
Con Tallero Boorle il gran Tristano,
E fresca schiera de* nemici giange,
Chu saran più dei nostri, de* quai rari
llin potuto passar questi ripari.
Come gregge talor, cui punse tema
Di lupo, o di leoo, che presso scorse,
Ch*al fin del colle, o della piaggia estrema,
Lè *ve il rischio è maggior, semplice corse.
Ivi lasM, s'arresta e grida c trema,
Fio che *1 fido pastor ratto le porse
Il soccorso fedele, e d'orror piena
Alla mandra lassata la rimeoa;
xxxvui
Coti indietro riturna, e i eavalierì
Davanti il passo lor spronando a prova,
Più, che fossero ancor, d'animo alteri,
Che ‘I valore smarrito, ugn' uom rinnuova;
Ha Tristano e Boorle arditi e feri
Lè, dove con più genti si ritruova
Il prode Seguran, largando il morso
Dei possent^orsicr, drizaano il corso.
XXalX
Ma perch* era il cammin serralo intorno
Da molli altri guerrier, che *n giro vanno ;
Sema tutto fiaccar di qnelli il corno,
Non si può penetrar duv* essi stanno ;
A ehi allor di fuggir temea lo scorno
L’uno e T altro di lor fa greve danno,
E tanti fa cadérne a poco a poco,
Che d'andare ove vuol se gli apre il loco.
XL
Trova Tristan fra i primi Amopaone,
Che nell' Ebridi fredde aveva il nido,
E ^n no colpo in fronte a terra ti pone,
Richiamando la patria in alto grido;
Poi nato arila islessa regione
Agenore con lui pose sul lido,
Trapassato nel cor di mortai punta,
Ch'uve il cavo è maggior veniva aggiunta.
Però fermare il passo ne conviene,
E soilcucr per or V impeto loro,
In fin che nuova gente per noi viene,
E col nostro Cloilin sia Palhmoro,
Ch’auai fa nel bisogno, chi mantiene,
Non meu che ehi T acquista, un bel tesoro:
Tenete ì nostri saldi, c a me si lassi
Il romper di custor la strada e i passi.
xtv
Cosi dello, s'accinge all'alta impreu
Di conlratlar ai dne Usilo soletto,
E sopea il buon Tristan la prima offesa
Nuove col duro brando in meixo il petto ;
E se non che fu invitu la difesa
Dell’acciar, che *1 copria più che perfetto.
Fora iu quel giorno istesso, « *n quella punta
AIT estremo suo fin l'anima giunta;
Ma sema altro suo danno iodietro toma,
E l'aria accende di faville ardenti;
Nel gran re di leon driua le corna
L'ira avvampando, c fa strìngerli i denti;
E dove il bel cimicr la fronte adorna
Con un groppo annodalo di serpenti.
Furiando gli pon la grave spada,
E »li fa rotti andar sovra la strada.
XLVU
E col lor giù cader sostegno furo
Al fio elmo, ch'avea, che integro resta;
Ma il mondo intorno di colore oscuro
Si mostra, c'n giro gli volgea la testa;
Ma in brevissimo andar ritorna pnro
Ogni turbalo senso, c ‘n lui si desta
Il prsintero valor con tanto sdegno,
Che del pensiero uraan trapassa ìl segno.
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K
L AVARCHIDE
XLVIII
E come aspro cio^bìjl, raUo »* avventa,
E eoo tolta loa possa in fronte il fero;
Ma Triitan con lo scodo s* argomenta.
Che '1 dcslioato fin non possa avere,
E 'n questo meazo Ìo più d'on luogo il tentai
Ma. come prima ancor, le folle schiere
Qninci e quindi arrivando son ragione,
Ch' ebbe Icruiioe allor 1' aita qisislìone.
XLtX
Ni con forza minor ritien Boorte
Di Bronoro e Rossano il corso a freno )
£ di più ultra gir si beo le porle
Chiudendo va, che il lor furor vien meno;
E mentre l'un percoole, all' altro morte
Va minacciando e ’n gnisa di baleno,
Che nell* estivo cicl la notte splende,
Si vede il brando ano, che sale e scende*
L
£ 'n sì leve rotare intorno Ì1 gira,
E si snello e Irggìer muove il destriero.
Che mentre l'un nella sua morie aspira,
Già con r altro il rivede io atto fero;
A quel d'jgula pania, a questo lira,
Come fa in Mongibcl Piracmo allcru;
£ ’n modo opra con lor, die dopo lui
1*00 più sicuri andare i gnerrier ani.
LI
I qtiai vedendo aver si fida scoria
Di lai bnuu cavalicr, che innaoii vanno,
£ *ndielro on si gran re, climgli eoufurta,
Già meltono io ubiiu 1* andato danno;
E ciasctiQ nuova speme io petto porta
Di poter riversar l'islesso affanno
Nello spielato esercito d* Avarco,
Del qual troppo da lai si seotia carco.
Li|
Or già spiega le furie il sacro Arturo,
E poi ch'ha in ordiu posto il grande slisulo
Sprona il forte deslrier lieto e sicaro,
E tra i primi nemici addrisia il volo ;
Aman rilruova, eh* ove il freddo Artnro
Più restringe il suo corso al nostro Pol<^
Nato di chiaro sangue era in Norvegia,
Che d*ogn' altro, che sia, 1* ooor dispregia.
LJII
E nel meno del cor con P asta il passa
Si, che scusa spirare io terra cade;
Segnila oltra il cammino, e morto il lasaa
l^roppo loutao dall* aspre tue contrade;
Il turoalo Gaven la lancia abbassa,
E del suo sacro re segue le strade ;
Ed Anlioiaco iuconlra, che venia
Onde sleode i coofìu 1' Arba Aosiia ;
E per fama acquistar, eoo poca genio
Di Rossano il selvaggio segoia l'orme;
Dr sanguinoso ti seo, tardo si pente
t-hc lassò del suo stìi I' antiche forine t
Il forte Lioucl, che vede e sente
Degli arcicr lievi sooi svegliar le torme,
eh’ è disceso a piede, e preso ha l'arco,
Ove son più nemici, elegge il varco.
E chiama atto Ttmbreo, eh* era scndiero
Del famoso Tristano, e *o guardia avea
Il sno più grave scado, a lui leggiero,
E che nuir altro in gnerra soslenca ;
E ^li comanda poi col dolce impero,
Ch iin sì caro al signore osar polca,
Che *1 pianti nel terrcn tenace e fermo,
Pcrch’ al sno saettar si faccia schermo.
IVI
Lo spiardo appr^o accortamente gira,
Ove piu incontra vien la schiera stretta;
E*1 giirrrter più onorato in essa mira
Di drslriero, o d* arnese, o d’ arme eletta;
E ’n queir atro ipìeiato intento tira,
E pongli in mortai loco la saetta ;
Poi qual piccioi fancini dì madre al lembo.
Dello scudo fcdel s** accoglie in grembo.
tvn
Furo i primieri Argolìro e Parmeno,
Ch'egli uccìdesse, e '1 nobile Sileste,
E 1* un presso dell* altro sul terreno
Renderò al lou Falior I* anime meste;
Con lor Detore, Cimio, e Lolofeno,
Nutriti traile Iberniche foreste,
Poi col fero Enodueo, Erisilooe,
Qiiai cervi il caccìator distesi pone.
Lvni
Giunge in questa il re Artnro, e quando vede
11 glovin iìonel noo ancor sazio, *
Lieto dicea : Nè men vendclta chiede
Già dei nostri e di noi l' antico strazio;
Che d* ogni vostro ben già stata erede,
Dopo il torvi i parenti, tanto spazio,
E la turba cmdcl di fede incerta,
GIs' assai danno maggior di questo merla.
tiz
Ah, dicea Lionel, sapete bene,
lovillissimo re, s'io soglio ancora
Con altr'armc ferir, quando conviene
U valor dimostrar, che 'n noi dimora ; ^
Jfa il popolo inGnìto, che ne vieoe,
Per ispegner con lancia, è tarda Torà:
Poi cuntra gente d'ogni vizio ineode
Chi vorrà ricercar fallo o virtnde f
LX
Ben' è vero, il boon re gli Hspondea,
Che non sempre il medesmo il tempo approta.
Nè la roedesma cosa è buona o rea.
Ma con la sna ilagion cangia c rinMva;
Or che ne aggreva la fallace Dea
Con la rota infedel, fare ogni pruova
N* è lecito, e*l cercar per tutto scampo
A salvarne V onore, e *1 nostro campo.
ui
E voi, figliuol, che non avesto a sdegno
Or per pubblico ben gli strali e t'arco.
Di sempiterno ooor chiamerò degno,
Nè di voi celebrar sarò mai parco ;
E se ’l del ne darà compito il regno,
Che n' è d* intorno, e I' espugnare Avarco,
Vi farò tal, che non avrete pare
Pfincipe alcuno o re sii qua sial mare.
s *
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333
l’ avarchide
txu
Io ri riagraiio, amile allor ricpoodc
Cofi •omna rircfrnM il gìovineUoj
Ma non I»i»ogna aver I' c*ea d'altronde
Al focoMi drtio, eh' io porlo in petto
Di voi «enrire, in fin che *1 ciel m' infoDde
Deir usata sua grafìa all' intellello,
E mentre ch’io potrò presso o lontano
Porre io opra per voi I' arme e la mano*
tJUII
E dicendo così, d* nn nuovo strale
Su la rigida corda pon la cocca.
Ed a Herun driaxò '1 colpo mortale, •
Che gli venne a passar proprio alla boccni
Indi spiega al cerve! le pennate ale
Sì ben che del deilrier (lasso) trabocca,
E la trita piegò pallido e smorto,
Come tener papavero in chios'urto;
LfiV
Che dalla folta pioggia nell'estate,
Quando il sene ha miglior, gravato sia:
Era costai di tenerella etale.
Nato in Avarco della vaga Elia
Cara a Clodasso, e che mille fiate
Già pansé il dubbio cor di grlotia
Alla sua sposa Albina, che sentiva,
Che troppo al suo parer cara veniva.
UV
Scocca nn' altra saetta, c ’n mezxo i] petto
Va sibilando al misero Ippodamo,
Cb' a cader va de' iii«>{ nel calle stretto,
Come percosso necci dal verde ramo :
Era esso Ibero, e nnovo duce eletto;
Onde il popol di lui grave richiamo
Al ciel facea, che l' ana c 1' altra sponda
Par dì lai non arca, che *1 Beli inonda.
LITI
Dopo il costo! morir, Herope appella,
Ch' egli è sempre viriou, il suo scndiero.
Che gli adduca il cavallo, e moota in sella
D^odo: Or sia chi vnol per oggi areiero,
CP io con allr'arme in man rempia e rnbella
Torba or voglio sissiir da cavaliero,
£ vegga ogn* uom, che chi di Cave nasce
D'ogn'arrae oprare, e di virtù si pasce*
txvii
In tai parole sprona in quella parte,
Ove il caro fratcl Buorle scorse.
Che parca (ira’ nemici il Gallo Marte,
Ove irata la man più in guerra porse;
Truova il Gela Iperoco, clic ’n disparte
Lassando gli altri andar, sopra luì corse:
E nel petto egualmente s' inconlraro,
Ma fu l'un colpo più dell'altro amaro;
Lvvm
Perchè l'asta dell' altro in tronchi sale
Volando al ciel, sema lassare offesa ;
Quella di Lìuocl fu micidiale,
(ìhc spreaaando del ferro ogni difesa,
Passò dove il pulmon con tepide ale
Jtlaulien l'aura vita! nell alma acrria ;
£ ‘n terra se n'andò del muudo sciolto,
Ove fu in SCO de' suoi subito accollo.
Lxrx
Indi col brando in man ritrova Opito
D'AJeandro figlìuol, che ricco nacque
Del nobii Taragone al basso iito,
Ove Teti di spuma imbianca Tacque;
E di sdegno d'amor s'rra partilo
Dalla vaga Scrpilla, a coi non piacque
D' averlo sposo ; ond* ri con aspra sorte
(Come allor ritrovò) cercava morte-
LXS
Incontra il suo grrtnan dello Socco,
Che io ogni tua fortuna gli fu appresso,
E d' no colpo alla froulc in morte il feo
(Come nel viver pria) compagno d'esso:
Poi d'altra patria il crudo Ilitioeo,
Che d' Africa il terreo teneva oppresso
D'Atlante al mar, di sangue Visigoto,
D' orgoglio c di vigor fe‘ nudo c voto.
LXXI
Ma mentre esso, il fratello, c'I pio Tristano,
Mostrando allo valor, battono a terra
Questo e quel dnce illustre e capitano,
E fan maravigliosa c cruda garira;
Palamuro, Clodino, e Dinadano
Di qna dal largo fosso, che gli serra
In sicurtà di lor, nell* altrui danno
Cooduccndo gran turba intorno vanno,
umt
Sì che mal far riparo si pelea,
Nè scacciar i nemici da quel lato.
Che dritto ic^verwi Avarco rispundea.
Che lutto pienamente era occupato;
Ma il saggio Maliganlc, che vedea
Di tulio il campo il periglioso stato,
Con infiaill carri utili a guerra
Attraversa Ì1 cammino, e^l passo serra.
I XXIII
E mentre che Tristan, tenendo a bada,
li furor, che venia, saldo sostiene,
A naoro fosso che profondo vada,
Quanto a si breve tempo si conviene.
Fa, che'i popolo armalo, il qnal la spada,
1» la lancia, e lo scudo a terra tiene.
Con gli agresti istrumrnli si raceìnga,
Si che i carri di fuori inlornu cinga,
txviv
E con studio maggior, ch'alia stagione,
Che comincia a scaldane il buon rnltorc
Alla pregiala vigna i vilian pone,
Per voltare il trrrcn, che troppo omore
Dona all' erbe crude!, che son cagione,
Clie'l dolce arbor di Bacco o langne,o muore;
Che pon vederle al rusticano assalto
Mille sappe lucenti andare in alto.
LSXT
E tanto era lo stnol, che 'n tempo breve
Già polea la difesa esser sicura ;
Chi la terra rompea, chi larga e greve
Gleba all' argin portar prende la cura;
Chi dispon bene il loco, in cui si deve
Le guardie ps»rre in guisa d'alte mura.
Chi le porte disegna io dotte forme,
Da spingere e ritrar de' suoi le torme.
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L’ AVARCniDE
LXCVI
L'Accorto BaiMicgaiBo ia allr* parte
Dei «ubili consif;li «mmacslralo.
Or 4 que»U> or « ^iirl discopre l'Arie,
Ch* oMr ai ftepgia in ■imiplianlr italo;
A chi miuaccc, a olii priephi diparte,
E li rilroova presto io ciaicuu lato ;
£ per cicnpio dar come •' adoprr.
Quinci e qaiadi eoo lor poa mano aU'oprc.
LaxiHi
Ua poco opra il suo dir, che più die prima
Sema nulla ascoltar fugge lo stnulu ;
E *1 gran firrUnno re, che pure stima,
Che più d'altro onorar deggiao luì solo,
Roso dell' ira il eor dall' aspra lima,
E di sdegno ripìen, colmo di dnolo.
Col drsLrier stiu davante s'attraversa,
E murdcudogli, tal la rabbia versa :
Lixrii
11 Micc Abondan V istcuo face,
Ne men Locano il bniUo rtl Egrevallo,
lo quel modo adalUndo, che cuofacc
A chi più rappreienli arpìoc e vallo;
Snllecitaodo opuur, mentre la pace
Non poù lor disturbare uomo o cavallo ;
Che rileuuto a fona era Umtaao
Dal valor di Boorte, e di Trillano.
LXSXIV
Se voi fuggite sol, diletti amici,
Per secura portar Con voi la vita.
Datemi oggi legalo a' mici nemici,
E fia strada più aperta c più spedita,
Che gir vi laiseraii lieti e felici.
Ove il molle desio, lassi, v' invila,
Dentro al vostro Dativo e dolce luco,
Tra le vii femminelle ali' ombra e al foco.
taaviii
Blanoro e Cossemantc Ì1 core ardilo,
Maodrìoo ed Ououelio d* Eslraa^orre,
Con multi cavalicr, nel vicio lilo
Per più lor lìcurar si vanno a porre,
Che nessun sia impiagato, o aia impedito
Da qualche leve arcicr, che ipcMO corre
Non scupcrtu d’altrui fra grate e gente,
Che via miglior di lui può lar dolente.
LXXXV
Ed io mi rimarrò famoso pegno
Dei fidato valor de* miei guerrieri,
Che di Bacco e Ciprigna al lento regno
Coiitr'a chi sia loulao suo crudi e feri,
Ove Marte alxa poi l'armato segno.
Al fuggirsi iootan pronti c leggieri,
E del suo iuipcradore hao quella cura,
Cbe ’l pasciuto monloo di vii pastura.
uuux
Coli aoa nel panar di non Inugbe ore
Si beo di ottovi foni intomu ciuU,
Che di vedere uoui cena Ì1 timore
1 maraiali alberghi acceii o vinti t
Ha che i molli gucrricr, else Cco di fuore,
Dal numero minor sian riiospiuli;
Tal ch'ai Disovo periglio sopragginnto,
U rimedio c '1 dolor nasce in un punto.
LXXXTI
Le sdegnose parole, e i veri delU
D' un si onoralo re dì tanto nome,
Beo pungeao de' migliori i chiari petti,
Carcando i oor dì vergognose some,
E dalla turba vii chiusi c ristrelti
Vurrian pur ritornar, ma iiou saii come ;
Che trasportati suo da quella furaa,
Qual nave eli' aquìlou percuota all' orza,
Laxs
B bene ad nopo vira, die tanto cresce
Il furor de' nemici e lo ipavenlo
Di quei d* Arturo, che del terniio esce
Chi di viltà mostrar, chi d' ardimento;
Lo ituol Franco e Britauuu in uu si mesce,
K nesiuu cura onore o reggimento
Di duce, o di Gucrricr, che grida o chiama,
£ per luo Kampu ornai sprcasa ogni fama.
LUX VII
Che *u ver lui quanto può drixza la prora
L'aiiìmusu uocchirr, né ceder vuole,
Che'l cammino arquisUlu per lunga ora
lu uu mouscuUi sul perder sì suole :
Ma piti eh’ egli ha dalla surgente Aurora
Travagliato al corcar del lardo Sole,
Pur coovirugti al soHiar, dir maggior poggia,
Cuulraria al suo desio leiilar la poggia;
taxai
Corre intorno Trtsiao, corre Buorte,
E di fargli arrestar s' adupra in vauo ;
11 vecchio re dell’ Orcadi, si forte,
Ch* esser può ben ndito di luntano.
Dicendo va: Qual più sicura iurte
Speri trovar nel piè, che nella mano.
Popolo abbietto c vii, die non l* accorgi,
Cu al palese morir le ileiio scorgi!
ixaxvui
Cidal fan quelli afilli li, che di duglia,
E d' unta, c di pieG reslan coiupreii
D* esser lordo trofeo, fngacc spoglia
De' suoi nemici sopra loro ascesi ;
Ma i piè impediti a cosi pronta voglia
Nuu puu bene ubbidir, da troppi offesi ;
Così, mal grado suo, cui peggiur vaiiuo
Air estremo, qual sìa, disuore e daunu.
taxiii
Non t'avvedi In ilollo, che fuggire
In lieuralo loco ornai non puout,
Poi ebe lassalo ariamo il varco aprire,
Spianare il vallo e ragguagliare i fossi ?
Beo, se rivesUrem 1* osato ardire,
Del qual sema cagione or sete scossi,
Di tosto rivedere lio ferma speme
Tornar gli argini, i tossi, c i valli io»icme.
LXXXIX
E 'n lai guisa cuovieo, che i buon dien loco
Alla viltà dei rei, questi alla tema;
E come avesser dietro ardente foco,
Per piu tosto fuggir, l' uu 1’ altro prema;
Già sou lutti coudoUi a poco a pocu
De' nuovi (ossi su la riva estrema
Là dove Ualigaiite, ed altre scorte
D' tulraxvi a sicurtà iiiuslrau le porle ;
lO
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AVARO II IDE
Ha io qtmlo mezzo il sol calali ì rai
Dietro al Marrocro avea nell' occideate,
Tal che di speme e di limor di (tuai
Già imposto ha ÌI fine all’una e l’altra fenici
Onde il BriUooo staol s'allegra assai,
E'i’t grande oste di Avarco n' è dolente ;
Pensando, che s' ancor durasse Ìl giorno,
Girscn polca della TÌttona adorno,
ev
Il fero Segnran cedendo a 11’ ore,
Cbe 'o dietro ogni guerrier seco s' accoglia
Fa ioloroo comandar l'alte e sonore
Trombe, e che ‘I guerreggiare ornai si iciogliat
Ha poi die 'I negro ed umido colore,
D* ogni luce, ch'area, l'aria dispoglia.
Su la tioialra man lieto gli mena,
Ove irriga 1* Ocon la accca arena.
CYJ
Ivi sopra il cavallo, io man tenendo
La spada aneur, die non la vuol riporre.
Intorno a cui di crudo aspetto orrendo
Il Brìunnico sangue largo corre,
Parla a lotti : Signori, io ben comprendo,
Che ’l eie! non ha voluto oggi disporre
La vittoria per noi, perù eh' e' vuole,
Che con più ooor l'abbiam nel nuovo sole,
crii
E fia '1 nostro miglior, perchè la notte
N' aria tolto il seguir la nostra sorte ;
Che mal pHotii ali' oscuro aver condotte
Tali, e ai grandi schiere integre a morte;
Che molle dei conCn pin che noi dotte.
Fuggir potean per vie chiuse e distorte;
Altre, ove 1* ombra più nascosa preme,
Per di nuovo assalir, mettersi insieme,
cvm
Ove al primo apparir di quella luce,
Che risiirgendo il sol nuova ne mostre,
Ogni buon ravaliero, ed ogni duce
Himenando a ferir la genti nostre
Con r antico valor, che 'n voi riluce,
Prima che lutto il cìel s' iudure e mostre.
Preso il lor campo, e messi ia fuga avremo,
Poi r altre ore in seguirgli spenderemo.
CiX
Ha per non perder tempo nell' aurora
A rirorllcre in un le sparse schiere,
O per ristretto calle tracie fiiora,
E cooducerle al luco, ove si fere,
Qui la notturna fla nostra dimora,
Là dove d* ora in ora rivedere
Del nemico polrasse ogni consiglio
Senza crederlo altrui, col proprio ciglio.
tx
Or qni dunque di spessi e iargi fochi
Farrm del nostro Orone il lito adorno ;
Onde sceraer polrem per tulli 1 lochi
Ogni laccio, ogni iusidia lesa intorno;
Nè et porgano offesa ì molti, o pochi.
Che nel fio sopra lor non sia lo scorno;
E potrem disruprendo anco impedire,
Se calali da noi votran fuggire.
ext
Vada Attore l’araldo entro alla terra,
E narri al re Cludasso t pensicr nostri;
Che per quanto qtiesl'offlbra il lume atterra,
Non abbandunerrm d* Orone i chiostri,
£ ch'egli inlaoto a quel ch'Avarco serra,
f'ome guardar si deve, a' snoi dimostri;
E i vecchi e i gtuvincci con somma cura
Aggian r albergo lor sopra le mura,
CXfl
E che Palle finestre, e I’ ampie strade
Le femmine vegghìando empiali di faci,
Si che nnn sian le peregrine spade
Ascose in lor da tenebre fallaci ;
E qni, dove sol nude han le contrade
I guerrier di valor chiari segiiari,
Di preziosi vin gran copia mande,
E di maniere assai larghe vìvaitde.
CXIII
Attor %'olando gio nè mollo stelle
Che già carri ìiifiaiti segnan l'orme;
Già vengon di monton le gregge elette,
E di cornuti buoi le grasse torme ;
Già ciascun lieto all' opera si mette
Drir albergo apprestare, e nessun dorme,
Infin eh' hanno i graditi cavalieri
Adagiali e pasciuti i lur destrieri.
cxiv
Già t UrgliHsimi fochi in alto vanno,
Ch' alte nubi oempar drizzano il piede:
Tre volle mille furn, e’n ciascuno hanno
Alnien trenta guerrier mischiala sede ;
E lutti in cerchio delta valle stanno
Con si chiaro iplendur, di' ivi si vede
Ceder al lume lur I' umida notte
Con le tenebre sue fugate e rotte,
evv
Han di liinge sembianza al cìel sereno,
Quando Della il fratello opposta mira
Dall' alto punto, e che di stelle pieno
Lucentissime e vaghe intorno gira;
Che l’ombre scuole, che sì trnova in seno,
Coi dolci raggi che ciascuna spira ;
Onde il colle viciu chiaro si srorge,
£ '1 paslor lieto a contemplarlo sorge.
ex VI
Tali eran gli alti faochS, a cui vicina
Parte ornai del diginn ristoro prende;
Parte al lento riposo gli occhi inchina,
E r affannale membra a terra stende;
Parte ai fosti del campo s’avvicina
E celala ascoltar l'animo inleodc,
nicaugiaudusi, tal eh’ a ciascun tocchi
II qnclare c svegliar gli spirti c gli occhi
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ARGOMENTO
romana pcnj^Jio Arturo aduna
il eonsiglio de' saggif t loro espone
Di placar Lancilotto ; a ciò opportuna
Schiera lùen scelto, e in essa si ripone
Ogni tprranta. Parie, espon: niuna
i'uol f offeso ascoltar prece, o ragion/*.
Pur Lambego riman, gli altri ad Arturo
Pnrtan di /,onciYo//o i7 pensicr duro.
Jn Iti riposo, r ’n »i fìorilj »pcmr
I.r piiardir arr» rrarrcito d'Avarro}
Ha H'al Irò lato acerba doglia preme
Il cor d* Artnro, che di tema è carco,
D’tra, di *drf;no, e di vergogua insieme;
Che mal difeso avea I’ antico varco,
Tenuto inG.no allor sena' altro danno
Quasi tutto il cammin del setlim' anno.
Il
11 roedenno avveola negli altri ancora
Dnci, c gran cavalier, clie*nloroo avea;
Tra i privati gaerrier gran parie plora
D'amico, o di cugin la morte rea,
Che di se lameulando l'ultim'ora
CoD gli occhi del timor preuo vedea ;
Che r altrui di quel di passato esempio
Gli mostrava vicio l' isleuo scempio.
Iti
Soli il chiaro Tristano, e 1 pio Boorte
Si potean riveder, quali crao mai
D' ioviltìiiimo cor, d' animo forte
Minacciare ai nemici ontosi guai,
E del sentilo mal biasoiar la sorte,
E del ciel conir’ a lor gl' irati rai;
Confortando ciascun di sperar bene.
Che non tempre il medesmu ha dolce o pene.
IV
E poi ch'ebbero i due disposte intorno,
Tritlano al deslro, e qnegU al manco lato,
Le guardie si, che non potesse scorno
Dal nemico ricin esser portato;
Là dov’era il gran re faooo ritorno,
Che’n mexzo stava del suo stuolo amalo,
Ripien d' atra trislezaa del seguito,
E di quello awraire sbigottito.
Ha al rimirar ^ dnc la vliU chiara.
Il volto e *l cor n rMserena alquanto.
Dicendo: Or che fareoao, altera c rara
Coppia, a mi di virtn do il pómo vanto?
Che Gn reggiamo alla rovina amara.
Che ne sta sopra, ed al perpetoo pianto
Deir onor già perduto, e del gran nome
Nostro aggravato di sì abbiette some ?
TI
Dobbiam noi ritornar, come • me pare,
AI medesmo cammin, ebe qnì n’ha indollo?
E rivarcar della Britanaìa il mare,
Poi eh' è 'I nostro sperar piegato e rotto ?
E dar gioia ai nemici scusa pare,
E sovra tatti al crudo LaociloUo ?
E lì dentro ai conGo del mio paese
Esser presti a soffrir novelle offese?
VII
O pur qaieri restando, in altra prova,
E *n gran rischio ripor le nostre genti.
Per veder s'a pietade il nel si muova,
O se vuol piò che mai farne dolenti ?
Che '1 soveale tentar talvolta giova.
Tal volta i lenlalor per sempre ha spenti:
Dora cosa è il partir seoia alcun frutto,
E durissima ancor perdere Ì1 lotto.
VITI
Cosi disse, e Tristan turbato in volto
Risponde: Or Ga possibile, che 'a voi
Coli breve aeddenle aggia ritolto
Queir ardir, ch'avaiuù gli antichi suoi?
E per si poco danno or capgia avvolto
Di timore il pcosier, che gli altri eroi
Si lasciò indietro col montare in allo,
Senaa curar di sorte alcun assalto?
IX
Non crederò già mai, che 'I grande AHuro
Ragioni del fuggir se non per gioco;
11 qnal pms'io, che viverla se curo
In tra t folti nemici, c ’n messo il foco,
Non che cinto sì ben di fosso e muro.
Tra tanti cavalier, rhc d'ogni loco
Basso, aperto, ed esposto ai propri danni
Purrian saldo guardarlo iofinit' anni.
X
Dico adunqne. Signor, che qui si deve
Riilorare e posar le genti lasse
Della lunga fatica, e sndor greve,
Mentre che'! sol nell* Oceano sUsse:
Ha poi che '1 suo splendor I’ alba riceve,
Che si deliba nscir fuor con I* asic basse,
E col cor piò che mai securo ed allo
Apportare ai nemici no nuovo astailo.
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l’ AVARCHIDE
st
A chi cootr«rìo «I mìo dooì consi|(iio
Dira, eh* al rostro oaor fa ealretno torto;
Che in ^nrrra non si ra *rn>a prrìglio,
Nè si pnò narigar restando in pt»rto.
E s’or mostra Fortona irato il ciglio,
Doman 6a chiaro, e '1 rannniu destro e corto
Forse ne moitrrri di vera gloria.
Ornando il nostro dnot d'alta rillorsa.
IVI II
Mentre cbc*1 gran Britanno intento ascolta
Del suo buon re deli' Orcadì il consiglio.
Le veraci parole in cor rivolta
Tenendo alta la mente, e basso il eiglso;
Pili che ! sente io silenzio, a Ini si volta
Col riverente ooor, che deve il figlio.
Dicendo : O padre, c ben mi sete tale.
Poi che voi tengo a Pandragooe eguale;
kit
Qoi tacendo, il re Lago le parole
Con dolcissimo snono allnr riprende,
Dicendo > 0 di virtù Incido sole.
Che di si ardenti rai fra noi rispleodc ;
Te rignardi ciascun, che 'n terra vuole
Ritrovare il cammin, ch’ai cielo ascende,
£ s' acconci i pensier, 1* arme, e la mano
A aegoir 1' orme sacre di Tristano.
XIX
lo non posso negar, che *1 vostro dire
Nofl men di senno sia, ehe d' amor pieno,
E ch'ai bisogno lai le privai* ire
Devoo di chi più sa sgombrare il seno;
Ma troppo é dura cosa incontra gire
Al sno giusto difdepmo, e metter freno
Al desio dì mostrar, eh* umana Ibrta
Un generoso core a nnlla sfona.
sili
Colai si poo chiamare i cavalieri
Invittissimo re, d* alto valore,
Che secondo il bisogno e saggi e feri
Si mestran sempre, e con desio d* onore }
Non si porriano aver più dritti e veri
roosigli altronde, e di più intero amore
Di quei eh' or dona in semplice sermone
Il rettore onoralo dì Leone.
XI
E se qui tnla In riscliio la mia vita
Fosse, e sola dì me la propria sorte.
Pria rhe ciò far, per via corta e spedila
Dì tosto eleggerci correre a morte ;
Ma quando così nobile e gradita
Grate mi veggio, e sì onorale scorte,
Che delie nostre colpe avrebher duglia.
Al voler di ciascuo piego la voglia.
SIV
Tal che, lassata indieiro ogni altra enra.
Si pensi alla difesa, e alla vendetta;
Ciaicnn gli andati danni, e la panra
Sotto nnovi pensieri in oblio metta ;
Si dirò ben. eh* al render voi men dora
E piu larga la strada or aspra e stretta
Mudo agerol v* è dato, se vi piace
Con LanciloUo ornai di tentar pace.
xvt
E perchè *1 mondo in tenda, eh* Ìo non amo
Di più gradire il mio, chc'l vostro bene.
Contento son, che dell’ uliva il ramo.
Come a chi sia maggior, qnasi, convsrnc.
Sì rhìrggta in nome mìo; con dir, ch’io bramo,
Che di quanto legoio iien mie le pene,
E di lui sia larghissimo il guadagno
In volermi tornar pari e compagno.
XV
La qnal noia apportar noe vi dovrìa,
Urn eh* a mioor di lei s' inchini Calma;
r.h' onta o giuria non va, dove non sia
Di grandrua o d'onore egual la salma;
E tra servo e signor non si desia
Simil, rhe Ira' nemici, e laaro e palma;
E men tra '1 figlio irato, c '1 pio parente.
Quali so stimo CMcr voi veraccmcnlc.
SXII
Perchè in premio di ciò sarò conlenlo
DI lassare a Ini sol di qna dal mare
Dì lutto quel paese il reggimento.
Che si potrà con l'arme guadagnare,
Oltra il regno d' Avarco, di' io consento
Che follo al sno voler debba restare;
Tal ehe 'nvidia ad alcun non possa avere
Di tesor, di terreno, e dì potere.
kvi
Si conviene si gran re dì tener fiso
Solo alle cose altiisime il pensiero,
E d* ugni altra men degna esser divìso,
Che non sia duro scoglio al sommo impero;
Piegar talora il cor, cangiare avviso,
Non esser grave a ehi gli mostra il vero;
E pensar, che Dio sol poik scnaa attrai
Ogni cosa adattar, qual piace a lai.
XXIII
Poscia olirà il mar nel lilo mio Britanno
Di sette alme eitlà gli darò impero,
D' OdoQ, di Bervelai, d* Ulla, che stanno
Ove r Umbra a Nettano apre il sentiero,
E d* Alerlone ove irrigando Ìl vanoo
Con le fredde onde soe la Tesa e '1 Vero,
E di Varvico, che sani lidi stende
Alle piagge miglior eh' Avone scende i
XVtl
Non avete or quistion con Lancilotio,
Ma col nemico e perfido Cludasso;
Né si onoralo stuolo è qni condotto,
Perchè '1 figlio di Ban sia tristo e basso;
Nè il vostro onore altissimo più sotto,
Per richiamarlo a voi, sarà d* nn passo;
Ma sarà ben nel centro della terra.
Se cosi indegno fine ha questa gnerra.
xnv
Poi nella Canlabrigia Eli c Valpole,
Ch* al Germanico srn drixzan la fronte.
Delle qnai più gentil non vede il sole,
Ovunque al sno rammin si corchi o monte;
Mé queste avrà, per quaal* io speri, sole,
Che di molle altre ancor più chiare e conte
Gli porrò scettro io mano, e'dir portasse.
Che d'ogni Occidental TallcaM passe.
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L AVARCHIDE
K1
XXV
Dxropli in picv pai gradite iqnxdre
Di «vxlieri ardili ia compagoìa.
Che '1 leftiiiran, qnal pio ilfEoare e padre.
Carne R* il »uo piarer, per ngui ria;
Coi qaai potrà nell' opere leggiadre
Spender gli anni miglior, come detta,
Di lauri nraandu la (amoia chioma,
£ di giuria avanzar la Grecia e Rodu.
xvxtr
Or ti penai fra voi, qual più ai deve
A lei toato inviar, che gli aia caro;
Ch' aaaai più l'iin, che l'altro in dolce e leve
Può il peto eoMvertir greve ed amaro ;
Perchè ’l ricordo alimi, che ai riceve
Come da apirlo poi, fedele e chiaro
Penetri a maraviglia nn core amico,
Come d' aprii la pioggia il campo aprico.
xxvt
E al ben d* arme ornali, e di detiriero.
Che pochi iiiconlrerannn eguali a loro;
E perchè H ferro cade di leggiero
Senza aostegno aver lalur dell' uro,
Da poter hcu nutrirgli un anno intero
Provvedrò 1* andar tuo d' ampio leturo ;
Dopo il qual, «e non prima, dalla apatia
Di trovarne maggior Ga falla alrada.
XXXIII
Allor dice il re Lago: O aemmo onore
Col Britanno terrea del mondo inaletne.
Ben dirh'in con ragion, che *1 tuo ipleodore
Quante mai inei faro ofTuaca e preme :
Poi eh’ a quella pietà ■' arrende il core.
Ch’aver ai dee delle miaerie ealreme
Di ehi aegna con luì 1* ialeaaa aorte,
E per dar vita a quel a'caponga a morte:
XXVII
C ae ifogar gli alteri tuoi dìaegni
Di Nettuno vorrà premendo il dor»o;
Cento ampìttitne navi, e cento legni
Di forliaaitni remi accinti al cortt»
Avrà, che in tolti i liti, e 'n tutti i regni
Il mar deotru e di fuor aia prima acorso,
Ch' alcun aaldo lavoro in tur ai ttanche,
O de' auoi condulluri il cibo manche.
xxxiv
E per aalntc allroi da ae dispoglia
Contr* a minor di se l'ira tenace;
E piò tallo la tua, che di Ini doglia
Vuole, e co' «noi minori indepma pace.
Il dilegno abbattendo, e l'aipra voglia
Di aegiiire il cammin, ch’ai tento piace:
Or per bene adempire un tal deaìo,
Maligante è ’l migliore al parer mio;
XXTIll
Poi, pereh' altra non ho coogiiinU e cara
Più che aia Lodagaula, la aorella
Di Ginevra mia apoaa, nuica e rara
D*ognÌ virliide, e aovra ogn' atira bella;
E che per l’alto cur di ae fu avara
A mille re fammi e fu rubella
Sempre Gu qui del giogo maritale.
Perché nullo a* auoi merli esliuia eguale;
XXXV
Ch'altea che aovr'ogni altro ei Tama e cole
Ila ti dolce, morente, e vago il dire,
Cli'aacullar non ai pon le tue parole
Senza al lor dimoalrar pieno obbedire ]
Che, ae non foiaer tordi, al maggior sole
Paria gli A api acquetar, le rabbie e Tire:
E aia aero Lambrgo, il vcccbio antico.
Che '1 Dodrl giovinetto al padre amico.
XXIX
Quella in dolce pregare a lui prometto
Di far cara contpagna, e pia nioglicra;
E con ai larghi don, che aarà dello
Di fortuna ricchiiaima ed altera;
In coi putta trovar pare c ditello.
Fui che il suo bel mattiu vada alla aera,
Come io tra' nuovi germi uliva auole.
Di dolcitaima cinto, e chiara prole.
ixavi
E potrà mollo oprare in Laocilulto
Quel primo ricordar, che mai non cade,
Già dalla verga tua formato e'tidoUo
A buon eotiumi in lenerella etade ;
E perchè dai medesrot eaacr prodotto,
E d' anni e di voler la parila<le
llao gran forza, e ‘1 aegtiir 1' iateiaa aorte ;
Per terao ambaaciador vorrei Boorle.
XIX
Nè a tal rendergli onor viltà m' Induce,
Nè quella, ov* io aon or, necetaitade.
Ma Tamor, eh' io gli porto, in ciò m' è duce,
Già cominciato in trnerella eUde;
Dal primo di, che la auperna luce
Di venirmi a tntvar gli apri le atrade ;
Che 'il tra gli altri ioGnilì eleaai aolo
Lui per pegno gratiaaimo < Ggliuolo.
xxxvn
Coti delio, ciascun, chc’alorno airde.
L’impresa e gli oraior lodando appniva;
E i tre duci onorati il core e'I piede
Han pronti c motii alla novella prova;
£ dritti vanno, uve in toliuga tede
Laoeilolto, e lontana ai ritruuva.
Sciolta quasi dall' altre, al se zzo varco.
Onde può più vieto vedere Avarco.
XXXI
£ quantunque r allr' ier al amaro adegno
MI pcrcoteate il cor dei delli auoi,
E che d' odio in quel di motlratai aegno,
Tuato il primiero autor riturac poi;
Nè mi fora piu a grado ogni gran regno,
Che '1 vederlo loruarc amico a noi,
Qoaulo ctaer mai aulea ; chiaro del tulio,
Quando fotae anco ciò aeuz' altro frutto.
XXXVI II
Trovatilo, ch’era ancora a meaia asaiao
Già pcrveoula a Gn la parca cena,
Col Gdo Galeailo, che diviao
Non ha mai la alagìon fosca o serena;
Ch' erano ad ascoltar col pcnsirr Gao
Il chiar Eolcrpo, che cou dotta vena
Alto cantava ne' passali lustri
Del cortese Girone i fatti illuslrt.
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L’ AVARCHIDE
SSIIX
f.onie vfde app«rìrr amtet tali,
Ch* a tetli altri io amor più iananai vanno
Dopo il «no Galeaho, dice t E quali
Cj|tÌoo nouve, signor, menati v' lunoo
All'albergo dì quel, che trai mortali
Vìvo è sepolto in infernale affanno f
£ così ragionando, e riverente
Surge all* incontra tur lieto e ridente*
XI. VI
E perché il mondo intenda apertamente,
('.he, qnantnnqne sia re, a* inchina a voi,
Se vorrete la man chiara e possente
In difesa spiegar di talli noi
E la vostra animosa e fera gente,
Col fido Galeallo, e gli altri snoi,
Della chiara Britannica saa insegna,
Come facea 1* alle* ieri, scorta vegna ;
st
Poscia fa, che Falario no ano scudiero
Nuovi seggi a ciascun vicini apporle:
Così alla menta pur ghirlanda fero
Tolti i cinque soletti e poi le porte
Fiir serrate d' intorno per T impero
Di Lanctiollo, e poi che d' altre scorte
Fu del tulio sgombrato il chioso luco;
Maligaitle i compagni guarda un poco :
XLVU
Che qnanlo ha in fino ad or tolto a Clodasso,
E quanto nel fntnro avere spera,
Che non sia di Tristan, là 've più in basso
Per distorto eammin dìsernde 1' Era,
O del gran Clndoveo, che ’ncombra il passo
Più in alto alia medesima riviera,
E quanto é Ira '1 Pirene, e la Garona,
A voi, come a figlinol, curicse «Iona.
XLI
E *n cortese parlar dolce gli prega,
Ch'ci vogliano a pensier la lingua Ktorrc;
Ma l'un c l'altro vergognando il nrga,
('•Ile bratnan sopra lui 1* incarco porre t
Kd esso al fin, cb' al lor desio si piega,
Tacendo alquanto cou la utente scorre;
Poi con voce soave, e 'n pio sembiante
Cosi diceva al cavaliero errante :
XLTitl
Poi di sette riltà nel suo bel nido.
Onde il nome da poi vedrete in carte,
Che sien fra 1* altre di più altero grido.
In premio al faticar vi farà parte;
E col bel d' Imeneo legame fido
Lodiganie leggiadra, io cui le sparle
Virtù, Veuer, (àiunone, e Palla aggiunge.
Di Ginevra sorella a voi congiiingc.
SUI
Valoroso signor, quando il cirl ruote
Scorger aleno mortale al sommo onore,
Per vie lunghe, aspre, e fabroie suole
Tra periglio invìariu, e tra sudore j
Tal che soveule 1* nom si lagna c duole
('he sol disreroe qiianlo appar di fuore,
Di quello, uude bailo il senlìrr rio,
GraiJc uc rende poi dìrolo a Dio.
XLII
E poi eh* avrà per voi di questa gnerra
Col favor delle stelle amico fine;
Di quel seme miglior, che viva in terra,
Vi darà genti nostre e peregrine,
Per acquistar quanto circonda e serra
Del gran padre Oceano ogni ronfine;
O s’ amerete il mar, gran legni c navi
D'armi, d'oro, c di cibo ornale c gravi.
XLIII
Sìmile awien di voi, per qnel eh* appare,
Ch*a seinpilerna gloria aixar procura,
Che per porri in affanni, e 'n doglie amare
Nei trapaaaalì di stese ogni cura;
Tal eh' ove più speraste in alto andare,
Di gravissima pietra alpestre e dura
la maniera colai v' oppresse il volo,
eli* al centro gìo, dove aspirava al Polo.
L
Onde possiate solo, all'alto nome
Di «joanli oggi si parla, andar di sopra,
E di mille girlande ornar le chiome,
li eoi chiaro splendor tuli' altro ciinpra ;
Si che i regni abbattnti, e genti dome
Si mettano al narrar le piume in opra;
Tal eh* ai gran vostri onori aggiano invidia
C India, i Uifei, l’ Iberia, e la Nnmidia.
XLIV
Or con ambe le man quindi vi lira,
E r«ia sommo favor v* accoglie io seno.
Se vorrete, qaai spero, alla ouov' ira,
(.Ile vi trasporta ancor, por giusto (reno;
Perchè del nostro re nel core spira
Dritto voler, d* ugni salate pieno,
D* esservi amico ornai dritto e verace,
A. ricercar da voi gradita pace.
1.1
£ benché tatto ciò render dovrta
Ogni aspro e doro cor soave e piano,
Non r ho detto perù credendo sia
(^nel, che muova di voi l'alma e la mano ;
Ch' amor solo, e pielade, e cortesia
Pisano il chiaro figliuol del gran re Bano
Cuodnrre al vendicar d' estrema sorta
Anco i nemici suoi con propria morte.
XLV
E per questa cagione a V0Ì ne 'nvia
Tai congiunti d' amor, come sapete,
Perdiè più il cotisentìr dolce vi sìa,
H la credenta in noi n'aggiunga sete i
Che *Ì ragionar di lingua amica e pia
Delle dabbiose insidie altrui segrete
Punte il vero squarciar con quella fede,
Clic sei candido petto ha degna_scdc.
Ltl
Sema dnoque parlar d'altra inereede,
Clic pur sempre stimar si deve assai,
Muova l'altero cor, che aita chiede
Per trae, ehi ha speme in Ini, d'estremi guai;
E che ‘1 gran re di Pandragone erede,
Ch* a fortuna, o timor non piegò mai,
Ripenliio ora a voi tutto sì piega,
£ dt voi ricorrar domanda c prega.
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A V A R C H I D E
Qtt«l più rirco Irofro, qiul opina
Paù Lraniarr in fra iioì duce unuratu,
Che *1 veder»! ripor di lode in rima
Dallo itleaso parlar, che l'ha sprezialn,
E doppiato r oQor, che aveva io prima,
Dalla mede»nia raau, rhe l'ha furalo ?
E »eo1Ìr»i chiamar per tua difrta,
Da chi falla gli atra primiero ullcta f
Nuo peo»al <4 o famoao re di Gorre,
Che mai più per Artaro io tlrioga tpada ;
Nè eh' io putta anco mai lo tdegoo porre
Si, ch'ai rnipello tuo chiamalo vada;
Onde altre forte al too periglio teiorre.
Altra aita procacce e io altra tirada
Cerchi i tuoi buon giicrrir, cerchi Gaveoo,
Che iu largo mioacctar licu gli altri a freuo*
Scacriate, allo gnerrier, Tira e lo tdegito,
E del re ricevete il prego umile,
Che *1 tovcrrliiu esser duro patta il seguo
Del gcuefoMi spirito c gentile,
E d' orgoglioto nome si fa degno,
Vìe più che di magnauìmo e virile;
Che come il onntratlare è bel talora.
Cosi '1 AuM ceder mai si biasma ogoora.
Cile r alleata del cor, la cortesia,
Ch' è compagna, al valor, come diceste,
Utar conviene, ove racrulta sia
Dall' alme chiare, e oon ai buon moiette ;
A cui invidia e viltà chiugga la via
Di ditcernere il ben, qual voi vedette
Avvenir il' etto a me, che Tallro giorno
Ebbi del bene oprar vcrgisgua e acorno ;
Di mille alle vittorie ornato srie
Più d'altro ravalier aulto la Iona,
Ua il numero maggior comune avete
Con 1* arme, coi giierrier, con la Fortuna :
Or te voi aol voi tteaio vincerete.
Né di lor, uè d'altrui aia parte alcuna,
Votlru il coiiaiglìu aia, l'opra, c la palma,
E del divino onor 1' eleroa salma.
Ch* or eoo pretto tìIìssÌbo l' ingrato
Penta di riilorar di terra e d' uro.
Ne ti ricorda ben, eh' io aooo usato
Di dare, e non di lor regni e tesoro;
E tenta tooi guerrieri, a legno armalo,
D' Euro al nido lootan, d' Aiulro e di Coro
Non mi manca l'ardir di farmi strada
Col mìo boou Galeallo, e con la spada*
Fate, eh* ei corra il grido in ogni parte
Che 'n voi sìa più che gemino il valore,
E te Tarmala man non cede a Marte,
Noo t'arrende a Minerva il saggio core;
£ che la cortesia, le graiie tparle,
Iu qual regno mai fu di vero amore
Verso il patrio terreoo e 1 signor tuoi,
Più, eh' altrove già mai, splendano in voi.
Nè voglio io Lodagaotc, la sorella
Di Gioevra onorala, aver mogliera.
Come troppo per me leggiadra c bella,
Di virlude, d' uaor, di tancne altera;
D'altrui sìa sputa, a cui benigna tlclla
11 ciclo allumi, e non turbata e frra,
Come a me face ognor, sì ch* aggia vita,
Qoant' iu bassa c 'ufelìce, alla c gradila.
E preodete or del re le rare offerte,
Non per eh* un tal guerrìer Tapprrtai mollo,
Nè per che il votlru ardir vie più oon merle
Ch'ha il duro giugo alla Britaonia tolto ;
Ma per far de* mortai le menti certe,
Ch'avete no colai re con pare accolto
Come fa il peccator graaìa divina,
Che coi devoti duui a lei s* inchina.
B l'alcnn mi dirà, che la pieUle,
Ch'aver debbo di voi, m'aggiunga sprone ;
Hispooderù che a torlo fabbricale
Del voilro mal voi tiessi la cagione :
£ perchè folli ornai non rilroraU
Ciasctia la tua nativa regione
Più tosto, che servire ingrato ed empio.
Che si fa sol onor dei votlro scempio f
Nè vogliate soffrir, che tali amici,
Qual vedete noi tre, che quinci semu,
Hiporliamo aspri delti agli iofeliei,
E compagni, e sìgour nel punto estremo;
Ma che saran più che già oiai feliri
Per l'oprar vostro, e ’l rio ClodasM» scemo
D' ogui sua terra e T empio Segiirauo
Avrà con meno ardir pìii lenta mano.
E se non foste pur, eh' io lemercs
D* esser tcnulu vii da Segnraoo,
Sun multi giorni ornai, ch'io calcherei
Altro nuovo scnlicr di qui lontano;
Sì che con mio dolor noo adirei,
Chi di servo tornar mi prega iu vano ;
£ col breve poter, che taria meco,
Forse avria dii me luce Ìl mondo ci'co.
Q.i Cnio Maliganle e *n tai parole
II duro Lancilutlo gli rispoK :
Perchè sprczaandu il dir, dell' opre sole
Alto desire iu me Natura pose
Voi, che tele fra uui lo speglio c *1 sole
Del saggio dimostrar te altere cose.
Scasale il mio parlar semplice e greve,
$' a^i sia del dever più rozzo c breve.
Or potete tornar, diletti frati,
E di noi riportar la ferma voglia ;
Certi d* esser da me non meno amati.
Che le sue proprie luci e ’l cor si soglia.
Heslan dell' alme lor quasi privali
1 tre buott cavalier, colmi di duglia,
Udendo il fer voler di Lancilolto,
CiTavea già il suo parlar laceudu rotto.
L AVARCHIDE
LXVII
Ma il baof) vecchio LAmbe|( 0 , il vollo cÌAlo
D* Atnar컫ifne l•grime dìcea t
Perch'a ai bianca etaile ha, Umo ! spinto
Il luD|to viver mio Fortuna rea?
Perch'io veppia il terren molle e dìpinU»
D'inlomo Avarco, a cui Uni' odio area.
Del aanpne dei Brilanni ivi condotto
Dal seruro sperare io LaneiloUo ?
tsxiv
Nè tieo del ano dover più cara alcuna,
Ne degli amici ancor pietà la muove;
1 qosi sospinti all'ultima fortuna
In lei drisxan la speme, • non altrove;
Guardate por, che se lassù s'irebraiia
Li chiarissima grasia, che 'n voi piove,
Com’ or vi Ca il maggior, tosto porrta
Porvi io sorte minor, ch'ai mondo sia;
lavili
Come a rapioo dovea. che dai priuii anni,
Ch’ abbandiioaslc il latte e la nutrice,
Viviana, che vi avea dapli aspri affanni
Del Lapo posto all' umida pendice,
A me vi diede ed io de' vostri danni
ftimostrando la piaga apra e 'nfelice.
Nella memoria ancor tenera e fresca
Di vendetta al desio nodriva 1' esca.
LEXV
Cha la preghiera nmil di Giove figli!
Le ginocchia ha raltratte, e '1 collo storto.
Gli omeri enrvi, e bieche ambe le ciglia,
La fronte afOitla, e di colore smorto ■
Ma dritta, snella, e pronta a maraviglia.
Con le membra robuste, e '1 guardo accorto,
Quale ancilla frdel, per ogni calte
Sempre ha la punizioo dietro alle spalle.
LStX
E*o quei primi trastulli, ch'airelate,
Ch' a prao pena snodar U linpna suole,
Più dolci sono, or sopra carie ornale
Di ptieril pilinre, or eoo parole
In fancinllesco suon d' alimi cantate.
Or sotto alte verdi ombre, or sotto il sole
RappresenUva sol l'empio Clodasso,
Che '1 pran regno de'rostri ha posto in basso.
txxvi
Ma chi quella nel seno amica accoglie,
E con pietoso cor dolce 1* ascolta,
Del gran parente pio piega le voglie,
Ch'alia seguace sua la fi»rxa è tolU;
Or se *1 nostro pregar da voi non spoglie,
La troppa ottlnsaionc in seno accolta,
Guardate pur, famoso mio figliuolo,
Che ‘1 nostro sopra voi non caggia duolo ;
ITI
Io vi mostrava opnor Bano e Boorie
Or con fona scacciali, ed or con frode:
E eh* ei del loro esilio, e della morte,*
Non men che dei snoi beni, invldo gode;
E 'n voi dolce pietà dell’ aspra sorte
Con quel favoleppiar, che dolce s'ode,
Aecendea notte e dì, fìngendo poi
Morti di vostra man lui stesso e* snoi.
i.Txrti
E che venga poi tempo, in eni vorreste
Al mortai nostro mal donar rimedio.
Clic impossibii vi sia, poi die le meste
Genti oppresse saran nel tristo assedio ;
E con rampogne allora agre e funeste
V assaliran pietà, dolore, e tedio,
E la disperasiof), che segue ognora
Quel, eh' a sceruere il ben troppo dimora.
LTXt
Poscia che di dì io dì credendo piva
L'intelletto, che '1 cielo e Toso infonde.
Con più pravi ricordi allora apriva
Qoel, cir ai cor pìovìnctti ancor s' asconde;
Ch'ai sapremo d'nnor quel solo arriva,
Cui d' onesto desir 1' anima abbonile
Di vendicare i snoi, rrudendo sciolto
L'almo patrio terren tra s laeu avvolto.
I.XVVMI
Or vogliate appagar queste mie voci,
Ond'ho per vostro ben già tante spese;
Spogliate ai cor gli «piriti feroci,
Che prepoogon le basse alt’ alte offese;
E nei vostri nemici aspri ed atroci
Spiegate drittamente le difese
Per quelli, a cui più sete caro assai,
Che fratelli, o figliaoi, ch'avcsser mai.
IX SII
E ricercando ognor capion novella
Te n'empiea notte e di la vapa mente
Si ben, che in breve andar vedeva in ella
11 medeimo, che io me, volere ardente s
Tosto poi, ch'ai montar sopra la sella,
Ed all* arme vestir foste posseoU ;
Di porUrc alumente mi piurastc
Sempre in danno dì lui le spada c 1' aste.
S.XXIX
E vi sovvenga ornai, che 1 ciclo istesso
Nell'altcui ripenlire al fio si piega,
E del tntln il fallir largo ha rimesso
A ehi, com’ or faccism, diroto il prega;
Prendete il largo onor, che v'è concrsio,
Ch’ a via maggior di voi talor si nega,
E i rirebi doni io segno di virtnte,
£ della data a noi per voi salute.
ujun
Né inSoo a qnesU dì gturasle in vano.
Tal pii appurUsle ognor danno e disoore,
Mentre che aves reserrìto lonUno,
E poco il suo terreno avea timore;
Or che vicina è sì la vostra mano,
Ch' offendrre il porria nel proprio core,
K punir mille offese in nn sol giorno.
Fa sdegnosa dei suoi pigro soggiorno :
I.XXX
Qui V amare sue lagrime asciugando
Tacque il tenero vecchio, al qaal rispose
Il duro Lancilotlot Or come c quando
SI contrario in volere in voi si pose ?
Che già ogn' altro pcniier lassato io bando
Chiaro mio outritor, sol quelle cose
C.he m'ersii care vi lentia gradire,
D' uno strs.so col mio fermo desirc ;
■ 6
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L AVARO II IDE
t.XXIt
E piò non vt lowirn qoantr fiale
Il Brilanntro re liiacmaale meco,
Dì »nperbo parlar dì voglie ingralr,
K ’nvcrM» i merli mici d animo bieco;
rii* or lolla coalru a me l'ira rollale,
('.he iu pili drilla ragione avreale aero;
E dure eaao arcutar più ai roovicoe,
Al mio aovercliiu mal gìangcle pene.
LXXSII
E ron più aperto cor riapondo a voi,
r.lie dei protneaii don nolla mi cale;
r.h' aitai regni ed onori ho lenza i luui
Dalia Bontà tnrmiu ed immoriale,
Menlr* ella laaierà io apirlo Ìo noi
Senza lorgli il veder, nè troncar l’ale;
Che per grafia di lei lant'allo aipira,
Che lì baiMi leior quaggiù non mira.
Nè mi accreica il dolor, caro Lambego,
Il vedrr voi di me dolerle a torlo ;
E i' olirà r MIO mio quello vi nego,
Condannate d' altrui T oltraggio icurlo :
Secor, rlic'l CicI, come devolo il prego,
Mi icorgerà il cammino a miglior porto;
E con unta di quello il noilro ituolo
Di periglio trarrà tosto, e di duolo.
LXXIIV
E per questo iperar con lieto core
Di restar nel mio albergo ditponele :
(•II* ornai troppo per voi sun Iarde i'ore,
E ’n nido peregrino altrove iclet
llaliganle e Bourte al lor liguorc
Purteran le risposte, u triite, o liete,
(filali ordinò Colui, che'l tutto vede,
È dov* è il luo voler n* addriua il piede.
Lxixr
Acconsente il buon verebio, che disdetto
Al luo piò clic figliuol mai non farebbe;
Ma r illustre Buurle, poi ebe in petto
Tutto il crudo parlare accollo a'eblte,
Vdllo al compagno luo ron fosco aspetto
Gli dice: Mabganle, se non drbbe
Altra risposta farne Lancilotto,
Bilroviamo il camniin, che n' lia condotto,
LXXXVI
Dicendo a tolto l’oilc del re Arturo,
Cbe per l’ira d' un sul, che n len riicrba,
Nega oitiuatamenle fermo e duro
Di scampar molli suoi da morte acerba ;
E d'espugnar di quella sede il muro
Cb'é di tanti suoi danni alta e superba;
K vedere il suo onor di luce casso,
Pria che la roano armar conlr' a Clodasto.
I. XXX VII
Ma pensate in fra voi, cbe potei dire,
O rbiarissìmo erede del re Bano,
t'.lii vedrà ìo voi polrr le privai’ ire,
Piii che i pnbbliro amor, che prega in vano;
E che ‘udamo suflriitc i delti udire
Di lai due vostri amici, e d* un germano.
LXKxvni
Nè vi sembri di eoe lodata altesza
L’ esser inesorabile «II' olTese,
tdiè ai piò saggi parrà cruda fìerezza,
Pui ch'ai cbirsler mercede «Uri diseeie :
Qual Oa padre già mai di tale asprezza
In ehi r unico figlio a morte stese.
Che al fìn per umiltà, per preghi e doni
Con generoso cor non li perdoui ?
tzxxix
E voi, per breve sono di poche note,
Cb’ a SI famoso re dettò lo sdegno,
Delle voci penliir, e ’n voi devote
Nini tenete il pregar dì pare degno;
E tale ogni ragion dal eiior vi scuole,
C.he ponendo ìn oblio la patria e ’l regno,
1 suoi rari signori, e gli allei in lotto.
Non vi cal di vedergli iu morte, oin lutto.
E so ben, che di me I* antiche prove
Vi pnnno assienrar, else tema alcuna
Al ragionarvi tal natia mi muove.
Nè il (orbato voltar della Fortuna,
rii* altra aita non vo*, rhe'n ciel da Giove,
E da questa mia man sotto la luna ;
Ma l’impero del re, I* altrui pirtade
Mi fere al venir qui trovar le strade.
<’.4>n parlar dolce f.ancilolln allora
Bisponde: O mio rhiarissimo germano,
Nel coi buon cor tanta virtù dimora,
Che d* ogn* ravalirro Ìl fa sovrano;
Ben rnnosch'io, che forse alquaiilo fitora
Vo' dal dritto cammin del rorMi umano,
Traporlatn dall’ira, ch’oggi è tale.
Che a ritenerle il (Wo nulla mi vale;
Ha mirami non sìa, ehc troppo pesa
All’anima grnlil, che gloria brama,
Il senlirse da qnrllo a Inrio offesa,
(■he quel sacro immortale onora ed ama.
Prendendo contro a lei per uom difesa,
Che d’ alto orgoglio sia, di bassa fama,
E scacciarse sprrgiaoilo, come cosa
Inutile, vilissima, c noiosa;
Poi mandarla a cbianiar, qnandnlo siiingc
Il bisogno maggior, che viulu giare.
Con mille alte promesse, che si Cnge
Per lei ingannar lo spirilo fallare;
Come arcorla onirire, rhc rispinge
Col mostrar dolci pomi a nuova pace
Fanciullo irato, cui plorar fa liinge
Della verga il dolor cir«orora il punge.
Or s*a grado vi sia, con Maligante
Al Britannico re direte ch’io
Non inteodo di qui mover le piante,
S' altro non disporrà nel ciclo Dio,
Se pria non vrggia in orrido scnibiaule
Assalir Segurano il popol mio ;
Che v' han sempre onoralo con quel zelo, I | Ma ch’allur farò si, rUe a qoeslo albergo
(die più sacro e maggior s’aspetta al ciclo. | Vedrò quanti saran voltare il tergo.
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n.
L \ V \ R C H 1 D E
rxv
Qai poa Gae al Bau tUrcy t *1 piu Boorl**
Pien «lì dolore il Bcn tacilo retta;
AlUcti Mali^anle a cnì la aorte
Del tuo mitcro atool troppo è moietta ;
Poi che non trova più, rhe 'I riconfurlc
La tpeme, ch*-appana vicina e presta
D* aver Clodaato in mano, e la tna terra,
Se ’l fero Lancllotto ntciva in f(uerra.
xcri
Pur chiaro qnanto poò Gn^tendo il vito,
Dopo alquanto pensar dicra: Signore,
Qsei supremo MuUir, eh' oggi diviso
Tira dai nostri «Icairi tl vostro core
CuQ si gran duol, con altrettanto riso
Nè porria ricongiungere in poch* ore ;
E te pur non tara, per altra via
Qoel eh* esser dee di noi farà, che aia.
XCVIf
AI qnal, per quello amor, di' io già portai
Al vostro alto valor, devoto rliieggio.
Che voi tenga lonlan da timil goal,
la cui, vostra mercè, noi cinti veggio;
V«>stra mercé dirò, *c tristi lai
Di q«iri, ch'oggi il morir temono e peggio
Tanto pon muover voi col suo rordiiglio,
(^«untu puute Aquilone urri«lo icqglio.
XCVIII
Coti detto, soletti fan ritorno
] due, thè ivi rimate il verchiu antìru
A cui già molli servi erano intorno
A sgravarlo dall* arme in atto amico;
Poi 'I dolce leUirrinol gli fanno adorno
Secondo il picciol loco in silo aprico,
Ov'ei vegua a potar le membra staorlir.
Fin chc’l notiamo vel I' aurora imbiaiiche.
xcix
1 tristi cavalier dall* altra parte
Con la risposta lor ratti inviali,
Dalle geoli in camuiin, eh' erano sparir,
Son con sooiino desìre accompagnati:
Hanno speranxa tatti e temon parte.
Come il più spesso fan gli sconsolali:
Ma nessun di spiar taldania prende,
Se il lor gran re primiero non rinlenic*
c
Giongon poscia all* albergo, dove Artnro
Tra multi cavalier bramaoùo siede,
11 qual del suo pensar poco securo,
Comincia a domandar, come gli vede ;
Retta aucur Lancilotto acerbo e duro ?
O par dal vostro dir piegato cede
Dispogliando al suo cor 1‘ ira e lo sdegno,
Dell* antica ragion tornare al segno ì
CI
Colai domanda : e*l saggio Haliganle
Risponde I 0 re famoso, Laiicilotto
Col pio nostro pregar non più che innante
Nel soccorso dei nostri avemo iudulUi,
Nè chiari don, nè le promesse Unte
Del suo sdegno il cammino hanno interrotto;
Ma più r han fatto assai largo e«l aperto,
E dì sempre esser tale aficrìiu certo:
ai
E '1 me«lesmo, eh* io dico, anco Boorlc,
Chc'l riprese e *1 hia«mò, narrar porria,
Lambego no, che chiuse gli ha le porlc^
E di qui ritornar tronca la via;
Irato conir' a lui, che l'altrui sorte
Seguiva, e non la sua, come solia ;
Mrntre il buon vecchio iiman piangeadi doglia
Noi potendo rìlrar dall'empia voglia.
cm
Qui Coio Ualigaotc; e *1 re famoso,
E quanti altri ha con lui mnlt rcslaro;
Chi del comune onur resta pensoso,
Chi temea di sè stesso il fine amaro ;
Ha il nobile Trislan uon tenne ascoso
L' Armorico valore invitto e chiaro,
E dicea i Sacro re, poi che da v«ii
Non manca d'acquetar gli sdegni suoi,
e«v
Nè vi puote accasare il vostro «tiiolo,
Che troppo a danno suo fo<ite ostinalo ;
Non prendete di ciò soverchio «Inulti,
Che forse miglior via troverà il Fato ;
E '1 soverchio pregar talora il volo
Cresce al furor d’ iin cavalicro irato;
Ma serrato in te stesso, a poco a poco
Torna in cenere alGii ogni aspro fuco.
ev
E non temete in van, che di Ini privi
Noi dobbiam dei nemici essere in mano:
Nè per ciò Hi vittoria al colmo arrivi
Il superbo Clodint) e Segtirano:
Meli tre tanti altri duci integri e vìvi
Sono ancor vosco ; e mentre che Tristano
Può la spaila vibrar, regger lo scudo ;
Non vogliale di tpeme essere ignudo.
evi
Nè il ricevalo danno dia credenza,
Che non sia il vostro esercito quel, ch'era,
Nè che i austri avversari altra eccellenza
Agglan, uè più che pria nell' arme fera ;
Tengasi pure in bando la temeoia,
E l'arme al guerreggiar si serva intera
C«>n richiesto riguardo, e deolru e fuore,
Ch'ci uon u'avvegnamal per nostro errore*
CVII
Ristori pur ciascun le membra ornai,
E di cibo e di vin, eh* al souno appresso
Possiamo in guardia dar gli avuti guai,
£ *1 vigor rinforzar frale e dimesso,
A fin clic pria che '1 sol raccenda s rai,
Sìa nell' ordine suo ciascun rimesso.
Per difender noi stessi, o premer «}uclli,
Se pur i' «sccasion mostre s capelli.
CVIil
Cosi detto, all* albergo ha mosao Ì1 piede,
E gli altri duci ancor 1* istesso fanno,
E di Meliadusse il grande erede
Sovra ogni altro guerrler lodando vanno;
L'altro popui minor, che sente e vede
Il uio vultu c *1 parlar, 1* avuto danno
Pensa già rieovrar, sì chiara luce
Di speraaixa nel cor Tristano adduce.
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AVARCHIDE
Or rifpoadimt to»to, e (rrma il passo ;
Che oca virar, ov‘ io soo, chi ’l aomc Ucr }
Se Qoo che resterai Ui vita casso
Dal mio braodo fede!, che presso (tiare.
Hispoode Arlero allora! Io soa quel lasso
Brilaono re, ch'alia Porliiaa spiace
Gii soa piò (tiorni, e'n rosi acerba sorte,
Che senaa soo disnor brama la laorte.
Gli enasealo il re Lapo, e cinge solo
Il braodu, c picciol' asta ha presa in mano {
P»i perchè par raffredda il fosco Ifolo,
D' aspro Inpo a' avrolge il vello esiraiso |
Indi vèr Malipaote il primo volo
Drizsano insieme, eh* era pro**imano {
Giunti aU'albergo suo I' Orcado chiamai
O di Gorre goerrìer d' altera fama :
Quando conosce il re, sol doro letto
Appoggialo r un braccio, alza la fronte.
Dicendo: O sacro Arlnro in terra eletto
Per imprese onorate, altere c conte.
Chi vi scorge in tal loro, c sì soletto,
Qnando lon piò al dormir le loci pronte?
Voi sete d' adamante, il qnal non poono
Domar fame, lassezza, sete, o annuo.
Volete Toi passar nell* ozio Tore,
Che spender si dovrimo in miglior aio ?
Tosto il buon cavalier sente il roraore,
E fuor del padiglion corre confuso;
Come scorge ambi due, con nmil core
Dice: O sacrali re, troppo ro* acctuo,
Ch* or mi troviate pigro e neghittoso.
Coma lepretta vii nel nido ascoso.
E qnale alla cagioa qoi vi condoee,
Allor che riposar dovreste alquanto
Per tornar poi arila novella luce
Pia forte a vendicar de' nostri il pianto?
Non potevate almen quaich' altro dnec
Mandar d'intoruo, e voi qoelare intanto?
Chè '1 lotto oprar da se aon si conviene.
Ma vie più il comandar, chi sccllro tsenc.
Ma quale alta cagione a noi vi spinge?
Forse altero pensier di nuova impresa?
O pur che Scgnran le schiere accinge
Per maorer verso noi notlaraa offesa?
Risponde Arturo a lui: L’alma ne stringe
Nuovo timor, che la Fortuna, intesa
Del tutto al nostro mal, non et ritraovi
Scota beo provveder con danni anovi.
Ben, gli risponde Arturo, è certo e vero,
Onoralo mio padre, il vostro dire !
Ma nel tempo, qnal or, contrario e fero
Fuor deir uso comune è fona giret
Nè solo esercitar di re l'impero,
Ma piegane umilmente, ed ubbidire
Al minimo guerner, per fare atrada
A chi poi diictro a lai piò lieto vada.
Cosi svegliando andiam quei eavalicri,
In coi f<>ndate aviam oosire speranze}
E Gaven va calcando altri sentieri.
Perchè Tristano il suo venire avanae
Là, dove per guardar locò I gnerricri,
Li fuor del vallo in piò seccete ilanse>
Sotto gli occhi de'qoai dell* altre torme
Ogni duce maggior seenro dorme.
Mentre così dicea, già fuor del letto
Era uscito il buco vecchio, c si cingea
Di drappo porporin gli omeri e 'I petto,
Che non mollo olir' al busto gli pendea ;
Poscia in abito acconcia, ch'alto c stretto
Per 1' arme sostener pronta tenea,
Grossa pelle restia di cerva annosa.
Ove senza impiagar l' incarco posa.
Tosto riloma allor dentro all* alber(^,
E sol preodc il suo scado Maliganle;
E per non s' impedir, l’ adatta al tergo.
Che di maglia coverto era davaole ;
E col suo brando sol seguia da tergo
L'alta coppia rcal, ch'andava innante;
Nè multo cosi van, che 'n so le porte
Delle tende, eh' avea, tmovaa Boarie}
La splcudenle coraaa e 1' elsae 0on,
Che non cedendo agli anni ancora adopra,
Però che sempre in loco a lui vicino
Veder gli mole, e a Ini prndevan sopra,
Tra la lancia e lo scndo, che Merlino
Gli fo' già fabbricar con divia' opra}
Ma per voler del re gli lassa allora,
Pcreh' altro uso chk«lea la notlnrn' ora.
Che nell' aperto del sovra ìa pelle
Stese ha le membra di salvatic' orco,
Ove il tristo vapor d’ umide stelle,
O di rigido gtet non cura il morso;
D' arme coperto ancor lucide e belle.
Per aver più spedilo ogni soccorso.
Sopra lo scodo suo la fronte avea,
A cui posto vicia l' cimo Inera.
E gli dice :Moviam, che1 tempo sprona
A gire, ove le guardie hanno la sede
Per ricercar s' «I sonno s' abbandona
Di l«MO alcun, eh' alla lassezza cede ;
E ’n eammio chiameremo ogni persona
Di maggior sangue, c eh' al consiglio asstede,
Per ragionar di noi quel eh' al di fia,
E del campo di là cercare spia.
LI dagli ornali legni in giro appese
Mille aste si vedean di vana sorte,
Di pietica di cavallo atte all' offese,
r.he dell' uno e dell'altro aveva scorie;
La lancia è io mezzo, eh' a più altere imprese
Sopra il più gran destrier porta Boorte t
La qnal crolla olir* a Ini aulì’ altra mano,
Fnur che di Lancilotto, c di Tristauow
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L AV ARCHIDE
XUtf
Molti «noi |Mrtn«ole iatonio sUuno
Ib nùlìUrc iu«nxB •l«ii • terra,
Che rìttoraDilo il lor pasialo alfaBno
PrcDcloe freaco vif^or per onova guerra ;
I tre firaoii re vicin gli ranao.
Nè gli «rioglie il gran roano, che gli atterra;
OoUe il re La^o alla vellora recle
II franco cavalier «veglia col piede,
XIX
E che molli gaerricr d'alto ardimcnlo.
Che *1 volsero assalir, condusse a morte; ,
Per la fama del qnal chiaro talento
Di volerlo provar venne a Boorte ;
Nè di seco lullarc ebbe spavento,
Fin che si ritruvù di lui più furie;
Ch'olirà ogni altrui credenza il pose a terra
Poi fcrcndulo al cor Saio la guerra.
xxiv
Lieto dicendo a lui: Come or dormile,
O reliur famokiuimo dì Cave,
Mentre cori vicino, e 'atomo adite
Dei nemici accampati il romor grave f
Svegliate i «enti, e col gran re venite.
Ove a trattar d’alta materia «'àve,
Nè v' increrca Ì1 laaaar le molli piume,
Da poi che '1 nuovo »ol raccende il lume*
XXXI
Nè veslt mai da poi più ricco aroetc
Da quel giorno, eh 'e« l’ebbe, il qual dngea
Con lacci aurati, onde gli fu cortese
Il buon Efeo, che '1 Norico reggea ;
Poi per fare alle genti più palese
Quanto il servigio in grado si prendea,
Di mille aste gli fece ultra quei dono,
Che durissime e lunghe ivi entro sono.
xnr
Alla percorsa e al dir tatto turbalo
L* onoralo guerrier dal tonno sorge,
£d al brando fede!, eh' avea dal lato,
In atto di ferir la destra porge ;
Poscia in dolce vergogna rivoltato.
Tosto che ’l re coi due compagni scorge,
Del subito furor, quanto più puote,
Scusando 1’ error suo la colpa scuote ;
XXXII
Or di sì altera spoglia ricoperto
Prende lo scnd» solo oltre a la spada ;
Già son venuti, dove al campo aperto
Il riparo novel taglia la strada:
L'accorto Bandegam dell' arie esperto
Truovan, ch'ai fosco cielo ioleiito bada
A dar Gue al lavor, cui Maliganic
Avea dato principio il ^urnu avaole.
XXVf
E dice t Mi parea, che Segurano
Assalisse improvistì i nostri foui;
Si eh' ogii' altro soccorso era lontano,
Ond' io soletto alla difesa fotti ;
Però non sia miraeoi, se la mano,
Spaventato al chiamar, nell' arme mossi t
Che come sempre desto, così io sogno
Col medesBu pcnsier l' istcsso agogoo.
XXVtit
E col popolo agreste, ch'è inlioito.
Di legni c di (erren ririnlo ha intoroo;
Ove i carri pria fur, lutto quel lito
È di piccole torri in cerchio adorno.
In cui stia degli arrier lo sitiol parlilo
Per teenro ferir 1' avverso corno,
Che nel fosso scendendo dalle spalle
Scola di mille strali offeso il calle.
XXVIt
Ma jser quel die mi sembra, non si mostra
Del giorno anco vicin segno apparire;
Quantunque io so, che la pigrizia nostra
Mal si poua scusar, non die coprire,
Sendo gi^ in piè l'alta persona vostra,
Per far gli altri peggior del nido ascirc ;
Tal che non più ne sopera d’onore,
Che poi di vigslanxa e di valore.
XXXIV
Quando vede il gran re, che in sì poch ‘ore
Tal sia fallo de' snoi saldo sostegno.
Volto al buon Ualigaote: 11 sommo onore.
Dice, accende più d* un nel vostro regno;
Ben di voi sa seguir l' allo valore
11 pio vostro german, nè mica indegno
D* esservi tale; e 1' opre sue leggiadre
Del nome degno il fan, ch'aveva il padre.
xxnii
Ah, risponde il re Lago, io v'asiicnro
Che qoaior vi vedrè sotto a tal tetto
Stellato in oro, e di cristallo puro.
Nudo io tal gnisa, e*n così dolce letto.
Che vi perdonerà 1' eccelso Arlaro,
Mèdi cor femminil v’àrà sospetto;
Kd ei dolce ascoltando appella i suoi
Già desti all’ arrivar dei grandi croi.
XXXV
In tai parole intorno a Bandegamo
r#oo amoroso cor le braccia stende ;
Ed egli allora : Ogni fatica chiamo
Ben locata, signor, che 'o voi si spende.
Poi chcl prezzo maggior, ch'ai mood» bramo
La vostra alla mercede, a noi sì rende \
Ornandone voi qui di tante lode.
Onde un'alma gentil più d'altro gode.
XXIX
Arma la testa poi di duro acciaro,
Ma di quel più leggicr, eh' a piede adopre;
Poi dell' irsuto vello, eh' è il più caro
Vestimeiito, eh' ei porte, si ricuopre
D’tio orso alpestre, già stimalo al paro
D’ugni fero leone in cure c in opre,
Che già i Nurici munti assai luoglii anni
Tenne in aspra temenza, c ’o gravi danni;
XXXVI
Poscia i fosti varcando, ha ritrovalo
Il famoso Tristau, che in cerchio gira.
Se Ir guardie ben son nel dritto lato,
E secondo il dover t' ascolta e mira;
E eh' acTUsandu 1' un, 1’ altro ha lodalo,
£ sopra i peccalor versala l'ira;
Che quanti può veder, che ‘1 sonno cuopra,
Gh' ci non si desùn mai, cui brando adopra.
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L AVARCHIDE
XUTIt
Quando srorfre il frrau re,rlic*l pioTrisUno,
(^he tanto l'affannò l'andato ytìorno,
Avrà lenta potar pii orcl<ii e la maaot
Al duro faticar fatto ritorno;
Coininciat O cavalier di lOTrwnano
Senno, amore, e valore, e forxa adora»,
Ovuoqoe io fermi il pano, ovunqnc io vada,
Vi ritntovo d'onor calcar la strada.
xtnr
Segue il saggio parlar con dolce amore
Il sacro re dell' Orradi, c gli dice:
Veramente il fidar si gran valore
Atl'orror tenebroso ti diidice.
Quando ne mostra il di Iure maggiore,
R piu rallnma il sol questa pemlicc,
E ebe '1 mezzo cammin fra noi ricopre.
Spiegar sol di Trtitau si devou 1* opre.
XXXVtlI
Qnai parole potrei, quali opre otare,
Prr lodare e prcpiar tai merli a pieno?
('.he convrrreLbe in voi tatti ipiepare
1 tranri e pii onor, ch'ha Giove io seno;
£ poi eh' altro per uom non it poò fare.
Accettate il buon ror di desio pieno
Di non enervi inprato, e porvi in parte,
Ch' a Voi fouero rgnalt Apollo e Uarte.
XIT
Vero è, rbe a gran ragion fallo sarta
Per le ragìnu, eh' ei disse, e per avere
Dei consigli nemici alcuna spia,
DrI modo r del cammin, cli'lianim a Icncrc;
Se dì espugnarne ancor ccrclierao via,
O di così l'assedio mantenere,
nistringcndo di' noi le forze e'I corso.
Fin ch'egli aggiano altronde altro soccorso.
xxxnt
Gli riifoide Tritlao: Noli' altro Topllo,
Sapra lÌMÌmo re, rh* euervi raro,
£ servirvi ad opnor non mrn ch'io soglio,
Di ruì più che di viver sono avaro;
Ma del mìo non poter troppo mi doglio
Trarvi in un ponto dell' aiirdio amaro,
£ che *1 giusto bramare ai Tn non vrgna
Di portar sovra ogn' nooi la vostra insegna.
xtri
Ma deve ia tale affare essere eletto
Chi non fosse fra noi di si gran danno,
Di piè snello e Icggier, dì forte petto
Da soffrir senza pena il mollo affanno,
Di core alto c sicuro, che'l sospetto
K ‘1 timor di morir sovenle fanno
Cose apparire altrui mostruse e fere,
&len clic oscuri fantasmi, o sogni vere.
xt
Or io per ragionar di qnel che preme
riti nell' ora presente, loderei,
Prr piò aperto mostrar, che non si teme,
Nè vogliam soggiacere ai casi Cri,
Ch'io solo andassi, o eoo un altro ìntieme,
In porj compagnia d'alrnn de* miei,
Assalire t nemici alla fo*c' ooibra,
Or che '1 suono tra ’l vtn gli lega e 'ngombra.
ZLTn
Al ragionar del vecchio, Maligantc,
Che di quanto ei disegna, era fumilo,
Il passo trinilo aveva, il corpo aitante.
Fermo e saggio il pensiero, il cure ardilo.
Esperto del cammin, clic 'ndietro e innante
Mille volle ha calcato il proprio lilu.
Dice: A quanto raccngllo, io suo quell’ iu,
Ch* a tale opra compir sarà il meo rio,
Iti
E di lor penserei si larga palma
Ileo lotto rijsorlar, che quasi fora
Dri ricevoli danni cgnal la ialina,
Ch'or di prso maggior fra noi dimora;
Che di gente infinila saria l'alma
Dalle indomite membra nscita fiiura,
E le scliicre svegliale in fnga mette,
Pria ebe d'arme il romor sonato aveste.
xi.vat
Che quando pnr di me fortuna avversa
Il già mai ritornar c«.>ntenda a voi,
Sopra me solo il danno si riversa
Che multi allri ci sono cgnali a noi,
K la schiera, di' io meno, sìa conversa
In seguir Bandegamo, e gli altri suoi;
E congiunta con lui, cunrurde sia
Di Circstra -la gente, c di Rossìa.
un
Il Briisniiiro re con Itelo volto
Risponde; £ cbi poiria ti cliiara impresa,
Se non con alto dire untirar molto,
(.onte d' in iti» eor, qoal c discesa?
Ma in Doitnriii perigli udire involto
Ogni lotlegnu mìo, troppo mi pesa,
Perch'ogni altro soccortu avvia per vano,
Se mi furasse il Fato il mio Tristano.
xux
E » io uno porto a qoei danno e disnorc,
Ed a voi qui di lor novelle certe.
Sia leuiilo oscurato il nostro onore,
£ le parole mie menzogne aperte:
11 vero è ben chc'n solitario orrore,
£ per vie perigliose avvolte e 'licerle
Non porria lungo far, né chiaro il vulu
Come faria mesticr, chi fosse solo.
XLI:t
Però per quello amor che mt mostrate,
E che cui raro oprare aperto veggio,
Che r ardente vustr'aoiniu Iroipriale,
Ove l'uopo è minore, in grazia rhicggto;
E che lai alma in rischio riserviate,
Ove il nostro morir ti mostri, o peggio;
Nè si creda alla notte, e gli errur suoi
(fucilo invitto guerricr, che Kte voi.
t
Però, s* a voi parrà, qnaich' altro meco
Di quei, rhe piò vorran, vegna airimpresa,
(he sia ìn vece di scorta all' andar cieco,
K nell' arme aduprar salda difesa.
Più il ragionare, e'I cunsi^liarii seco,
O nel ritrarre il piede, o in fare offesa,
Mentre di' aiuta 1 un, I* altro conforta.
La vittoria o lo scampo spesso apporla.
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L AVARCHIDE
u
Henlre con Itele voci Arturo appruova ,
E l'offerta OQoraU in prado prende,
Ginnta è già run Gaven la schiera nuova
Di molti cavalier, che questo inleodet
E ciascun de' miglior ai mette io pruova
D' esser esso il compagno, e in esso spende
Larghe preghiere al re con caro affetto,
In cosi degna impresa esser eletto.
tvirt
Fu da csasciin, com* ottimo, il consiglio,
Ma piu dai re Britannico lodato,
Ch' a lui rispose con allegro ciglio t
Non fla ’l vostro disegno indarno nato,
Sol che mi prometlialc al gran periglio.
Dal generoso cor troppo invitato,
Di non scorrer un passo piii lontano
Di quel, che detto avUm, caro TrisUau.
Ul
Fu Boorte il primier, poscia Gaveno,
Il buon Nestor dì Gare e Lionello,
Il cavalier Norgallo, il pio Bareno,
Eretto, Gargaiilino, e Florio, quello,
Che del losro Arno suo già nato iu seno,
Del Gotico furor fatto rubello.
Per rosi lungo mar ro'snoi veouto
Del Brstanuico stuolo era in aiuto.
US
Cosi con poca luce, che moslrasse,
Fur dei nomi di quei descritte carte.
Ch'entro al fondu d'nn elmo scorse e basse,
Come a guardia fcdel, diedero a Marte;
Ed una ad una poi mischiando trasse
Il buon re Lago, e le leggeva parie ;
E la prima a venir dell' altre tante
Fa con favor comun di Maliganle.
tm
Né mrn vuol Gossemante il core ardito,
Come Locano il Bruto, ed Agrevallo ;
Ivano, ed Aboodan di voglia unito
11 mcdrsmo domanda c Perscvallos
Così quindici son, che sovra il lilo.
Ove le guardie stan di fuori al vallo,
Cercan con ogni sforao, e in ogni via
D' esser dì Malìganlc compagnia.
ts
Fa di Norgalle appresso il cavaliero
Indi Fh>rto il Toscano, e poscia Ertilo,
Con Gosscmaiile il core ardilo e fero.
Indi viro Lionello il giovinello
A far dei sette il bel numero intero,
Fu da Fortuna Persevallo eletto:
Ora ha d' essi ciascun si lieto il core,
Come quei, che restar premea dolore.
tiv
Quando il saggio TrisUo la lite vede,
Della quale ci medesmo era invenlure;
Di dar ordine al lutto al suo re chiede.
Ed egli il conseotio con lieto core:
Orni' ci: Poi che l'andar non mi sì cede,
Ov'io sperai trovar supremo onore.
Contento sto, che indegno é il cavaliero.
Che non vuole ubbidir, d'avere impero.
LSI
Ogn'nom dei venti suoi lo stuolo adduce
Con queir arme piò oscure, che «i truove;
Ogni piuma, ogni arnese, che riluce,
Dando in guardia al vidn, da se rimuove;
Il giovin Lionel, che n' era dace
Ha seco tulli arcìer di antiche pruove ;
Il cavalier Norgallo, che '1 seguia,
ila di fortissime aste compagnia.
tv
Io vi consiglierei, che Hallgante
Con sei di quei guerrìer, che vogliou gire,
Con venti poi cìascuo gissero avanle
L* empie schiere nemiche ad assalire;
Pochi aodasicr primieri che '1 restante
Io parte ascoso, ove potesse udire
Ben del tutto avvisalo, c stretto stesse,
A rìspioger da' suoi chi gli premesse.
Lsa
II medesmo ave Eretto e poi gli altri hanno
Con gli scudi leggier pungenti spade.
Per poter più schifare, e portar danno
Seoxa gran faticar per lunghe strade ;
Già dal campo parlili ascosi vanno,
Ove son più intricate le contrade;
Ha Lionel con l'arco, e Maliganle
Con Io scudo e col brando ivano avanle.
IVI
Ed so con cinque insegne poi de' miei
Non di molto loiilan sarei da' fossi,
E l'inchinale schiere sosterrei
Di quei dal loco lor per forza mossi;
Poi la Fortuna chiara seguirei.
Se da lei favorito in parte fossi;
Nè saria da sprezzar, perchè sovente
Vincitrice vid' io la minor gente.
Lsm
Già il franco Lionel da presso scorge
Un, che ascoso inleodea, di quei d'Avarco;
Fa fermar Maliganle e innanzi porge
Sì come presti arca, lo strale e l'arco
Scocca verso il meschin, che non s* accorge,
E che pensa secar tenere il varco ;
Sopra ambe due le ciglia in fronte il prese
Tal che aensa romor morto si stese.
LVII
Or perchè troppi son quei cavalieri.
Cui del novello onore ha punti sprone,
£ dell' Olle, e di voi sostegni interi,
Di tutti insieme andar non- è ragione ;
Ma però che di sdegno ai petti alteri
Porria l'etezion donar cagione.
Da poi eh' esser non può se non perfetta,
Di fortuna all' arbitrio si rinietla.
LttV
Or par toro ai disegni aperto il passo,
Che d' indi olirà seguir non sia disdriio,
Van con Torecchio a terra, or allo, or basso.
Nè di sentire alcun premlon sospetto;
Si eh' ove era colui di vita casso
Lassan l'altra drappcl venir ristretto:
Cui dicoo, ch'ivi ascoso e cheto attenda.
Fin che io alto gridar chiamarsc intenda.
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L AVARCIIIDE
t*T
E Utiaa, rh‘« Fenice c Trasiinede
1 mielior due gnerneri, e di fMÙ ardire^
Tatti qacfEli altri, ove il bisogno chiede,
Come a lue duri debbano nbbidire:
£ I sette poscia in un muovono U piede,
Ove Bperan trovar cieca dormire
Di quei di Segurao la maggior parte.
Tra i’ arenose rire intorno sparte.
LXXII
Ivi il lassa tremante su la terra,
E qoat fero leon, fra gli altri spinge
Il crudel ferro, e II medeimo atterra
Tepuho il fero, che dormir si finge,
perchè de’ suoi virin la cruda guerra
D’ infioilo timor Talma gli slrìuge,
Nè d'indi riftiggir vetle la via,
Che non sia dal nemico oppresso pria.
USTI
Qaai sette lapt van, che dalla fame
Per piò di molestati rscon del bosco;
Ch'uve più delle maodre odor gli chiame,
Driaaano il fero corso all* acr fi»sco ;
Le qnai riiruvin mìserelle e grame.
Ove il rane è indormito e *1 paslor losco.
Si che molte hanno uccise della greggia.
Pria che scota il mastino o *1 guardian veggia.
Così tacito sta, ma non gli vale,
Che’l feroce Toscao sopra la lesta,
Che bassa tieo, gli dà colpo mortale
Tal, che degli altri tre compagno resta;
E Maligante intanto gli altri assale.
Che dei morti pHmier sono alla testa
E fa, che ‘1 crudo Arpia, che ascoso dorme.
Nel tartareo terreno stampi T orme.
LXTlt
Taì giognendo costor sul lato manco.
Ove al fiume lontan più surge il colle,
Il Ter gotico slnol feruno al Ranco,
E fan del Sangue suo 1' arena molle ;
Che la sera assetato, afflitto, e stanco.
Di vivande e di vin si ben satolle
Avea lieto in Ira s«'l*avide voglie,
Che dal sonno al rumor non si dÌMÌoglic>
t**»v
Nè indietro si riman T altero Eretto,
Che ’l rìcciiissimo Arnaldo spinge a morte :
(•he gli mise la spada in mezzo il petto,
Onde Talma al fuggir trovò le porle;
Era costui nuovo signore eletto.
Ove il Parteoopeo con dora sorte
Era d’ ogni suo bene, e d’uomio voto
Dal rabbioso fnror dell* Ostrogoto.
I.IIV1II
Il primiero a ferir fu Lionello,
Che fHin lo strale al Gepìdo Ascalesc
Dietro alla fronte, e penetra il cervello
Si, che dolce sognando a Plato scese ;
Il qual, se ben soli' altro paralcUo
Nato era lunge al gotico parse,
Pur sotto il feror' Iba si roiiduce,
Cli’aH'uno e 1' altro popolo era dace.
txxv
Il nobil Gotsemaole core ardito,
Che T impnro Circon trova riverso,
Con un colpo al dcitr* occhi» sovra il lito
Di sangoe il lassa, e d'atro vino asperso;
E'I chiaro Persevallo avea ferito
Dentro al cavo del tur, proprio a traverso ,
Sagoolo il biuodo, di Seran figlinolo,
Che d’appellarsi re sostenne solo;
S.tÌX
11 cavalier Norgallo appresso viene,
£ con Tasta puiigrnle uccide Aroco
Del sangue Gulu, il qual sopea T arene
11 notiamo rigor temprava ai foco.
Trapassò '1 tutto, ove alle spalle avviene
In Gii della coraaxa, che si jKjro
Al gran colpo mortai gli porge aita.
Che col suo coolrastar perde la vita.
CSVVI
E nel mezzo di servi, e d* altri intorno
Di serici tappeti il letto avea,
(bsndollo ivi d' A varco, e 'n guisa adorno.
Che non men delle fiamme rilucca ;
Ma il chiaro cavalier per suo più scorno
Il sostegno con lui seco iraea ;
Poi Turante, il suo smico, a lui vicino
Pose in frunte percosso a capo chino.
LXX
Il buon Florio Toscao, tosto che'otrnde,
Che questo era Io stnol, eh* egli odia tanto ;
E che '1 bel nido suo rapisce c'oceode,
. £ '1 lien sepolto in misersbil pianto;
Più spietato che mai, sovr'esso stende
Il fortissimo brando, e Iriiova Alanlo,
Che di Teodurico era nipote,
E eh' hanno in sommo onor le genti Gote;
; xavn
Ma dei dauni il rumor per tutto è scorso,
Meuire i sette ponean le genti al fine;
E T abbattuto sluol rlitama soccorso
Dalle genti eh' a loro cran riciac ;
Si che già largo numero era corso
Delle lor proprie schiere e peregrine ;
Ma mentre appellan quei, questi altri vanno,
1 buon sette gcscrrìer gran prove fanno.
LXII
E dietro al destro orecchio entra la punta,
Ove sarge durissimo quell' osso,
Il qual d'ogni furor la forza spunta,
Da qual colpo maggior vegna percosso;
Ma come in lai vibrando è sovra giunta,
Noi potendo del loco avere smosso,
Va nel cavo vicino, ed olirà vola,
Ove il collo è inserralo con la gola.
Lxxvin
L'altero Segnran, che d'altro Iato
II suo seggio da quel Icnca lunUno,
Clodin con molta gente avea mandato
A ’ntender se '1 romor sia certo o vano;
Ma poi, che per più voci ha il ver Irnvato,
(ilie dal barbaro |»opoiu inumano
III sonno, in tema, in tenebre ravvolto
CoQ duco lameular cresciuto è muli» :
>7
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txxis
LxsModo tri per lai Bninoro il Nero,
Con poci compsiEnU fra Goti arrÌTa,
E rìtmova aitai i^enlc ih! lentirro,
Cile del tatto era morta, o mezza vìva ;
Guarda le pia^^lie, e ben di colpo fero,
E di man, rhe non sia di forza priva,
Srmbrao|:ti in vista c la credenza prima
Di Tristano e Boorle opra le stima.
I.XXXT1
Ove senza apparir tacili stanno,
Lassando avvicinar chi gli segoia ,
1 qnai sciolti di tema, e sparsi vanno,
Come gli conducea 1' oscura via ;
Nè posson dìscovrir 1' ordito danno,
Cir olirà la notte oscura gli impedia
La luce c '1 fuco, che si lassan dietro,
Che facca lor parer i’ acr più tetro.
I.XZX
AUnr eoo più desio domanda intorno.
Ove sien |(iti auei, che ((li hanno aecisi ;
E iroova, che n brevissimo soggiorno
Han deir anime sne questi divisi,
£ che poco lontan lento ritorno
Senza temenza fan d' esser c<ioquisÌi
Onde irato 1* Iberno alla vendelia
Pur con pochi de' siivi di {(ir s* affretta.
Lxxxnt
Con alte grida allor, con voci orvende
DI trombe, e militari altri inslrumenti,
Il nascoso drappello il corso stende
Con varie aspre maniere di spaventi;
£ "n un tempo medesimo gli offende
Con gli strai, rhe sn gli archi erano ialruti;
Che ben che venti ssen, mille sembraro.
Poi tra r aste gli scudi a paro a paro.
LXXXI
Nè molto innanzi va, che pii ritrova,
Come sette levn ristretti insieme,
Che dopo alto predar, di pente nuova
Senlon venire stool, che 'ntomo prrme ;
Ch'or fi mettono in fuga, or fanno prova
Di rivolgersi a qncl, che men pii teme :
E ehi truovin dapli altri esser dispinnlo.
Dall' artìglio, o dal dente è morso u ponto.
• LXXXVIM
Non fu core in tra quei di tanto ardire,
Ch' all' improviso assalto non tremasse;
Chi scampa il primo urtar, vorria foggirr,
Se '1 sentier bene aperto ritrovasse:
Ha da quei, che son gli ultimi a venire,
A cui tardo il romor da Innge trasse,
Hid ingombrala sì la dritta strada,
Che ritengun ugni uom, che 'ndietro vada.
Lvxxn
L* accorto Lionello ad opnì passo
Scocca dell' arco suo novello strale i
Questo io fronte ferisce, c qoel più basso,
Chi riman morto, e chi seguir non vale;
11 cavaiicr Nnrpallo avvinto o lasso
Non mostra il suo valor, ma di muriate
Colpo in chi più nel corso pii era presso
La pangenle asta sna nasconde spesso.
rxxxix
Ivi i sette buon dori, che primieri,
E gli altri confortando son rivolti,
Quel che di damme fan paedi e cervieri,
Facean de* miserelli io fuga volti:
Son già d' essi rlpien tutti i sentieri.
Che tra '1 sangue e 1’ arena erano avvolti;
E si folla di lor la turba rade.
Ch'agb stessi nccisor facea piclade.
S.KXXIII
Fiorio. dovunque senta o pn’do. o voce,
Che '1 polirò srrmon |)arlando spiepa,
Con la spada si addnzza aspro e feroce,
£ dal preso icntieru iodietro il piepa t
£ tanto lieto c piè, quanto piè nuoce
Air odialo drappello: c ‘1 cici rìprepa,
Che la possanza rpnal doni alle voglie,
Ferchc dal sente rio la terra spoglie.
xc
Solo il nemico Fiorio, a cnl rimembra
Del flagel rirevnlo sopra l‘ Arno,
D' affamalo leon più erodo sembra,
E '1 pianger e '1 pregar si getta indarno ;
Quell’ ncciso riman, qncl con le membra
In più parli impiagate, esangue e srarno ;
Quel pensando fuggir, dal prt>priu piede.
Che 'o soccorso venia, premer si vede.
MXXIV
Né men fa Ì1 chiaro Eretto e Gossemanle,
Che ritirando il piè n ncddt>n molli,
£ se non fosse il saggio Maliganle,
Da’ nemici alta fìoe erano avvolti,
Percliè |)crdoDO il tempo, e pii altri innante
Curruno al veudic.->re iosienie accolti ;
Ha quegli allo gridando dice : Ornai
Apgiam, cari signori, oprato assai :
xci
Ed ei qnanti di lor più sceme a terra,
Di tanti «irrider più s' arma le voglie,
Avria bramato solo in quella guerra
Di quanti nacipier mai 1* uttime spoglie;
Ma il numero de' morti il passo serra,
E di più ultra gir la strada toglie;
E già il fero Ciodìno e Segiirauo
lu aita de' goti arman la luano.
I.KXXV
Or è il tempo di cctlere a chi viene,
E sicuri tornare a miglior seggio,
O dei nostro fallir pagar le pene
Ci apparecchiamo ai grave slnul, ch'io veggio;
Obbeditcepli ogni uom, come conviene
A chi nulla ha speranza, e teme peggio |
E ciascun rifuggendo il corso stende
Verso la schiera lor, che dietro alicnde;
XCII
E con forze maggiori han penetrato
Per mezzo al fin del fuggitivo stuolo;
Ma il saggio Maligante d'altro lato
A' compagni gridando affrena il volo;
Al suo impero ciasenno c ritornalo,
Ma in tra folli nemici Florio solo
Trailo dal gran desio s' è tanto spinto,
Che si scorge da quelli in giro cinto.
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AVARO H IDE
Ma qaal toro aelva^lEto» che »! Irove
Da raoi, c «la paitor cliiaao il aentìero.
Che ’atorao gaar«la, e non può «reroer iluve
Sia lo scampo «li Ini ««curo e ’ntero}
Che tiisperato al fin ratto si muove,
£ ’n orrendo mn|ipire, e ’o vista fero,
Con la cornuta fronte armala e basta
Riservando e ferentlo a Ibrsa passa {
xeiv
Tale il famoso Fiorio, che si sente
A dietro richiamare, e vede ioloroo,
Che dalla nuova e prima ulTrsa (sente
Senta speme impedito ave il ritorno:
Conpiunto Ìl Itramlu al sno scudo possente
Con furioso «rtar CarcaUi ha il corno,
Che di dietro il cìn^a, sì ben, che a viva
Fona, ove gli altri s«i4>i, correndo arriva,
xcv
Iodi con Maligaiile addriaaa il passo,
E cosi quanti son, ì* ordia tenendo
Verso il campo c ciascun con I* arme basso
Va r impelo nemico sosleuriidu ;
f«* altero Segurano il popol lasio,
E ripien di timor va so&pio^eudo t
Poi minacciando ai sette alta ruioa,
Con r animosa schiera s* avvicina.
E larghissimo danno fallo avria
Se '1 famoso Trìstan col pio Boorle,
Che per compagno suo chiamalo avia
A passar seco la medoma sorte,
Con cinque sole iosegue in compagnia
Non presentava a' suoi fedeli scorte.
Che *n cosi orribil suon la schiera mosse*
Che la valle d' Oron T arene scosse,
xcvii
Maligante, c i compagni han già la fronte
Con più animoso cor che mai rivolta ;
Ma il saggio Seguran, che viene a fronte.
Come l'impelo e 'I grido presso sKulla,
Ben s* sccorg* ci, che più daiinaggio ed onte,
Che mai d'altra stagione, a questa volta
lUporlerà, s'al subito periglio
Or non più che la mano use il consiglio,
xcvus
E richiamando i suoi P andar rafiircna,
E di scudi migbur la testa addoppia.
Quegli sceglieudo, di' Itan vigore c lena,
Che col vivace ardir nel cor s’accoppia;
Ma già come d’ aprii, quando balena.
Che dopo il lampeggiare il tuono scoppia,
Cosi dupo il mostrar chiaro splendore,
Vicn (lai lucente ferro allo roaorc.
Che quai feri leoni, innanzi ranno
Percoleodo i nemici il buon Tristano,
E '1 pio Boorle, e si ben giunti stanno,
Che sempre pari Ìl piè segue e la mano ;
Ed ban fatto fra lur non picciol danno,
Pria che beo possa il saggio Segurano,
E* occhio fisso tenendo in ogni loco,
Spegner, come vorria, l' acceso foco.
Perché prima cooviengli con la spada
Salvare i suoi dal subito periglio,
B d* opporsi al ferir mostrar la strada,
Poi di ritrarre il piè trovar consiglio ;
E mentre a questo e quel fra l’ ombre bada.
Sente il ferni Britannico vermiglio
Or del gotico sangue, or dell' Iberno,
E molte alme di lor poste all' inferno.
CI
Onde in suo cor rabbioso si lamenta
D* esser, come guerricr semplice, iucorso
Nelle uoltiiroc iiisklie e quasi spenta
Si stima ogni sua gloria al primo corso;
Or all'alto furore il freno allenta,
Or con miglior pensier ritiene il morso ;
E perchè di Tristano udito ha U nome,
Searca in luì di furor le gravi s«»ine,
cu
Dicendo: E chi v’apprcse, o in quali Kuole,
Allo re deir Arroiirico Leone,
Di ricovrar V onor perduto al sole.
Nella più oscura ed orrida stagione ?
Qual la timida volpe, o il lupo suole,
Clic negli inganni suoi la speme pone :
La notturna vittoria ai buoni è scorno
Viepiù eh' esser oppressi al chiaro giorno,
ati
Non risponde Tristan, eh* ad altro intende
Ma il saggio Maligante gli dieta:
Deir ottimo guerricr la gloria splende
Sempre in ogni fortuna o buona o ria;
E quando ascoso è Ìl dì, quando risplende,
E di terra e di mar per ogni via,
Per ogni occastuo, che '1 ciel gli scuopra,
Con generoso cor pon 1' arme ia opra.
CIT
Ma voi, qnale al villao, quale al pastore,
Vorreste ai cavalier dar rozza forma,
Che poi eh* aggia al gran di sudale 1' (KC,
Neghittoso la notte qncti e dorma;
Nè consentir vorreste, che '1 valore
Già mai di travagliar non lasse rorma;
£ eh’ al chiaro, all'oscuro, al caldo, al gelo
Aggia di faticar lodato telo.
cv
E cosi ragionando il re di Gorre
Non perù di ferir per qiscslo lassa,
Ma quinei, ov’è'l bisogno, c quindi accorre,
E snspiogeodo i suoi più iunanzi passa;
Ma il feroce Tristan per lutto scorre,
E di lui fiammeggiando or alla, or bassa
Accendeva le tenebre la spada,
E del sangue nemico empìea la strada.
evi
Uccise il furie Iberno Pilarlenn,
Cbc del suo Segurano era nsgnato,
£ 'I fa morendo mordere il terreno
Con percossa fatai nel fianco lato;
Fa il roedesmo ad Krteo, eh' al freddo seno
Delle teiiebruse Ebridi era nato;
Poi Meganippu, Orneado, e Limoco,
Ch'cbber patria con lor 1’ Utesso loco.
r — ^ — — — '
l’ avarchide
Ri men di lai fa il fitoirìne di Gare,
Cli’a quel »empre vicÌQ pcrrnntr c ferei
Lcocriln I* T<pan H* iin colpo firave,
Oode il capo ha cÌivÌM>, fa cadere;
lodi il fero Leteo, clic ntilla pavé,
E 1 primo appar fra le Sattnnie achtere,
Fa, che per atpra pia^a della fola
Air oode di Carun lo apirto vola.
E ae di qaeata età gioTiae ancora,
E della mia Forlana non v' iiacreace,
Maorari il vecchio padre, che dimora
Lontano, e pan con lagrime commeice ;
Ch'adir gli aembra il meaao d' ora in ora,
Ch'a lai porte il mio fine, e a aè rincresce;
E ae d' on tal perdono avesac nnove.
Non men v* adorcria, che '1 proprio Giove.
Così Mentalo, Alloro, Echedo, e Boro
Della profenie Usvalla a morte spinge;
Ma più d' altro spietato entra fra loro
Flono, e di Goto sangne si dipinge;
Nè Lionello II primo sao lavoro
Ha posto in olio, o d' impiagar a’ infinge
Ogn'uom, rhe 'nionio appar, con rìgid’arco,
Come auol cacciatore i cervi al varco.
Dolce risponde Arturo : Or non vi caglia
D' esser venuto in man di tai nemici,
Usi uccider gli annali alla battaglia,
E far mercede ai nodi, e gl' infelici :
Pria che la bianca aurora all’alba sagUa,
Secar vt piaDderò nei liti amici,
E ’n vece pregherò, se non vi spiare.
Dar risposta ai mio dir, die sia verace :
Ma il saggio Segiiran, mi sol non preme
Il predente suo mal, che pure è molto,
Ha più dell* avvenir nell’alma teme,
Che non sia li I* esercito raccolto.
Per venir a trovarlo imito insieme,
E i* acquistalo lauro gli sia tuli»;
Tutti chiamando i suoi, con lento piede
Tra le tenebre ascoso agli altri cede.
Qnale il disegno sia di Segnrano,
Poi eh' attende di fnori it nuovo giorno ;
D'armar conira ■ nostri argini la mano,
O 'n tra i muri d’ Avarco far ritorno?
Allora il misereilo al volto ornano,
Al dir dì graaia, e «li dolcezaa adorno,
Qual si fa dopo il gel novella rosa
Air apparir del sol vaga e gioiosa.
E l'accorto Tristano e Naiigante,
Che non vogliun tentar i’tillima sorte,
E ch'han giusto soiprilo eh* altrettante,
0 più dì Srguran giungano scorte,
C.on allo richiamar fra qnet davaole
Fanno indietro tornar Fiorio e Hoorte ;
1 qtiai, come giierrier di chiara inee,
Sì fanno obbedienti a chi coadnee.
cxi
Ma nel suo ritirar, Florio avea preso
Sanzio, il nobile Iberno, prigioniero;
E '1 porta seco senza averlo offeso,
Come piccioi agnel suol lupo fero,
Perch'ei possa ridir quanto ave inteso,
Che'l grande oste d'A varco aggia in pensiero;
Poi temendo il suo 1* avversa parte,
Già Tuno e 1’ altro eserritu si parie.
extt
Ha quei di Segnraa tristi e dolenti
Dei compagni, ch’avean, rimasi in terra ;
I Britanni, e i vicio lieti e ridenti.
Cinti d* onor delta notturna guerra ;
Passano il vallo poi, che l’altre genti
Dalle nemiche man secare serra,
Ove armato attendeva il gran Britanno
Fra gli altri dnei c re, che ’ntornu stanno.
Tal si fece egli, e tatto amile in vista
Risponde: Invilio re, grazie infinite
Rendo alla sorte mia lieta, e i>oo trista,
Poi che mi spinse a scorger le gradite
Vostre virludi, onde il sol nome acquista
Quante anime oggi son col cielo uaile ;
E me così prigion fan più felice.
Che non farian la palma vincitrice.
c svili
E da poi che d’ intendere il pensiero
Vi cal di Segnrano in questa guerra ;
V' affermo io, qual suo duce e eonsigliero,
Che non vuol ritornar dentro alla terra,
lofio eh* ri non ha io man tutto 1’ impero
Del gran fosso vallato, che vi serra ;
E *n questo tempo istrsso, e *n questo luogo
Spera al Britanno onore imporre il giogo,
ctix
E come il sol ralltimi 1* orienle.
Drizzerà a questa via l’armato piede;
Nè si Iruova Ira lor sì abhìetla gente.
Che non pensi di voi far ricche prede.
Allor ridendo it re, coi-tesemriilc
L* abbraccia, e dice poi: Colai, che vede
1 deste nostri aperti, testimone
Appello al mio verissimo sermone :
Ivi con Itelo cor lodando accoglie
Dell* impresa lodata ciascun duce;
Fiorio il Toscano allor fra le sue spoglie
Al cospetto del re Sanzio rondare ,
Il qual tutto tremante i detti scioglie,
Pregando: O dei Britanni eterna luce,
Ch’a lutti splende, poi ch'or vostro sono.
Fatemi della vita intero dono.
Ch* altro mai non bramai, qnanC oggi qneslo,
E per mercè dell’ ottime novelle.
Amicissimo sempre, e vostro resto.
Mentre vita mi dien l’ amiche stelle:
Indi an aureo munii, totio contesto
Di preziose gemme rare e belle,
Dal sno rollo reai cortese tolse,
£ quel di Sanzio laoguido o' avvolse.
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AVARCHIDE
cxu
lodi Amato T araldo fa venire,
E rhe '! Irn|a aeeoro iofino al {giorno
Comanda, dove al pa»ceriì c dormire
Sia oel biio 0 Qo tuo dolce auggioriK);
Poi gli aia fida icorU al dipartire,
Fio che nell' Olle ano faccia ritorno}
Al fioe egli, e Tristano, e gli altri vanso
A rialorarsi ancor del nuovo aSanno,
CANTO XVI
ARGOMENTO
«Va/rfo nrmatmra pia rAi* <T odomnit/r,
.Va la ytiol iceitdf opnÌ atpro ffilpo inrooo,
Imliìsta il rrfft Arturo: e MaUgante
Grave ferita ha nella manca mano.
Contro il Jìritanno re tratcorti innante
Tanto son Palamede e Segurano,
Che $e non »»’ han Tristano e il fiet Boorte
Tratto ei venia dai loro brandì a morte.
Dfir otrara itagion la bianca Aurora
Con le rotate man tquarriava il velo,
Quando il gran re Britanno narito foora
Fa di trombe al romnr tremare il cielo ;
Ond'ogni cavaltem aH'islett'ora,
Ogni ardilo gnerrìrr con chiaro telo
Truova l’ arme e *1 destriero, ogni buon doce
All' ordine primiero i looi conduce.
H
E tal del tno furor l'alma ripiena
In sanguinoso Marte ha di ciascuno,
Ch'ogni fosco penttcr si rasserena,
Nè, che tema il morir, si vede alcuno;
Spcran tulli in dolzor volger la pena,
E *D bel randido giorno il tempo bruno;
Chi a vendetta, chi a gloria, e ehi a guadagno
Se medesino conforta, e 'I suo compagno.
m
Sena* ordine ciascun di vino e d' esca
Empie le voglie tue restando in piede,
Perché 'I vignr rinfurze e 'I desio cresca.
Ch'ai soverchio digiun sovente cede;
Or il troppo aspettar par che rincresca
A ehi già il sol nell'Oriente vede;
E ben mostrava il Ciel, com'egli adopra.
Quando uu suo disegnar vuol porre in opra.
Già per l' arme vestir domanda Arturo
Il suo sommo scudier, ch'era Agraveno,
Che col fabbro eccellente Caliburo
Quanto faeea mestlero apporta a pieno:
Le soleretle pria del più sicuro
Acciar, che porti il Nerico terreno.
Gli arma di sotto i piesU; iodi Io sprone
Ricco di gemme c d’ or sopra gli pone.
V
Il pesante schinìer, che tutto abbraccia,
Quanto l'oiso primiero in alto ascende,
Di beo sicuri chiodi intorno allaccia,
Congiunto al Cerro, che'l ginocchio prende,
Rilondo, curro, e tal, che non impaccia.
Quando indietrol'accoglie, o iaoanai stende,
Ch' anco piglia il coscial, che sopra siringe,
E con serici nodi allo ai doge.
n
Poscia alla regia gola ha io guardia messo
Il saldo acciar, che non le ooccia offesa t
L' uno e 1* altro braccìal gli loca appresso,
Ove pria di lunette area difesa.
Conserto si, eh’ ci non si senta oppresso,
Se la lancia o la spada ha in guerra presa ;
Ma che quelle crollar possa, e lo scudo.
Qual di tela coperto, o tolto ignudo.
VII
La possente coraaaa, e fida al petto
Che pare unque non ebbe, assiede intorno;
In coi scolpio r artificc perfetto
D'argentato colore, e scuro adorno
Tre lune lai, quali al fraieruo aspetto
Nel quarto del cammin fesser ritorno,
Intriralc tra loro, e cìnte insieme
Sì, che ffiostrin dì fuor le corna estreme,
viti
Di questa arme onorata gli feo dono
L'indovina Morgana sua sorella;
A cui fu mostro dal celeste trono.
Come all' antica elade, c la Dorella,
Sopra quante altre insegne furo, e sono
Tutto il favor doveaoo d'ogni stella
L' alme tre lune aver dal sommo Giove,
E nel Gallo terrea vie piò eh’ altrove.
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IZ
SUv«a queste nel mezzo, e*n giro poi
Neiretlremo di toUe feeeen (regio
Gii Ardii aU(Ì, gli «treli, e i da^i •noi,
('Ii'aIU VAgA DianA eraoo in pregio;
Nè le reli tetvagge, ni i larciuoi
In oblio pose il dolio fabbro egregio,
Ch'ivi lolle appariao eoo si bell'arte,
Ch’ A oalwA lóglieAQ U miglior parte.
X
E nel giorno medesmo, che gli diede
L’alta Pala reale il ricco arnese.
Gli dicca, che con quello avesse fede
Di largo soggiogare ogni paese ;
Del qnal dopo langhi anni essere erede
Uno Enrico dovea, eh' ad ali stese
Maodena ’l nome suo dall* Era al Gange,
E per quanto Oceao tra i Poli frauge.
XI
Gli spallacci sovrani al loco pone,
Che 'n Ira qoellae ^ braeeial l'omero accoglie;
Cingeli il brando poi, che Pandragone
Fe'più volle carcar dì opime spoglie,
Dal popolo inimico Anglu, Sassone,
Che del suo bel Icrren varcò le soglie ;
E gli die sovra ogn* altro cavaliero
Dei mATZÌale onor lo scelLru altero.
xu
Questo, morendo al 6oe, in mau ripose
Il valoroso re del figlio Arturo,
Dicendo} L* opre sue sempre famose
Pccer ehe'l regno a voi Iascìo sicuro;
Aggiatc lui sovra 1* umaue cose
la riverenaa somma c al tempo duro,
Che vi Apparerchie mai 1' aspra Purlaaa,
Questa spada cingete sola ed una.
xm
I quAt detti nbbidio, ch’ai gran perigli
Non si mise unque poi sema aver lei;
Con la qual sempre mai rendeo vermigli
Di sangue i campì tra i nemici rei;
Nè d' altro brando s micidiali artìgli
Di morte furo agli infernali Dei
Larghi de’ sunì trofei, quanto di questo,
Che feo più d' un Ggliool del padre meato,
XIT
Di preziose gemme chiare e dure
Era il fodero intorno rsliscente,
Ch' AvanzAvAD del sol le luci pure,
Quando più bel si mostra all' oriente ;
Conteste in ore tal, che stan sicure
Al percuoter di colpo aspro e possente;
Slmil le guardie ha in allo e 'I pome in cima,
Che di prezzo infinito il mondo eslima.
xe
(x»n qoeslo, c del medesimo lavoro
La cintura ricchissima pendra,
(.h'alla parte minore apparia loro;
Che di vaghi color l'altro splendea
D'adamanti e rabio, posti fra loro
Di rose in gnita care a Lilcrea,
E di vaghi zafTir, non gii smeraldi,
Che dell' anne al ferir non reslau saldi.
XTI
Poi per più sicurtà greve piastrone
Il snn caro Agravea di aopra mette,
Si eh' aggia di temer nulla cagione
D'asIc colpir, di spade, o di saette;
Qnal già nella sua patria regione
Al furor dei giganti in prova stette;
La buffa locò solo al destro lato,
Perchè SÌA dallo scudo il manco Armato,
xvn
Sovra l’arme locenli ultima cinge
La ricca imperatoria sopravvesta,
Che con gemmalo nodo alta si stringe
AH'omcr manco, ove non sia molesta;
E sotto al destro braccio alato spiuge
Il lembo adorno, che scherzando resta ;
Ove in campo celeste seminate
SoQ le corone sue reali aurate.
XTIII
Il feroce corsiero indi gli addoee,
Ch'ei suoi sempre meoar oelt'alle imprese,
Sopra cui, qual I* aurora, rendea luce
Il tutto di un or fregiato arnese ;
Il frontale argentato io alto luce.
In cima al qual leggiadramente stese
Sottilissime piume bianche e nere
Air aure ventilar si poa vedere.
XIX
Il CTÌn, come la fronte, era coperto
Del più sicuro ferro, e del men greve;
Nè intra 1‘ arme nemiche giva aperto
Quel, che ! colpi maggior primo riceve ,
Che ove al falcalo collo viene ìnserU»,
Cinto il bel petto avea spsziuso c leve
Di doppie pelli, che indurate al fuco
Piaga d' asta, o dì slral caravan poco.
XX
Ma per Averlo al gir più snello mollo,
E per ch’ivi il ferir non vien niorlalr.
Vuol, eh' all’ empie sue groppe sia disciolto
r.onlra il coraiwe usar di peso tale,
Ora al primo arrivar, dell' arme avvolto,
Senza la staffa oprar sopra vi sale;
Il manco Iato allur restato nudo
11 famoso Agravea gli armò di Kudu.
XXI
Lo qnal cìnge sicuro, e 1' ha commesso
Con ben ferrali nudi al collo intorno;
Ha del citi il colore, e iu mezzo d' esso
Sta il capo di Gorgon di serpi adorno ;
Ch* ha nei guardo crudel lo sdegno impresso,
E d' uccider de^io, che innalza il conio ;
E da ciascun dei lati spira intento
11 timore, il sospetto, c io spavento.
XXII
Sono intorno di lor dì saldo acciaro
Dieci cerchi fortissimi ravvolti.
Che del porfiro duro stanno al pam,
E di chiodi profondi al legno accolli;
Di ferro dentro e fuor d'argrnlo chiaro
Color vanno onibreggiaudu i tristi volli;
Venti SUDO in ciascuuo, e posti tale.
Che di svellergli quindi arte uun vale.
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l’ avaro H IDE
xsnt
T>i enior offro «i primi ri rompreodc
Altr' orilioe a fortnsa ni omamrolo;
Il •oilegno, onde al rollo sì «oiprode,
Di falde fabbricato era d'arsenlo,
Ove OD fosco drafOB s'avvolfe c stende}
Nè d' una fronte soia appar rooicnio;
Ma con Ire fere leste} e d* ira pieno
Par mìoaccie a dasenn foco e veleno.
XXX
11 grand'elmo alla fin, rhe doppia tiene
Del reai viso Ìo gnardia la baviera,
Ove l’alto cimier montando viene,
Che'n seno ave del riel I' ultima spera,
Che sol le lori stabili contiene,
E sempre dal mattin gira alla sera
Senza mai traviare, e 1' altre cinge,
Che dietro al corso suo di gir costringe,
XSIV
Del più fran re. che d' Argo c di Mtccne
E d' altre alme dtlà lo scettro leone.
Fu questo scudo allor che d* anni pieoe
Con mille altere navi a Troia vennC}
Per darle al suo furar dovute pene ;
E di dieri anni al termioe pervenne
Col Innfo assedio e poi di chiara frode
Triuofaole parlio, se *1 ver se a' ode.
XXXI
Così qncstn Agraven d'intorno allacria.
Ove pili la corazza monte in alto
Verso la gola, e si che non l' impaccia
Al rivolger il volto ad ogni assalto;
Nè col soverchio peso assiso giaccia
Sopra la fronte 1* incantato smalto;
E dir si polca tal, rhe di tempra era
Non men che 1* adamante invitta e vera.
x*v
Ivi mentre era inteso al grande acquisto
Che più volte cangiò fortuna c vollo.
Ovunque il ciel gli fosse o lieto, o tristO}
Sempre si ritrovò di questo avvolto;
Ma nel rio letto dal crudele EgistO}
E dalla sposa tua di vita sciolto.
Fu tra molli tesor dei servì suoi
Al (ratei Menelao condotto poi ;
XAXIt
Poi di piastra d'acciar fino e sovrano,
Sol che ben rivultare, e stringer vaglia,
Difesa aggiunge all' nna e l'altra mano.
Non men dolce a piegar, che lenta maglia,
E larga ove il bracrial vien prossimano,
Ch' al nodo estremo ino sovr' esso taglia t
E poiché dritto è io sella, e fermo ha il piede,
La lancia ìmpngna, eh' Agraven gli diede.
xrvi
Ch* allor divolo nell' aotica Sparte,
Come il merlo cbiedea, con vero amore,
Di Minerva al gran tempio iu degna parte
Fece appender in alto; al mi valore,
Che fa poi steso in si divine carte,
Non volle il pio germao far altro onore (
Scrisse S4il d' Agamenuone, il qoal nome
Seco avea d' ogni lode eterne some.
xxim
Indi con bel drappel di cavalieri,
Che già intorno gli son, s* addrixza al vallo.
Ove schiere iofioite di guerrieri
Tniova attender pedestri, ed a ravallo,
£ i maggior duci lor, servando interi
Gli ordini, eh’ al dever non faccian fallo:
Poi, che slan comandando su le porte
Vede il franco Tristano, e '1 pio Boorte :
xxvti
Quando poi fu squarciato il fosco velo
Al veder nostro misero mortale ;
E r alla graaia ne porlo dal cielo
Il gran figliitol del padre universale,
E dell’ iiom si converse Ìl vero celo
A queir allo Fattur dal sen mortale,
Che negli antichi templi inlurnu tulle
For le fallaci immagini distruUc;
XXXIV
E dei levi destrìer prime le torme
Dai lor capi condotte han tratte fnori ;
Dopo rjursti gli arcieri stampan forme,
Con gli altri pin spedili, e Erombatori;
Vrngon poi quei, che di più altere forme
Veston l'arme pesanti, eie migliori;
Coli tulli passali, ogni nomo attende
Quel, che di comandargli Arturo iolcude ;
xaviN
Nel famoso Bisaniio a Costantino
Fn lo scudo possente allor mandalo;
Ove il tenne iu onur quasi diviuo
l^ol chiaro ricordar del tempo andato;
Poscia di prole in prole al gran Tiutìno
Allora imperador fu riservalo;
Il qual, rumc di Ini più d'altri degno,
Ad Arturo il donò d' amore in segno.
XXXV
Il qual tra ì maggior dnci, e i primi eroi
Consigliando il futuro, avea varcato
Dop' essi il foiso, c va scorrendo poi
Col buon re Lago, e con Gaveoo a lato,
Clte nessun altro vuol di tatti ì suoi,
Per non moitrar di re l'altero stalo;
E l'armale sue schiere guarda intorno,
Che più che forse mai fur belle il giorno.
xvrx
Questo adunque era quel, rh'al collo iutomo
Del suo gran re sovrau prende Agravenuj
Né io altra guisa il voile fare adorno.
Che della rivcrenxa, ond'egli è pieuo ;
Solo io axxurro aurate d'ogni intorno
Di tredici corone ha rulmo il seno,
Cb‘ ei non si possa dir, ch* ascosa legna
L' antica c famosissima sua insegna.
XXXVI
E rhtamandn di molti il proprio nome
Che di parte maggior non gli era ascoso,
Dicca: Cari figliiioi, dimostriam, come
Non è il nostro valor da tema roso;
E che per poco incarto non son dome
Le forze invitte al pupol glorioso,
Che della gran Bretagna ha sparso il grido
Sullo ambe t poli, e dell'aurora al uido.
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AVARO II IDE
Indi» ov« i Franclii «oo, rivolge il passo»
E dice : Alti signor» di chiaro onore,
Non si spoglie oggi in voi conir* a Ctodasso
Del famoso operar l' invitto araore»
Che non giacque ancf>r mai vinto» nè lasso
Da sorte avversa, o Maniale orrore;
E vi sovvenga, che ^li anrali gigli
In gnardia avete, e i quattro regi figli.
xxxviu
Vien poscia» ove aUcndea Fiorio ilToscaoo,
Che i più (idi Tirreni avea d' iotoruo,
£ dieet Amiri mici» la vostra mano
Largo oggi appaghi l'Oslrogolo scorno;
£ gli moslrale ben, che del ilumano
Sangue scendeste d' ogni gloria adorno;
E che di Fiorio io cure ampia si thiude
Della sua prisca Elruria la virtude ;
xxxix
E che di librrtA dolce desio
Con gli ardenti inoi rai vi scalda il seno ;
Perchè spegnendo or noi quel seme rio,
Con voi ne vengo di speransa pieno,
Ch'ai fiorilo terreo vostro natio
Col favor di lassù sciogliamo il freno ;
E farciam, che dal Tchro il nobii Arno
Non sia dolce fratei chiamato indarno.
xt
Segne olirà, ove Tristano ordine dona
Air armorichc sue famose squadre,
E dice : A lai guerrler non sia persona.
Che giunga sprou nell' opere leggiadre;
NèrammenIciI rumor, eh' al monda suona
De’ fatti illustri dell' altero padre;
Pcrch’ei medesmo a se ricorda ognora,
Che sol l'alma gentil la giurìa onora.
XLI
Indi scor|(e Boorle e Maligante,
Il cliiaro Lionello c Pclinoro,
Questi, eh' erano appresso, e quelli avaole,
Addrizzaodo ciascun le genti loro,
£ parla: Or oggi alle villurie taule
Largo s' aggitignerà novello alloro:
Tal promette di voi la lieta vista,
Chc'nUepida speranza ai vostri acquista.
Perchè in guisa d' aiigci noltomi e vili.
Traile tenebre sol sì fan arditi ;
E qnai timidi lupi, che gli ovili
Dall' ombre ricoperti hanno assalili;
Ch'ai giorno poscia iu valli le più umili
Ascosi slan tra gli spinosi liti ;
O s'ri ss nsuitran pur, qual lurifuga,
Ad ugni alimi gridar preodon la fuga.
XI.V
E de* nostri desir Fortuna amica,
Olir' ogni mio sperar, ve lì conduce
Fuor del lor nidn, che'l fossato iotrtea,
£ gli fa non temer del dì la luce,
A Gli che nieo periglio, e men fatica
Aggia del vostro rampo ogni bnnn duce ;
E che'l loro sperar non venga in fallo,
Couleadcndone al gir l'argine e 1 vallo.
xrvi
Hoviam dunque» Signor, con lieto core
11 passo, io non vo dirvi alla battaglia»
Ma per metter sirnro e largo onore
Da chi di cera frale lia piastra e maglia ;
E di cui corse in van I' altro romore
Conir' all' abbietto itnol dì Cornovagtia,
Fra gl’ incantati scudi, e spade, c lance»
Di favolose prore» e d'altre ciance ;
XLVtl
Che i fanciulleschi cor Irmon talora,
Non quei simili a voi di sommo ardire»
Che per prova intendeste, e 'nnanzi eh' ora.
Quanto sia dall’ oprar lontano il dire;
E che dall’ apparir gii dell’ aurora,
Fin che Feho si scorse a notte gire,
Feste dei corpi lor sì fallo strazio
ler, che'l nemico Avarco ne fu sazio.
XLVtIt
Mentre parla così, già sopraggìuolo
Era co' suoi l'ardilo Palamede,
Ch' ha 'I core invitto di desir compunto
D'aspra vendetta delle Gole prede;
E Briinoro e Cludìn vien seco agginnlo»
Nè Dinadano a lor lonlan si vede.
Nè Rossano il selvaggio, o Brnnadasso»
Nè alcun duce onoralo di Clodasso.
Or col voler di Dio movete innanzi,
E non vi scguirem con fermo passo»
Si che d'ardir uon mostri, rhe n' avanzi
L' eiremminatu popol di Clodasso;
E vedrà il mondo (e’Ìo non in' inganno) anzi
Che scenda il sol dcil' Oceano in bass<'»
Che a' ebbe ss.>pra noi vittoria alcuna»
Fu per torlo favor della Fortuna,
xuii
Nè d' altra parte il nobii Srgiirano
Che già il tutto srntia, dimora in pace.
Ma cuQ parlare alteramente umano
Sveglia il valore, ove indurmilo giace,
E dice: Ora il Brilaiioo e '1 Gallicauo,
Allo spuntar del di 1' aurata face,
Op|tresso è di timor perù» che suole
Sempre perder con noi lucendo il Sole.
E poi ch'han ragionalo, e fermo insirme»
Hiiovon coi lor primi ordini le schiere.
Verso ove Maligante a destra preme,
E Boorte a sinistra il Ganro frre ;
Cunquel romor,rhe’l mar quando più freme.
Mandando in fino il ciel le spume altere;
Che dal nebuloso Austro spinte a terra
Fanno «'1111 pietrosa orrida guerra.
L
Ma il fero Segtirano a qoesto intoppo
Lassando indietro i suoi, muove il destriero;
Ch' nitri stendendo il marzial galoppo
Molti Britanni già versa al sentiero;
QurI cavai resta morto, e questo Zuppo,
Ch'agrameule oppressalo ha il cavaliero ;
L’altro si sceme andar nel campo errando.
Che del miser rcUor si trova iu baodu.
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i
I
I
tl
Or af»rrto «pparìscr il prandi* Ibrmo,
Or Ira ì molli porrrirr »Ì mie asroio;
Qua] la luna lalur nel freiiilu verno,
Quando il ciel Irveraente è nubiloM),
l'.h'or >t niOitra, or ai rnpre a danno e scherno
Ori las«o TÌator, rh* ebbe il riposo
Più lardo al dìsrpnare e più lontano,
£ la piprtiia Mia rondanna in vano;
ni
Tal epli or tra plì esiremi, or tra i primieri
Dopo alqnanlo piardar sorto rirsre,
Qnat rapaci drirm vaghi e Irgpieri
tlareian soU'arqna, e sopra il minor pesce;
Ma il saggio Malipante ai suoi purrneri
Te miuarrie e i eunforlì andando mrsre ;
Rirnrdatevi pur, che 'I ruggir nostro
Icr di nui iasangninù dell' Enro il rliioalro,
tilt
Ma se vorrete ancor, come altre volle,
Oggi fermanflo il piede, oprar la mauo,
Vedrete di timor le menti avvolte
Al rio pupo! d' Avareo e Scporano;
K le lur glorie vane in danno volte,
E rirrrrar le mnra a mano a mano;
£ te in noi firn d'onor le voglie accese,
Poco spazio del di saran difese.
UT
Or sepiiilemi dnnqiie, c non v* ìnganoi
Lo sperar d! fuggir, eh' nggi è fallare.
Ma ben di Hrnvrar gli avoli danni,
£ riportar dai buon Inde verace;
Non siam cervi peni dì giovto'anni,
E non è Stgiiran tigra rapare ;
Noi siamo nomini pure, ed egli i uomo,
Dall' arme e dal tndor talvolta domo.
tv
Con lai detti ti buon dure innanzi sprona
II drappel de* miglior rislrelto in nno,
£ vien dove il gridar più in allo suona
Deli' urtare e ferir del rrudn Urano,
Air apparir del quale ogni persona
Dcn che vii, si fa andare, onde riitcano
Seguendo Ualigante addrìzra il corso
Inverso Srguran, qnaì cani all'orso;
ivt
Che dri btion carrialor mossi ai ronforli.
Posto io bando il timor gli vanno iu turno,
B cercando ramniiui atrosi e storti
Cingtin latrando il chinso suo soggfnruo ;
Ha psii che molli n'ha impiagati e niorti,
Rifiiggon gli altri con dannoso scorno,
£ tal di lui assai nnova temenza,
Cli'atraUmi più invitar nun dan credenza»
tVfl
Sinil fanno i giierrier di qnel di Gorre,
Che rivolser la fronte a Segiir-mo ;
Che da poi che più d' on per terra porre
Videro, e 'I lor poter fontr'eiso vano,
AIriin non è, che più ti voglia opporre
G»n si gran rischio alla feroce mauo;
K <nmc r arme lor fos»er di vetro,
SpavcMlatj di lui filcg"no tiidielru.
Lvni
Ed egli in voce allora alta e superba
Diceva ; Or dove son quei cavalieri,
Ch'ai tenehroso ciel di così aeerba
Voglia ti dimostraro, e rosi feri ?
In riversar viimrnte sopra V erba
Il sangue addormentato dei goerrieri f
Or contro agli svegliati, e al chiaro sole
Temoo, non cht l'oprar, l'altrai parole?
LIZ
E con questo parlare necide Alfen,
Che volea per fuggir volger le spaile,
Ma tropps» lardi per suo scampo il feo.
Che Soverchio ha con Ini rislrelto il ralle.
Tal eh' ove è la memoria il colpo reo
Disceso, il pose all' arenosa valle;
£ Tesser nato in Velia non gli valse.
Né il sì largo imperar qncIT onde salse.
tx
Indi tterite Gtrfoleo a lui vicino,
E nel loco mede«mo con lai nato,
Ma di sangue minor, che'i padre Anliuo
Fu in Vetta rapacissimo ptralo;
£ i furati teior d'altrui contino
Non poter dei fìgliool cangiare il fato;
Che tra 'I primo del collo, e *1 secoiid* osso
Fu dal brando cnidet dì capo scusso.
txi
TVnora olirà andando Astaraco eil Echio,
Che del re Maliganle eran parenti,
Fìglinui d’ Ivante, e T uno c T altro gio
Di quei compagno, che la morte ha spenti;
Pcrch'al primier la lesta diparlto
In fin nel eerchio, die contiene i denti;
Passa air altro la milza d’tina punta.
Ove al dorso allegata è più congiunta,
i.xit
Il buon dure di Gorre, che rio vede,
R rhe'l suo confortar niente vate,
A vergogna si lien volgere il piede,
E Iu innanzi seguir sente mortale;
Mjnila a Boorte, e con prestezza chiede
Saldo rimedio al disperalo male;
Corre Abomlano, e '1 truova al destro lato,
Tra i nemici giierrier forte intricatu;
txtii
Che co' levi cavai di Palamoro,
Che lemra di Boorte, era renato
Con più gravi rorsierì il re Brunoro,
Il qual fu per allor soverchio ainlo;
Pvn'i che in si grand' nrlo entra fra loro.
Che '1 numero miglior resta abbatlnlo;
£ chi dimorA ìn piè, Tisiesso pavé,
Fuor aolanieole t btion goerrier di Gare:
LXtV
Il qual T alimi spavento risogliene,
£ che non fuggì alcun minacria e prega;
Indi cuitir'a Brunoro ardito viene,
Ove i compagni snoi più balte e piega;
Il leon traora, ch'ai suo scudo tiene,
<>he in argentata sede .vnlìto spiega
La dìsoranle borra, e ‘1 rrodu artiglio.
Vestito di rulor fusto e vemngliu:
iB
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AVARCHIDE
E di lai Ca cadn* la tnafsfior parte,
E |(li fa |Tave duol nel destro bracriu •
Che '1 ferro, che ‘I copn'a, tulio diparte,
Come >e foue italo vetro n |biacdo;
Tal ehe di breve aanpiie ilille ha iparte,
Che al peso fosteaer dao Unto impaecio
(Oltra la pente, rb* ivi arriva stretta)
Che gli chiude il cammiu della Tcndelta.
I.SV1
Pur ooD resta però, che eoo la spada.
Che gii io alto teoca, noi fera in fronte,
Ha con poco vigor convicn, che vada,
Cile male aceonipagnò le voglie pronte;
£ *1 deslrier paventaodo cangia strada.
Nè vuol più col nemico esser a fronte;
E di fuggir fra* suoi dietro lo sfona,
Ch*a chi governa il freu luauca la fona.
IXTII
Cosi fa trasportato il gran Germano
Fuor, con suo grave duol dalla battaglia,
E '1 gran Buurte eoo rinvìtU mano
Vie più d’ una lorica rompe e smaglia.
In questa a gran furor giunge Abondano,
£ *1 prega umilemeole, che gli caglia
D* aiutar Maligante al manco corno,
A Cui fa Segurao dannaggio e scorno.
Lxnti
Ed ei mosso a pieti, vedendo ancora
Lassare a' suoi gnerrirr securo stato,
Nestor di Gare appella, eh' ad' ogn’ ora
Col suo nigin Bave» si Iroova a lato,
E dice ad ambe due: Bene in brev'ura
Da Maligante a voi sarà tornalo;
Prendete in questo mruo cura tale.
Che Quu venga tra voi piaga morUle.
LXIX
Poi qoanto paù spronando, iu fuga traova
Senza fren ritener, quasi ogni gente;
Che*! dir di Maligante a nessun giova,
Che 'I fero Seguran presso si sente;
Al qual Corre Buorle, e mette ìa pruova
Coni* altra volta, il braccio suo possente:
Ha vien la spada alla sinistra spalla.
Ch’alia fruule addrizzalo il colpo falla.
LXX
Pur fu colai, che se men duro alquanto
Il suo fosco dragitu lo scudo avea,
Fura di hegurau quel giorno il vanto
Forse iu pregio miuur, che noti lolea ;
Salvullo adunque, tua sqiiarriosse quanto
Ne prese il brando, onde sua sorte rea
Biasmaiidu, disse: U re famoso Iberno,
Troppo avete in favore il regno eterno:
IJSXI
E lui pur solo, c 'I troppo duro scado
Dovete ringraziar, non I' opra vostra;
(.he son ragion, ch'io m'alTatico e sudo
Indarno, c nulla vai la forza nostra;
Ma r a>pru Segurano irato e crudo
Jltsponde: Se ìia ver, clic la luan mostra,
K non la lingua, il gran valute altrui.
Tosto il farò seder, Buurte, a vui.
£ *o tal parole, run più fona il fere.
Che facesse {la'lor già inai mastian,
Che ’l vas4> pini di latte feo radere,
Quamin muiigea le gregge nel mattino ;
Ma nello scudo std venne a radere.
Che della testa allor niopee il ronCnu;
E non uirii di dolersc ebber cagione
I candidi Ermellini, che ’J dragone.
txxm
Era aspra la (jucstiou, se in quell* or* anco
Come fra lt>r più volte era avvenuto,
Non la sturbava d* uno e d'altro fianco
II popol già vicin lupravrenulo ;
Sparlunsi dunque, e dove rotto, o stanco
Più vede il corno sno, li porge aiuto
Ciascun dei cavalier, nel core acceso.
Che gli par dal nemico esser offeso.
rjtxir
Traova Bonrie il caro Maligante
In micidial battaglia con Rossano,
L* lino e r altro di lor guerriero erranlc,
D' ardir, di forza, e di valor sovrano ;
L* uno e l'altro di |oe d’aspro e pesante
Colpo ha impiagala la sinistra mano;
Ch' ambo han rolli gli scudi, c stesi a terra.
Ha cou le destra sol fanno aspra guerra,
I.XST
Ebbe di rio veder soverchia doglia.
Ne sa ben rhe si fare in tale stalo;
Dì vendicar I* amico avria gran voglia.
Fui ^li par dì guenier grave peccalo.
Se d un ferito, e sul rrrcasse spoglia.
Di slue spade coorurdi arconipagnalu ;
Onde grida lonlan si, che quel solo
Fuggendo ritrovò 1* amico stuolo.
LVXVt
Guarda Boorle allora, c lasso vede
Punto d'alto dolore tl re di Gorre;
E che'l sangne stillando infioo al piede
Dall' impiagala man si largo corre,
Che 'I tiiancanle vigor fugace rede ;
Tal che runvetine al fin dietro a luì porre
Megele il sno sciidier, che '1 sosleueasc.
In fin che 1 padlgliun trovato avesse.
LXXTII
£ fu ben perigliosa, che veni*
La piaga, uve la man la palma stende,
Tra I terzo osso, c I secondo, rhe s* invia
Ove il dito più grosso il valor prende,
E che spesso al perire apre la via,
Contraendosi i nervi, ch'ivi ofleode ;
Ma il subito rimedio, e la pia sorte,
E ]' arte di Serbino il tolse a morte.
LXtVUI
Or Rouano il selvaggio, che riposto
Tra*snui nel loco istcsso era ferito,
Grida altamente, eh' a Boorte opposto
Sia qualche buon gaerrier non meno ardilo
Se non che Palauior si vedrà tosto
Con gli Aquilani suoi sgombrare il lìto;
Come ciò sente il furie Palamede,
Saghe a cavai, rhe si trovava a piede.
K
L AVARCHIDE
r.sxix
IX XXVI
B laua il valoruio Bniiarìnn,
Intanto Maligantr, a cu la mano,
r.h*ÌTÌ in rere di Ini meni le schiere,
Raffreddata la piaga, Ì1 duolo accresce.
E sc|(n« Se|(<iran, eh* era ririno
Fu dal pio Arturo scorto di lontano.
Tra* suoi tornato, e |cià s<i*pinge e fere
E per loi ritrovar dalla schiera esce;
G>atra il prode Triitan, eh* al suo earemioo
E 'ntesn il caso, al dotto Prllicano,
Quanto può dritto andar si può vedere;
Ed a Serhin promesse, e prrxhi mesce.
Or pianto il re dell* Ebridi, Boorte
Raeeomanilandol molto alia lor arte,
Traora, die apiage gli Aquilani u aorte.
Perchè in esio è di Ini la miglior parte.
LXXX
r.xxxrn
Ha perché ha in tnan la landa, e *1 punger* onta
Poi pensando in snocor, che *1 destro corno
Sopra tal earatirro usar vantaggio.
De* soci levi cavai sia scnaa dure,
Del popolo infelice abbatte e raionla
Perchè Bnnrte far dovea ritorno,
Quanti altri incontra eoi nodoso (aggio ;
Ove il periglio manco il riconiliice;
Sopra il nono è lìareato, e si raffronta
Gire al soccorso lor con quelli intorno,
Allnr col branda al nobile pareggio {
Ch*ha regi e ravalìcr, 1* animo induce;
E chiaaando altamente il re di Cave,
E cui romor, che fa 1* arme di Giove,
Il vede a lui venir, che oatla pavé-
In ver la dritta parte il corso muove.
txvxi
tXXXVIIt
E ehi sia gliel discopre il nero e bianco
B col forar medesimo percuote
Scodo, eh* et porta, e le gemelle spade.
Nel loco, ove lontano è Palamede,
Che lol d'agni gnerrier si cinge al fianco.
A ciascun di lìmor l’alma si scuole,
Mostrando, eh* a più d'uo guerra gli aggrado
Quando in un punto istcsso e sente e vede
E vergogna gli fora il venir manco
L’invitta schiera, e s* empie il eie! di note
A qnal coppia miglior, che'ncoiiira vad« ]
D* aspro dolor di qoei, coi primi fiede
Pasti Itela Boorir, e *ii cor si gode
Di mille gravi lance il doro intoppo.
Di provar cavalicr di tanta lode.
Ch’ai più profondo scoglio saria troppo.
LXXSII
LXXXIX
Quanto pnò questo, e quel contea si sprona
Il Britannico re, che innanai arriva,
Quasi un veloce strai, che l' altro assaglia ;
Asralafo Aquilano incontra il primo.
Nè*l caldo Mongibcl st forte tuona,
E dcU'aho cavai di quella riva
Come il pereiinter laro alla battaglia i.
Trapassato nel core il pose all’ imo.
Sotto, sopra, dai lati, e'nlorno sui>na
Cui colpo islesso della vita priva,
Ogni scndo in un tempo, ed ogni maglia;
Che dietro a Ini venia, l’ Ispano Edìmo ;
R chi i colpi, eh* ci fan, contar valesse,
Dopo lui *1 terrò, e *1 quarto non ferito.
Potrebbe anco contar le stelle istesse.
Ma sotto t lor cuvai prostese al lilo ;
l.KXIIIt
xc
Perch* auai meno spesso del del cade
Chef uno Edippo fa, l’altra Calisto,
Neve al gelato dì, grandin 1* estate.
Ambe dne nati già sopra la Sorga,
Che si icemon di lor le gravi spade
Pria che *1 suo corso al Rodano commisto
Or in basso cadute, oe rilevate ;
Il ventoso Avignon vicino scorga;
E nessuna ivi appar, che ’ndarno rade,
Indi col brando ìn man doglioso e tristo
Tante arme intorno gii sono squarciate ;
Fa qoaloaqoe gnerrier ino deitin phrga
E perchè 1* uno e 1* altro cavaliero
Di spronar coair* a lui, che dorè stampa
Fu più d* altro ancor mai snello e leggiero ;
Il dispietato ferro, un sol non scampa.
UIXXIV
vet
Pare ogni brando lor la lingua acuta
Uccise ancora il mìsero Formo,
Di serpe annosa, che scn (orba al sole,
Che nacque all’ Allobrogiea Lisera,
Che ’n tal preslexxa la rivolge e mula.
E gli mandò la testa sul terreno.
Che sembrar triforcata al guardo mole;
Come grandine ì fior di primavera ;
Tal s’ ingannò di molti la veduta
Dop'esso Croio nel medesmo seno,
All* assalto mortai, che creder vuole.
Ma ìn basso alquanto, ove più corre altera ;
Scemcndole alte e basse all* istess* ora,
Che le tempie ambedue traverse passa,
Che tre spade ciascuno oprasse allora.
E Palarcon eou lui morto anco lana.
LXSXV
xcti
Ma come a Scgiirano a Palamede
Poscia il compagno suo segne Balerlo,
Pur il medesmo, c per la calca avvenne;
Che ’n dietro quanto pnò ratto fuggia ;
Ch* alla lite riaieiiD farsalo cede
Il qual per gli allrnì danni del suo certo,
Al gran seguace ilnol, che sovra venne
Mal ritruova al suo scampo aperta via;
E cosi questo, e quel rivolge il piede
Che ’l valoroso Ariani, dove ìoserto
Sopra il misero vulgo e eammin tenne
Par, che ’l cullo coi nervi al capo stia.
Si diverso in tra se, che non poleo
Con un riverso in tal maniera il coglie.
Il desir disfogar, che *n core aveo.
Che tosto quel da questi ti disctoglie.
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icm
Troova Promaco appr«$so, che «ignorc
Fu grande aU* Aquitanica Rorrrlla,
Cb*avai]a«i dì rirrhrua t di aplendorc
Quanti allor Vìtiguli erano in ella;
E. 'ntomo avea di ungue e di valore
Schiera di cavalicr Corila e bella.
Che viene a ricercar col cor aicnro,
Ove tanti uccidea l'invitto Arturo,
sctv
£ perchè innaoii agli altri alquanto »prona,
Lui rincontra Ìl Britanno tutto solo.
Cui ai gran colpo aupra 1* elmo dona.
Che '1 fa rader senza sentirne duolo ;
Degli altri, cli'eran seco, I' abbandona
Tutto in un punto il fuggiUvu stuolo;
E Porme ivi ciascun piu ascose segna.
Temendo, che *1 mcdesmu a luì n* avvegna.
xcv
Qnal la mìsera cerva, che si vede
Presso al fero leone il ptccioi figlio.
Che si strugge di <inul, ma non provvede,
Che glie! vieta il lìmor del rrudu artiglio ;
E mentre in dubbio tien la mente e*l piede,
Il crudo predator fatto vermiglio
Sceme del sangue pio, perdi' ella al fine
S'appiatta e fogge alle più ascose spine.
xcvi
Tale awien di custor, ma d* essi fMrte
Non pon di lui schivar 1* invitta spada.
Questo uccÌM) rovina, e quello sparte
Vede le membra sue sopra la strada;
Non vai contro al gran re rìngegno o l’arte,
Nè il sentier ritrovar, che cieco vada;
Che 'I feroce cursìer si ratto vola.
Che la speranza, e '1 tempo a lutti invola,
xcvii
Ma non mollo indugiò, che *1 gran romore
L* orecchie a Palamede ripercuote,
Che poi che di Boorte ave il furore
Qnelalo ìu parte, gio per vie remote.
Come il porti! il bisogno, e 1' aspro core,
Ove altro duce contrastar non pnote,
E li facea con nuova meravìglia
D'iaGoiti guerrier Terba vermiglia,
acviii
Or cangiando sentier, tosto s* invia
Ove seute il romor del gran Britanno,
Ed a quanti altri sìen, eh' ei truove in via,
Dona perpetua notte, o lungo affanno;
Tra* quai Finasso il bianco, che venia
Facendo a* suoi nemìri estremo danno;
E gli dà colpo tal si>pra la testa.
Che senza senso aver, qual morto resta ;
zcix
Ma da* iQoi ricevuto sì sostiene
Sopra la sella pur tanto, die uscito
Fuor della stretta calca, in lungo viene,
Ove Ietto sicoro ha il basso lìlo;
Tniova : Agraven, die vendicar le pene
Deir amico fcdel cerca ferito
Ma non può a si gran forza contraddire
Ch'ai deslipato fio gli toglie il gire.
Poi di Lsndone il destro e d' Urianoi,
E del Briin senza gioia, e di Uslrhino
I.* intoppo inronlra, che purgran la mano
Per romper l'onorato suo canimioo.
Pensando in lor, che poi sarebbe vano
L'aiutar il grao re da tal vicino,
li tanto piu se inaspcltalo vrgna,
Mentre altrove occupato il brando legna*
CI
Ha il fero re dell’ Ebridi, qnal snole
Tigre, che molli dì lame sostenne,
<>he dopo un lungo andare att'oinlira, e al sole
Bramato armento ritrovar s' avvenne;
Che morso, o piaga nonraniiggro duole
Dì cane, e di pastur, ch'ivi convenne;
£ mai grado di quei sbrama la voglia
Sopra il loro primicr, di' al pasco aceoglia;
Ctt
Tal ei senza curar deiraltriii brando,
Con la fronte aliba»<ata cerca Arlnro ;
Il qnal d'ogiii tìnior viveva io bando,
Che gli parea da’fiaoc|;Ì esser sicuro.
Allor di' ei sente pure allo chiamando:
Erruvi, u sacro re, quel giorno osruro.
Che in man di PaUtnede vi ripone.
Con gran lode di lui morto o prigione.
cm
Rivolgesi il p-an re, che questo ascolta,
E gii è nolo di lui l’alto valore,
Lassaiidii di seguir la schiera folta,
Ma iiilrcpiiia la mano e fermo il core,
E gli dire: Speranza frate r stolta
Avrà ciascun, che risvegliar timore
tu questa alma vorrà, che sola cede
A chi riticn in ciel l'eterna sede.
ar
E per mostrargli ben, che poco il cura.
Fu il primiero, e ’l ferì sopra la testa:
Ma cits! ferma in essa è T arme e dura,
t.he in aria il colpo, e senza danno resta
Ed ei ch'era possente oUra misura,
E se mai in altra guerra, or brama io questa
Spiegar quanta ha virtù, di pietà nudo
Scarca il brando mortai sopra tu scudo.
ev
E dille aurate tredici corone,
Ood'egli è lutto intorno inghirlandalo,
Quattro, che 'n cima lou, rotte ne pone
Lnnian dall' altre all' arenoso prato ;
Ha in mille parti addoppia la quislìonc;
Che *1 deiir va crrsccudo io ogni Iato
Di provveder per lui ratto soccorsu,
OniT ogni buon guerriero ivi era accorso.
evi
Tra' primi fu al venir Florio il Toscano,
Seco avea Gargantiuo e T^Iamoro,
Il cavalter Norgallo ed Abundanu,
Con Melìasso il beilo, e ’i buuu Manduru,
Il famoso Brallenu ed Amìltano,
Alibel quel dì Logrr ed Argannro;
Ma il pio Carado'SO innanzi viene,
Che la candida insegna in alto tiene.
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L AVARCHIDE
evii
E rnn fona eoUl ci*«rmio *pto|e
11 ferorp rurstcr, rlie PaUmrde
Non pilli più innanzi andar, ma lì riilrin|te
Cu* tuoi, rhe acciuti al prati LÌKipno vedr;
r.li'opni biinii raTalIcr pia ti dipinge
La palma in cor di mille ornate prede.
Da poi die trorpon tol Taltu Britannu
Ila* tuoi deci niglior, che luugc sLanno.
CXIV
Non aitrimcnti fan, eh* affamato ono,
Che *1 soave Icior dell* api Irove
Ch'ìndi a farlo rilrar non vai soccorso
Di rubtuto villan, che l'asta muove;
Nè dell’ ago di lor 1* agulo morso,
Nè di ertùio maitin ferite nuove
Ma tcherurodo ogni offesa, e d* ogni parte,
Menirv che dura il mele, Ìndi non parte.
C*lll
Ivi i pii il Fortunato, e Bronadauo,
Safaro, Oinadano, e Butlarino,
II potteole Argillune, e Hatanattn,
Che fu già di Durriiza aspro vicino:
Or poi ch'ha ron roilur ragpiuniu Ìl patto
Il (rru re dell' Ebridi, il eamniino
Iliprendc rimira Arliiro, e '1 nuovo corno.
Che gli ha falla muraglia, e vallo inloruo.
cxv
Simil fan questi quattro, eh* all* estremo
Quasi han condotto il misero Britanno,
di' era di spirto ornai sì frale e scemo.
Che poco era lootan 1’ ultimo affanno;
Ma il famoso Bourte a velo e remo,
Ch'avea sentilo il gran pnbblico danno,
Air ultimo bisogno apparito era.
Quando si giorno miglior ginageva a icra.
Cfx
Di loro iQ pnita, rhe nel pasco erboeo
D' amor toapinlo col rivale è in guerra.
Che ’ndielro toroa a render più ^aaioto
Campo allo tronlro, e *I corso poi diaierra
Si rado e fermo, che vilioriuSo
Se vede, e 1' avversario essere a terra.
Che piuvioetto ancora, o manco saggio
Non prese al tuo ferir pari il vantaggio {
cxvt
Quale al miser aoccliier, eb'a notte oicnra
Poi die rotte ha dal mar sarte e governo,
£ r antenna spezzala, o mal sàcnra
Sopr' arbor frale al tempestoso verno ;
Ch* ovunque eì guarda ornai, di morte dura
Vede l'imniagu, e del tartareo interao;
Ch' ogni dolce in un punto gli riduce
Il piu splendor di Castore e di Polluce ;
ex
Urla il forte drappel con tanta forza,
r.he'l poleu sostener quell’ altro a prua:
Pnr la chiara virtù, rhe *1 corpo sforza.
Presili io quel pnnto lor vigore e Ima;
Ma il cavai di Bralien la poggia e l'orza
Alternando più volle in su Carena
Cadde sul ventre al fine, e '1 tuo signore
Tosto del fascio rio ai mise fuore.
ezvii
Tal fu al misero Arlnro, che si scorge
Fra tanti e tal gtierrier con poca sproe,
Tom* ci sente il romor, che io allo sorge.
Del piu fioorte, ch'ai soccorso viene;
O^ni perduta forza Ìo lui risorge,
E s' apparecchia a dar dovute pene
A chi 'J tratta sì male; e *n qoesla sente
Già Bourte arrivar ira quella gente.
CZI
Fe'l mrdetmo Abondan, ehe'l anodeatriero
Airapjiarir di quei si leva in alto
Per oprar morto, e piè, tal die leggiero
Fu a OinaiJao dì porlo tu lo smaltii.
Drizzosse a neh* ci ; ma più sicuro c fero
Che Libico leooe in quell* astalto
Fa il re, poi ch'ai ferir di Palamede
Con diivanlaggio tal cìnto ai vede.
aviu
Che qoai Irvi eervier, ch'aggian tro vasto
Da botchereceio arcier ferita dama.
Che riian raggiunta, e 1* uno all'altro a lato
Il passato digiuii sovr'esaa sbrama;
Ch' ivi il fero leon tovra arrivato
Vrggioo vicin, come la voglia il chiama;
<^* a lui lattan la preda, e si rimUisca
Ciascuno, ov’ è la via più ascosa e fosca ;
CXII
Ma polca mal durar die ilretll insiemt
Son lattando tutti altri a luì d' intorno;
Ripcntando fra lor, che *1 frullo e '1 teme
Di tutto il guerreggiare avea quel giorno,
Chi cl' uo lai re cui tatto il mondo teme,
Andar polca delta vittoria adorno,
E Satar, Butlarino, e *1 Furloualo
L* han cui lor Palamede circondalo.
enz
Così fer questi c tmova Boslarino,
E *0 fronte il fere tal, che non piu vale
A sostenerle in piè, rhe sul cammino
Andò volando a ironcou rotto egnalc ;
Safaro, e '1 Fortanalu a lui vicino
('.gl medesmo furore appresso assale.
Non abbatte già quei, ma concia in modo,
Ch* al famoso suo re squarcialo ha il nodo
cxm
Fiorio e Brallcno, e ’l cavalier Norgallo
Stan, quai ferme coloooe, alla difesa;
(Quello sprona al traverso il suo cavallo.
Ove pi» penta a quei far grave oiTcta ;
Quest* altro al dritto, e nessun fere in fallo,
Che qttanlo venga d'alto, e quanto pesa
Li spada di ciascun, posson sentire:
Ma dispoilo haunu in cor tutto soffrire.
cxx
E '1 troova, che la spada gli è caduta.
Ma sospesa la tien la sua catena ;
Nel destro braccio avea breve femta.
Tra '1 gomito c la man, presso alla vena
Che dal capo s' appella, al qnale aiuta,
K può nooccre ancor sovmoliio piena ;
L'elmo avea bene intero, ma la lesta
Intonala de' colpì, « debil resta.
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AV ARCniDE
Poluelo «I t«^, c ’ocoatra •' ap|Mreceliia
Al fero Paiaotcde, che V aliraAe,
E gli dà «a colpo alia •ioìstra i>reecli(a
Sìf che loaga atay^ioB 1* adire offende |
E riaorar eoa lai la lite veechìa
Il peoticr gtoeiail dolceaa preatic ;
Ma bM poco darA, che al proprio ponto
Nooto d* altri goerrier drappello i gionto;
curri
Che di moloaM in poita, die sentito
Di cani e cacciatori appia al romore.
Che scoperto è il cingiale in qmlche lito.
Onde, nal predo eoo, si trore fuore ;
Che per sentler più brere, e manco trito.
Non corando di spine aspro ripore.
Che pii offenda rorcerhie, pii occhi e ‘I dorso,
Otc *1 pensa trovare addrisa il cono :
cxxrn
Sobilo appar V altero Sepnrano,
Che lasaando opni impresa ivi s* avventa,
A fin che di Britannìa il re sovrano
Senxa Ini morte, o carcere non senta :
Invido fatto in se, che alcona mano
Se oon la sna, di farlo s* arpomenta ;
E pianse in tempo, che Io avea Boorte
Tratto già di periglio, e d’aspra sorte,
cxatv
Che mentre ‘in pnerra sta con Palamede,
Il cBvalier fVorpallo, e Florio insieme
ilan posto Arturo in più semra sede
Fuor della schiera avversa, che gli preme,
E verso il padiplion volgono tl piede,
Che già il misero re sospira e grme
Del dolor della piaga, eh* ave al braccio,
E eh* a difesa far gli dona impaccio,
exxv
Ma 1* Iberno erodel, rome saetta,
Senza soi|Mtto lor ^ià sovra piange t
Molti bassi pnerrien a terra getta,
E *l cavalier Norgallo al Banco pange;
Ma non fa il colpo soo senza vendetta,
Perchà Fiorio al soccorso si congiuoge
Del dolce amico, e ‘1 capo a lai perente
Si, che tranar gli ha fatte arabe te gote.
czzvt
Ma di qaesto, nè d’altro non pii cale,
Che tien aolo al gran re l'animo inteso;
E Col valor, eh* avta quasi immortale,
11 poMcnle SDO brando ha in lui disteso ;
E Wn era al cader più che mortale,
Ma dal chiaro Toaean si beo difeso
Fn eoi sno scodo del porpareo piglio,
Che scampar# U poteo d' ogni periglio,
ctxvit
Venne ietanto Alibello, ed Arganoro,
Amillano, e Tanlasso al maggior uopo,
E fan isaova maraglia al re di loro,
Chi davanti, chi ai banchi, e chi gli è dopo ;
E 'I iero Iberno entrato fra eo«toro
D'ira avea gli occhi in goisa di piropo;
E batte questo e quel, ma indarno adopra,
Clir pur troppo era salo a sì grand' opra.
CXVVtM
Ma la fortuna avversa del Bn'laooo
Conduce a Sepuran novella aita ;
Che'nsieme rongiurata al nuovo danno
Gli vicn de* suoi miglior genie gradita;
Con Arino il frilon eonginnii vanno
GrHbn, Brnmcn, Faraoo, il forte Archita,
Il Ner perduto, il perfido Agropcro,
Ferraodoue, Esclaborre, e Siuondero.
CXXit
E qual grandine folta, eh* al pastore.
Che 'auontro a levi ptoggie avea di fronde
Fatto un debile albei^Oi rhe in poeh* ore
Tutto il sostegno van batte e confbade ;
Tale aggiunti costoro al gran furore.
Ch'estremo in Separano il cielo infonde.
Quanto riparo avea nell* aspra guerra
Arturo intorno a se, pongono a terra,
exzz
n cavalier Norgallo, e Florio in piede
Di quanti altri vi son restano a pena ;
Gli altri han del s«to destrier cangiata sede,
B sotto il peso lor calcan I* arena ;
11 buon re quasi alla sua sorte cede,
E di viro restar si mnor di pena ;
Che 1 fero Segurao già ardito piglia
Del suo regio coruer 1* aurata brìglia.
cxzri
Ha il famoso Trìstau, rhe in altra parte
Ha del suo re maggior la piaga intesa.
Qual leve siral da eocca, si disparte,
O saetta dal eiel per I* aria accesa.
Con più furor, che 'I bellicoso Marte
Non feo mai de* giganti all'alta impresa,
E giunge appunto in quel, che Separano
Alt' oQoruto fren pooea la mano.
evxsti
Nè batte mai sì forte in Mnngibello
Ciclopo incade, quando irato è Giove,
Che Tristan fe’ in quel punto sopra quello,
Che vuole il sno signor menare altrove ;
Colselo nel cimìcrn, e cader fello,
Come piuma sollìl, rhe I* aura muove ;
E griutnona il eervei si, che la Irsta
Quasi sopra l'arcioo dormeudo resta.
CXXIIII
Vasienr olirà spronando, e trova Archila,
Che vien del sno Signor alla vendetta,
E senza fronte avere e senza vita
In dne tronchi divìso a terra il getta t
Escalborre, e Grìfon, rhe in nuova aita
Tengono ad ambe man la spada stretta.
Quel nella spalla destra, e qiicstn al fianco
Percoteva aspramente il iato manco,
rzxxiv
Non cadder già, ma d'ogoi forza privi,
E scnaa più impedirlo dtmoraro ;
Il cavalier Norgallo, e Fiorio, ch'ivi
Scorgono ai lor disegni alta riparo,
Il gran Arturo, che ungaigni rivi
Versa dal braccio con dolore amaro,
Rìconducon sernro al padiglione.
Ove angoscioso al letto ti rtpoite.
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ARGOUENTO
il re. Lapo $ostira la ria ha$tapUa^
ncriio il drstrier viene o Tritiaocm
Palamede i Britanni incalta, e taglia
A CaradatiQ V una e F altra manop
Mentre dall' altm lato li travapUa
Co' suoi feroci lòerni Sepurano.
P. Galealto dal re Lago indotto
Chieder F armi fatali a Lancilotio,
G »
U con le fliilW liofiM lotorao §ìt«»
£ con le nìlU ?oci in ilio §nclo
La dea Tclnce. ebe col capo Arriva,
Ov* allo abbraccia il va^ empìreo nido
E dove opni alma di spcraaaa è priva.
Col piè li pota nel tarUreo lido,
E con l'ale eangianli or alta, or baasa
Di volar ooUc c dì non fu mai laaaa.
Il
Quella il danira d'Arlnro, • ipesio ancora
Che lia morlo, o pri|{ion raccuula altrui )
E che lien aeco poi di vita Cuora
Trìilan, Boorle, e i miglior duci ani i
Tal che veder ai può soia in brev' ora
Fnggir ciascun, e noo Mper da mi,
Di cor, di senio, e di cooiigiio scosso,
Come dal proprio folgore percosso,
ili
E ’n fra gli altri all' orecchie era venuto
Del vecchio re dell' Orcadi Ì1 romorc ;
Che porge Ìo altra parte Odo aiuto
Al lioislro suo corno, che '1 furore
Mal regger può, che gli c sopravvenuto,
Di Verrallo l' Ispan, ch'ugni migliore
Trailo fuor de^li arcier s'è innanti spinloi
E le schiere di luì n'ha intorno eia tu,
IV
Le ifnaì nude d' un Caneo di difeso
D'altri simili a quelli, o di destrieri,
Sun foraate a soSrir mortali offese,
Riservando al dover gli ordini interi;
Ma il dotto vecchio in ciò mille aste prese
De' più antichi giserrier più esperti e ferì.
Che ritrovasse allor lUII' altro lato.
Che dal corno, ch'ca destra, era guardalo.
E per torlo cammm, più a loro aecoee^
Subito c d’ improvviso gli percuote t
Tal che di sé fa Ìl lilo sauguiooso.
Chi non cerca al fuggir le vìe più notes
Or mentre torna a' suoi vittorioso,
B gl' ìnnalsa lodando in chiare note;
Vico volando SoHsante, che gli dica
La novella d’ Arturo a^ra c 'afolicc t
TI
£ se sia vivo, o morto hn posto In forse.
Perche 'I peggio credei, ma dir no 'I vuole.
ScoM rìspMta dare il buon re corse.
Che gli spirti ha smarriti, e le parole ;
E non doglia minor l' alma gli morse.
Che del morto figliaol pia madre suole j
E ciugne al jMdigliuoc, ove ritruova
Serbia, ebe di aanarlo é posto io pruova.
TU
Or qua), pria che s'allome affatto il giorno.
Il tenebroso gel l'Aurora scioglie;
Che rischiarar si veggion d' ogn' intorno
Le piaggie c ì colli, a rallegrar le voglie
Si srntoo degli aagei, ch'ai canto a tomo
Pan dolce risonare e^lle e foglie;
E dì mille bei fiorì aprire ìl sem>
Si acorge al sao venir l’almo terreno»
TIU
Tale ogm suo pensier chiaro diventa.
Spoglialo il bron nell* oscuralo core ;
Poi parla al grande Arturo, il qual tormenti
Del rafflreddato male aspro dolore ;
Non è di scettro degno, chi non senta
Dall'amaro laior, ch'apporlan l'orc;
Che questo solo i re perfetti face,
E che '1 bea ai cunosee, e che più piace.
Il
E tanto più, che non dietro alla fronto,
O in loco uve chi fugge non difende ;
Ma in quella parte, che con forse pronte
Tatto il resto rieuopre, c gli altri offende,
Vé giunto il danno ; e ronorato fonte
Dell' arte, eh' al aanar le piaghe intende.
Qui con voi scemo; il qealc ho già vedalo
Rìtor 1' alme laggiù dì grembo a Fiuto.
X
Ah, rsspoude il gran re, giocondo padre,
Ben rendo grasse al Cicl, che la vsllade.
Come san le nemiche, c le mie squadre,
Non m'ha (atte lassar d’onor le strade;
Ma desio forse d' opere leggiadre.
Olirà il dever di regìa qualitadn,
Con poca compagnia troppo mi spìnse,
Ove il mio buon voler Fortuna vinse.
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K
L A t A R C U I p E
Nè mi dnol del mìo m«1, nè mi dorrei
D'etAer l*er ria «dal venolo • morie;
Ma rhe per mia ra^iiune i duri miei
Sien, laiM, indotU a perifsUiua «orle;
E volentier mia »«*rle raogerei
Col famom Triitao» fot pio Boorle,
Che per la mia »alale in tale italo
Lauai^ch*» «arò «empre «coniolalu.
>. ■ >
1 . . • * .1
1 « 1 , tVIM * • V • 1
E’n fra gli allri Ahnndano, c Brallen lenva
Chr dal fero incontrar fur po»li a pic«l0;
Dà lor frr«c(i Q[»riiero, e lancia nuova,
E iP ogni arm^ perduta rìpruwrde;
Col dir da poi, rhe in tal mi«erie giova,
Già «'avvicina, dnve Palamrde,
Srgurano, e Trialan anno, e Uianrle
In pcriglioaa ancora e dubbia aorte.
xn
E parò prego voi, dure famowi,
Che eoo quanti qui man, e «ieiio altrove.
Dì trar quei due del loro penglioui
Facciale per mio amore ultime pn»ve;
£'l candido fticndardo, or «anguinnm,
Che '1 bnon re Caradui»4> al vento muove,
Non reati de‘ oemiei a lungo «cherno,
E del pubblico ooor naufragio eteruo.
XIX
E rilruAva in quel poirtn. rh* a Trillano
Il poaaenle cavai cuu P empio airale
Ellero orritu arra P empio Germano, •
i Si rhe d'indi riirarie arte noo vale;
Ma mentre tiene il grave icudo in maun,
Dell' offne d'ogni uom poro gli cale.
Perché con quello ogn* impelo «oitime,
E d' arme e di curaier, che ‘ncontra viene.
Kilt
Coai diale H Britanno, e con gran pena,
perchè ‘1 «angue perduto, r Palla doglia
D* ardir non già, ma ben di ipirto c lena
E del primo vigor le membra ipogUa.
Riiponde il re dcH'Orcadi: Serena
Reati in voi eoi «perar eiaaruna voglia,
Ch* io ben v’obbedirò, qual piò «i deve,
£ braaaate novelle avrete in breve.
XX
Par nell* Alpi nevoae orso «elvaggio,
Tra cani e careìator serrata e cinto,
Drillo appoggialo al più robuato faggio.
Con drnli rd unghie alla difesa accinto ;
Ch'or quel mastio, rhe lascia il suo vantaggio,
Or l'ardito villano a morte ha «pintn;
E ch'or quel ferro agtito, ed or qnelPasta
Con le setole braccia or tronca, or guasta.
XfT
Tal parlantio »i parie; e con lui vanno
Il ravalier Tornano, e *1 bnon Nurgallo;
Meliauo, e Hador Piateoo fanno,
E di tulli riairun cangia raralln ;
Ch’ai fero battagliar ai acerbo danno
Soffrir, che perdonar ai poole il fallo,
Ch’ ei fero ai lor aignor, ch'un *ol non vera,
Ch' aggiu u crollare il piè la fona intera.
xxt
Tale il chiaro Tristano or quello ancidr.
Or chi agginnger non può del desirìer priva;
Tal rhe più non ai Irtiova, chi a' afltde
Di presto andar, qttanlo la spada arriva,
Ma con «asti e con danli gli cooqnidc
Del doralo leon T immagin viva,
Con qnello allo romor, chc’ntomo utona,
tjualor grandine folta i tetti iuluona.
XV
Coti apronaudo ioairme, molla gente
Trovao dietro tornar, che '1 campo laaaa,
Per la fama del re trilla e dolente,
Di timor rolma, e di aperanxa eaita ;
Ma il aaggio re delPOrcadi altamente
Va riaacon confortando, uvuuqne paaaa :
Piu che mai vivo fowe é il grande Arturo,
E di morta] periglio ornai securo.
xxrl
E 1 penaan di ilancar, che polca forse,
Ma con lunga ilagion, loro avvenire:
E *1 irampi'i, che P Iberno i tuoi Microrae,
£ pasto il ano dìaegno al rivenire :
Già eoi buon cavalier P Orcado arrorse
Gridando: Or dee temer di mai perire
Il mio clitam Trialan, mentre il suo Lago
Nou ha varcato ancor di Stige il Lago f
xrl
Rilomiam. cari figli, alla battaglia,
Ch' ora è Ì1 tempo migliore, in eoi ai moatre,
Che con ragione al ciel volando taglia
Il grido illnatrc delle glorie votlret
E che «enta il gran re, che noo ei amaglia
li tenace valor drIP armi noitre
Per breve colpo ; c aopra lor non puote
La nuuMca Fortuna, o le sue rote.
XTItl
Coai detto, olirà passa, c col drappello.
Quanti intorno a Ini aon per terra stende ;
Queslu cade impiagato, o morto quello,
K d' un colpo medeamo molti offende;
E 'd breve adnpra, ebe bi atuol ribello,
<ih' era pria vinrilor, vinto si rende;
E del cacciare altrui la primiera arte,
Or in Ioatu fuggir totU diparte.
xvn
In lai voci va toiiaoxt, e 'neootra moHi,
Che d'iodiclro tornare hanno cagione;
Ch'han le membraimpiagale, e ataunoavvolli
Di aaogitìooac righe ao 1 arciime ;
tenesti liiUi conaula, e gli ha rivolli
(.o’aiioi mioialri al firoprio padigliunc ;
Il qual largo ahUundava d ogni aita.
Che coovegua a curar piaga c ferita.
xv»v
Non gli argoe il re Lago e ’ndieiro rìeJe,
E destrier iiobiliaiimo apprcaenU
Al buon Triitan, che di famoie prede
Ebbe, dove P Albera Era diventa,
Al tempi, che d* Albìo P ultimo erede,
E P AIvrrnica prole rendè ipenla
Già il trrx' anno davanti, e rhinse il passo
Al auccorao maggior del re Clodasso.
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I
l’ avarchide
ago
1
SaIU in CMC TriUtn, die gliel condnee
Dell* Orcedo il iendter, detto AUniooe (
Or |li par racq^nistir del «ol la luce,
A*e»dendo il gaerrìer nel onoro arcioae,
£ dice al vecchio re t Signore e due*
Foste dei mio voler d' o|(ai stagiooef
Or sarete dell* alma c 4*11< vita,
Ch*o|gi meco rùnan per vostra aita.
savi
Mentre parUn così, Klorìo rivolto.
Vede in contrasto rio dalla man manca,
Nel medesmo senlicr, non luope mollo,
Del lor famoso re l’ insegna bianca :
E lurida: Alti gucrrìer, tra *1 popol folto
io trista erultar, oual vinta c stanca,
L* alia guida reale, c uiasmo eterno
Ne sarà di soffrir si ontoso scherno.
savi!
Così licito, spronando ardito è mosso,
E di quanti altri son giange il primiero,
E trova il valoroso Caradosso
D’aspro ituol circondalo ioiqno e fero;
Palamede, c Salar gli sono addosso.
Con MaUnasso, e ‘I perfido Agrogero;
£ chi la fronte, e chi le spalle offende.
Chi scolendo 1 insegna 1* asta prende.
ssriu
Del misero nocchier la vela pare,
Lo qual fcrio si subita tempesta,
Ch* a tempo io basso non la può piegare.
Ma di contrari venti in preda resta ;
Cb*or da poggia percossa alla gonfiare.
Or dalPoraa abbattuta, esser muleita
Si può vedere aU’arbor, ch'ella abbraccia.
Con le piaghe di cui se stessa slrarcia.
XXIX
Il fero Palamede, io se sdegnato,
Che gli cuntcoda il ciel cosi hell' opra,
Quanto pnote il braccial del destro lato
Perrole, eh* alla man poco vico sopra ;
Gettala, come ramo inciso al prato:
Ma Caradosso allur la manca adnpra,
£ con quella rilien sì ben, che basta.
Dell' insegna reai la sacrata asta.
XXX
Torna il crudele, e quella ancora incìde
Onde cu’ Irouchi soli il re infclite.
Che dalle ciliare mau lassi divide,
L' abbraccia ancora, ed alUmente dire :
In 6n che 1' alma questa spoglia guide,
D' abbandonar tal segno si disdirti
Ma nella fronte PaUmede il fere,
fi con r asta imbracciala U fa cadere.
XXXI
Pensa I* Ebrido in se ehiaro guadagno,
£ per sempre famoso aver quel giuruu ;
Quando il fido TuKan del suo compagno
Al soccorso arrivò di fede adorno,
Gridando : Allo signor, troppo mi lagno
Di ritrovarvi all* ultimo soggiorno {
Ma mi consola il Cu, eh* e stato in guisa,
Che non uc fia già usai la giuria ancisa.
XXXII
Così dicendo, corre a Palamede,
Che per 1* insegna aver a* inchina a terra,
E nell’elmo abbassalo in modo il fiede
Che con Pinearco suo tutto l* atterrai
L’altro, che del cavai si trova a piede.
Tosto si rappresenta a nuova guerra ;
E come fu leggiero a meraviglia.
Del Toscauo aJ deslner prende la briglia :
XXXJIJ
E ’nlomo ad ambe mani il gira e scuote
E per torgli ogni tempo non s* arresla {
Nè r Italo guerrìer ferire il puote,
Che sruilo del destrier gli fa la testa t
Pur di puuta sì spesso il ripercuote
Dal volto io basso in quella partee ’n questa.
Che non lunga slagion durar potria.
Non truvaudu al suo fin novella via ;
XXXIV
Ma sol con la sinistra il morso tiene,
E con la destra man ripiglia il braudo.
Che soiLenulu pria dalle catene
Avea lauato gir per terra errando ;
E tra ’l capo e la gola, ove non vieoe
L’ acciaro, a fin eh* ei possa al suo eomaudo
Bea la lesta crollar, gli pion la pania.
Ove al sommo spirar la canna spunta.
XXXV
Stilla il sangue lontauu, e T arme lioge
Di color porporino a chi I' offende ;
Il percosso cavai per doglia spinge
Se stesso in alto, e dritto si distende t
Poi tre vulte per 1* aria allarga e stringe
L' uu piede c l'altro, che levato pende;
ludi col sue signor tulio in un mualc
Stampa il terrcn con I* impiagala fronte.
XXXVI
Ma perchè *1 suo cader saggio antivede.
Il famoso Toscan rimase sciolto;
Nè prima in terra fu, che sorse in piede
Di dolor, d’ira, e dì disdegno avvolto,
E dice : Or come mai piu Palemede
Potrà scasa arrossir mostrare il volto
Trai miglior cavalier, s'è il maggior UUo,
Clic si conti al guerricr, dare al cavallo I
xxxvit
E uon polrtsle voi, aè quanti stanno
Deir Ebridi nebbiose ab'acr fosco
Appagar il corsiero oode il Britanno
L'altr’ìcr fu largo al suo fidato Tosco)
Ma non sarà per voi minore il danno
Il ritrovarle a piede io guerra nosco;
Che sol cott questa mau, non col destriero.
Dì guadagnare uour secar# spero.
XXXVIII
Cosi detto, •’ appressa al loco, dove
Abbracciando 1* insegna morto giace
11 re famoso, c li mirabil prove
L' uno c l'altro guerrier di uuovo face;
Questo onore e pietà, quell’ altro muove
Della soglia acquistar desto rapace ;
Questo allessa di cuore, e pia bouladr,
Quel valor naturale, e fcriude.
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xxitx
E ro$ì per rs|tioni su»! divene
L* ODO e r altro c magnanimo e<l ardito.
Già I' Ebrido il primirr, che i trmpo scerae»
Sopra la delira ipalla area ferito
Il (tran Toicao, rbr mal li Hcoperie ;
Che tanto dall' ardore ha il cor rapilo
Dì far del luo cavai vendetta chiara,
Ch'ai danno che gii vico, poco ripara;
XL
Tal che Tomo travrrao, il qaale appaio
Co" tenaci inoi nervi il braccio tiene,
Fu di picciola piaga alqnanio olTeio,
E punte lopra lui le anguste vene;
Il Toican lui percoir, ore loipeio
Lo scudo alla siniitra in allo viene t
E per forza, eh* avesse, anch' ci non falla
D'esso inpiagar Bella contraria spalla.
XLt
E lo scudo ferrato gli divise.
In fin dove a qnel loro ricopria;
L'altro una punta alla visiera mite,
Ch' alle luci arrivar dritta venia ;
Ma dove ambe le ciglia in nno assise
Per ìnarrarse poi prrndon la via,
Ginnse il colpo nel mezzo, c drenlo passa,
E ‘1 volto sangninoto intorno lasaa.
ztfi
Ma però che non gio profonda molto,
K che il loco per se non è mortale,
Non gli fa tanto mal, che a Isti rivolto,
Di punta anch* ci, qnantu U forza vale,
Nella sinistra parte il collo ba colto,
Ove il piti rigid* osso in alto sale:
E venne addentro assai, ma min che vaglia
A dar fine, u impedir quella battaglia.
«Liti
Or così già vicin l'iin T altro vanno,
Che la spada al ferir non ha più loco ;
Pungon ai ferri man, eh' al fianco stanno,
(ion vie più periglioso e breve gioco:
In più d' un iato ornai percossi s'hanno.
Si ch'ai tt-rmìne gir mancava poro;
Ma il cavalier NorgalJo, che veduto
Ha r ioiegiia cader, quivi é venato.
XLIV
Corse con qnel furor, che'l buon nocchiero
di' agaia visto cader lalor percossa
O d' Austro, o d' Aqnilon da spirto fero
La fida anlcmia dal sostegno scossa.
Ch'or quinci, or quindi va pronto e leggiero,
Ora il grido adoprando, or la sua possa,
In fin che risarcito, o ben rendnto
Al suo loco primiero ha il danno avuto.
XLV
Urta col suo cavai senz' altra cura
Il fero Palamede, eh' a pié trova;
Cailde ei riverso, e '1 non aver paura,
Nè I valore infinito assai gli giova.
Ha Come era gravalo d' armadura,
Di tosto rilevar si mette io prova,
f.r>n quella ;hu snellezza, che faria
llaitnio liuaecl, che sciolto sia.
xtn
E rivolto al fforgallo dicea t Come
Non vi punse vergogna d'assalire
Un solo a piede, e eh' ha le forze dome
Dal lungo affaticare, e dal ferire,
Con tal lirsiriere f e dove or rade il nome,
Ch'io lolea per lo mondo altero adire
Del cavalier Norgallo f eh' a mie spese
Ho provato riilauo e discortese.
XLVt/
Risponde l'altro a iuit Non sempre è t'ora
D'usar la cortesia, nè in ogni parte;
Ch'ove del suo Signore Ìl ben dimora.
Deve il gnerrier leal provare ogni arte ;
Com'or drUL'io che *n fin ch'io scema ancora
L' insegne del mio re per terra sparte,
Per drizzarrindi, e torle d'altrui mano
Poco cura mi fia 1' esser villano:
XLTirt
Ma dopo tale impresa, in ciascun loco
Spera il basso Norgallo a Palamede
Di far veder, che'n qnesto e io ogni gioco
Air Ebrido valor di nulla cede;
E che Hi cortesia lo scalde ìl foco
Qnando il vool la slagion, potrà far fede,
(Uime io più d'uno assalto mostrò assai
Ch’ai suo dovuto onor non falli mai»
XLIZ
E'n questo dir, dì onoro anco l'atterra,
Ma non cerca però di porlo a morte;
E 'I buon Toscano sciolto d'aspra guerra
Non lassa indarno gir la chiara sorte;
Che le man porge, ove negletta in terra
L' insegna si giacca priva di scorte ;
E per salva condurla ìl passo muove,
Quando nuova tempesta vico d' altrove ;
t
Che tomaio è Tardilo Segurano,
Con Anrino Ìl fellone, e 'I Ner perdalo,
Grifon dell'alto passo, e'I suo Rossano,
A cui il tulio vigore è rinveouto
Del colpo acerbo, che dall' aspra maoo
Area dì Haligaote ricevuto;
E dei quattro gucrrier fu tal l'intoppo,
Ch' a due stanchi, c mal sani era pur troppo.
LI
Fu il famoso Toscsn primo percosso.
Che già in allo steiidea la bianca insegoa;
Della qual resta d'iinproviso scosso,
Perchè nullo ha timor, ch'altri sorvegna ;
E quale abeto da radice smosso
Da Borea al freddo ciel, quando più regna.
Per T urto crudo del fellone Arvino
Si rìlruova giacer col capo chino.
MI
E quantunque tenesse cosi steso,
E baltiilo com'era, in braccio stretta
La chiara insegna, si rllrvuva offeso
Da cosi grave stool, rh'a lui ss gclU,
Che sostener non poò ‘1 soverchio peso;
E l'anima già al cor s'era ristretta,
Quasi per dipartirsi vìnta c frale,
Che *1 lodato desio seguir non vale.
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L’ avaro H IDE
1411
Coti DovclUmente ia fona torna
Il faiBOM) alroJardo ai gran nemici!
Qoi «Icir antico orgoglio alfa le corua«
£ r arme Ibernc sacre e vinciirici
Srguran chiama: e di tal spoglia adorna
La man crollando, ne* suoi liti amici
Della vai Bruna la imprometle a Sfarle»
Con altre palme aasai quivi entro sparte*
LX
Così libero allor 1* altero Iberuo
Conlra il chiaro Boorte il corso move.
Qual tempestoso Noto a mezzo U verno
Il giorno suol, che poi la nulle piove;
E ronlra Ì1 buon Norgallo, d' allo scherno
Parole usando, eh* ha battuto altrove,
II pcrroote ai traverso io guisa tale.
Che 'n piedi il suo deslrier restar non vale;
UT
Ma allor che più ai gloria alteramente,
R ch'ai Britanni ancor ininarre aggiunge:
Ecco il fido Boorte, rhe già srute
De' sQoi raogoscie, e furiando giunge,
E di colpo attraverso si }>i>«*eote
Il braccio al prcdaior prrcule e pugne,
('.he gli fece cader, eh' ad altro bada,
L’ acquistalo Irofeo sopra la strada.
t.x
Che insieme col signor si trnova a (erra,
E '1 sinistro suo lato sotto preme;
Ma tosto dairiiicarco si disserra
Di Gave il buon guerriero, e nella teme;
E'nvcrso Segiiran si stringe a guerra,
E dì vincerlo aneur nodriscc speme ;
E '1 ginocchio or trovando, ed or la coscia
Gli dà spesso cagioo di uuuva angoscia.
tf
Al qual il boon Tuscan, rhe già risorge
Dal Icurbroso duol, vedendul perito,
Quanto più tosto può la man riporge,
E già spera scampar portamlon' esso.
Quando vien da traverso, ove non scorge,
Chi l'ha più cli'ancor mai di iidovo oppresso;
Che Rossano il Selvaggio il ripercuote
Si, che più rilevarsi allor nuu pnole.
Lati
Ma il forte Segnrau, che d'alto fere,
E ’l pon in lochi impiagar troppo mortali,
Sovra il Mio sovente il fa cadere
Ma più tosto rivien, che s'avesse ali;
Par gli manca il vigor, cessa il potere,
E gli spirti già son debili e frali,
Si che Don molto ancor gito uria.
Che morto, o prigionìcr, lasso, veoia.
Lvi
E r avrebbe anco ucriso, se non fora.
Che ‘1 famoso Boorte, che ciò vede,
Giunse al soccorso alla medesim* ora ;
E ’l Selvaggio crudel su 1' elmo Cede,
SI che in sella, qual fa, poco dimora,
Che, rnmc il buon Toscan, sì trnova a piede:
Ma beo tosto si drizza, e '1 braccio stende,
E '1 vessillo, ch’egli ha, nel mezzo prende.
LXlil
Perch'olirà Seguraiiu, il Ner perduto,
Ed Arvino il fellun gli fan battaglia;
K eludili già volando era venuto,
E nessuno è di lor, thè non 1' assaglia ;
E l'aulica difesa, e '1 saldo aiuto,
Ch' avere intorno suol di piastra e maglia,
Era mancato assai, perché '1 terreno
In più luoghi n'avea coperto il seno.
LVII
Dicendo: Somme grazie alla mia sorte
Rendo, eh' or così a pie m' aggia sospinto,
Ed alla spada ascosa di Boorte,
Che m'ha, noi vedend* io, battuto e vinto;
C.h' or mr Irov’ so più comodo e più forte
Cuuira il Toscano, ed al guadagno accinto
Dell’ouoratrt pregio eh' a cavallo
Era impresa impossibile acquistallo.
LZIV
Ma Terrigauo il graude e Gracedono,
Calindo, c Marabou della Riviera,
Tulli al miser Toscano intorno sono,
E lulta gli hall la candida bandiera;
E lui quasi di vila in abbandono
Avea lassato la crudele schiera;
E Rossano il Selvaggio iva superbo
Dell'alta iimgliz, c del suo danno acerbo.
LVttI
E ‘n questo ragionar, con forza il tira
Il Ter Panoeulo, nè il Toscano il lassa;
E ’n tal mudo ciascuno ad esso aspira,
Che la spada riinao pendente e bassa;
Sol cnu urlane insieme, ardente d' ira
L'ano e 1* altro di lor le membra allassa t
£ col piede offendendosi tal volta.
Par la guerra fra loro in lotta volta.
LXV
Resta il Norgallo aucor sopra Ì1 destriero,
Ha per (ulto impiagato in culai guisa.
Che dal piu basso piè sovra il cimiero
Ogni aruiadura arra da se divisa;
Pur quanto può, col buon volere intero.
Che dairavvcrsa man non sia conquisa
Quella insegna rcal, nè il suo ToKano
Resti oppresso con quella, opra la mano.
Ul
Gira intorno Boarie il sno destriero,
E li duol, rhe giovar non può al Toicauo;
Che di due fatto essendo mi corpo iiileru,
L’ on senza offender l'altro aiuta io vano;
Ma intaulu il gran Norgallo cavallero,
Che Srguran teneva ludi luolau»,
Fu percosso talmente al destro braccio.
Che gli die per alquanto acerbo impaccio.
Lsri
Ma niente era, o poca ogni sua aita,
Che in grado venne al fin esso, e Boorte,
Che nullo lian qnasi più spirilo c vila,
Perdi’ ambo al dipartir cercan le porte;
Ma non essendo aucor tutta compita
In lor dal ciel la destinata sorte,
Con più veloce gir, che strale, o vento,
RicoadoMC Tristano iu un momento:
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"7^5 ^ l’ AVA.RCH1DE
C teco ha Gouemanle il corr ardilo,
Blonberitar, Sieambro, * *I »oo BUnoro,
Ha qarl di cor più accc»o, e piò ipcdilo
Sprona il forte roriirro innaual a loro ;
E con ùroii furor, quando ferito
Si (ente in caccia dal waitìno il toro,
Urta il ^ao Sc|tnran, che mal conduce
Col Tanlaggio, eh' arca, di Cave il dnce.
LXttV
Pereh' oltra al popnl moho, e sena nome
Ha impiagato in un braccio Arvino ti fello,
E fatto ha del dettrier potar le tome
A Tcrrigaao il grande apprctao a quello,
E qnaai ha di Clodìn le forte dome
Col brando, die gl* intenebra il cervello;
Gaiindo, Marabone. el Ncr perduto
Quasi insieme in on faario era caduto.
tanti
E con Torto il ferìtee neHa fronte,
Si ch'eiao, « *1 »oo deilrier percoiw» rota,
Di forxa tal, eh' a doro *cof;lir) e monte
Saria, come a tor fa, preve e molesta ;
E qnal platao maggior, eh* adorabrr an fonte
Sveglirr anol da radice atra tenipeata,
Senaa i’asMiitor acniire a pena,
Si ritrovò duteao au T arena.
Laxv
Or mentre il buon Tritlan fa T alle prove
Già ritorna il re Lago, e '1 figlio Eretto,
Che largo il corto in quella parte muove
Con onorato e nuovo drappelletio.
Ch'aveva infino allor sudalo altrove
Coiitra il popolo a piede, stando a petto
Malanio il Bran, Palride al rerdiio d'oro,
Con Ab'bcl di Lugre, e Pelinoro.
LUX
No'l cara più Triitan, ma il patto piega,
Ove acorge l'ìoaegna Ìo forxa altrui,
Ed al fero Panckonio, che la spiega,
Dà rolpo fero, c non pur giiaHa a coi ;
Cade il metchin, nè di lattarla nega,
Perchè tento vital non retta in lui t
Che ben che fotte ancor lo spirto vivo,
Del morente vigor rimate privo.
LXXVI
Far quei dopo Tristan, eontie ti vede
Dopo un gran terremoto ch'aggia scolto
Allo edificio, e che d' aulica tede
Per la infinita forra tia rimosso ;
Che 1 secondo, che vÌeo, ciò eh* era in piede
Di lui restato ancor non ben percosso,
Del tutto abbatte, c se minor ben sia, ^
Non men danno, o timore al popol dia;
tvx
Non è il chiaro Toicano in tale sialo,
Se bene è mollo fral, dte ciò non veggìa :
Nè tanto ogni poter gli era mancato,
Che di lotto rilorla non prowrggia ;
Torna il prode Tritlao dall'altro lato
Lè, dove di Clodtn la tchicra atpreggia,
Tutta aopra i dettrier, Boorte a piede,
Che come morto ornai pur Dalla cede.
LXXVII
C.OSÌ non meno iatomo ebbe spavento
Di lor, che di Tristan, la gente fera,
Che si fogge indi, eome nebbia al vento,
E lassa ornai la candida bandiera.
Già ricondotto appare in un momento
Ogni destriero all* abbattuta schirra,
E rimessi a cavai Florio e Boorte,
Come quasi forati alP empa morte.
LtXI
Ma ia gniia di teon, che fn ferito
Dall' intidìoto arrier, che a pena ponte
Reggerle in piedi al qual cìngano il lilo
Di cobalti pattor novelle rote:
Ch'or T artiglio, ora il dente adopra ardito,
B tempre il più virin di vita tcucte ;
Tal che tol ^ lontan ti latra, e grida.
Ma di apprettarlo poi ncttan t' affida.
ixwttt
E mal d' eMÌ ciascnn più poote ailarse ;
Che questo, allor che '1 crudo Scgurano
Col fero colpo all' improvito apparse,
Sopra 1* omer sinistro cadde al piano;
Si che sempre ebbe poi le forre scarse
Tutto quel lato, e la medesma mano,
Perchè fu tratto fuor della sua sede
L* osso del braccio, eh* alla spalla atsiede.
taxi!
Tale al diiaro Boorte avviene allora,
Poi eh' ad altro cammìn gio Seguraoot
Ma come al Peregrin la chiara Aurora,
Cile tmarrilo ti trovc in Ilio strano;
Coti dolce gli vten nell' «Itim* ora
Il bramato tornar del pio Tristano;
Il qnal col minacciare a tutti fare
Quel, eh* a schiera di ttomi augci rapace.
LXXtX
Dietro anco poi dalla tua destra parte,
In Ira la rosta scllima, c la seda.
Che quasi al busto umano io mcuo parte,
Ebbe larga ferita, e ben molesta
Dall' infido Alce, che io asroso Marte
L' insidiusa lancia tri entro arresta ;
Per la qual distillò sì largo il sangne,
Che oe divenne a! fin frale ctl esangue.
ixxm
Che ciatcnn, ch'era in cerchio, indi ti toglie,
E diverto dagli altri il ratnmio prende;
£ ’n tante parti il nodo ti discioglie,
Che libero Boorte, e lalvo rende;
Ha il buon THitanoor queito, or quel raccoglie
E questo, e quelle in un momento stende
Nell’ arenoso ten ferita, o morto.
L'un sopra Taltro gravemente attorto.
txxx
Ma mentre che'l desìo della vendetta,
Il hciliroso ardor, T ira, e T onore
Lo scalda in mantener la spada stretta,
Nullo imparriu il premeva, iȏ dolore ;
Or ralTrcddalo il tutto, e che 1 eletta
Hcal bandiera dì periglio è fiiore,
E che Ila in pace 1* animo turbato,
Scote con grave diiol, ov'è impiagalo.
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L AVARO H IDE
Qui %i Ucqoe U re Lago e Cale«hoy
In coi eoi vero ooor pietà tt meacc,
Riipondet Se quel cor più che di unallo,
O di it^rt erudel non mi rìeare :
O LaneiluUOt o me tolto all'aiMlto
Potrà veder chi U dolor voitro aecreiee t
Dio vi dia larga ipcme, e ’n tal Mloto
Ai padiglion •' addrina, ood' è venuto,
ex
Ma non molto è lonlan, che 'oiìeme trova
Con Larooral di Gallia Perievallo t
£ gli dan di pietà materia nuova,
Ch'ambe feriti «oo lopra il cavallo;
Quel nella deatra coscia li ritrova
Un troDCOD rotto, che non venne in {alio
Dal fero Palamede d* una lancia.
Onde la fronte avea pallida e rancia.
Il fratello è nell* omero ferito
Di duriaiimo atrai dal lato maoro;
L'otto e r altro di lor reità impedito,
E del aaogae, che vena afllitlo e biaoco :
Ratto a 'neootraglì, e doloruio è gito,
£ confortando aiaai gli legue al fianco;
Poi ritrovato il lur comune albergo,
De' due itanchi corster gli toglie al tergo,
exii
Poi aopra irinte pelli gli diitende,
K con diacrela man trae d'amhe dooi
Il Iruacune e lo atrale, oode pii pende.
Indi spoglia a eiaicun gli arneii anoi;
Appresso il augo e le radici apende,
C^mc a Boorte pria ; partendo poi.
Come il pici tosto pnò fece ritorno,
Ove avea Lancilotto il tuo loggiorno.
ARGOMENTO
a Caradotso il corpo ti contende
inimici^ e salt-o è aìfin condotta.
Incolta Scguran^ Tristan difende
Il Brittan campo o mal partito addotto,
Bntnoro intanto a magf;ior cote intende^
Dallo scompiglio de' nemici indotto
A teacciarli dal follo; e af tao parete
O'iiNfano i duci t ordinate tckiere.
M * .
a in questo spano il fero Segnraoo,
Trovando Arturo, e la reale ìn»egna
Per la loia virtù del buon Trillano
Eiier rilolla a lui, trop|io ti idegna ;
E gli ipirti inCatmnati arma, e la mano,
Che famoia vendetta almen ne vegna ;
E riehiamaoilo intorno tutti i inui,
Bìaima il CicI, loro, c lè medetmu poi.
Il
Dall'altra parte il chiaro Liunese,
Che '1 gran re ('.aradono in terra vede.
Con le man tronche, e I' altre membra ateic
Esser calcalo dal nemico piede;
Sì dispone appagar T avute offese,
E ritrarl’ indi a piò lerura lede;
E più lotto con lai brama la morte,
Che lauarlo negletto in quella torte.
tti
Coir ipronando T un dìsdegim ed ira,
E generoio ooor 1' altro e pleiade,
A nuova guerra fulminaodo aipira
1) più onorato par di quella etade ;
L'uno io ver l'altro ìl freno aoralo gira,
E li veggiono io allo ambe le spade,
di' aveaq conveeio il Incido iplendort
In laoguinoso ed orrido colore.
ir
Fati primo il pìoTrìitan, ehc'l erodo Iberno
Sopra Primo incantato allo percoiie,
Con quel furor, else mai nell' aspro verno
Cuolra il regno di Teli Eolo li mone \
Si ch'ogn' altro avria pollo in tonno eterno;
Ma il forte Segiiran non più »i icoasc.
Ch'altero acoglìo, che vicino al lito
Dal posscolc Nettano aia ferito.
V
Pur Dcl calare il coipd in batto trova
La apatia al loro, ove non vien lo tendo ;
Nè il raddoppialo acciar tanto gli giova,
Cli' ci non tenia dolor, qual fotte nudo;
Che quantunque aia pnr d'antica prova,
Non potè sostener l'incarco crtsdo,
Ch'ci non cedette alquanto, e con tuo danno
Desse strada al signor di qualche affanno.
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TT
Ha non f« tal, th« ne lenesM rvr*
Più ehe di «ftina raol lalvalieo or*o;
B di vrndelU far tolto proenra,
A qttiaU forte avrà lealandn il mono
Por lopra il ra^, c fKRia alia rintara
Pervenfra il brando, risef;aiido il dono ;
E forie il ano tperar non era in ranO|
Se lo acodo Irorara a Ini lenUae.
TU
Ma rArmorico re, che l*ha preriito,
n doralo leon levava in alto.
Il qaal tolto impiagato appare e trillo,
Ben ebe aia qoaii adamantino amallo.
Che delle ielle aeone ha fatto aeqnìito
Delle tre inlere al diipielalo aaialto
Il ferro aiicidial, ma poi la (|aaria
Fa che 1 locamo poter da Im ai parla.
TtU
E le bea aoa gli noeqae, taolo grave
Fn il rolpo, che'ntroaato e itaoro reità
Tatto il liniitro lato, e dolor n'ave;
Ma nna è più che I’ ira, che '1 moleiU,
E *1 delio di veadelU, perebè pavé,
Che qaella torba de* aemìcl, o questa.
Ch’ai i4>crorM> ino vicn, gli farcia noia,
Prima che Tan dei doe •* arrenda, o mtioia.
IX
E perchè a qoei d* alimi aoa ha riparo,
A*moì, che *n tomo ma, chiamando gridai
Chi di voi Ga, ilgnor, di lode avaro,
Sia de* nostri compagni eiempiu e guida;
A rilrar d* alimi forte il corpo chiaro
Là, donde diparlio 1* anima fida,
Del gran re Caradouo, e eh' al valore
Aggia d^po fra' aooi funebre onore.
X
E vi prometto ben d’ oprare io gnua,
Ch'ai vostro chiaro andar non regna ilroppin
La spada Iberna da pietà divisa.
Se '1 tuo primo poter foiac anco doppio ;
£ se non m* è dal Ciri la fona incisa.
In fin d'Ararco a* udirà lo scoppio
DeirArmorieo ferro, e della mano,
Sopra il suo primo dace Segurano.
XI
Qaaado egli odon cosi, Locano il bmtlo,
Aboadano il felice, e Garganlioo,
E 'I gran Neslor di Gave, e *I drappeì tallo,
Che per sua sicurtà si Tea vicino,
Rivolge il passo, dove il ungae aactuUo
Non era ancor nel misero conGno,
In Cai giacean neglette e mal difese
Del valoroso re le membra alcae.
tu
B pensando indi trar senta con tesato,
B Dromeno, e Margondo, e I Ner perduto,
Come lordi awollori al morto paato,
Che di lunge acolrodo han pria vedalo.
Al miter corpo polveroso e goasto
S'avvenUn ratti, e lor porgono aiolo
Matanasao, e Aossan; che preso il piede
Già il ecrcan torre all' infelice sede.
XKt
E tirato Tavrien accoro in loco.
Ove poi de* nemici era trofeo,
Se la schiera Britanna por nn poco
Ritardava il venir più che non feo ;
Ma come all' arid* esca corre il foco,
f^ie *1 gelalo pastor presso moveo.
Si gettò il Brullo ardilo, e 'n testa fere
Bosaano, c aopra il morto il fa cadere,
xrv
Ucciso no, aè molto anco impiagalo,
Ma del colpo è stordito, e tallo oppresso;
Viene il fido Abondaa, che gli era a lato,
E per prendere il re s* aggiunge ad esso ;
Ma da Margondo, e *1 crudo Fortanato,
Ch’ a soccorrer Rossan m Irovan presso,
Gli fn percosso in na la mano e'I braccio,
E posto a' suoi deair aovcrchio sospaecso.
XV
Sì che ’n dietro dolente ai raccoglie,
E quei due della preda aveano il regno,
Se Gosacmanle dell' amiche spoglie
L'ano e l'altro dì lor uoo ficea indegno;
Che con due colpi sol le forte toglie
Ad ambo, e fa lassare il regio pegno ;
Chc'l destro omero a questo, a quel la testa
Impedito, o 'alrooala in biUo resto.
XVI
Ne fuggir lassa il tempo Garganlino,
Che nel braccio del re la mano stende,
E seco il tregge ; ma crndel vicino
Gli si fa Mitioasso, che rolTende
Nell'elmo Ul, ebe'l pose a capo chino.
Come chi l'alma all'altra vita rende;
E così sovra il re la maggior parte
Di qoei chiari guerrier distesa ha Marte,
XVII
Chi d* ogni senso, e chi dì fona privo ;
E se ben d' essi alcun morto non ala,
Nessun però nel riguardar più vivo
Del morto Caradusso ivi apparii :
Netlor di Gave di se stesso schivo,
D'eaier senta l'amica compagnia
Heslato in piede, al caro Blomlteritsc
Sol rtmaso con lui, doglioso disse :
XVIII
Or di doppia cagloo doppia vendetta
Dei compagni, e del re sopra le spalle
N' ha il elei locato, e l'nn dei due n' aspetta,
Palma, o cipresso al periglioso calle ;
Tegniam por fermu il cor, la spada slrelU,
E farciam si, che questa chiusa valle,
O vìncendo, o morcnflo, aperto mostre.
Che sten degne di noi l' opere aoaUc.
XIX
E *n lai parole insieme si ristringe
La coppia ardita dei german «li Gave ,
Poi sa medesma confortando spinge.
Ove il gran Matanasso in nulla pavé.
Nè d'attender i doe soleltn inGoge,
Che men gli era il morir, che l'onta grave;
Ma pria, ch'ai danni suoi fdsscr venuti
L' ha pruvTcdulo il ciel di nuovi aiuti.
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L AVARO 11 IDE
%%
Perché il ferie Drmnen drila foiitjnSt
E Gellinenlc il fiftlio di Girone,
N«lo in Ikemia dellj bella Arana,
Di parto a>ro«o all' aapra repioae,
Dall'alta coppia ornai poro lontana
Il braccio armalo all* apparire oppone ;
E fere sì» che nella prima ginnia
DcU'inpreia morlal la furia aponta.
XXTII
S* accortamente non porgeva innante
Quanto può il braccio, e non piegava in arco
11 ventre e *1 petto il saggio Gallinaole»
Si che polea di vita essere scarco }
Poi mentre l'altro il brando ano pesante
Di ritirar s' ingegna, non fu parco
Di vendicar lo scudo, ma non vate
Sopra Panne, eh* egli ha, colpo mortale.
x<tt
Che di a terra mandar seciira speme,
Come a* avvicinasse, avea Neslorre
Quel, ch'era luto; c poi col frale insieme
L'uiiuralo lur re d'indi riturre |
Ma qnel par di giicrrier già I' orma preme
Vidna a Mataiusse, e aggiunto corre
Sopra i due cavalicr così veloce,
Che non vedalo a pena ad ambo nuoce.
XXVIII
Nè mcn dall' altro iato avea Dmmeno
Con Nestore il ciigiii cruda battaglia;
Che all'ano e l'altro di valor ripieno
Par del nemico ino niente caglia ;
Ciascuno iolorno a' (ianchì, e 'ntumo al seno
Egnalmente ha squarciala e piastra e maglia;
E SI poco vantaggio in ambo appare,
Che non si vide guerra esser più pare.
XXII
Che Gallioante a Blombcrtisc dona
Sopra la destra spalla un colpo tale,
Che d'alto tu basso tutta la persona
Gli fa intorno crollare, e render frale;
Nuo pcrt) il bnon gnerrirr se n' abbandona.
Nè in se misura il rirevuto male;
Ma qual fero leon, che sia ferito
Allora ai guerreggiar torna più ardito.
XXIX
Ma por nel lungo andar, la prima fòrza
Si srerneva sirancar nel fer Boemo,
Che non avea nel ver la dora scorza,
Come il baon gallo di vigore estremo;
Il qual nel faticar più si rinftrrza.
Non che si mostre d'una dramma scemo;
E tanto era montato, e quello sceso,
Che al Gn tosto l'avrebbe ucciso, o preso.
asili
Sopra Io ftcndu d' or, eh* avea, pateroo,
Che la testa ricopre, alto ferio,
Dìcrrulo: Or senta il gìovincllo Iberno,
Se il boon seme di Gave ha il frutto rio;
L'altro, che sprexza il oido suo materno,
£ 'I Gallico onorò, tome uatio,
Hisposc: lo non mi stimo senza fallo,
Mri di voi stesso, o di akun' altro Galh>.
XXIV
E se ben la mia madre ìn altra parte
Hi partorì, come le diede il Fato,
Dal Gallico terrrn chiaro diparte
L'invitto mio Ironcun dal miglior lato,
Di padre tal, che non cedeva a Marie,
E ehe visse tra voi sempre onoralo,
E de* voatri alto amico, come spero
D' euer anch* so, se giovine non pero.
XXV
E se i' arme segno or di Segnran»,
Il fa sorte e dover, non certa voglia ;
Che quei del re Boovte, e del re Bana
Nuu am' io roen, che buon frale! si soglia i
Ma mentre eh' ora aviam le spade in mano,
tàime nemico rio, ben che mi doglia,
H' è fr»raa di trattarvi, e la! richiede
L' ooor di cavaliero, e la mia fede.
XXX
Se non che Hatanasso, che ciò vede,
Mentre pensa il re morto a' snoi rarrorre,
Lassa l' impresa, e ratto mnnve il picile,
Ove già vinriior senlia Nestnrre,
n dal traverso non veitiitn Ìl fìede
Tra la fronte c la spalla, e 'I pensa porre
C«u quel colpo disteso tu I* arena,
£ la vittoria aver di gloria piena.
XXXI
Pure il giierrier di Gave sì sostenne,
£d a lui tatto irato si rivolge,
Dicendo: Tale usanza si convenne
Ove Durenza tua l' arene avvolge;
Ma il Cdiiro terrea, che onor maoienne
Mai sempre intero, e sol la vista volge
Alla vera virtù, lira vii colui,
Che d'ascoso seiilicr ferisce alimi.
XXXII
E *n tal parlar la fronte gli percuote.
Quando men I' attendeva, con la spada;
r.he gli fere crollare ambe le gole,
K le ginorelMJ andar sopra la «trasla ;
Vulea finirla il trailo, ma non '1 punte.
Perchè di dietro vien, mentre a Ini bada,
L' empio Driimnio, e sopra il cullo il trova,
E r ha euudutio a tal, ch'indi non muova.
XX VI
E cosi ragionando, il brando abbassa,
E quanto può il percuote nel cimiero,
Che 'n terra cade, e *1 snu Bd' elmo lassa
Proprio al mezzo avvallalo, ben che intero;
Ha il gallo cavalier tolto ollza passa,
più che fosse ancor mai cruccioso e fers*,
D'iiua punta lo scudo drillo al Banco,
E *1 p«>lcva impiagar nel lato inaiico.
XXXIII
Però che essendo nel reedrsmo Iato,
Quasi in iin punto, e da due tali oiTeto,
I nervi ha oppressi, e 'I cerebru inlouato
Si, che a pena sostìeo dell' elmo il peso:
Por l'atto rore, e'I gran valore innato
II regge aucur, rhc iimi ita in terra stelo;
E si sana con lor ristrellu ancora,
Ma iiiinv» allru sno mal sorvieoe allora:
UO
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X&XIV
r.lt* S^rjro, r Meran{;M), t Morauallo
Ch'avcan quei di Granala, c di Caatì^lia
Ovr liao arnlilo il fatiroto aitallo,
Quanto pili ratti poo ^irao la Lriflia;
Ood' ei, che non è porlìru nè smallu,
Di ritirarse iudiclro tl ronti|!Ua,
E dice al tuo gennan: Chi morte certa
Senza prò cerca e 'nran, gran btaiino merla.
xxt*
A migliore «tagìtm serrar la vita
Dctc il forte gurrrier, che piò non puolei
Colpa nostra non è, i' hanno impedita
La giusta impresa le celcsli rote;
Che forse altro aostegno, e nuova aiia,
Per non rendere aWìn d' effetto vote
l.e nostre voglie pie, serbano altrove,
Col supremo voler del sommo Giove.
xaxri
Così stretti fra lor, eoo passo lardo
Si van traendo in più serura partei
Quando in nn punto, più leggier che pardo,
Che di catene scarco ti diparte,
Poi ch’ha scoperto col bramoso sguardo
Damma, che di scampare usasse ugni arte,
Ivi appar Lionel con molli arcieri
De' suoi, ch'ha più fedeli, e dei più feri,
XXXS'II
Ch*a1 cominciar delle novelle risse.
Dubbioso in cor di quel, clie poscia avveooo,
Neslor ivi lassando, e Blumberisse,
Per diverso camroin fra' snoì pervenne:
E la schiera appellata, che '1 seguisse.
Al soccorso rattisrimo rivrane;
Ove i frate! conforta in alte grida,
E gli altri appresso alla battaglia sfida.
xxxvm
Nè di più tardo imiugiu era snetliern,
C.be '1 numero a' nemici anco cresrea.
Che con Natone il fello, ed Agmgero
AI soccorso de’ suoi quivi correa;
Ma Lionel già sceso del destriero.
Come erano i cugin, già in mano avrà
(Entralo Ira i compagni) il nobil* arco,
K vie più d* uno strale aveva Karcu.
XXXIX
E primo, eh* et trovò, fu Perimone,
Che 'I buon re Caradosso tiene in braccio,
£ già nel porla, ina Insto il ripone,
Che gli dà in mezzo al venire orrido impaccio
L' aspra saetta, e I' anima gli pone
In libertà dal rio tcrresire laccio,
(‘be pirn di vizi e di {«•rdure nacque
Là, dove il Tagn aurato iotala Tacque.
XL
Onetore il fralcl poscia, e Pìslore
Tra r arene distende a lui vicini.
Quel jserrusso alla gola, e questo al core,
t,uo le gambe tremanti, e i capi chini {
L'altra schiera ciT egli ha, spiega tl fitrure,
Ove scorge il gran numero, e raeschinì
Fa di vita in uti punto tanti insiriiie,
Che chi vivo rimao di morte Irnic :
xu
E *1 comballulo premio ivi abbiodooa
E si tiene a guadagno aver la vita;
Cosi non piu conteso da persona,
llan la vittoria in man larga c spedila;
£ ‘I buon Nestore allor dolce ragiona :
Poi cJte ’i Ciel ne donò grazia compila
Di scacciare i nemici, non si lasse
L* opra mdiclru di far, che qui ne trasse.
XLII
E così dello, a luì chiama Abondaue,
Che già con gli altri lutti era risorto,
E dolce il prega con sembiante umano
Gli porga aita al sostener quel morto t
Indi ha raccolta T una e T altra mano,
di' ebbe lungo I' onore, e ’l viver corto ;
La testa poi, eh' ancor nell' elmo spira
Maieslà regia, ed alla a chi la mira.
xutt
Indi il tulio rlpon dentro allo scudo.
Che ritolto a' nemici avea Polrte ;
Né fu tra loro alcun di pietà nudo
Si, che di lagriroar non aggia sete:
E perchè mnova i cor T esempio crudo,
E svegli al vendicar le menti qurle ;
Noi volte ricoprire, e '1 fregio adorno
Fur le piaghe onorale, e '1 sangue inloroo.
XUT
Porlanlo molti al suo reale ostello.
In cui con lunga pompa c rirevutu ;
Ma io questo tempo il furie Lionello,
Da poi cIT ha largo popolo abbattuto.
Chiamando iudiclro il viucilor drappello
Già CUI! gli altri compagni era vruulo,
Ove il lor htioa Tristano, c Seguraao
L' nn deir altro avanzar s’ adupra Ìo vano:
XLV
Che di lotto quel tempo, che fu molto,
Ch' a sìogular battaglia erano insieme,
Nullo avea qnesio a quel di campo tolto.
Nè di lor questo o quel più spera u teme)
Brne è d essi ciasciiu di forza sciolto,
E stanchezza c ludur sic più gli preme
Che non fa del nemico il ferro ardilo,
Ch' aneli* ci si Iruova ornai lasso e *mpedito.
xcvi
Ma nel primo arrivar «li questa schiera,
L'imo e l'altro di loro il pie ritira:
Che nessun d' essi immagina quel ch'era,
In fin che più vicin non la rimira;
Allur del piu 'rrislan la mente altera
Quasi ver Lionel si mosse ad ira.
Dicendo : Or perchè m' è «la voi contesa
Nel Ulto maggior desio si Isella impresa f
xeni
Risponde il buon gnerrier : Caro signore
Non sun venuto a voi |>er oprar qnesio;
Anzi pori' io nel cor sommo dolore,
S' al vostro disegnar venni molesto;
Ha ben direi, che si spcndesser l' ore
In altro affare, c si provvtfggia al resto.
Che luotan senza voi periglio porta,
Scndo privalo ornai d'uga' altra scorta.
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l’ AVARCHIDE
ZtTMI
1 oiiglior ctTAlirr, come v* « nolo,
GU ton tatti feriti, e *1 itraode Arturo;
Lo ttuol nemico di temenza voto
Della vitloria ornai »i tieo sicuro :
E f(U con quel furor, die Libo, e Nolo
Sool Nellono assalir nel verno oscuro.
Con Brunoro, e (Jodin a* è innanzi mosso,
E minaccia paaMC del campo il fosso.
tv
Cosi fa il pio Tristao, che poi rh'accolla
Ha (ulta insieme la famosa schiera,
£ rimessa a cavallo, il passo volta.
Ove i suoi liberar del tulio spera ;
E pi.^ trova in cammin la pente folla.
Che di Ctodiu sepuiva la bandiera ;
Cui senza rara aver, dooa alle spalle,
£ ocl mezzo di lor fa larpo il calle.
xux
Mentre parla così, correndo arriva
Tntto pien di sudore ivi Creuso,
E con Tore lonian di forza priva
Va chiamando Tristao lutto confuso,
E pii dice : Sipnor, per quella viva
Viriti, che *o voi trapassa il mortai oso
Non lardale al portar ratto soccorso
Ai vostro campo in gran miseria scorso.
LVI
Non altrimenti appar, che fiamma ardente,
Che depredi al pran di d' ampia foresta
F.‘ altere chiome, il cui valor possente
D'Aquilone il soffiar sospìnpe e destai
Che delle accese frondi alto si sente
Il crepitare in quella parie e 'n queiU;
Ove con più furor veloce vada,
Larpa dietro di se lasciando strada.
L
Perchè Io tpiclalo Palamoro
Ha codiavi deitricr pcrcosao al fianco
Le schiere di Gaven, sì che fra loro
Raro pocrrier appar non morto, o stanco:
Dopo il qua] piunsc ancor Taspro Brunoro
Al dritto lato, c ’l fer ('.lodino al manco,
Ch' hau di quei del re Lapo ucrisì e vinti
Molti, e dentro de' fossi han pii altri spinti.
LTII
E Terripano il prande il primo intoppa,
Che senza Ini temere ad altro iutendo;
E sì forte al destriero urla la proppa.
Che cui Sipnore in (erra si distende :
ludi senza arrcstarse, olirà paloppa,
E nel passar, eh' ri fa, si forte ulErnde
Galiudo, e Gracedono, ed Aproscro,
Che spedito di lor iruova il sentiero.
LI
Nel trapassar de' qnai, mischiati insieme
lufìnili v'rnirar di quei d'Avarco;
K se non riverdean la secca speme
Ne' nostri, e difendean I' aperto varco
Urlano e Liudon, pia il nostro seme
Era e di vita, e di bnon nume scarco;
Pure i due Tclamoro, e *1 Bnin con essi
Gli hpn con somma virtù di fnor rimessi.
LTIU
Gli altri, che soa con lui, l' istcsso fanno
Che ciascun quanto può percuote e spinpe
Ma Lionella a piè fa mappior danno.
Che di rosso color l'arena tinge;
E tanti strali io un volando vauoo,
Che r acr tenebroso se ne pinpe;
Cosi pia spaventato fa ritorno
Da' fossi indietro di Clodìoo il corno.
Ul
Ma non essendo quivi Malipante,
Fiorio, Uourle, e '1 cavalìer Nnrpallu,
Non pon, come vorrien, spinpere innante
Gli altri pnerrierì al combatlulu vallo;
Che la parte mappior trista e Iremaote
Fall' ha coulra i ricordi al core un callo,
E più tosto morir fupptndo eieppe.
Che sepuir con unur chi lei correppe.
LIX
B le fopacì pentì di Gaveno,
Ch’odon pia di Tristau pii alti romorì,
Sotto il viso più lieta e più sereno
Di novello sperar s* empiono i cori ;
0||ni uom d'alto desio raccende Ì1 seno
Di rarqtiisUire ì suoi perduti ouorì ;
C chi prima parca più vile e tardo.
Or si mostra più ardito c più gagliardo.
LJIi
£ per questo Gaven, che '1 danno vede,
Mi vi snaoda a prepar, chiaro Trillano,
Ch'ai prao bisopiio ornai voltiate il piede,
Seuza altrove altro onor cercare in vano,
Se non volete, che la vuslra sede
Suslcpoo sia di quei di Srpuraon t
La qual voi (ulto solo ha per rcfitplo
Por che si toplia via tosto opus iiidupìo.
LX
E'ncootra a Marabun della riviera,
Che con molti de' suoi pauò la porla,
Confnso io uu tra la Britanna schiera
L' anne, che 'odieiru pia, dritta ri(K>rla;
E '1 suo duce Gaveu con voce altera-
Qnel chiamando garriire, e quel conforta,
E spiope tu puisa, che in angusto calle
Face a' nemici al fin volger le spalle.
LIV
Quando l'ode cosi TrisLan sì muove
Con quel proprio furor che'l villaoetlu,
Ch' appia. menir'ara fuor, dopliose nuove,
Che ’l foro inpuuibre del suo ficn ruilello,
Che i linoi ratto ha disciolti, e romc r iluve.
Va il mìicro spiaudu a questo, e quello t
Nè per suo domandar raffrena il corso,
Io du che arrivi a' suoi saldo soccorso.
LZl
E fu ventura lor, che pria lomaro,
Ove è Cludiu co* suoi fuor delle fosse.
Che '1 buon Tristan col drappclletlo chiaro
A quel loco vicin venuto losse;
Che ben comprato avrien col fine amaro
L'aver 1' audaci mani ivi entro mosse;
Ma dove i lor compagni erano uniti,
All' arrivar di lui son rifuggili.
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L A V A n C H 1 D E
I.TII
Or con Jadmo mortai di elii ’t conicodc
Qockio onoralo »luolo inaansì passa;
K I* Armciriro dure il corto •tru<ie
Di là dal Tallo, e tutti altri latta ;
Li con Gavrno esamina t comprcude
Quanta pente vi tia ferita e latta;
Poi chi fuor reti! ancor, chi dentro sia,
Con riguardo loUil per tutto spia.
l.vin
(^lì dicendo, al loco ti presenta,
Ore ardilo salir eerea Bmnoro,
£ 'n diversi raromio co’ tuoi rilenta
Gli argini, che per lai troppo alti foro;
Di lupo in poita, che la nulle tenia
Dentro al serrato ovil gridar fra loro,
E pii agnelli e le madri, rhe ti ttmppa
D'Jvi entro gire, c nella mente rogge:
I.X1II
E ripiraodo inlorno al lato manco,
In cui più Tolpe il colle all' A<]ailune,
Trova il re Lapo, che canuto c bianco
Sembra all' oprar dì piovine ttapìone;
Mè di rontiplio, nè d'aita tlanco
In laido mantener prao cura pone
L* arpine, in cui Brtiiioro i tuoi conduce,
£ gran tema e periglio agli altri adduce.
LXX
E quinci e quindi vitilando mira,
S’ ei trova a' tuoi deiir finettra, o itrada ;
Or more il patto innanzi, or tì ritira.
Or raspa in batto, or di montar pii aggrada t
Talora il porta speme e lalor l'ira,
£ tanto in giro rivoltando bada,
Che'l di r agpinpne, c visto dal patinre,
L' aflamato bramar volge in limorc.
Liir
Come icorpe il buon tcccIiìo ivi apparire
Il nobii cavalier, eh' adora in terra,
Lietameote eoo lui comincia a dire:
Ben teruri tiam noi di quota piierra,
E ’ndanio umai ti penti d' aataiire
L* aspro avversario il cerrlilo, che ne terra;
Ch' opni vali' ima, e eoi niente chiude.
Può difeodcr di voi l'alta virliide.
LXII
Tal Tea Bmnoro, di' ogni feria, ogni arie.
Ogni induttria spiegando, ogni tuo ingegno,
Or si mette a montar per quella parte,
E degli omeri altrui ti (a toslcguo;
Or le tue genlt in multi lochi tparle
Tutte ad Oli tempo spingerte dà il «egoo,
Per tentar te ’t combatter molti liti
Hendetac Ì difrntor più sbigoUÌti.
1.XT
Il conforta Trittano, e prazìe rende,
Che tal uomo appia in lui tale speranza ;
Poi del coriier pia tlaueo a batto teende,
E nell’ argine estremo il pasto avanza,
E d' un di qneì guerrier nuova atta prende;
£ per pianger ìu loro alla baldanza,
Chiamando questo, e quel, che ronoscea,
Per onor di daicuo, cosi dieta ;
UUtlI
Va come il verde tendo, eh' alto preme
Il doralo leon, vede apparire,
E cuDOscc Tritlan, perde la speme
Di potere indi tolu umai salire ;
E drizza il passo, uve ancor ianpue e teme
Il corno di Clodìn, che di fuggire
A pena il paon tener preghi, o minacce.
Senza aver più nemico, che gli cacce.
LZTI
Questi tono i puerrìer, cui gloria eterna
E cui lode immortale il mondo deve;
Che dal zito pelato, ove più verna.
Di tepinre il tuo re tia dolce e leve,
Per ti lonpn cammio; né in lor ti tccroa
Il periglio o '1 tudor ooiutu, o preve ,
Anzi, uve l'uii con I* altro più t' acruppìe.
L'alta inoata virtade io etti adduppie.
LZXIII
E'nicndeodo i lur danni gli auieura,
r.hr rArmorten duce è in altra loco;
Put dice: Alto sipiiur, se non ti cura,
Cile venga Separano, io spero poco
0' aver vittoria, che l'impresa è dora,
E non si dee tentar da scherzo e gioco
D' assalir futsi e valli, ove sìa gente
Nuu niiuur della nostra, e ti pusicnle.
LZTII
Or col nedeuno cor, che avr>.ic tempre,
Siale al nostro tipiior cumpapni fidi ;
Che v’ ha condotti in ti famose tempre,
Per ti dubbiosi mar, per tanti lidi
Al sommo onor ti largo che contempre
Ogni allo afTaonn, rhe la guerra annidi
£ 1* ultima fatica, che ne retta.
Non vi vegua al lolCrir per luì moietta.
j LXXI V
Va poi che i primi duri, e '1 re Britanno
Nmi vrrraniin oppi fuori alla battaglia,
Creder «ì può di far non piccini danno,
Se '1 rampo con bell' ordine t'attaglia;
Ma iiiquetio mudo in van preiidiamoalTanno,
Nè faremo opra, eh* a Tristan ne caglia;
E per far nu di Inr di vita tremo,
Cento fuìgliur de' tiutlri perderemo.
LVVIII
Ch* ancor vi fia dentro alla patria toplìa,
Tra la pia famigliuula, all' umbra e al foco
Dolce a narrar questa pattala doglia,
£ '1 tufferlo tndur recarse in gioco ;
Or d' Avarro spiegando alcuna spoglia,
Or di voi itcssi discoprendo il loco,
(die ’nipiapato vi fu, lieti mostrare,
Aperto tetlimon dell' opre chiare.
»JIXV
Or che t' attenda adunque Segnrano
E eh'un vada a Cludastu entro alla terra,
Che ne mandi volando a mano a mano
Ciairuno allo inslrumento a simii guerra ;
Poi tulli iusirme raoimofta mano
Coutra il popiil moviarn, ch'ivi ti terra;
Ma non si perda il tempo, che 1* ardire
Purria luruare in cui,, e in nui fuggire.
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LIXVI
Mollo ho lodalo di Clodauo il fìpl! 0 (
£ gli allri duri poi, rh'rrano ìulorno,
Il liuoo rirurdo, e I* olile <*on>iglio
Del Nrr Broooro, e senza far soggiorno
Ove il gran Seguran con (orbo ciglio
£ra rimalo, e pirn di sdegno e scorno
Di non aver Tristan vinto all' assalto,
Che tosto regna a lor, manda Verralto,
tKXVU
Che immanleoenle a lui n'arvdù volando,
E gli dire: Signor, Clodin vorrta,
rii' ogni impresa di qua lassata in ba^do,
Voi *I veoiste a trovar per corta vìa.
Ove dentro a* suoi fossi ala tremando
L'avversa gente, e dove agevoi fia
Hi»torar di ('.lodasso l'onle e i dami!
10 poche ore per vui di sì luoghi anni,
tJUtVBI
Risponde a lui l' Iberno : Or ritornato
Riportando a Clodin, che ratto vegoo :
Indi alle genti sue disperse andate.
Che s* accoglìaoo in »u, comanda il segno:
Tulli i suoli loanìali, e trombe aurate
Dell* altera Ciunon crollano il regno,
Rirliiamando il luolao, desiando il lardo,
Cir accompagnar rilorne il ano slcudardo.
LXXSX
Poi lassando a Drumeno, c *1 fello Arvino,
Che conducendo quei seguano appresso.
Fra motti ravalier verso Clodioo
C^n più veloce corso io vìa s' è messo ;
£ de’ fossi il ritrova sul eonGuo,
Che nuli’ altro attendeva, che sol esso,
Per donar pieno effetto al suo desire,
E 'I trepidante esercito assalire.
txx*
Poi ch'arrivali fnr rislretli inisesne,
I maggior duci, e ragionato alqnaulo,
Direva Scgiirao : La vostra speme.
Di roiupir tutta integra io sul mi vanto ;
E là, dove il nemico manco teme,
Vu’ che surga di lui l’estremo pianto;
r.lic mi lìa lotto piano argine c muro,
Nè di mjlie Tristan le spade curo.
tsxsi
Vengasi tosto pure all'alta prova
Che 'I soverchio iodngiar nocque sovente;
E 'I tosto e mollo ardir mai sempre giova,
Con le voglie più al far, che al dire, intente;
Scenda ogn’uom del cavallo, c‘l passo muova,
E la mano aggia pronta, c 'Icore ardente,
11 pie snello e veloce, in ogni sorte
Disptisio a riportar vittoria, o suorle.
LlXItt
E ’o culai ragionar lo scodo imbraccia,
Che restando a cavai dal cullo pende;
Nuova celata ancor, rhc meno impaccia
E la vista e l' andare io fronte prende ;
Poi, qual fero molosso al lupo in c-arria.
Sema attender compagno il cono stende :
Già si muove iu ver gli argini, uve vede
Larga schiera uemica aver la sede.
UUCXIII
Ha il dlsrrcUi Bruaoro indiclro il chiama
E gli parla: Signor, se ’n voi riloce
Sovra ogni altro gnerrler d’illustre fama
L'alto valor, ch'ai sommo vi conduce,
Nuo son gli altri così, ebe egoal non ama
Tutti 1 duci e goerrter la quinta Lucei
Cli’a quel più largamente, a questo meno
Del sno chiaro splendor riempie il seno.
cxxxtv
Però dov* esso manca, si conviene
Al saggio imperador compir con Tarle,
E con r ordine saldo, che sostiene,
E ragguaglia io tra se ciascuna parte:
Or pria rii’ avaitti andar, rignardiam bene
Di rarcoc tutte in un le genti sparle.
Poi formarle alla guisa, che ss mostre
Di poter più giovar le voglie ooslrc.
I.XXXT
E per dire lo primiero il mio eosuiglio,
lo nove schiere il lutto partirei.
Dando duce a ciascuna, di' al periglio
Regga bea con ragion se stesso e lei :
Sei per questo sentier, che volge il ciglio
Alla fruole, ove tiam, ne locherei:
Due sovra i lati e 1' altra alle sue spalle,
Ove il colle lontao chiude la valle.
UXXVI
B se ben cjoesle tre dì manco forxa.
Che non richicggia il loco, altrui parranno,
r.hi *1 nemico in piu parti essere sforza.
Assai più che* non pensa apporta danno ;
('«he 'I nocchier combattuto a poggia ed orza.
Per salvar il suo legno ha doppio affanno;
E non è ardito cor, che non paventa
Se di contrari lochi il dubbio sente.
LXXXVII
A quei saggi ricordi il grande Iberno,
Vergognando fra se, fermato ba Ìl piede;
Di rivo in guisa, die correndo Ì1 verno.
Preso dal nuovo giel aobilo aMsede,
E riaponde : Golui, che peeodc a scherno
Quel, che gli cera onor, non dritto vede ;
£ men chi iu qualche parie gli altri avanza.
Di surmootargli Ìo tulle aggia speranza:
Lxxxvnt
Che ’t del giusto comparte tra % ronrtalt,
Nè dona tulle ad un le grazie rare;
A quel dà forze, eh' c* non Irove eguali,
A questo sommo ardir, clic non ba pare:
Air un dà il senno, all* altro le immoriali
Di Dei lodi e d' Eros mostra cantare;
Perchè non vuoi la somma sua bonlade.
Per far ricco un, por gli altri in povcriadc.
LXXXIX
Or senza contrastar lodo e onnsenlo.
Che si segna il caininio da vui mostralo »
Così fermo fra loro, in un momento
Fu il numero migliore ivi adunato;
E 'I proprio Scgurano all' opra iiiicnio.
Da Clodino, e Brunoro acoompagnatu
Al proposto disegno ordine mise,
E’ suoi duci, c guerricr così divise.
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l’ AVARCHIDE
BC
xrm
P«r >e siedrtmo vUiiicri ove la porta
Seco ha Galin, e Tallo Bnitarìno,
Del beo «errato rampo in mezzo auiede,
Tolosan qnegti, e questi aspro Baviero}
Perch’ è il loro più forte, e die più imporla,
Dan poi l’ordine estremo che Clndino,
E cui pnardia ma^pìore intorno vede)
Con Terrigano Ìl grande, ed Agrogero,
E d' aver seco poi 6data scorta
(Dure il primiero al duro Limosino,
Il Fortunato solo, c Grifon chiede,
L'altro al chiaro Nemauso, e Hompolicro)
Che tnenavan le penti alette fuure
Sien senza giierrecglar per dare aita
Deiriocolla Pannonia inferiore.
A cbi foste al ben far la via impedita.
xrf
XCVtIf
Il primo loco poi da destra in mano
Non qneta il bnon Trtstan dalT altra parte
Al forte Palamede in puerra assepna ;
Mentre intoruo i nemiri accinger vede;
Cir oltre apli ELridi snui, vnol Dinadano,
Ha con dovuta industria, ardire, cd arte,
Che tra '1 freddo Vìseru, e I' Albi regna;
Ove il bisogno appar, tosto provvede;
Bronadasso lo Svevo, e’I'rtio germano,
Poi col re Lago, e gli altri va in disparte.
Safar, che di Casiìslia avea l'indegna,
£ ’l consiglio di loro umil rirhiede.
E ‘1 gtovio Gallioaole, che di Mona
Per dipartire i duci, c T altra gente,
Con afono infelice avca corona.
Ove possa più star siraramenle.
xai
XCIX
Il allo a luì più presso avea Briinoro,
E 'ncomiocio : Sixnor, biasmo non merla
Col l'rovenzal Margondo, e Graredono ;
Qual sia sommo gnerriero, o imperadorc,
Dal manco lato il primo è Palamoru,
Che scorgrndo a' suoi danni a fronte aperta
L’Aquitan valonyso, e con lui sono
Spiegar Tempia Forlnoa ogni furore.
Calarlo, ed Esrlahor, che duci foro.
Il pristino anlimento riconverta
Ove il Dtirro, e ‘1 Tago altero dono
In saggio dubbio, c 'n nobile timore,
Fan di loro all'Oceano, e poi '1 srgnia
Non dclTamii nemiche, ma di lei,
Uerangio dell' alpestre Aodalofia.
Che spesso più elle t bnuiii aiuta i rei:
xeni
c
Verralto il Biscain gli pone appresso.
E nel popolo spesso in nn momento,
Ove r Euro virin più spande 1* acque ;
Senza rimedio nman, cangia il pensiero;
Morassalio, e Driimen vanno con esso;
Che T antico valore in questo ha spento,
Qneitl snt Bell, e quei tra 1* ombre nacque
E quel fugare e vile ha fatto altero;
Della frondosa Ercinia e gli ha rtinrcsso
Che ’l mrilesmo, rh’ ha in mare, e eh' ha nel vento
Estero Iranio, eh* al suo Febo piacque,
Sopra il mortai valore ha largo impero ;
Tal rhe sempre turno di pregio carro.
Dico del volgo pur, non di chi chiude
Ove in pmova venian gli strali e l’arco.
Invitta ael suo cor, qual voi, virlude.
xciv
CI
Uba, il primo dultor dell'Ostrogoto,
Perù scusati scmo in qiicilo giorno,
Col criidel re degli Eruli Odoarro,
Se lenti t miglior dei duci nostri.
Cui segnia d' Aragona il nobil Loto,
E spogliato il drsir d' onore adorno
£ 'I Calalan Roderco a' vicini acro.
Gii scorgete ne' miei, com' io nc* vostri,
Sopra il gran colle, che rignarda a Nulo
Sol per nrressitì dfiro ritorna
Che tra i Neri Etiopi ha il tempio sacro,
Facciam, raceuiti tra vallati chiostri;
Con gravissime strida al lato manco
E s' a difender quei drizziam le voglie,
Il Britannico campo assale al fianco.
Più tosto cITalTttscir delle sue soglie.
xcv
rii
Guncbaldo il Borgoodo, e Natan.i(so
Certo è, che se di me sol qnesla vita,
Quel, che i più ferì Allobrogi conduce,
Nello stalo ove siam, fosse in perìglio,
A diverso cammio muovono il passo.
Pria che cercar di questi fossi aita,
Verso ove Apollo asconde la sua lacci
Sarebbe ella dì me po«ta in rsìslio ;
Ove alza il monte si, che scopre in basso
Ma per si chiara gente e sì gradila
Quanto il nemico ciercito c '1 mo dace
CoDvien sempre prepor Tolil consiglio,
Piiote oprare, o pensar per ine difese,
Clic non manchi d'onore a quel che sia
Beo se curo da lor di tolte ofleie.
Con certissimo duol per alta via.
XCYI
CUI
Va Roisano il Selvaggio all' altro calle.
Or s* a voi così par, padri e fratelli.
Ofie SI volge ove Uorea il Cielo oncmJe
Direi, rhe i nostri duri e cavalieri
Al ci>lie par, che deli'arqnnsa valle
(Che molti por ancor restan di quelli,
Ri<errando il sentiero olirà ti stende;
Che non ferii! il Ciel ne lassa interi)
E perchè 1* improviso e dalle «palle
Gisser da parie, c rhe cia«fon appelli
Con più grave timor gli animi prende.
Quei, eh ci pensa tra' suoi miglior guerrieri,
Prr ascoso sentiero e qiielamenle.
E che per pruuva ornai conosco tali,
Quanto é possibil più, mena la gente.
Che i ben possa lodar, punire i mali ;
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3
L AVARO H IDE
3i8
I
1
CIV
E 'nlanle «chiere poi fniirr iIItìiì,
Quanti lochi a pnariiar mrttirr ne fia;
E che *1 capo di lor miglior t'avvìu,
r.hc di Mono e valor fortiìlo ila;
Un vada poacia iotoruo, di' agli ncclit,
0 gl* impiagati altrui ristoro dìa;
£ cosi ogo' uom saprà quanto far deve
£ ehi merli alu lode, o btasmo greve.
eviti
Bandegsmo il fralrl di Itfaligsnie,
Con quei, eh* ha dì Vintonia, e di l'irestra
Che sotto la sua tniegoa erano inoatiie,
Poue olirà il fiume alla montagna destra;
Seco è Gcrfletlo col suo stuolo avante,
Ch* ei menò dì Sarbitria, e di Dorcestra,
Agraveno, Abondaoo, ed Arganoro,
£ di Vigornia il cavalier Manduro.
c»
Poi ch'ha dello, il re Lago a lai ftsponde;
Non si cerchi fra noi forma migliore,
Che non sì Iroverehhe, e 'n van confonde
Chi truppe io contraddir consuma l'ore;
Or col chiaro voler, che'l ciclo infonde
Nel petto di virlh, che brama onore,
Che più rhe *1 ferro, e l'adamante adupra,
Con sollecito andar moviamo all'opra.
CIX
Il gran re ^elinoro ba in guardia il monte
Con Lucano, Agrevallo, c 'I piu Malrhiuo,
Che alla sinistra spaila aba la fronte,
Che più scorge Bnnrte esser vicino;
Ch’ avran quei di Nortumbria presso al fonte
Di Tueda aspra, e del gelalo Tino,
Con quei di Canlabrigla, e dì Valpiile,
E quel else la Bangaria io alto cole.
cn
Cosi fermo fra loro, il buon Tristano
Per consiglio dell' Urcado famoso
Ha il meuo in guardia, dove Scguraoo
Della porla sforiar vedea bramoso;
Biomberisse, c Blanoro il suo germano,
E Gossemanle ardito e valoroso.
Tra quei di Neuslria, e di Cornubta inloroo,
Con i'Armorico re fanno soggiorno.
ex
Sicambro Ì1 sommo Franco, che conduce
Del gran re Clodoveo gli ornati 5gl>,
Con la celeste insegna, in coi rilnce
I..O splendor sacro degli aurati Gigli,
Verso ove il sol, loglicndu a noi la luce,
Di Marocco i confin rende vermigli.
Ha lutto in guardia il Sabbiunoso culle.
Che sovra quanti ivi hau la fronte estolle.
CTll
Dalla man dritta sua loca Gaveoo,
Col ricco Ivan, eh' ha il popol Suliiallo,
Con Creato, e Maodrin, eh* all’ altro seno
Han quei che alberga il promontorio Uvailu ;
Pon LioocI col pio cugin Baveno
Del manto lato nel più estremo vallo.
Co* suoi d' Anversa, c Nestore e Taulasso,
Che viene onde SuUco più scende in basso
CXI
L'Orcado Invitto, col figlinolo Eretto
Con Gaacsmoru il Nero, e Hrliasui,
A ingombrar lutto il mezzo è stalo eletto
DrII' ampio campo, e rivoltare il passo
Ove più senta dal nemico astretto
Questo, 0 quel loco, rislorando il lasso ;
E di giierrirr empiendo quella parte,
Che vola avesse il sanguinoso Marte.
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ARGOlf ENTO
-*«-o**«*-
i%aita il cntnpo at’t’rrso S ff’u ratto i
Rompe mno porla^ r fa Jfrn*/ inudite t
ila al toccano de' sttoi move Tritiano:
jérde la pmgna ; tccndoa molti a Dite.
Poi che il sol ti moscote in Ocràma
Fin mette t ombra alla fanetta lite.
Galeotto domanda tm tal perielio
L'armi fatali del rt Sano al figlio.
C^ijuciin dnre J'Avarro I* ampie srliirrr.
Che al Minimn impero suo commesse foro.
Va iiiloroo visilando, e'o voti attere
Quel che ile^|:ìaau oprar dimosira turo;
Ma sovra npn* altro poi ai putì vedere
Mostrando il dragon nero in campo d' oro
Il fero Segoran, che lutti insieme
Pien d'ardente furor sospinge e preme.
Il
£ dice: Or questo è il tempo, in ent mostrane
CoDvien l'alta virlò, rhe 'n core avrmo ;
K quel chiaro splendor, che largo apparse
Del Britanniro oiior, rendere scemo;
Che le glorie di lor per tallo sparte
E prr sì lungo trmpo, acipiislemno
In questa valle sola, e io questo giorno,
Pria eh' all* occaso il sol faccia ritortso.
Ili
Ricordatevi pur, che 'I del ne mostra,
Se calcar la saprem, la strada hreve
Di fine impsorre alla infinita nostra
Gii sofferta fatica, e sndor greve ;
E che dentro a quei fossi ornai la vostra
Pace e riposo ritrovar si deve:
E eon lode ìromurlal larga riccheaza,
E tolto il sommo ben, che '1 mondo apprezza,
IV
Or non sapete voi, eh* ivi entro stanno
Di mille alme rittadi t tesori ampi?
Ch'olirà il mare, e dì qua dispogliali hanno
1 più fertili, aprici, c lieti eampi
Clic dall' unghie rapar! del Britanno
Non è trmpo onoralo, die ne scampi;
Ma drlle prede antiche, e falli suoi,
'Eredi e puiiitor sarete voi.
Acrìngetevi por con core ardilo,
Qnal pio conviene a sì onorala impresa,
Contra un popol già lasso e sbigottito,
Che larghi argini e valli ha per difesa;
DI coi r imperador giace ferito,
Bnorle, e molli, che v'han fatto offesa;
Nè resta altri fra lor, che 'I nome vano
Dell' Armorìco giovine Tristano.
n
A coi prometto io sol tal freno imporre
di' agli altri cavalier noterà poco ;
Nè 'I salverà da me fondata torre,
Nè riparo miglior di ehioso loco;
Ch’ogni suo schermo, ogni soa forra torre
Spero al primo apparir con ferro e foco;
E render tosto il lutto egnale e piano
Si, che ’l difenda sol l' arme c la mano.
VII
Già tacendo il gran duce, a lento piede,
Ch'rsfi segoan pregando, il passo muove
Verso la porta, alla cui gnardia siede
Il hooQ Tristan, che noi vorrehhe altrove:
Come poi piò vicino esser st vr«le.
Empiendo l'aria e'I rìcl di varie e nuove
Barbare voci, c di sanno a«pro ed alto,
Velocissimo il gir drizza all' assalto.
vm
Nè impedimento airnn (T argine, o fossa
Gli rooteiide il tenlier eh' ei non s* awrnle
Olir' ogni spazio, e eon l* estrema possa
Di passar' ultra sol non s'argomente;
Prende essa porla, e mille volte srossa
L'ha in guisa tal, ehe ‘I popol ne spavenle;
Dietro a lui son l’ insegne, ehe *l rammino
Van mostrando al loutan, eume al vicino
IX
Vien l'altra gente poi raleata e stretta,
Con gli scudi fra lor serrati in giii^a.
Che pria che penetrargli, ogni saetta
Del pili pregiato arricr sarta ririsa ;
Van di par sempre e ben l'nn l'altro appetta
Si che dal vario andar non sìa divisa
L'annodata eh'avean seeura forma,
Stampando unitameute T istes»' orma .
X
Scendon nel fosso. eqnet,eh'èÌndielro, alla
Quanto può quel dinanzi allo salire,
Ove dal vallo c l'argine impedita
La via ritrova al chiaro suo desire:
Sptiigon^ì insieme, e eon bei delti invila
L' un r altro all' opra di mostrare ardire ;
E lentaiHÌu in fra lor novelle forme,
Yjuuu ora iruicme, or hati diverse I' urine.
XI
Or come mai potri linfiaa mortale
Racronlar tatto a pirn I' allo romore ?
1 colpi orremii poi il' aita e di atrale
Del popol folto, ch'or anrì<lc, or muore?
Di chi scende percosso, e di chi »ale,
Cangiando ti viver suo eoo larp'o onore?
E la eraodine spessa, che qaì cade,
Di sassi e dardi all* arenose strade ?
xn
Ch* ora il pio RIomberisse, or Gossemante
Che di Trillano il di compa|rtii furo.
Va con r asta ferrata indietro e innante,
Scorrendo intorno il combsltiito muro ;
E quale al «omino ornai posa le piante,
E di vittoria aver si lien seenro,
Percosso in fronte, e con pallente faccia,
Scora spirto raccor, tra* suoi ricaccia.
XIII
Fa il medesmn BUnoro il terzo dnee,
Che roQjsinnto con lar si trnova all'opra:
Chcqnrslo • spasmo, equelloamiirie adduce,
L' »n dì sollo riverso, e l'altro sopra;
£ chi conlra i suoi colpi si conduce
Muli ha scndo a bastanza, che 'I ricopra}
Che '1 porfir, l'adamante, o s' altra sia
Pietra più dora ancor, poco saria.
XIV
Monto spinto da' suoi inperbo in vista
Sopra l'argine cslremo il Ner perduta,
Si che i minor giierricr d' intorno attrista
L* oscuro suo, eh' han conuscinto ;
E la tema era in lor con danno mista,
Se non tosto ciunitea con largo aiuto
Blanor correndo al subilo rumore.
Che gli pcrcoue Ìo nn 1' orecchie e '1 core.
XV
E 1 tmova, che più U' nn già impiagalo ave
E r acquistalo loco si difende,
£ chiama i snot dicendo ■ Ora ho la chiave
Che la porta apre, onde il ben nuiLru pende;
Ma giiiiilo a destra, ove men guarda e pavé,
La man sopra di lui Blanoro stende,
£ con l'asia mortai die vicu traversa.
Sopra quei, che ’J seguìau tosto il riversa.
XVI
Non con altro romor nel fondo diede
Del più iochioalo fosso delie spalle.
Che scoglio alpestre, di' alla riva as>tede
D'aspro torrente, a cui ristringa il calle;
Che di pioggia arrierhiio, irato il 6c«Ie,
£ Io sveglie iodi, e rimisomlur la valle
Fa col suo rovinar, tremando ì mri
Agli armcnli vicìui, e a' lur pastori.
zvn
Non fu ardilo gucrrier, che ciò sentile.
Che dal danno dì Ini non prenda esempio,
Fuor che ’l fero Grifou, che sempre visse
D’ animo invitto, ma superbo ed empio ;
li qual, Giove biasmando, altero disse;
Donami pur, se vuoi, 1' islesao scempio,
Ch* io non curo il morir, tiiusirandu almeno.
Che 'nlrepidis il voler riserbo in seno.
XTItl
Colai parlava allor, credendo morto
Il suo caro engtn, ch'amò cotanto;
Ha come vide poi, ch'era risorto.
Rivoltò in ira di dolore il manto;
Ma il fero Segurao da Marte scorto
Di ridar tulle in polve si dà vanto
J#e fortissime porle con la mano,
£ di Vita e d' onor privar Tristano.
xtx
Vede un grosso troocon, che Irageon ivi
Sei più forti gnerrier di quello stuolo,
Versando di sudor dal volto rivi
Con lungo e falieoso affanno e duolo;
Ratio entralo fra lor, d' esso gli ha privi,
E con ambe le mani il prende ci k)Io,
E se *1 pon sopra l’ omero li come
YiUaaelia d'agnel londulc chiome:
XX
E va inverso la porla a largo passo,
E con quello aspramente la percuote}
E sovente adduppian<lo or alto, or basso,
Qual terremoto, o folgore la scuole;
Non aspetta Trislan vederlo lasso,
O le speranze tne d'elTello vote:
Ha stimaodu il suo cv>r d' onore indegno
Chi rip4ro si fa di muro, o legno.
XXI
Chiama a sé Blombcriise, e Goisemanlr,
Dicendo: Or non ronvete d'eslo loco,
Gnar«lando ben 1’ entrata, mentre ìnnaiitr
Conte' a quel rada, che ue prende in gioco;
Blanoro, e ugn' altro cavaliero errante,
Cbe le oemirlie spade apprezza poco,
Segua il min gire in parte ove qncst' alma
Lasserò nuda, o 1' oruerù di palma.
xzti
Cosi dello, la porla io un momento
Quanto ogii* uscio si stende mostra aperta:
Ed ei, qual leve siral, qual foco e vento,
Cou brevissima schiera seco inserta
Vien sopra heguran, eh' è troppo intento
Alla viu«sria sua, che sperò certa :
E con l’urto impruwi>o iu modo Ìl preme,
Che lo steud' ivi col suo Irooco iotscne.
zzili
ludi olirà penetrando tra i gnerrierì.
Quel privato ha dì menibto, e qnello ancì<ie ;
Trova Entrilo, il primiero intra i piu feri,
K la fronte in due parli gli divide;
Avenlin getta agli aridi sentieri
Senza il piè destro, ch* all* albergo il guide;
Euforbo, Amitaufie c Foreiiio,
Quel senza braccio, e questo a capo chiuo.
xviv
Non con altro terror va tra costoro,
Che famelico Inpo ai caldi tempi
Tra la gregge sutl' ombra, e fa di lom.
Pria che senta il paslor, crudeli scempi;
E i can, eh' al nudo sul gran tempo foro,
l'rcndeudo dai signor dovuti esempi,
Si riufrescao nel sonilo alla verdura,
Cbe dal raggio d* Apollo gli assicura,
ili
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Tal niiterelli, che i>uB lianan
Di ri«r «li'iitru ion, liiiiure alcuQQi
Rrslan »t «^pavrnUli al nuovo Januo,
fJtr laMii ai colpì lor rr»la ncttiino.
11 |iiM DIauuro» e che con lui vaitnoi
Han pià nmrti pcUati atl uno a<l uuu
Delia pirite volpar ai larga »rhiera,
tJie r arcua ci>pcrU iiitoruo b' era.
XXVI
E arguivano ancor: ma il re Trlttano,
Clic Mciiro nou va di chi più imporla,
Teme, che non riaurga Srgurano,
K vlorzi al Gti r alibandimala porla}
Va rHliiamaiido ìndirlru a niaoo a mano
Il «tiu Ulanoru, e runurala vrurla ;
E ptti rh'cgli è di grilli urcidrr lav*Ut
Ver»u il campo de' auoi rivolge il patio.
XXVII
E trova rjiial Icmea, che *1 grande Iberno
r.be di Irrra aiiimoiu era levalo*
(>ià pieii di MÌepno deli' avuto icberoo
Fra i due gran cavalieri era arrivalo;
Ove par I' uno e 1' altro aU'afpru verno
Scoglio, die iiivilio a.*pelle il mar UirbalO|
Il qual, li-uaa crollar la fronte o '1 pinir,
Indarno quètlo c quello inonda e Sede.
xxvnt
Il primo, di' egli iiironlra,^ Gosscmaule
( he la unUira parte in guardia ha pre»a,
K gli ilio col|io in fronte tt pelante,
f'.lie'l cerebro intronato n'ebbe ulTe»a ;
Nun però d' indi por movro le piante.
Ma »'apparrrr.bia ancora alla difeta,
Q(iaiMÌ' ri raildoppia il ritlpo, e fu cotale
or a ritenerlo in piè unlla gli vale}
XXIX
Che il forte elmo ba M|uareialo librando crii'
Gomc d'arltor nuvcl tenera teoria; (do
Poi tagliò r Oisu, uve il ritrova ignudo,
Che riroprc la fronte, ove ha più fona,
K non tepfie al bisogno u|>rar lo scudo;
Coli ’l vitale spirto in eiio ainoiuna.
Che 't rullo anco parti tra le due spalle,
E '1 pou distcìo al mal guardato calle.
XXX
Non con altro romur, eb' eccello pino
4di*ai gran munte di Telia in fronte nato,
Dal pratico noediier, che Ita vicino,
Per carena al ino legno è dilegualo,
Che't taglia in bassu ed ei Col verde crino
A dii l'olTese piu rovina a lato,
Che non può al suo cader fuggir il presto.
Che CUB le Iroudi alnieu gli vico molesto.
X«X(
Va incontra pofcia irato a Blomberiiie,
r.h' al suo caro rzimpagno era ÌB aita ;
K lutto il sente Iberno maladiiie,
C.h' a si cbiaro guerrier tolte la vita,
Poi lus|Mrando e iniuacciaudo disic:
Se la vendvlla tua mi vicu fallita.
Spietato Seguran, ti atTemio cerio,
t.he I fin nicdonio dal tuo brando merlo.
XXXII
E coti ragionando in front* il fere
Con grave asta ferrata ad ambe mani.
Ma odio scudo tol venne a cadere,
('die i detir di vendetta rendeo vanì ;
L' altro, come ciugbial, tbe tra le tciiicr*
Di folti cacciatori entra, e di cani.
Senza la spada oprar, C-oì capo basto
L'urta e ratterra, eti fa largo il passo.
xxxm
E tra la gente poi, rb' ivi era folta,
Col medesmo fnrore oUra sì ipìngr,
E col brando mortai, rhc'nl«>ruo volta.
Di vermiglio color la terra pioge :
Il bnun re Lago, die di luoge ascolta,
Co' migliori, e col figlio si ristringe ;
E dove ode il gridar con ratto corto
Confortaudu ciatcun drizza il toccursu :
XXXIT
E trova Segoran, eh' ivi parca
Tigre, o fero Icon, di' al prinm assalto
Pose il cane, e ’i pastore a morte rea ;
Poi la maiidra varcò d’ un leggier salto,
E sbramando la fame, die'l premea,
Pon la misera gregge al nudo smallo ;
£ Con rabbioso dente all* isicst' ora,
E la madre c V agud fogge e divora.
XXXV
Egli avea d' un sol colpa a terra steso
Pili di cento guerrier tutti in im monte,
L'un nelle spalle c P altro al petto ofeto,
Quel ferito nel ventre, e questo in frunlc ;
Viro l'Urrado famoso, c'I grave peto
Tra le tur fretdte schiere al ferir pronte
Soslien con I* opra, c poi col dire t|>roaa
Al passo iunauzi Irar cbi s' abbaudaoa.
XXKTI
Ila seco il liglio Eretto, c Ganesmoro,
£ Meliasso anror ristretti insieme;
Scoulrau P Iberno, eh* alP estate un toro
Sembra, quando Passilo il punge c prcoic;
£ cui inedesinu cure culra fra loro,
Che faiia fra le gregge, e nulla teme;
Pur seuleudo di quei P acuto braudo.
Già del primo furor si Irnuva iu bafldo.
XXXVII
Perdi' Eretto il primier sovra la lesta
Che non potè covrire, il feri tale,
(ihc l'auilar comincialo ab|iianlo arresta
E di ciò dt'aggia a far dubbio Passale;
Vien l'altra coppia ìnlaolo, che 'I molesta
Si, cb' a gran pcua ornai sua forza vale
A laoli Contrastar ; di' ancora arriva
L'altro stuul tutto, e 'I coiidnccva a riva.
XXXVIIt
Se non cb* ei riguardando ioloroo vede
Che d* alcun suo guerrier noo è seguilo;
Tal di* essendo soletto alla fin cede
Alla necessitadc il core ardito;
Ma pria di' ei torni P animoso piede,
Puh di Ire r«dpi uccisi sopra il lito
Aslifitu, Midunr, c Slersiluco
Nati in Puinoiiia nel medesmo loco.
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''«nphial, rhf mtnppn Irov»,
Che HI piri olirà pìr pii rhìuHr il rallr;
r.hr |M»Ì oh? Hi «qoarrtjrlo inHarno prora
Torna la frnni? al fin? or' ha Ir ipallr;
E ipmnanHo II furor. Hi tiratla onora
Corra il Irarortn alla «pinota vallo:
E *n qaantl pnò inoontrarr II Honir aHopra,
Qaotlo e qiiH rìrortamlu tolto c «opra;
xr.
r^*t il orttHrlo Ihorno al manoo lato
Tra la «ohirra, oh’ ha iiiHlolm, ai rtrarcìa,
Poi ohe*l primo oammin rode «orralo,
Ne ’I porrìa hono aprir fi>rxa, rh’oi faoria;
Tmora rnrdin oonfnto, o mal paìdalo,
Qual ohi fuor Hi timor »i mette ia raooia,
Sì rito «onta roniraaln alTrolla il patto,
Rirertaado nel gir più d'oao In bauo*
E rh’opli era nel rampo entralo mio,
E grarìtttmo danno ha fallo, e molto i
S’empie il candido »*n d'onta e di duolo,
E ai molte rrvdel tra *1 pupo! folto;
Qaal lupa alpoiire, ohe ai mawra a mio
Cantra il foro maatin, ohe pii abbia tolto
Il più caro Hi Inlli al mezzo ptomo,
Mentre i figli a lattar facea ritorno.
zf-rti
E fa di Inlti quei ai largo strazio,
C.ho poniar non ai pnò, nitn ohe ridirò ;
Piin venti nomini a terra in poco tpazio,
I qnai non gli volean la atratia aprire ;
Ma quanti più n* iioriHe, meno i aazi«»
Del aangoe loro, e men qiielale ha i’ ire:
Qnantio gli ritovvien di Ootacmante
Coai fatnoio cavaliero errante.
Coaì senza toner cura d* alcuno,
D'Enro sopra il mtrel gi^ posto Ita il piede,
Di loiilan poraegiitlo da riatonno,
Che chi di froniha, o rbi di «lardo il fieHo;
Ma virìn con la spada ornai nettiino
Di prtiprits, o d* altrui mal vrtiHolta rhioHr;
Poi gli altri duri, e I* Orcado, e ’l figliuolo
Di poterlo raceur gli loe Io itiitdo.
Poo’oltoa va, che assai pretin alla porla,
Che con somma virtù guarditi Blanoru,
Comisee il è’ortonato rhe fa scorta
A* funi Pannooi, c combattra fra loro ;
Ailor qual orto alpealro, rh’ aggia scoria
Senza vicino aver mattino o toro
Giovenca al prato, io gli avventa «opra,
E per lorgli la vita il brando ailopra.
Ginnlo egli ailnnnne, ove le batae arene
Del Ionio fiiimirrl ronda raggira.
Si vtilge a tergo, e gran vergogna tiene
Di rìlomarae in<lielrs>, e ne sospira ;
Par la turba infinita, di' anror viene
Tra i miglior oavalier, gli spongnn Pira,
Si ohe d'riao varrar onusiglio pren<la.
Ma non ai, die qaalch'uo pria non offenda.
E ben fatto l’avrebbe, te Grifone
Doli' alto pasto gianlo a lui unn fora,
C'h'alla mortai balla;:lia a' intrr|»onr,
E trae '1 oompagun di perìglio fora:
Ma del ano danno tirato fu cagione,
IVrrhè 'n vece di lui, lasju», dimora
Tra lo noniiche mani in tal maniera,
C.b' al più isiceale sol a' addnre a aera.
Prrrh’ inHìetm rivolto, appresto scorge
Panrmone, rd Agan venirgli al fiaaoo ;
In tor la apatia riourrrnilo porgo,
E porroste il prìmier nel lato manoo;
E’alirit di' a vrmtirarlo irato sorge,
Peroosto in fronte, e palliHelln o liianro
Nel bel deiretà saa, oh’ all' aprile era,
Speoset, qual rana u fior la pioggia fera.
Porrbé tendogli tolto U> sfogare
I.' Armorim furor roiitra il primieri».
Il verta io ruo, r senza tpazio dare,
Tre volte il fero, <»ve aito sta «1 càiMcrot
Al terzo colpo il fa por terra andare
Divitn io duo; che non gli rotta intero
Se non dal boato Ìo giù la parte in onÌ
Sta qoci, ch'avanza al nutrimcplo altrui.
Posola nn salto leggior nell' onde poeto,
Lo qitai con gran mmor poi greve pondo
Salirò in allo, nnaiilo iti batto aeetc
Il frro Iberno all’ arenoso fondo;
E le reriilee gonne iulomo offese
Dell' alme ninfe, rnl colore immondo
Delle arme sangtiìnuto in altrui danno,
E 'a tra i inot ai ritrae eoa breve affanno.
Morto il nobii Grifone, il Forlnnalo
Per raggiunger Trillano il passo affretta;
Ma il tegoilar più innanzi gli è vietato
Dalla gente, rbe fogge arctilla e stretta :
Il buon Tristan non meno scous«»Jatu
(Quanlanque parte fev della vcniletta
Del caro Gossemanle) il aenlier tinge
Di nuovo sangue, ovunque il brando spinge.
Ma il famnto Tristan, poi Ht'ha mostrato
Al luperbo avversario, che non sia
Del loo primo valor lutto spoglialo,
Se bene il permea ailor fsarluoa ria,
Tornando indietro, sente d'ogni lato,
Che ‘1 fero Segnraoo ucciso avia
Il suo buon Gosscmante, e Blumberistc
Quasi condotto n (al, ma poi rivisse:
E fra la turila Antif«Hso, e lalmens»,
Pannniii entrambi, e di Grìfon parenti,
Quel del cur Irapatsati» il destro sono,
Questo le tempie, rriiddmente ha tpenli;
C.Oii lor d'ibcrnia l' orgugbo'-o Eb«n<i,
l)i>pregiator di tulle umaise grati,
Perchè di Marte figlio esser oredea,
Pon, nel ventre impiagalo, a morte rea.
L AVARO II IDE
LUI
Uccidendo olir* a qnc^li altri tafiitìU,
Ma di Dome vul|;ar, *i fa il cammino ;
Ma poi eh* è prcs^y e sopra i Irtsii liti
Scorar il mìsero amico lai virino,
£ tanti iiilcsmo afflitti e sbi|;nUili,
Ch* han perduto chi *1 frale, e chi *1 ciif^ino.
Colai do|tlia e foror Calma gl* inrende.
Che d' indietro tornar conii^lio prende*
u»
E qaal lìgre d’ Ircaoia, che rilroore
Da'nsidioii villani urciai t figli;
Che rabbiosa fra lur battaglia muove
In cui ‘1 morso strodrndo, in mi gli artìgli,
Onde il sangue di fuor si largo piove,
Che i verdeggianti rampi fa vermigli;
Nè si muatra ella talia, in (in che manche
La torba intorno, o che le forse ba stanche:
LV
Tal r Armorieo duce indietro volto
Poi ch’ha inteso per ver, che Segarano
Tomaio è fuora, e ’l lui segnir gli è tolto,
Spiega sopra eostor l'ira e la mano;
£ tanto miele ornai del popol molto,
Ch'ei n* ha coperto il sanguinoso piano:
Poi ch’ogni gente è già fuggita, o morta,
Hiccrca al fin la mal lassala porla.
tv»
La (joal, come pria fu, l<Hto riserra,
Che *1 consiglio dell' Orcado fu tale,
Dicendo: In molti lochi aviam la guerra,
E larghissimo sUolo il latto assale ;
E veramente 1' nom vaneggia ed erra
In si torbidi tempi, a mi piò cale
Dì falsa gloria, che dì star Mcnro
Poi che *1 esci così vuol, tra fosso o moro.
iva
E no *1 diceva in vin ; che Palameda
Col forte Dìiiadaon, e Brunadassu
Di montar dalla destri allo provvede}
E già non lunge al vallo aveva il passo.
Mentre il popol, eh* è li, tentando al piede
Con zappe e con marrou l’argine io basso,
Cercan d* apparecchiar si larga strada.
Che la grave armatura indi entro vada.
LX
Egli era entro la torre, che fiancheggia,
Fin dov’cra Tristano, il manco lato,
E d’indi ascoso, ove nessuno il reggia,
Chi ferito rìman, chi spaventato.
Onde sforza il nemiro, che pmveggia
In nuova altra maniera, o ceda al fato
D* indietro ritornar, tua cìó non vuole
Palamede ostinato, come suole.
LXI
Ha lassando tnlt* altro, sì coagionge
Con Brunoro e co’ suoi, rh'avea vicino;
E con doppialo sluol veloce giunge
Deir aspra torre al prossimo confino;
£ col desio d’ onor, che ’l cor gli punge,
Grida allamenlc inloroo: Il mio destino
Pria mi furi la vita, che mi loglia
Il prender, o spianar I* altera soglia.
LXU
Poi conforta i gnerricr dicendo : Un’ on
E non molta fatica trar vi pnote
Di lungo affanno, e di periglio fuora.
Se r alme avrete di temenza vote;
In questo punto sul tutto dimora
Il largo oour, che le relesii rute
V'han promesso, e *1 guadagno, e ’n voi sol giac*
D* aei|iiislar sommo bene, e langa pace.
I.XII1
Così dello, U primiero in basso scende.
Nè gl! resta Brunor mollo lontano:
E II mede<mo si ratto passo stende
Safaro, Gallinanle. e Dinadaoo,
Poi tutti gli al tri appresso, c ciasmn prende
Ferro, o pesante legno, e non invanii;
Che in guisa fan tremar di quella il seno.
Che se ne crolla inloroo anco il terreno.
LXIV
Si come avviene, uve Nettono tmprìmn
Speco aspro e cavo, eh* al suo gir s' oppone,
Clic dei monti crollar l’altera cima
Fa latta intorno, e l'altra regione;
Ora il buon Lionel, che seco estima,
Che d'alta appellare aggia cagione.
Con sì pochi guerrieri essendo solo,
Coolra ai ciliari duci, e tanto stuolo ;
ivin
Né dall' istessa man Brunoro il Nero,
Col Provenzal Margondo, e Graccdono,
Al procacciar aneli’ ei nuovo sentiero
Più di qnei neghittosi o lenti sono;
Ma chi sopra i gnerrier usa l' impero,
Che nessnn laue l' opra in abbandono ;
E chi al popol maggior va sprone e scoria,
Che dal frondoso bosco i rami apporla :
l.fX
E ne riempie il fosso ss, che aggnaglic
Quanto si può vìcin l' altezze estreme ;
Ma il franco Lionello aspre battaglie
Fa intorno ad essi, e gli rispinge e preme;
Che *1 poisente arco suo le salde maglie,
E gli arciari, e gli scudi passa insieme.
In si veloce andar, di' ad ora ad ora
Qnel ferito, e quel morto i tratto fuora.
LXV
Il fido messaggler Toote chiama,
Parlando: Or ricercate a ratto cor«o
Il buon Tristano, e ditegli, s* egli ama
li comune atto onor, mi dia soccorso :
Che fuor che Seguran, r^ual altro ha fama
Tra i migliori cavalieri e quinci accorso;
E per tome dì qua studiano il passo
Palamede, Uronoro, c Bronadassu.
LXVl
Non ritarda Toote, e 'mmanleoenle
Truova Tristan, che come udito Pavé,
Dice al suo Blomberiise : la mia gente
Conosrh'io ben, che dell* Iberno pavé;
Però vi prego aver rocchio e la mente,
Che non le avvegua caso ontoso, o grave;
E se *1 bisogno fia, fate rhiamarme
Da dii con LioiicJ potrà truvarme.
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AVARCIIIDE
UVII
Con tal ordin «'invia ratto alla lorrr,
Cile con Mimmo valor «i Jifendea:
Qai il CaroOMi Barca, lì Netlur corre.
Ove il meslier ma|;KÌur ti coooacea ;
E quanti può ciaM^iino io man raccorrà
di' al bisoKno ioCoiti ve n’ avea,
Samì, tronchi, terreno, arliori, e travi
Tanti ne §ctlan più nudoti c ^avi«
(JtVIII
E eadean di lauò «ì ipeate c folte.
Come al verno maggior la neve anole.
Se Giove Lmonli, e le campagne «ctolle.
Gli arbori, e ì campi, ei prati aaconder vuole;
Che t venti acqueta, ed ha le oiibi accolte
Più fredde in basao, e più nemiche al «ole;
E '1 viator tremando a poco a poco
D'nn medeamo coUir vede ogni loco.
LTtX
Cotale ivi apparta l* aapra lempeata,
Che da quei dìfenaori io baaao scende,
£ '1 piede il petto, e gli omeri, e la testa
A questo, a quello amaramente oflciiJe }
Nè il gran popol d‘ A varco in posa resta.
Che r arme ivi cadute iu man riprende j
E col furore io allo le rigetta,
Che fa il percosso in ricercar vendetta.
Perchè sneolre il meschìn per altrui piange,
E 'I vuole indi portar rìen nuovo strale,
E *1 percuote alla fronte, e lutto frange
I.' osso, che io alto fra le ciglia sale,
Sì eh* anch' ei muore t e ’i nobile Fiorange,
Che per lastU'O andar guida le seale,
Fu percuisu alla gola, c *n qurllu ìstesso
Loco alla coppia prima cade appresso.
LXXV
Itcrise dopo lor Fere, e Talmooe,
Ambedue Frisi, e cavalìer d'onore;
A questo il ferro entro alla gola pone,
A quel nel seggio del saoguigno umore;
Ha nou per cin la fera opinione
Cangiar sa può nell' oslioato core
Del crudo Palamede, che si caccia
Più sempre addentro e rovinar miuaecia.
txivl
Egli avra in tal guisa al basso piede
Della torre già Trai la terra scossa.
Che poro tempo ornai seco i* avvede,
Ch'ai gran peso, che porta, regger possa;
Ond ei s'allarga alquanto, e poi provvede.
Che d'altre parti intorno sia commossa
Da luoghi legni e duri, e non s‘ inganna.
Che per lei roi'iaar poco s'aflaanas
Ha qnei, che più lunlaa dal fosso stanno,
Cuu varie aste leggieri, e frombe, ed archi
Fanno a quei della turre estremo danno,
E nel moslrarse fuor rendon più parchi ;
Or quinci e quindi parimente vauno
D’ entrambi i colpi nei medesmi varchi;
E '1 montare e '1 calare insieme aggiunto
Si poote ivi veder quasi iu nn punto.
LXXI
Sembrano al rimirargli estiva pioggia.
Quando subita appar nel mcxzo giorno.
Che 'I Nolo all' Aquilon i^olrarìo poggia,
E quanto io mexao sta girano intorou ;
Ch* or saglìc, or cade in disiuala foggia
L'onda, e più volle cangia il suo ritorno;
E le piante impiagando or alte, or basse
Fa di frutti e di froodì ignudo e casse-
Che per breve crollar, qual era integra,
Srnxa ritegno aver, giii in basso cade
Con r alto rimbombar, eh' udirò a Flegra
Le cenerose c fumide rnntrade;
Viro tenebroso il ciel d'ntetira e negra
Polve, ch'ai rimirar chiodca le strade;
Sì che ffloltu passò, pria che 'I vedere
Potesse il primo stalo riavere.
LXXTlll
E col sno rorioar conduue molli.
Che riò non attendcaoo al cader fnora.
Di quei d' Arturo; che restar sepolti
Tra legni c travi alla medesim'ora;
Altri lon morti ivi entro, altri dìsrìolti i
Di quei, che Marte trai migliori onora ;
Come Neslor di Gave, e Taulatso,
Che si tosto •' aUar, ebe furo in batao :
E vie meno è'I rumor sogli alti tetti
Della più dura grandine all' agosto,
Cagiou che 'ndarno il villauellu aspetti
11 soave liquor del nuovo mosto.
Di quel, che 'n sogli scadi, e sugli elmetti
Riiuona intorno, mentre io terra è posi»
Questo, e quel cavalìer morto, o ferito
Sì, eli* al più guerreggiar resta impedito.
LXXJII
E ‘I uggio Uooel di parte ascosa
Ila molli buon guerrier di vita jsrivi :
Tra quei Nulaiilo che nell' aria ombrosa ,
Nacque, ove al mexao aprii gelano i rivi
Dentro all' Ebrida Cumbra; e sanguinosa
Gli fe' la destra, orecchia e morto quivi
Tra le braccia di Schedio suo cognato,
Io non multo per luì sceuro lato.
Che ancor lengon la spada, c senta tema,
L'un e l'altro ripien d' escara terra,
Pria che 'I popnl congiunto troppo prema,
Acroppiali tr» tor s'armano a guerra;
Spioguusi avanti, c gii di vita scema
Parte di quelli han fatta, che gii sCrra ;
E dimostrando poi gli altri seguire,
Colicr tempo se curo al sno fuggire :
IXXX
E col veloce andar, che levi pardi,
Che di molti leon fuggaoo il morso.
Ove agli argin vicini i suoi tlenibrdi
Pon spiegati veder, driuano il corso ;
Palamcdr, c Bninoro giunser lardi.
Che '1 nobil paro, qual baleno, ha scorse
Il fosso, ove trovando intero aiuto.
Dentro al prossimo vallo era venato.
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L AVAUCniDE
33a
MXXt
Tornxntt ÌB<llflro «donqne d'ira carri*!,
Quale relori rao rh’eblier vicine
Due cerve, o damme, che 'n «elroti varchi
Dopo alma nudo pian fnp|;iro al line ;
K van dove i Brìlaooi erano ararchi
D'ogni difesa antica, e che 'I confine
Cuflvien col ferro ani tener lìciiro,
Noo eoa lo achermo più di torre, o moro.
IJCtSil
E riehamandn apprciao t lor pnerrieri,
Palamede pii apinpe, e pii conforta,
Dicendo: Or pimo ornai dì apoplie alteri.
Poi ch'aperta n' aviam la chinaa porta;
Indi ai incita ardito fra i primieri,
E Bmnnr laaia, che rimanpa scorta
A qnei che dietro aooo, e ponpa e aproni
Chi per leaicaaa gli ordini abbandoni.
C.SXIIII
E per Valla rovina, ehe fa strada
Per in alto salir, ratto venia}
Ma trova in cima I' onorata spada
Del fanioto Trislao, ch'ivi apparia,
K pii vieta il rammin, che 'noanii rada ;
E pii sopra la fronte il ferì, pria
C.b'ei posta immapiiiar che pente i questa ;
Ma il colpo rb'ri sentì gliel manifesta.
LXXXIV
Che ben raccnplic in se, eh* altri non fosse
Foor rhe *1 fiplio di Ban, di forza tale;
Che l'rlmn intorno dì tal modo seostr,
Che poro avea da pir, ch'era mortale;
Non però l' invìit' animo tnrbosse.
Ma eoi valor, rhe raro arrva eguale,
Spinpe pur anco, e eerra ultra passare,
Mé Toole indarno Tore consvmare;
tixxv
Che sapea ben, che lanpo tempo invano.
Per abbatter Tait l'altro, si porrebbe;
Ma poi che 'I passo aveva aperto c piano,
Vincer l'impresa, c non eostoi vorrebbe;
Pensando in se, che poi di Sepnraon,
S' epii avvenisse ciò, più liuie avrebbe;
E co' suoi si rislrinpe, e driua il pieile, '
Ove il popol più frale c asiaor vede.
LXXXVf
Non ne cale a T ristao, ma •psnpe al fianco
Conlra plì altri gocrrier, che con lai vanno;
Caccia il brando a Filca nel lato manco,
E pii di del mortai 1' ullinHi danno;
Mirinlo appreaso rende esanpoe c bianco,
La gola incisa, ove gli spirti vanno;
Dopo custor fa Tulio, e Dedupolo,
E Basalco reaUr d' anima volo.
IXXXTtI
r.Kvxvm
E si rislrinpe alU>r Ira sotto e sopra
III cosi anpnslo calle la letiaone,
Ch' ornai indarno riatenn la spada adopra.
Ma con rabbioso urtare alimi s'oppone;
Ciascun mette al passar la forza in opra,
Fermo lenendo il pii sopra il sabliionc ;
Quai faticanti bnoi, rhe 'I carro han carco
Si, ebe tpnnUr non pon psetmso varco.
LXXXIX
Ha il pronto Liouel, rhe nò rimira.
S'arreca a' fianchi coi più dotti arcieri;
Egli a destra rimane, e Neslor pira
Dalia sinistra dietro a' suoi paerrieri,
£ qneslo e quel sì folti colpì tira
Per traversi ed incogniti sealieri,
Che molti aiicide, e molti lassa in doglie,
Si che '1 nodo fermissimo si scioglie:
xe
Che riasenn volenlier ritira il passo,
E fuggendo il morir già il loco cede :
Ma il possente Bninom che dal basso
Pur eo' suoi per tornare addrizaa il piede.
Gli risnspinge, r gridai Ahi p>pd lasso,
Questo è i’amor rhe porli a Palamede?
Questo è r ooor dell'Ila e della (una,
Il cui raro valor ti larga tnoaa?
xci
Con qneslo ed altro dir pii toma in allo
E pii segoe esso pei co' suoi Germani,
E più ehe mai rinfresca il primo assalto:
Ove oprar non si poo spade, nè mani,
Pon di (errati scudi no saldo smalto
Da ciascun lato, onde rilomin vani
Della coppia dì Cave i colpi ascitsì,
di' al suo prmu apparir veancr noiosi.
xcif
E tal fu il gran soccorso di coslom,
Che mal pon eli altri il peso sostenere;
Già lasserìan l' impresa, se fra inen
Non pridatae TrisUn eoa vori altere:
Ove fuppiic voi f ch'altro ristoro
Sperale indietro, o ehe soeeorto avere ?
Altro fosso, altro vallo non avemo,
Se questi a Palamede lasseremo.
xeni
Non oc resta altro poi, che I' armi esporre,
£ ondi prigionier farsi a' nemici
Ch* anco poi vi vorran la vita torre,
Per goder meglio Ì vostri rampi aprici,
E le spose e le figlie in seno accorre
Di voi gregge viliuìme e 'nfeltri ,
Che qni stolti temete questa morte,
Che più dolce sarà, che quclU sorte,
XC(V
E degli altri goerrier n* ancìde tanti,
Qnaali al montar laMÙ sospinge il fato;
Si che l'alto romore, e 'I grido, c '1 pianto
Hanno il pensicr pcll'Ebrido cangialo;
Ch' al soccorso si volge, v quello intanto
Drìianon sLnol da prima spaventalo,
Clic foggia innanzi a lui, già indietro Usrna,
E conira il percussore alza le consa.
Con queste vori insieme, e con la spada
A* snot porge ardimento, agli altri tema;
Ha il famoso Brimorn a ciò non hada,
E spìnge quanto può con pissa estrema;
E forse aperta al fine avria la strada
In altra parte, ove Trislan nun prema;
Che se beo l'occhio ha presto in ogni lato,
Noo può per tutta poi irovarsc armato.
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333
L AVARCIIIDE
KCV
Ma raoifooM) Erriti», rbr’l romor»
Ila Uì loiilanu ntlilu e '1 jp’au prri|(IÌo,
Tra Ir srhìrre rh' c|;lt ha tli piò valore.
Con lo «tenilariJo imo d’ oro c Termiplio
Ballo al loccorM» vìeo eoo quello amore,
Che la madre pietoaa al dolce fiplioi
E mio il suo gridare, e Calla polve
Il OriUoDo Umore ai cor diaiolve.
cu
Giunge tosto a quel loco, e di già scorge
Cou le scale imbracciate il fero Iberno ;
E già le stringe al muro, e in alto scorge
Tulli gli altri, c Gaven prendendo a scheroo;
Già per mettersi iu cima il passo porge,
E già lutto ha varcato ÌI muro inieriiu.
Già Calarlo, Esrlaborre, e *1 Fortunato
Segueudu il suo scnlier gli sono a lato.
XCTt
E eoo lanlu furor prrrnoU iu fronle
h* a«pra aemira irliicra die venia.
Che non mi rInlUMÙ le voplìc pronte,
Ma d' indietro lurnarse apre la ria.
L'uà .«opra 1* altro Ira rmifuio munte,
E mal grado de' duci indietro pia,
Ch' nve aia il luo Brunoro, o Palaniedc,
Mciioo più cerra, o più l' ascolta e vede.
cm
Non ritarda Tristan, ch'ha l'alma intenta,
Ove vede arrivar I' aspro drappello;
K cun 1' asta ferrata s' argomenta
Di rt'piiiger veloce or questo, or quello;
Fu il primiero Esclabur, ebe'n basso avventa,
E '1 fa cader, qiule invescato augello
Dall* insidiose Iroodi, ove al mattino
Allcltatu al suo mal torsa il commuio.
xeni
Qual Siiìfò infelice, che '1 fatale
Sasso gravoso all'erto monte spiage,
Ch* uve faliraodo in allo sale,
11 suo deatsn più al fondo il rÌM»«pingct
E mentre ira, pleiade, e duol I' asMic,
Altra nuova speranza il cor gli cinge.
Onde al sno vano oprar rilumu face.
Senza aver notte o di riposo u pace ;
av
Gettò Calarlo, e 1 Fortnnato appresso.
Che nel suo rovinar le furti scale
Salde Icnea con man, si che suvr' esso
Al percuoter dannoso arroge il male.
Che 'niicmeandaru;e’l populche gliépreiso
Sente non meo di lui colpo mortale ;
Percir a qnanti goerrìer si trova sotto.
Ha troncate le gambe, o '1 capo rollo.
xc*m
Tale a'doei avveoia, poi che rivolto
Il pop«»l rhe aalia, ti getta in ba«su,
Che agli avvversarìi pur mostrando il volto,
K sforzali da* tuoi volgono il passo;
Ma il malvagio, e'I migliore in un ravvolto
Rovina alfin, roine qtirl proprio sasso,
O quel, che ruta il ruslico arrhitelto,
Per far fido sostegno al patrio letto.
Cv
Resta sol Seguran, eh' ha innanzi il passo,
E dal muro acquistalo è si loutaou,
Cir esser non puule ornai riposto io basso
D' tiu Colpo solo, e si ripara al piano;
E benché lutto sol, di vita casso
Esser prima dispon, che avere invano
Calcalo il vallo ornai più d' una volta,
E poi la possession gliene sia tolta.
XCIX
E'nvan s'adopra 1' Ebrido e Braiioro,
Margoedu, e Graeedono, c Diiiadann,
Ch* a viva forza alfiii scendon con li>ro,
E '1 supremo sperar ritorna vano ;
Ma mentre io goisa tale npran costoro,
Vien volando Mandrino al pio Tristano,
E gii dire affannato: Senza voi
È in periglio mortai Gaveno, c t suoi.
cn
N« solo il buon Tristano invita a guerra.
Ma quanti altri vi son, con Lai parole :
Il superbo Jeou, quando si serra
Nella uiandra d' aguelli, uscir non suole.
Io fin ch'ad uno ad un nun punga in terra
Di sangue scarca la invilita prole;
Ned' io partirò qoìnei, eh io nun abbia
Tinta di voi la mal tessuta gabbia.
c
Però che a quella torre, che s' agguaglia
A questa, all'altra man verso i' Orone,
Gli ha mosso Palanmro a«pea battaglia,
Ma di poco curarlo avea cagione ;
Or che '1 gran Segnran teme C aisaglìa,
E già in ordine i suoi d'iolumo pone,
V» prega per oaor, che 'n cor portate,
C.h'al soccorso di lui ratto vegiiìate.
CTU
Cosi detto il crudel vede Troeone,
Che non iuiige a Tristan ver lui veniva,
£ squarcialo il cervello a terra Ìl pone;
Oresbio presso a qnel di vita priva;
Ma il gran re dell’ Armorico Leone,
Poi ch’ha gli altri scacciati, io tempo arriva,
Che se tardava ancor, degli altri molti
Avria, come quei due, di vita sciulli.
CI
No '1 nega il fido Armorico, e poich* ebbe
VrduU» io sicorlò quel loco unui,
Prumrtiradtf a ciascun ch'ivi sarebbe,
(Se'l bisogno vesia) velsice assai,
(^OQ qnellu amor, che 'o casalìer si debbe,
Si volge a txar di saogoinosi guai
Il re d' Orcaoia, e gran Joirc il muova
Di far con Scguran novelle prtivve.
cvm
Ma qual lupo affamato, eh* alla greggia,
Che Sola ritrovò, gran danno apporla,
Che raffrena il furur, da poi che reggia
Del feroce masliii la fida scoria ;
Tale il gran Segnrau ouu più vaneggia
Coiilra i niiour, nè fra la gente morta.
Come vede Tristan; ma si raccoglie,
E n psù saldi pensieri arma 1« voglie.
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ai
E va ÌDronlra veloce, t pifn li* ardire.
Ne r alln> il teme, aiiai sol es»o brama;
Ma {|ciaD«ki più vieta sodo al ferire,
Viro la schiera maftginr, che Cavea chiama;
Che poi ch'ha vitto del ino vallo uscire
0|;ni altro cavalier di maft^inr fama,
Tien contro a Se|Curano c spinge in f(uisa,
Che la ^ncfra primiera hanno divisa.
1 CXTl
11 qnal di Gnnebaldo la figlinola,
Amalilde appellata, sposa avea;
Clularo a Mirion la vita invola,
Ch’ all' antìro Yesoniio il freo reggea ;
1 (dodamìro Larreo, rhe regna in Dola,
Sospinse di sua mano a morte rea;
Teodorico il qnarto urcsse Aldero,
Che dei ano Malìaeoo Icoea 1' impero.
ex
Che non poò il fero Iberno al |;rave intoppo
Delta |eote, che vico, fermare il piede;
Ma col valor papMardo, e '1 pnter z<ippo
Di passo in passo stxpirando cede;
Talor si sprona innanzi, e poi che '1 troppo
Lo sforza intorno, alla sua sirada riede ;
Fin eh’ all' estenua parte delia torre,
Senza offesa sentir, può il passo porre.
cxnt
Nè par di questi sol ma d’altri molli
Di sangue popolar posero a terra. I
Ha delle rose ornai nasconde i volt!
L’ oscura umida notte, e ’l giorno serra ;
Già i gran dnrì d'Avarroal lotto sciolti
Son d'ngni speme d'allungar la guerra;
E già di ritirarse ordine danno,
Ove pouan corar 1' avolo affanno.
CXI
Poi esleando col piè la parie estrema,
Qnati il voi prese a pnisa di colombo,
Ove i’arpìn di fnorr il. fosso prema,
Che peripiùiso avea tassarse a piombo t
Tra i suoi s'acroplìe, e con dolore e tema
Di chi d' esso virino odio il rìtnlximbo ;
Qual pereprif) noechicr, ch’oda il flagello
Delle pietre affocate in Moogibello.
exviM
Ha II fero Segnrano irato ed empio,
Pria che d'indi partir, gridando chiama:
Fate inerti Britanni on sacro tempio
Alla Nolte immorlal, che Iroppov'ama;
E la seconda volta d' alto scempio ,
Ila scampata di voi l'alma c la fama;
Se la fama scampar di quei si crede.
Che 'atra gli argini c t fossi asconde il piede.
exit
Nè più che in qnesti l«>chi in altra parie,
Ne' due fianchi del rampo, e nelle spalle
Ila trepna o paee il sanguinoso Marte,
Ma dei medesmo snono empie la valle;
nrilba il (ero Ostrogoto ha io giro sparte
Le genti sue, dove difende il calle
Il chiaro Bandegamo, ed Agraveno,
Verso om ha il mezzo di lepido il seno.
cxix
Cosi detto, scn va con gli altri insieme,
Che d'aver lutto in man speran l’alloro,
Tosto che d‘ Oriente i liti preme
Di Latona il figliool coi raggi d’oro;
Dall' altre parte ai sospira e geme
Tra quei d Arinm, che i miglior di loro
Vegglon totli impediti, e di quei bassi
1 pili morti, 0 feriti, e gli altri lassi.
cxni
Ma poco pitele oprar, che la virlnde
Dei chiari difensor trovò più dura,
Che 1 fabbro Sirilìan l’antica iocude,
In mi r arme del ciel forma e procura ;
B Ilossan ver Boote, ove si chiude
Fra lo sluol suo nelle terresti mura
Con Pelinur, Lucano, ed Egrevalln,
D'ivi entro penetrar tentato ha in fallo.
CSX
Sfnovesi il buon Trìstan molto a fNCladt,
E r Orcado famoso, e gli altri regi;
E che curali sien, eercao le strade,
Prumettendo a ciascuno onori e pregi:
Ma più che in altro, in Galealtu cade.
Che fu il fior sol dei cavalieri egregi,
La doglia del lor mal, che si convieoe
A madre, che ’l figliuul rilrove in pene.
CXXT
Nè Gnnebaldo al loco, ove si pone
Il sol, che del re Franco aveva i figli,
Con men fnrore il sacro gonfalone
D'abbatter cerca degli aurati Gigli;
Che l’odio antico se li aggiunge sprone
Al dispictato cor di far vermigli
Del regio sangue i earapi ; ma il valore
De'fjuaUro giovineUi è via maggiore.
cxxi
E quanto tosto può, per vìa spedita
Piangendo trova il figlùi del re Bano,
£ gli dice : Signor, se mai gradila
Fo da voi r alma amica, non sia vano
Il mio pregar, si die si doni aita
Al re Britanno almen per la mia mano.
Se '1 cielo al vuslro cure ancor non spira,
Che debbiale posar lo sdegno e l' ira.
cxv
Che qiiMici e quindi son fra lor parliti,
Come il vecchio Sicambro ordine diede,
K si ben guarda ogni uomo i propri! liti,
Ch'appressar non gli può nemico piede;
Molli uccisi ne tou DiuUi feriti,
(.he rirliiaman Kmlan la patria sede.
De' Burgundi miglior che Gliìldeberlo
Trapassalo ha nel cor l'empio Alalserlo:
CKXII
Non V* accorgete voi, che più non pnole
Sema soccorso altrui reggere il pondo
L’afflitto stiiul, cni le celesti mote
Dì miserie hanno spinto al sezzo fondo?
£ si tosto che *1 sol domine scuote
Il tenebroso vel dal fosco mondo,
Or che gli argini e i valli son per terra,
Sarà morto, o prigion subito in guerra.
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r
K
L AVARO II IDE
K]
c**m
rxxix
Ch' olirà i dar! miftltor, romr Mprtr,
Lanritnito ritpunilc che gli aggrada :
Son ferii! i piuerrirrì in maftpor parie ; »
Cimi il pielosu re con ratto pat<o,
Itifinili varrar 1* onda di Lete, *
Ctnne che iu parie ileslata vada,
Nimi beue accolli dal favor dì Marie ;
Giunge ove Arturo sta dolente e lasso.
Or ic di bene oprar mai fotte in tele.
Che con Tristano c gli altri cerca strada
O te TI mntier mai laprime tparte ;
Per la salute lur, di speme casso;
Siami concetto, e tenia farvi offeta.
Ma si loslu che scorge ivi apparire
Ch' a quello uopo maggior vada io dìfeta.
Galealto tra* suoi, romioeia a dire :
exiir
rxxx
Risponde Laneilotio : Gii in me tletto
Mandavi il cielo a noi per nostro bene,
D* aiutar pare Arturo avea detire.
0 sacro re dell' itole lontane.
Per non vederlo al fin del tallo oppreito
Per fine imporne all' infinite pene.
Air oliima nivina pervenire.
E le sperante far degli altri vane?
Ma tento un tale *pron giungersi ad etto
E *1 sangue pio delle britanne vene
Dal pio vostro pregar, che tulle Vice
Sparso ti largo già da sera a mane
Che m'avvampino il ten per giiiita via,
Ni>n ha tale ornai mìo LanciloUo.
Il cuiiiigHu di voi spegner porria t
Ch* all* averne mercè si sia cuudutlo?
fX»V
CXXII
Ch'in non per>'> di libico leone
Disse allor Galeillo: lo vengo a voi,
Porto il n>r dentro, e di pieti rnbello ;
Famnsi«sinm re, per dirvi come
Ma, come il mon<ln «a, gintta cagione
LancìlotUi ha commesse intere io noi
Mi nioise al farmi a luì ritmto e fello.
Di quanto ei ptw ditpor le chiare some;
Or eh' è ridnlUi a tal, titilla ragione
L'elmo, Io scudo, c gli altri arnesi suoi
Mi pan più manlener contrario a quello,
Vuol che mi premio gli omeri c le rliiomc ;
Srnd* cs qui, sentiti re, tendo rri»tiaaO|
K mi porti Nifonte il suo deslrìern,
Ed -io t‘ unico erede del re Sano.
Più d'ugn’ altro che sia forte e leggiero.
CUTI
CXXISM
Or tenia altro piu dir, come 1* Anrora
E che quinti ha gnerrier giontì co'miri
Spanda i «noi bùtndi crin nell' oriente,
Vengan meco animo<i alla battaglia.
Menar pnirele alla battaglia fuori
Si ch'io possa provare i buoni e i rei,
tnin la votira miglior la nnttra gente;
E Segnrano altero quanto s-aglia;
C *1 mìo eortier, che in oii» ti ilitnnra.
tJie nun'l sperando addur qaal io vorrei.
Prender potrete più, rhe più pottente
f.he per voi rivestisse e piastra e maglia,
K pio Mietio è del vottru. e più leggiero
Il pregai che ciò fette, e fu ronleoh»,
Da ritrarvi teenr d' ogni tentieru.
£ tpiegliercui diniau 1' iutegne al vciilu.
ctxrti
cxtxtii
E di piò vrtlirele f armadnra,
Lieto più eb'anror mai l’altu Britanno
Che già più piocni tono in pace siede.
Rìspuudc : Adunque voi chiamar dovremo
Ch' ha di molte altre auaì leinpra più dura,
Sommo risturalor del nuslrt» danno,
Né meglio in noi che n voi riposla atainle :
E divia tairaloc del ponto estremo;
Io mi resterò qui, prendendo torà
Di voi sempre figliiiui s' appellerauoo
Di quel, che '1 ioeo e la tlagion richiede;
t^uci che 1 spirto non hau del corpo sremu ;
K mi fia a grado eh' un ti largo onore
Kd io tra palme aurate c sacri alluri
Venga lu voi, caro a ne più che 1 mio cere.
Vi darò contro a morte alti tesori.
CXXV1II
cxxxiv
Nou fu già mai piu lieto Galealto,
Qui finito ciascun che'otoroo odia.
K gii dice: Signor chiaro e gentile,
Con allegro seutbiaatc il guarda e loda;
Al buon vostro voler cortese ed allo
Già n è il campo ripieno in ogni via,
Rendo graxte inlìnite in atto umile;
Già par, ch ogii' uum per la vittoria goiia:
Ma perché tparenlali dall assalto
Torna il buon re con larga compagnia.
Hestan roiifiiu i duri e 1 popul vile.
Ove il gran LancilotUi iudi ai snmia
Mi par di' io debba andar dove ai Iruva
Da tutti gli altri, e ’ii parte ti riduce,
Lo tcontoblo re, con qiictla «uova.
Ove in posa attendeu la nuova luce.
J
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L AVARCHIDE
CANTO XX ®
ARGOMENTO
V
B sopra il tutto poi prendete cara
Di ben seguire it nostro Galeallo;
Nè da lai vi disginnga orrida e dora
’ Fona d'altrui né di Fortuna assalto;
Mj inrìUe tchirrf aìfin traggono fuor*
nimembraodo, che d'onta aver paura
Dee, non di morte acerba, il gaerrier allo;
Caleaìto ed it figlio del re Banot
Onde i nemici n' httn sì fier timore^
^ D'aspra miseria Arturo airultim' ora.
('■he i duci il tentam dissipare invano.
VI
Pugna da prode CalealtOt e muore
Trofitto per le. man di Segurano,
Che da Trisian poi vimto^ privo resta
Della salma del re lacera e pesta.
Coti dello e tornato al padiglione.
Con le sue stesse man dal capo al piede
L'arme siu tutta integra a tomo pone
Al dolce amico, c ne l'ha fallo erede;
II suol di frrru e l'argentato sprone,
Lo sehinier sopra, e '1 coscìal dupo assiede;
Indi il saldo braecial, poi ehe locato
Alla gola ha l' acciaro, c ben serrato.
^on avra ancor la sposa di Tifone
VII
La corazza incantata, dora e grave
Imbiancato il scnliero al noovo sole]
Troppo alle forse sue gli chioda iatumo;
Ma il fido Galeallo, a cni lo sprone
Pnngli poscia il plastron, come chi pavé.
D’onor 1' alma pangca^ già snrgcr vuole;
Che alcnno aspro colpir gli faccia scurnu ;
E con ardenti voci io opra pone
' Al destro lato poi con ulda chiave
I mioislri miglior che in garrra cole;
Ripon la buffa, dove assiede adorno
Clii sveglia il buon vicin, chi grida intorno
\ Lo spallaccio ai duro, che no'l possa
Ch*air orioonte ornai s'appressa il giorno.
Piegar non che squarciare nuiaoa possa.
Il
^ vm
Ma i primi snoi gnerrierf nè quei che vanno
, Cingcli poi la spada che Viviana
Sotto l'insegna pia del chiaro amico.
Dì stimolo all* andar mestier non hanno,
La donzella del Lago e sua nutrice.
Cinse a lui già, di tempera sovrana.
Con l'altre arme eh' avea nel di felice,
Che sempre ebbero il cor d'ozio nemico;
Or dì caldo desio rompantì vanno
Ch' al Britanno tcrren non mostrò vana
Di mostrar fuor che '1 gran valore antico
La sua virtù d'ogni altra vincitrice;
Non sia spento anco io essi, e ch'e'son tali
Leve al sno braccio solo, agli altri appare
Che possoo ristorar gli avoli mali.
Di sovcrciiiu pesante e scoia pare.
tu
Già io piede èLaorlIotto, eposte ha insieme
IX
La colla marzial poi dove splende
D«dlo sliiol sno le candide bandiere.
Il rosato color col bianco accollo.
1 Che dieci furo : e ’ntorno all' ali estreme
DaM'omer manco per traverso stende,
Locate ha de' cavai le squadre altere f
Sì che '1 braccio miglior si truove sciolto;
1 Poro lontano a lor 1' arena preme
Il coi solo apparir da lunge rende
L'ordin medesmo delle folte schiere
Ogni avversario suo di ghiaccio avvolto;
Che‘1 buon re Gatealto seco avia,
Che del saogoe nemico è aspersa tale
Che r insegna ventesima compia.
Che rargenlo alla porpora era cgnalc.
Va intorno Lancilolto, e *1 nome chiama
X
Virn poi 1 nobil deslricr, che cantlìdo era
De' suoi duci maggiori, e dice a tutti:
Qual pulito ermelltn, che in don gli diede
f^hi di voi, dolci amici e frateì, brama
D’ Artur la rratiisima moglìera.
Del nostro lungo amor rendere i frutti.
D'onor, di grazia e di bellezza erede,
Non faccia oggi fallir la chiara fama
Allor che dei nemici prigioniera
Che 1 mondo empie di voi, gli amari lutti
La trasse fuor delle famose prede;
Vendicando degli altri, e l'empia surle
Per memoria dì cui sempre da poi
Di sì gran cavalieri c di Boorte.
L' ebbe in pregio maggior di tutti i suoi.
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I
34< x’ A VARO H IDE _ 34»
li
E uoo léau c«ftion ch'olirà U maiM
Che polca molto mea far caro asaai.
Piu posarnle e IcEfier preaso o lontano
Quanto rìacalda il aol dog vide mai t
Piaeìdo al ano aignorc ttsnile e piano.
Fero al nemico: e doloro»: guai
Agli awerai coniert c 1' altra gente,
£ col morao e col piè porgen tovenU*
xeni
Non pereh* in non etUmt e tenga certa
L'alta vostra virtù di loro eguale;
Ma l’amor vero tien l’anima incerta,
£ sempre più eh* al bea l' inchina al male.
Perù vi prego umìl per quel che merla
11 valor buon, che sopra i regni sale,
Che lassando quei due, volgiate il passo
Coatra gli altri guerrier del re Clodaaao*
Xlf
Qoealo a lui volte dar, per non launne
Cosa che mollo amaatc, aeoia lai ;
E perchè ancor poteste me' mostrane,
Ch’ei fotte Laneilotto agli occhi alimi)
E perchè ove le forze erano scarte
Ei potesse supplir per ambe dui
Col ferire i viria, col grave intoppo.
Con Io Mello ndoprar aallu o galoppo.
xrx
Nè sarà manco lode, e più sicuro *
Fia per l'oste Brìliono, e più giocondo
Lo spegner qnei che solo odiano Arturo,
E 1 vorrebbrr veder del centro al fondo;
Ma il paro, ond* io parlai, eoo desio puro
Di fare il nome lor perpetuo al mondo
Cootra lui porlan 1' arme che sovente
Già spiegate haa per noi sovr' altra genie.
xm
Spleodea tutto argentalo il ricco arnese,
Qoal la nottoma e frigida stagione
La lana tuoi, eh* a meno il corto liete
Il tuo leve girar con tatto aprone.
Or poi che Galealto il leggio prete
Fermo e ben dritto 10*1 ferrato areiooe,
U bianco scodo suo gli appeode ai collo
Si poescole per lui, ebe snotsc il crollo ;
XX
Tal dicea Lancllotlo, ascose strade
Cercando, per oprar che Galealto
Di si chiari guerrier fugga le spade.
Nè eoo lor venga a siognlare assalto.
Ma il boon re gli rispose: Quel che aggrade
A chi quanto veggiam ministra d'alto.
Segua di me, signor ; che speme legno
Che almeu del vostro amor non morrò indegno.
xtv
Qual talor sool la piccioletta otre,
In cui rozzo nocebier di prezzo avaro
Ripete al suo poter fascio si grave,
Che ‘1 fondo incurva, e l' umor tristo amaro
Penetra addentro i onde si allrisU e paro
L* afflitto peregrin, ch’ai nido caro
Teme non giunger mai, facendo voti
A Castore o PoUnco alti c devoti.
XXI
Nè più volle zllro dire e spinge ionznli
Il feroce corsier, dove attendea
L'alto drappel di cavalieri erranti,
Che di desio di goerra in core ardea.
Or già l'Aurora in piaridi sembianti
Nell firieotc candida spleodea.
Sì che più apertamente scaopre intorno
Chi fia più d' arme e di destriero adorno.
XV
Il Ineid'clmo poi, che fabbricato
Reir immortal fucina di Merlino,
Conte' ogni ferro umano era iucantaln
Col favor delle stelle allo e divino,
Che di pnrporee piume e biaurhe ornalo
Avea del bel eimier 1' argento fino,
Con Irtsln augurio suo gli loca in fronte,
Che gli parve al senlirlo il Pclio monte.
zxti
Nè rallro oste d’Arturo, e *1 gran Tristano
Rcstao più di coslor nel sunno avvolti ;
Ha nel raedesmo tempo arman la mano,
E ncll'ordin primier si son raccolti;
Già di trombe e di snon rimbomba il piano,
E con nuove speranze e lieti volli
Ogni onorato priucipe ogni doec
Oltre il vallalo fosso i suoi coiidoce.
ZVI
ludi gK arma la man, poi gli dà 1' asta.
Ma DUO cpiella perù che 'n guerra adnpra
Al più grand' uopo, rh' oltra lui non bùia
Altra foria mortale a porla io opra )
Poi con pietà gli dice: Chi contraaU
Superbo io te rootra il voler di aopra,
Non invitto gocrrier Ira i buon a’ appella,
Ma di mente spietata, iniqua e Mia.
zznt
E per render quel di più largo onore
Ai buon nuovi guerrieri, e Galeallo,
Voglioo eh' essi ì primier si moslriu fuorci
Le ciliari insegne ventilando in allo,
E tlien nel mezzo ove il maggior furore
Par che Marte ammiaistri al fero asullo ;
Trislaa da man sinistra aggia la schiera,
Cavea dall’ altra presso alla riviera. *
xvu
Questo VI dich' io sol perché se *1 cielo
Volto all' alto desio contrario mostra,
Non vi Ciccia, signor, soverchio zelo
Porre io rìschio mortai la vita vostra ;
Ch'io per voi resto in tema, e non vel celo,
Qoalor pensando la memoria nostra, ,
L'empio furore c la gran (orza vede '
Ch' è nel gran Segorano e 'a Palamede.
XXIV
Quando il gran Segorano e qnei d'Avarco
Che si pensali la palma avere ornai,
£ *1 nemico veder di doglia carco, *
E *n tema avvolto di futuri guai,
Odon che lassa già l' antico vsreo
E più mostra d'ardir rh'avctsc mai;
Besljo tutti dubbiosi, c 'n maravigba,
E ’oTcno ove soeodea volgon le ciglia.
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L AVARCHIDE
XBT
E qtuiMlo wgp<Ni pui le bianclic iaiefne
Qi' h«n le tre Terge oartire aUraTcrtAlc,
Par rbe eiavnia ìa cor timida regne.
Che l'ba più volte già viite e provale;
E r ardcote desio Uitlu ai spegne
D* assalir, conte ier, le squadre armate;
E Tao r altro tarrudo ia «ulte* guarda
£ quanto puote ancora il piè ritarda; •
XXXII
Moriaxi pure animosi alla battaglia, *
Cangiando ordine tosto, arme e disegni ; 1
£ con più grave acciaro e salda maglia
Di possenti rorsier prendiam sostegni.
Che fia miglior per noi eli* altra muraglia
Assalir di terreo, di rami e legni.
Ove un sol vai per mille ove la sorte
1 buon per max de* rei conduea a morte* •
XXVI
Sì come il cacciatur eh* al veipru cime
Di tele intorno la spinosa valle,
Ch' al maltia rilroTare in cor si finse
Ccrvctle o damme nel serrato calle,
£ con securo andar leve s'arrìose;
Quando in vece di lor dopo le spalle
Sente il fero leon ruggire o l'orso
Cile gli fan ricangiar volere e corso.
XXXIII
Cosi detto ogni dorè e ravaliero
Spoglia l'arme più levi e 1* altre piglia ;
Ed ci fece il mrdetmo, e’a su ’l destriero
Monta cli’era alto e grosso a maraviglia,
£ sema aleno candor del tutto nero.
Che gli die' Hadagaxo, ehe ’o Siviglia
Tcoea r impero, il Vandalo onoralo.
Che ’n giovinetta età l’ aveva amalo* •
XXVII
Ha il chiaro Seguran contrario pare,
Qnal si vede talora aspro molosso,
Che per volpe o leprella seguitare
In gioco è del paslur di Uccio scosso,
Che'n ver lupo o cinghiai, rh' a caso appare.
Lassando 1* altre girne, il piede Ita mosso
Con più lieto desio, eh* a sdegno avea.
Quando (tre vilissime oflcudea.
XXXIV
E *1 tema Segoran relanlo caro.
Che solo a guerre altere e perigliose
E ’ncoutro e eavalier più d* altro chiaro
Qoal tenea Lanrilotlo, in opra pose ;
Sovra il qual già rondasse a fine amero
Giiiglantc il forte, e fe’mirabil rose
In quel tempo primicr che io Gallse veune,
£ d* Avaroo il cadere tx piè eoslexaic.
ixriii
Spingesi alquanto innaniie'l guardo affisa
Si riie'l bianco dcilricr ch’ai iuoimIo è nolo,
Che fia quel rhe parra, per fermo avvisa,
E che del suo signor non venga voto;
Cangia il volto c '1 rulur neir impruvvisu
Vista, cfiree al soffiar d’acquoso Nulo
Suol cangiare il scren 1' amido aprile,
Che raro usa tener l' istesao stile.
XVXV
Già col nobil cavai per ogni perle
Va inlomo visitando ì suoi gorrricri,
K gli risralda al gran furor di Marte,
Dicendo : Or valorosi arditi e feri
Esser convien e por lutto io disparte
Il neghittoso andar che faresl* ieri,
E segiiirme ov' so vada, che la luce
Sarò del vostro ener, compagno e duce*
XI IX
Tremagli in seno il cor, trema la mano.
Nè disceme fra se che faccia o dica ;
Non pcrch* ei tema il figlio del re Bario,
£ nnn ^li sia con lui la guerra amica ;
Ma in SI gran novitade adopra invano.
Che r invitto vaine se stesso intrica
In quel primo arrivar, ma a poco a |ioco
li gicl che dentro avea ilivcnnc foco.
XXXVI
pui gli rimelte in quadro aggìonti insietac;
Qual nel fermo ediiirio 1’ arehitclto
In tre lor I' un con Peltro i sassi preme
Per sotleoer più saldo il regio tetto ;
Indi eoa gli altri suoi mostrando speme
Pio che fu«s« ancor eiai nell’ alto aspetto,
Spnsoa il destrieri) inoanxi, a Palamede
Ogni schiera lassaiidu, rii’ era a piede*
XXX
E rivoltalo a* suoi dicea: Signori,
Or posa* io ringraxiar del tolto Marte,
Ch* a’ mici promessi e da me chiesti ouori
Non vuole oggi furarne alcuna parte,
Poi eh’ oltre '1 mio sperar conduce fuori
Queir amico gucrrìcr di cui aon sparte
Già tante glorie, c di eni il mondo estima
Che'l supremo valor tenga la cima.
XXX vu
Fan l'istesso Tnslano e Galcalto,
Che r esercito a piè resta a Gavenu,
Ed ci co' lor cavai muuvon 1' assalto
Si che la polve oscura empieva il seno
Non della vaile pur, ma T aria in allo
D’ ocni luce rii* avea veniva meno;
Che'l sul, che i raggi aurati spunta fuore,
Nou la può penetrar cui suo splendore.
XXXI
Ch'Io conosco uel ver. che ben che in basso
Fosse tallo il poter del gran Britanno,
Fora il trionfo ancor di gloria caaso
Nè compito di Ini 1' estremo daaoo.
Finché non era ancor battuto e lasso
Lancilolto, con quei che con lui stauno;
Or sendo caso già fuor, l'istesso punto
Fa il nostro faticar nel sommo aggiunto*
XXX vili
Scixbrsva a riguardar qoal esser suole
II Ciri, pui che *1 villaii le hiadc accuglie.
Ch'ai solchi alTaUeati e ai campi vuole
Scarcar pietoso le rimesse spoglie;
Che'l foco sveglia inluroo, onde IÌ duole
Fuggendo U serpe arU'ascuse soglie;
E ’l fumo adombra lai, rb’ ivi ha coodotto
Quante tenebre ha in sen 1' oacora notte. •
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L’’AVARCHIDK
XSKtX
SLVI
Seanirsii ìniiriae e ’l firan romor oe mona
Ponn la mano al lirando «T ogni lato
Noo mea che qtiaorio A»(rea rcaUUt
Per quei che serbò in piè sorte, o valore}
Che Giove irato allor fulmina e tuona.
Il buon re Galcallo è ratto entrato.
Spaveotando le meati «crUerate;
Ove il più strrlto stnol vede c maggiore.
£ ti grave • il colpir che al mezzo dona >
Che fo quel di Clodin eh' era restalo
L'ona in ver l' altra delle iqaadre armate.
)*iù inverso il flomicclln, ove il fnrore
Che bea fa cavalìer di gran potere.
Dell’ astallo mortai non fu si gravo.
Citi vivo o 'o au '1 dcetricr ai paù tenere.
^i chc’l ila uno minor per ancor ave*
xt
XLVU
Trova il re Gatealto T.icaoae, ' *
Ma s' allor la Fortuna gli fu amica.
Che geraian fu dri fere Bnitariao,
Or d' un altro color gli mostra il volto, ^
Nel Norieo icrreii naia d Alcooe,
Che di sangue, di duci, dì morte ialrica
Che r impero reggra di quel coufiao:
Il possrate guerriero ovunque è volto;
La lancia in metro il cor diìUa «li pone
Non sa il uiiser Clodin, che faccia, o dica.
E *1 fa, latto, cader aovra il cammioo
Tal di nuovo timor si trova avvolto;
Fra la gente ai ilrelta, che calcalo
Che f|urlla esser credea rinvilla mano
Fu nel medatmo paatu da ogai latm
Del figliuol valuroao del re Baao. «
xu
XLVUI
Nè eoi balte rottoi cbe’l colpo ìateaao
E se fornito è beo di soonno ardire,
InfiQo aopra al quinto ai diatendat ^
E di si>mma virtude ha cinta 1’ alma.
Alleo, Biante, Tarco, e Tretio appreaao,
01^ fa il vederlo allor risovvenire
Tulli nati ove 1' Itlro il corto prende;
Deir avuta ne' tuoi più d' una palma t
Uorti quei primi tre, 1' nltimo opp resto
E che male n lai uom pnù eunlra gire.
Nel petto ai, che aovra 1* erbe accade;
(Ji'è per gli omeri suoi soverchia salma;
E gran venlora fa eh* et tcevù loco.
Il niedesmo Ira se ciascun dicca,
Ove ’l popol che vien gli oocqae poco.
Che ’l pruvato valor riconotcca*
Urli
XLIX
Il famoto Trìstan trova Acasmeao,
E con questo peiuicro ovnnqne giva
Ch' air aspra aclva Invaia era molcato,
Il sovran re dell’ itole lontane
Della qoal con Orumcn reggeva il freno,
La tirella schiera al suo spronar •' apriva.
K'I Boemiro alnul fea nudo c metto»
E nrssnn contro a lui saldo rimane.
Geilalu in bauo, e seco ;n an'l terreno
Kd rgli or qoetlo, or qoel seguendo arriva.
Cade chi vien compagno Intino al acato ;
t'.omc Irprette «ili ardito cane.
Mrttor, frollo. Ambo, Liairo « Orincde,
E quanti vuole atterra, «mde sovente
Ch* uve r alba eace fnod avean U teda.
Gran vergogna e psetade io cor oe aeole.'
XI ni
1 .
Bè n diiaro Segnran con mcn fororc
Uccìse il nobii Glaneo, c '1 ler Dìmone
Della icbiera Britanna ha posti a morte
D* uo fralel di Clodauo nati insieme;
Molti buon cavalirr, che largo onora
Diviso il primo ìnTin sopra l' arcione
Aveao dalla virtude e dalla aorte;
Drir arnese eh' atta, la falda preme;
Alio, Pritaiio, Enlicliio ed Ipenore,
Dell' altri» il capo in su 1' arcuc pone,
Prfoduru, e Lacoonle il fero « furie
('.he dal busto troncalo spira c geme ;
Acmorico guerrier, che di Tristano
Abbatte dopo questi Agno c Uolanlo
Era per rcal aangue proatimanu.
Nel militare ouor d'egregio vaulu.
xuv
u
Gli altri di Blomberiaie • *di Blanoro
Quel dei monti Lemeui avea l'impero
Nati nr| liio NciitlTMi eran parvnii;
Già del sangue illuslriuimo d' Albino;
E r un sopra dell'altro ivi fra loro
Questo di mcn rieebexie, ma più fero.
Miscrameote van di vita spenti ;
C.h' al terree comaudava Liosotiuo ;
Nè il rrtido Terriganu e Palamor»
Dopo loro Acamanle e '1 saggio Otero,
Nell' opra maraial sua pigri « lenti
Che del (atto che avvenne era tuJoviuo ;
Che quegli il francu Androgeo, e Polilide,
E fuggendo looiau tolto altrui spoglie,
(fuetti 'rissando, c ’l ano Timanu ucude.
Fa ingannalo da Allea la eroda maglie: »
XLV
Ul
Coti al prima incontrar delle batlagUe
Che quale ad AmCarao fece ErUilc,
Resiau tanti impiagali e tanti morti.
Al gitivin re (Uodìn 11 discovrio;
A coi poco giovar piastre nè maglie,
Nc a ciò la spinse aurato e bel monile.
Nè r esser valorusi, arditi c forti.
Ha J' ilierilo amor caldo desìo;
Che partano all' agosto aride paglie,
£ cosi il giunse al suo più vago aprile.
(Tal soni! iosiunc stranamente attorti)
Come il sniser temeva, il verno no;
Che 1 vìliaii negligente sparse a terra.
E quando al rur ferita a morte venne.
Poi che '1 frutto eh' avean nell’ arca serra.
Della sposa ìufedcl gli rìs4>vvcnuc.
I
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L AVARCHIDE
348
3<7
un
Va i«f(i»eado il re^ il corto arrcita.
Che na*ati aftfcitiagrr paò dì tpìrlo priva t
Qaal lopa eh* ha i flpiiooi nella foretU,
Coatr* a |crep|re d* affari rii’ errando giva
Senza cane o patlore in quella e ’n quella
Verde campagna erbota^ o fretea riva ;
Ch* a Damerò lì grande il viver toglie,
Che de’ figli « di i< laxia la voglie.
UT
Scorge appreiio Naboo nomalo il Fello,
Che ’n tra 'I Some Sigrocno e la Garuiia
Reggeva il fren del popolo mbcllo
Alla ma antica Gallica corona:
Va incontra a lui come rapace angello,
Cai loflcrlo diginno al vctpro iprona
Sopra colomba candida che vede
Che dai campi aoleati al nido riede.
tv
Non foggi I’ altro, ebel poter gli è tolto.
Tanto a lai gii vldn venire il leole:
Ma quanto poò il piò lotto t’è rivolto,
E t* acconcia a battaglia arditamente.
Galealio gli dona in meno il volto
D’ ona pania mortai coi! poiscote,
Che gli patta olirà dove al oaio teeode
L* omor tovcrehìo che la ietta oScode.
IVI
Coti mono Naboo nenia vendetta
Che non potè il metchino il brando oprare]
Al mi duro cader la gente stretta
Tosto comincia il varco a raliargarct
Ed ci per entro, qnal leon, ri getta,
Ove aperta lalor la mandra appare
Per follia del patlor, coi giovinetio
Cura ardente d' amore ingombre il petto.
I.V1I
E ’n fra ior poi ficea iÌ larga strada,
Ch’a molli che 'I seguian donava loco;
In gitita del villan che intento bada
A riportar dal bosrn il cibo al foco:
Spinge il conio al Iroocnn che 'nnanzi vada
Con la pnnta toltil. che a poco a poco
Vien rallargando il resto e in cgual parte
Il disegnalo legno apre e diparte.
LVIR
Cotale avvenne allor di quelle tchiere,
Che penetrò il prtmier per ette solo,
In fio che ’l soo drappel ri pnò vedere
Dopo lui misto tra ’l nemico tinolo ;
11 qnale spaventato dal cadere
Di tanti e lai guerrìer, già fugge a volo ;
Né il poò saldo tener conforti o preghi,
Ch* al cominciato andare ornai non pieghi.
LIX
Fatti avanti Galiodo il Toloiano,
E per frenar t tuoi ri mette in opra ;
Poi contr'a Galealto arma la mano,
E quanto ha più valore in ctso adopra,
Che infinito era pur, ma viene in vano,
Che concetto non fu da chi sta sopra
Si largo onore a lui di Unta palma.
Ha spogliar bea di se la misera alma.
ut
Perrii’al rnndido trado il colpo moote.
Dicendo: Or tenta il fero Lancilotto
Di Galiodo il potere e 1’ alle pntove,
£ come del ferir nell' arte è dotto t
Che te r erba e I* incanto non gli gìove
Della Fata del Cago, oggi condotto
Sarà dai tuo dettino a quella morte,
Ch’ ha riaervala in me 1’ amica aorte.
LSI
E ’n lai parole il fere, e la percotaa
Qnal mirtei dairiocnde indietro riede;
Nè il magnanimo re la spaila ha mossa
Piò che saldo Iroooon, cni Borea Cede ;
Ma riversala in lui tolta toa posta
Sopra Tallo rimicr tal colpo dede.
Che la fronte t* aperte in quella goita
Che pianta alpestre dalla score incita.
un
Cadde il fero goerrser col volto pieno
D* atro taogne mischiato e dì cervella,
E con grave rtrnior batte Ìl terreno,
Abbandìmaodo al fin T aurata sella $
E di t« dispogliato il crudo seno
Sen gio ralla a colui l'alma rubella,
A cni del nostro oprar ragion ri rende,
£ dovuta mercè da lui ti prende.
LUIS
Fugge nel tno cader la gente tnlomo
Ch* avea tperandu in lai fermalo il patto ]
Come quando il falcon fere ano storno.
Che poi tolto il drappel ri getta io batto
E ri nasconde ove fia il bosco adorno
Di folle spine, al piò serralo passo ;
Poi senza oprare il volo addriiea il piede
Alla più oseiira, occiUla e chiusa tede.
LXIV
Così quella al perir del sommo duce
Si tcorgea dileguar per corta strada,
E tutta inverso Avarro ti condace.
Nè la pnò fosso o rio tenere a bada t
Ma il posaenle Ciotiln la fama indnee
Ove questi fuggtano, in coi la spada
Opra poi che non vai prego o minaccia,
A rivolger le spalle ov* hao la faccia.
LXT
Nè molto sta fra Ior che sopra giunge
Il chiaro Galealln io quella parte ;
Che 'averto la vittoria il dcitrìer punge.
In seno ardendo del furor dì Marte.
Come il vide (.Iodio poco a lui looge.
Desio d* onore, e 'I dover proprio io parie
Di girlo a ricuatrar ratto lo spinge,
Por d* antico timur la fronte piog«.
tari
E dice al nel guardando: O sommo Giove
Se mai di larghi don U fui cortese.
Se il sacro nome tno quinci ed altrove
Il mio cor d’onorar mai sempre inlete ;
Dammi quella virtù che da te piove
Io chi ferma di te fidanza prese,
Che in un colpo, io un’ora, mi permetta
Di tali e Unti miei chiara vendetU,
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r
L AVARO II IDE
utvn
Cimi dello, U dettrier bramoM
E U Udcì* rhe ave*, ti reca a retta;
Ma nel candido tendo io batto dona
11 colpo che drixzava alto alla letta i
Il colle intorno e la campana tttooa,
£ reniva al nemico anco moietta,
Se il Icpno era più doro, ma fa tale.
Che *a miiln brevi tronchi Ìo aria tale. *
univ
Ginnse tardo al aocec>rso il pio Margoodo,
Che menò quei del lito Provenzale,
Ove al Rodan più largo e più profondo
Mischia Nettano in seo 1' amaro sale ;
E prosando in fra se che ad altro mondo
Sia passalo Clodio, pietà 1' assale ;
E come Gdo amico, a Galeatto
Hnove intorno co* suoi novello asaalto.
ut vili
Coti aon fiii piovo l’aver vantappio.
Che ronlra il brando sol motte la lancia.
Nè al chiaro Galeallo oteurò ra|:pìo
Deir ardito valor, ma il prende in ciancia,
Dicendo: A voi medetmo fate oltraggio,
E oc dovreate aver rotta la gaancia,
Non a me, cui mi II' atte iiitieme accolte
Di mille pari a voi non tarino bmIi*.
tMV
Ha ’l magnanimo re tra lor sì stringe.
Come il fero leon tra i vili armenti, '
E con nuovo rossor la valle pioge i
Del largo sangue delle uccise pentì:
Poscia il frro Margoodo clic s* ac-rinpe
In guerra cuotra a lui, non allrimenli
Gli cacciò per le tempie Ì1 brando Cero,
Ch* al cervo, che giacca, aaelta arderò.
LtlX
K *n lai delti il rilrnova, che ritorna
dà indietro col detlriero a nuova guerra;'
Ivi l'ira e 1 foror alia le corna,
E 'I detto deU*OQor pii ilrtnge e terra;
Fn il primo Galealto che I' adorna
Chioma del Pino aurato abbatte io terra.
Che terra il bel eimier Clodino area,
Pcrch* al regno paterno tnecedea.
LZSVI
Cadde egli ancora ; e qocl della Vallea,
Clic Gracedanu il forte nominaro,
Che nel medeamo loco impero arca,
Ove in ver T oriente irriga Ìl Varo,
Cercando vendicar la sorte rea
De' compagni e signori, il Gne amaro
Di se sicisu trovò eh’ al primo intoppo
Frale al disegno si conobbe, c zoppo.
txt
Nè rimase ivi il colpo, che diaceodc,
E con più grave tuoo l' elmo perroote t
No *1 rompe già, ma ti il nemico offende,
Che gli sembra veder sorgenti ruote.
Non t' arresta perciò, ma il brando tlcnde
loverto Gaicaito, c qiuoto puole
Gli spinge alla risiera nna tal punta,
Che con aorte di lai veniva aggiunta.
Lxnvii
Perchè mentre al (rrirlo s’apparecdiia.
Il magnanimo re già in rapo il frre,
E ’l Colpo rio fra 1' nna e 1' altra orecchia
Fino ai denti partito il fa cadere.
L'altro sluol più che mai 1* nsania vecdiia
Riprende del fuggir, nè soitrorre
11 può freu di guerriere o d* altro duce.
Ed in Ga sotto Avarco ai conduce.
LUI
Se non fora incantalo il 6do acciarOf
E che doppio venia, dove ella colici
Pnr il sentirne io se dolore amaro
Per la fera percossa non gli tolse t
Ma qnal torbo Aquiloo che di gcnoaro
Tutto il superbo Gaio in aen raccolse
Per iflùodar quei Irpoo che varcare
Vool mai grado di lai d’ Icaro il mare,
Lxzvm
E r no r altro impedisre, c serra il passo,
Come qiiaodo all’ agosto il del riversa
Si larghe piogge, che correndo in basso
L'un torrente con 1' altro s'attraversa,
Ch* ogni campagna, ogni arbore, ogni sasso.
Ogni opera mortai resta sommersa i
E di si gravi arene hanno il mar carco,
Che non poo ritrovar 1* usato varco.
Laxii
Strioge ogni fona iiiiicme Galeallo
R ’nversu il cavalicr ratto a’ avventa;
K Senna mai posar, mortale aisallo
Gli dà col brando, e quinei e qnìodi il teola;
Tanto ch'ai quarto colpo, che vien d* allo
Por so la froute, ov'ha la voglia inteuta,
In tal modo il pcrcnote che conviene
Che caggia alfio sovra le trite arene,
Lnziz
E't forte Galeallo ancora il aegne,
E già tocca con lor le regie mora.
Alle quai non vuol dar paci, nè tregue.
Ma d' espngnarle il di prenderia cura,
Ch' a lui uon par eh' al auo valor a* adegnn
Cosa mortai, nè ai ritruovc darà
Impresa con Ir' a Ini, nè '1 crede iavaoo,
Se *1 nemico fatai gli era lontano.
tuin
Noo già morto o ferito; ch’aiaai doro
Fu l'elmo a sostener la cruda forza.
Ma la vista ha ravvolta un velo oscoro.
Che pii spirti vitali alquanto ammorza.
Rovina appar d' un mal fondalo muro
Lnnpo il fiume Ulor, che l'onda sforza
SormonUndo all' autunno, e della valle
HimLomha al soo cader 1* erboso calle.
LZZX
Ma il crudo Segorao tosto che intende
Di Unti e tal gnerrier la morte acerba;
K che quasi Clodin 1' anima rende
Riversato e negletto sovra l’erba;
li corso ore nò avvieo veloce stende,
£ ’n vista mìoarciosa, aspra e superba
A guanti incontra dice: Ogni nom mi mostri
Ov é'I bianco gnerrier eh’ nedda i nostri.
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LXZXI
RÌtpoad« Var*bon ddU Rtri^a,
Chf *1 crrcava per mito: EfcU è vicino
Drila porta d’ Avareo, C qnrlla <pera
Col fuoco aprir* le Hò vorrà il draliiio ;
Ha temo aensa voi 1* eitrema aera
Veder del vecchio padre di Clodino,
Che con la figlia, latto, e con lo ipota
Di UflMBia e di dool noo trova pota t
ucvsti
E por dice ptangendo : Ove or ti trova
Il nostro Scgnran ? la nostra speme?
Come esier poò, ch'ai qui venir no 'I moova
Di noi latti pìetade, c del tno teme ?
Ma forte il bmm valor poeo ne giova,
Ch'usenra morte, o dora piaga il preme;
E 'n tal timore e 'n tale angoseia oppretto,
Ch* io vi debba cercar m' area coaiaiettu»
uixxiii
Fcceti in villa e’n rorl' altero Iberno
Air udir le pnogenti e pie parole,
Qual il fero mastio eh' al fosco vcroo
Udiu le gregge che si lagna e dnule,
Ch'ave il lupo vicin, che prende a tchemo
La guardia antica che salvar la toole,
Che 'o rabbioso gridar ratto a' avventa,
Ove ehi apera in lai piange e paventa.
LXSXIV
£ piò veloce assai, eh' a Pelio in fronte
Il folgore del eiel I' autunno cade,
Il Iraporlan le voglie arerbe e pronte,
Ove per lui trovar moilran le strade;
Ha poi eh* amai vicin l' egregie e conte
Falleuc sceme, io caì 1* altere e rade
Virili di Laneilotlo esser ti creile,
Raffrena alqaaato in te 1* animo e ’l pacdc.
tXXXT
Qual arto viator ebe *n fretta corre.
Leve il colle varcando e la campagna,
Ch'ai fin pervegna ove al traverso scorre
Priifoodo e largo rio, rhe 'nriga e bagna,
Che li deve io no ponto il passo accorre,
£ dal ratto pensier l'alma scampagna;
poi dell'ultra passar l'arte e la guisa
Con più tardo consiglio in seno avvisa ;
LXXIVt
Tale al gran Segnrano allora avvenne,
Quando il famoso re già presso scorge;
Che mentre al suo volar I' ali ritenne,
Con più agnto mirare il guardo porge;
E vedendoi ferir, per certo trnne
O che 'I primo valor piti lento insorge
CU* ai non soleva, o eh' aicon altro iudutto
Sotto la torma sia dì Lancilotto.
LXXXVtl
E riveste speranza, e 'n tea riprende
L'ioiennesso faror, l ira e l' ardire,
E grida in allo suon, rh' ogn nom l' iulendet
Lasciate il vile stuul seruro gire:
Apprendasi a' miglior cui 1* alma incende
Della fama immurlal raldo desirc ;
Volga pure il suo brando a hrgurano
Il inagnauùno erede del re Uauo.
Lxxxmi
Quando ciò aieolla il chiaro Galealln,
Ben che pien di valor, si cangia alquaulo,
Che sculto serba il cor in saldo smallo
Quel di che Lancilotto il pregò lanini
Pur s'apparecchia al suo fatale assalto,
£ d' ogni altro desio tpogltando il manloy
Qnaatu più leve può torna al destriero
ConUa il fuperbo Iberno cavalicro.
LtXXtX
E quali aspri leon, che 'olomo stanno
Alia comune lor già vinta preda,
Che 'ocontra irati l'uno e l'altro vanno.
Perchè *1 compagno a luì la parte ceda,
Che per d’unghia o di morso estremo danno
Alcun non è de' duoi che 'ndieiro rieda;
In fin che ucciso {' neo, il vincitore
Del combaUoio premio è poueasore t
xc
Col medrnau furor gli alU gocrvleri,
E rol medesmo fin dell* altrui morte,
Sprunan lutti animosi i lor destrieri,
Ove gli sospiogea valore e sorte ;
£ furo ambi al rolpir si |pra«i e fieri,
Che DUO apparve bea, ehi sia più forte; ^
Che r uno e l’altro d'essi indietro scorse,
E di a terra cader si mise in forte.
xet
Mi il candido Nifoule io un momenlO|
Quasi ontoso fra se, vigor riprende;
Mè quel dei negro non rimase spento.
Che più che fosse mai ratto s’accende:
£ quale al minor di rabbioso vento.
Il patto questo a quel dì nuovo stende;
E '1 buon re di Cauaoa fa il primieru
Che ferì Scgnraa d' un colpo (ero,
xctt
Fero assai sopra l'elmo, ma uno quale
Si credea di sentir riovitlo Iberno;
Che già da Lancilotto n' ebbe tale,
f'.lie scender si pensò più giù d' A verno;
Ora u quel comparaggio il Irnova frale
Si, ch'ogni suo ferir quasi ave a scherno;
E nel medesmo loco il halle io guisa,
Che. le fronte gli avrìa rotta o divisa;
xan
Se non fora Ì1 fin elmo e '1 sacro ioranlo,
A cui fona mortai non norqtie mai;
Non potè far che non piegasse alquanto,
E non lenliste sllor dogliosi guai;
Pur l'onore e '1 valor 1' aiutò tanto,
Che vie più rhe da prima ardito assai
Alla sinistra spalla il ripercorse
Si, che del loco suo lo scudo motte t
xav
E non picciola piaga in essa stampa.
Non tal pen'i, che l’ impedisca molto ;
Ma il crudo cavalier che d'ira avvampa,
Gli rìsospinge il brando a mezzo il volto;
Ma la doppia visiera anco lo scampa;
Pur così ilrilto a pien gli venne collo,
Che se ben non l’ impiaga, I' aspro peso
Gli ha la froule e 1 veder soperchio oifeso.
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XCT
Gode alU deitn parte alquaolA ÌBcliina;
Poi la frotta arraidiira t i’ rimo grave
Più eh' a luì nou convieo, d' a»pra ruina
Gli par cagion che doppiameotc aggrave;
K ruAÌ leolainetile •* avvicioa
Sovra il duro «abbioo qual tronco o trave,
Cui mancando il *o«legno a poco a )>vcu
Va, iforaata dal pondo, io Limo loco.
XCTI
Ma non prima il buon re Mgnò la terra
Con la fronte, e eoo I' omer, che rìinrae;
£ ’mbraccialo lo arudo a nuova guerra
Conira il nemico suo veloce cor>e(
Il qual del ano cavai tulio a'aUerra,
£ d' Caco il loo acudierv in mano il porse,
Diceado: io non ricerco altro vantaggio,
Che quel che di valore c d' anlir aggiué
xcvit
fi quale aapro leon, ch’aggia impiagato
Posaenle tauro di mortai pcrcosaa,
Che rìliraodu il piè, aia riveraalo
Nel più profondo aeo d' aaeosa foa.«a ;
Che d' un aalto Irggier l' Ita aeguilalo,
E di condurlo a fin mette ogni possa.
Pria che la aaa iveotDra intorno udita,
Di pastori, o di can gli giooga aita ]
xcvm
Tal r Iberno crudel leve l'auale,
fi 1* animoso re non ferma il piede;
Ma il percootcr I' no 1' altro a nulla vale.
Che '1 fero, onde aon cìnti, iu vao ai fiede,
Ma il fero Segoran, eh* ornai mortale
La battaglia io tal mudo eaaer non vede.
Senza il brando e lo scudo olirà ai caccia,
£ *1 famoso avversario iolorno abbraccia.
xcix
Fa il medesmo il gran re,ch’anco lui atringe,
E di por sotto altrui ciavctiiio adopra ;
Or l'un r altro solleva, or si sospìoge,
Or la forza ch'egli ave, or l'arte è io opra;
Ma con Gcrezia tal 1* Iberno il ringe.
Che 'I distende per terra, e riman sopra:
Poi con tutto il poter sotto il mantiene,
£ '1 pugnai nella destra stretto tiene,
c
Cui quale in ogni parte il va tentando,
S' ei ritrovaue in esso aperta via,
Onde il potesse por di vita io bando,
£ vendicar de' sooi la sorte ria ;
Nè Calealto ancor s'arresta, (quando
£ la vita e l‘ onor servar desia ;
Quinci c quindi nioveodo con la spada
Cerca ancb' egli al ferir novella strada.
CI
Ma pereb' era assai lunga, e clic si Iriiova
Beo gravato da lui, può niiurrr poco ;
L' altro che vede pur die nulla giova,
£ che all' arme squarciar la forza è gioco,
D’ impiagarlo alla iìo ai mcLle in prova,
Ove aeuza difesa apparve il loco,
Dalle cosce di dentro, a coi I' arcione
Stando aopra il dcatrier la guardia appone,
eli
Lì del forte pugnai, che non s'arresta,
Cuu la sua destra man di sotto il punge!
Con la sinistra poi Pannala testa
Che non possa levarse al terreo giunge ;
Alla terza ferita agra e innesta
DaM'ìofeiice vel l'alma disgiunge.
Tagliando i nervi ron mortale affanno,
Che i moti al nostro andar diversi danno.
CUI
Così traendo i piè, torcendo il volto,
Il ferreo snnoo e sempiterno oppresse
Il miser Calcato, Innge molto
Dal lito, io coi naKcndo 1' orma impresse.
L'altero vincìlor, poi che discioUo
Dal mondo il vide, con le man sue stesse
Trìonfatrìci ornai dell' altrui doglia,
Per ornarne il trufcit, I' arme gli spoglia.
av
Con desio di veder chi costui fosse.
Il Incid’elmo pria gli lue di fronte:
Ma il crudo core a gran pietà si mosse
Come il conobbe alle fattezze conte ;
Che in molte parli seco ritrovossc
Con le voglie al suo bene amiche e pronte,
Alior che dal felice suo paese
Con mille navi, o più Brettagna offese.
cv
Doolsi della sua sorte, e ben Torna
11 sno fido compagno in vece avere;
Pur gli dispoglia il resto, e tatto invia
Ove il posta Clodatso e t suoi vedere :
II corpo nudo poi mandar desia
Non men che l' altro appresso, per potere
Dargli sepolcro ornato, a gran memoria
D'altrui lorda vergs^gna e di sua gloria.
CTI
Ma in questa ecco venire il pio Tristano
Cir avea vedalo il candido corsiero.
Che senza il ravalier traverso ai piano
Dell'albergo ccrrando iva il sentiero;
E poi eh* a ritenerlo adoprò invano,
li lassa andare al ino Signor primiero}
£d esso, onde venia, rivolge il corso,
Per dargli, se potea, ratto soccorso.
CVll
E tmova il miserei, che lotto nodo
Già in man de'iuui giicrrter l' Iberno il pone,
Che'l portino ove l'arme e '1 bianco scudo
llau condotto in Avarco altre persone;
Ed ei tiuto di sangue, altero e crudo
Era già rimontato su l'arcione,
Peosjodo, come avvenne, eh* altra gente
Dovesse ivi arrivare immantinente.
CTIII
Tosto che '1 caso areriio e dtspìelalu
Di Tristano alla vista s' appresenta,
Di doglia e di furor lutto infiammalo
Inverso chi'l tenca ratto s' avventa;
Qual morto, qual ferito ha riversato
Dell' aspra torba ali' empia cura intenta,
£d a cui con la spada non fa guerra,
Col voltar del cavai distende a terra.
23
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3 ;
ctx
Qua) lipre traU che rilrorc il
Che *0 meno ai caecialor legalo giace*
Clic di qa««to e di quel molle e vcrroiglio
Il campo iotorno fnriaodo tace }
Nè ctm r agnlo morso* e eoo 1' arti||;lio
La$va i crudi avversari io Iregaa* o a pace
Fin che quanli vi soo veggio cadere,
K *i desialo pegno aggia io potere ;
exvt
Va cedendo alla fona a poco a poco,
Senu volger però già mai le spalle;
E ritirando il piè di luco in loco
Viene, ove 1' Euro più slrìngca la valle t
Ivi sernro ornai si prende in gioco
Il difender da tur 1' angusto ralle.
Che Ira le liquid' onde e tra le schiere,
Che cundueea Gaven, si può vedere.
ex
Tal TAnnorico re sembrava allora,
E sopra Segoran già il corso iteude,
E ‘1 irnova so ’l cavai mal fermo ancora,
E da traverso e d’ improvviso il prende.
Sì che ’l possente Etuo non beo dimora
Saldo al grand' urlo, c 'a terra si distende;
E pria che tome in piè, TrisUo rirlnama
1 giieiricr eh’ ivi avea di maggior fama.
cxvti
Va dietro Segurao con torto sguardo }
Qnal Inpo, die ’l montone avea predato,
Che mentre schiva il cao, dal leve pardo
L’ha sentilo furar d'ascoso lato,
Che ’l vorria racqnislar, ma Ìl passo ha tardo
Al snu veloce eir; che 1 core irato
Sfoga, segurndoi por eoo lento corso.
Sopra i roghi e gli spini oprando Ì1 morso;
cxx
Che fu il re Galgaoese di Nurgallo,
E 1 gran re Sinadosso d’ Estraogorre,
E ’l re Rion, che nel paese Gallo
Fu di sommo valor fondata torre.
E ciascun già lassato il suo cavallo
Al più fido scudier, veloce corre,
E’I miser Galealto accoglie in seno
D* atro sangue e di polve intorno pieno.
cxviti
Tal era egli in quel punto; • poi che vede,
Come ogui disegnar gli toma vano,
11 suo chiaro Drnnoro, e Palamede
Ritrova su ’l seotier poco lontano;
J qiui tanto il pregar eh' eì ferma il piede
Sciolto di speme ornai d’aver Tristano,
Dicendo : Assai faceste io questo assalto,
Fui eh' uccideste il nubìl Galealto.
txti
E d* ogni gnerra intanto gli asalcora
L’ alto guerriero, e ’o voce gli conforta :
Non aggia io si bell’ opera paura
Chi questo acuto brando ha per iscorta;
Che pria mi spegnerà la morte oscura.
Che del mio padiglion trovi la porla
Senra il buon Galealto, se non vivo,
Poi eh* ha voluto ti ciel, di spirto privo.
et»
Poi Kgoilò Brunoro t A me parrebbe,
Quantunque il sole ancor sia io alta p^rte,
Che ’l miglior richiamare ornai sarrhbc
Le geuli intorno al guerreggiare sparle;
Che più U con ragion non si dovrebbe
Oggi per noi Icnlar l' ira di Marte,
Scodo ì Doslrì già staachi ed ai nemici
Quei, che sdegnati fur, loraali amici.
CXItl
Che dir non possa il figlio del re Batto,
Cir abbandonalo sia pegno si chiaro,
Ove sia stato il fido suo Tristano
Viepiù di larghi onor, rhe d' anni avaro.
Così diceodu, al fero Segurano
Dà sopra 1* elmo ancor colpo si amaro,
Ch* ove sorger credea di nuovo in piede.
Col sinistro ginocchio in terra Cede.
cxx
Voi potete veder nei nostri danni
Del figliuol del re Ban 1* insegne chiare,
Senza le quali ancor nou brevi alTanni
Aveste, il vostro campo a conservare.
Or scndo morto qne), coi già tanti anni
Più che ’l cor proprio sno sì vide amare.
Non dubbiam noi pensar eh’ alla vendetta
Con generufo cor tosto si metta?
CXIV
Ma in questo tempo già son mollo avanti
Coi doloroso peso i ire gran regi,
Ch* han già più duci e cavalieri erranti
Riirovali in cammin di numi egregi;
E gli fan compagnia con larghi pianti,
E ricoperto T han d’oscuri iregi ;
E ‘1 conducono al fin con sommo onore,
Ove al campo sveglìaro alto dolore.
CXXI
E quanibnque il valor, ch’io veggio in voi
Non meli punto di quello essere stimi,
£i verrà intero e fresco, ed avrà noi
Lassi e ’iupiagati ne^li assalti primi ;
1 cavalieri erranti, e i sommi eroi
Di sangue alteri c di virtù sublimi
Uscir vedreste allor, che sol di lui
Rìcodokod r impero e non d' altrui.
cxv
E ’l famoso Trislan, poi che s’ accorge,
Come in se cura parte è Galealo,
£ vede eh’ animoso ornai risorge ,
li fero Segurano a nuovo assalto;
E con lui nuove Khicre arcultc scorge,
Si che’n periglio vico gravoso ed alUi
Dì rimaner ravvolto stanco c solo
Da numeroso, fresco, c forte stuolo ;
cxxii
E voi sapete ben, che questo gion>o
Per combattere il vallo uscimmo fuore.
Nè pensammo in campagna avere iulurnu
Delle schiere novelle aspro furore;
E se n’ha dato il del che danno c scorno
Venne a’ nemici cd a noi targo onore,
^appianilo mantenere a miglior nso.
Ove il uoilro ordinar ita racn confuso.
A V A n c in I) E
rxiin
Tal dìreva Brnnoru i e benché foue
Al fero Sc((urano aspro il consiglio,
li prc|tar pvre, c la ragiuae Ìl mnstc
A RcHi lenlar ile’uioi cerio perifiliu.
Coti arreslaro il corso { e le tue fuu«
(Poi che l'ufte nemico astai vermiglio
Ila fatto, e die da lui ne va lontano)
Pasiò il Britanou esercito e Trittauo.
CANTO XXI
ARGOMENTO
J l grafroso omiro alla rcole
Tf**da racenglie GnleaUo ucciso t
Pff cuif iot ira e tal dolor F assale^
Ciba non prende^ da tiateun dVi'iso.
CU appésr /'iftana, e usbergo a lui fatale
Vona^ e muo scudo da Merlino inciso i
Ove la aiui prosapia appar scolpita
t)i somma gloria e di valor nudrita.
Or neotre qocili c qncMi Io tale italo
Han l'aao iloolo, e l'altro rieoedotto.
Gii il f* Rioa leeuro era arrivato
Col miier Galeallo a Laocilotlo t
A tai oeuoo oarrar I* aecrbo fato
Non l'avea per timor I* animo indotto ;
Però, quel nuovo iuarpellato danno,
Piò doglioao (li apporta, • erodo affanno*
II
Il qoal sempre rtilalo era, dappoi
Che 'I eoo diletto amico era partito,
Loogo l'albergo, che chiodeva i looi,
Fuor d* o|oi fosio in solitario lilo i
Or qoando scorge il re, con gli altri doeì,
Ch' han gli occhi molli, e 'I volto ibigotlilo,
E 'n fra loe l’ arma toma hanno diviia.
Che aia qocl, ebbero io Ter, Mbilo avriia*
tu
, E gridò dì lontano : O aìgnor miei,
E qocl cb' io acorco qui, P dello amieO|
Che mi renda infelici i giorni e rei,
E 'I viver (laiio) al mio toler nemieo?
Deb come voleolicr tosto vorrei
Pria che risposta aver di quel eh' io dico ;
Ch* io IO, che *1 rio dcilin mi pose al momlo
Per 000 laiiarmi mai tempo giocondo.
Risponde il re Jlion : Chiaro Sigooee,
A i(aanio piare al cielo a noi ronviroe
Qoelaoicole adattar l'animo e I core,
E tulio in grado aver, che da lai viene ;
Il gran re Galeallo in sommo onore
Ha del mondo schivale ornai le pene,
E dell'alto raotor, fattore e duce
Gode lieto or Usiò l'eleroa luce.
T
E del potteale e fero Segorano
Dopo aver lui moairala alta virtode,
Ucciso fa dalla apiclala mano,
Che troppo gran valor per eiso chiude ;
E *1 iaiaò al fin au I* arenoso piano,
Coo le membra reali acarche e onde
Dell' armi voitrc infioo ad ora invine.
In mille parti gii chiamate e scrilic.
TI
E se neo ere ancor la chiara aita
Del famoso Trislao, che non fa parco
GU mai del sangue asso, d'altrui rapita
Questa spoglia mortai fora io Avarco t
Ma mentre in altro affar leoiM impedita
La schiera Ibcraa, ooì pietoso iocarco
Di lui prendemmo, c con veloce piede
Qui il eoodneiamo all' ìofclica aede.
TU
Poi cb' ha dello così, del peso scosso
Ha sò mcdrsmo t gli altri, e posa in terra
Il grave scado allor di Smadosso,
Chc'l miser Galeallo ascoso serra:
Mroire eh' al discoprirlo era già mosso
L’aflitlo Laocilolla io coi (ao gocrra
Tra loro ira, pìcià, sdegno, c furore,
E di pari ciascoo gli ingombra il core.
TIU
B pei cb' egli fa U candida bandiera,
Oadc celalo già, di sopra tolta,
E l'ha squarciala in vista orrida a fera.
Le braccia intorno al caro collo avvolta:
Iodi eoo voce olirà 1' osato altera
Io tal disfo parlare al eici si volta :
Deh perchè mi serbasti, iovida aorte,
Vìvo a cosa veder peggìor che morte f
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AVARCHIDE
È quello it beo, che «leoa preilrlto m*eve
Che da voi mi Terria, crudeli nelle ?
Cli' opKi daneo lì amaro, acerbo, e prave
Hoilrale agli occhi miei rpietale e felle,
r.be rincarCQ terreo più nulla pavé,
Ch' a* iDoi brevi deiìr liale rubelle ;
r.hc laolu in oo lul dì pii avete tolto,
Che uoa vi reità ornai da torpli multo.
X
Ma le de* miei dolor fuite lì vaphe
Perché aimro ooo vulpeile io quelle membra
L'armi oeroiche e le medesme pìaphe,
E ’l Gii, cb'opiii merlale io ano atirmbraf
Deh come del loo mal talor preiaplie
Soo noitre meoli, oimè, che mi rimembrai
Che all* apparir dell'Alba mi dettai
Tutto trcaualc di futuri poai.
Perù vi prepo omil, per qoello amore.
Che li ehiaro di lai vi icalda il leno.
Che oot eoo ditdepoiam reodecc onore.
Qual piò li pnolc, al career loo terreno ;
r,he lia ridotto al prUtìno candore
Dalla polve e dal tanpoe, ond'r|li é pieno
Da noi roedcimi, e neiioo altro aia
tale ufGcio iodrpna compapoia.
xvii'
Poi ch*ha finito, il nobii Sìoadoiio
Per prephiera depli altri a lui riipondc :
Qiiaolo poo quriti doci, e quanto io pouo,
Al dover vottro e noilro corriipondr.
Coi! dicendo, il bri drappello e mono
Coo ricche urne dorale, ove con l'oode
Bapna d' Euro il roKrl I' erboie rive,
Del luogo guerreggiar già falle achive.
E tu, Spirto reai, ch* or tei nel cielo,
E che del mio dolor forte hai pictadc,
Non li lovvieo con che fraterno irlo
Del guardarli d* altrui moilrai le ilradc?
Dicendo: Ahi lauo, c lotto aicon» velo,
Per uon ■offroder tue virtù sì rade.
Che doveui icbivar la cruda mauo
Del fatale avveriario Seguraoo ?
E dove più profonda e rhiara eppare,
E men rolla da' carri e da* drtlricri.
Cerca intento riatnao la tua colmaro
Di qoelli illotlri e rari cavalieri;
lodi a vedergli carchi ritornare
Ingombravan le vie gli altri guerrieri.
Che ripien di lugubre maraviglia
Atxaoo ioverto U cicl l'nmide cìglia.
Ha il troppo tao valor, la troppa allma
Del magnanimo tur t'iadutie a quello,
Per furarmi dal mondo ogni dotrezra,
E per latsarmi a me gravoio c meito ;
Ma con quel cor, che sol piacerli apprezza,
Ti promcil'io, i*al ciel non Ga muteito,
Cbe In potrai veder eoa chiara torte
Larga di te vendetta o di me morte.
Poi gionti al padìglion, fra terra e laiiS,
Pur di lor propria man fan ricco il foco
Di tronchi e frondì che io veloci pani
Hanno accolli vicio d’intorno al loco,
Peodrnle in mrzzo ov* ampio vaio ilaiii.
In cui givan vcriando a poco a poco
Tra mille erbe odorifere c (aerate
L* acque dal piccioi fiome ivi portate.
Che nei*uo posta dir, che LanciloUo,
Dopo il crudo partir di Galealto,
Non aggia, o il percuttorc, o tè condotto
Sotto aipro incarco di marmoreo tmallo;
Che '1 fil lalilar che dalla Parca è rollo.
Sol ti conviene a chi ne icorge d'atio;
Che nel perder gli amici a noi promette
Solo i pianti, le iodi e le vcodelle.
Al qual d’ alto romor fremeodo io giri
Fan le montanti Gamme orrida goerra.
Mentre l’ode lontano ahi lotpiri
Muover l'onda crollante, eh' ci riterrà;
In Gn che'o freddo loco li ritiri,
Vuol LanciloUo, c li rìpoie in terra,
l'anlo, che ’l tuo calor termine prenda,
Che la man di chi '1 tocca poco offenda.
Il pianto avrai, ma non dagli occhi miei,
Ch'ai generoso spirto li dùdicc;
Ha da chi scorgerà gli acerbi e rei
Citi del popol luo morto e'nfclicc;
Le lodi altri ned' io donar potrei
Simili a quelle ognor, che canta e dice
Delle bell' opre toc falla memoria,
Ch' ovwsque ciuge il mare empie di giuria.
Poi anpra menta aarata collocale
Le membra quasi incogoitc a chi vede,
Fur le (pielale piaghe pria lavale,
Indi il corpo rcal dal aommo al piede;
Sì eh' all' esser di prima ornai tornale
Le fattezze divine, ch'eran sede
D’ogni virtù imroorlal, si dimotiraro.
Come foticr giammai nel viver chiaro.
Poi eh'alquanto è sfogalo, intorno chiama
Sioadoiso, Galneie, e ’l re Rione,
Dicendo: A cavalier di tanta fama,
Coi soggìaea si larga ragione.
Per chi pcrfcllamente il cote ed ama,
E del tutto adempir sua cura pone,
Non II dee di ministro adoprar mano,
Che di taogoe e virtù non sia lovrano.
Non potè fare allor I* invitto amico,
Che coo grave lospir non gli parlasse :
Ov'era, allo mio re, l'amore anlìeo,
Ch* a me sempre legnìr fra noi vi traile,
Che dal nottro romane aspro nemico
Almeno a mia ragion non vi ritrasse,
Dicendo : Or sìeno in tne leolpilc e Gite
Quelle estreme parole ch’ei oc dine?
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l’ avaro H IDE
XXIlt
II* dovt nc ttoea 1' aspra mia aorta
Che qual sempre solca aoo v* era a lato?
Ch'a mille Scfuran dava ì« la morte
Pria che latto vedervi io tale italo t
0 che lo mio gioroatc creo iÌ corta
Come a voi T ordioò l'acerbo fato,
Sì eba rofBcio citremo, ch'or fo a voi
li faceva altra maao ad ambe dooì.
XXX
£ lango il rio dall' arenoso lilo
Duro seggio si feo pensoso e solo ;
Ed; or prigtoQ t* immagina, or ferito
Per la sue mao tra *1 ino gradito sloalo
Il forte Srguran, nè ibigoUìio
(Benché gli doni al cor travaglio a duolo)
L'ha il ritrovarla allor quell' arma tolte.
Che trionfare il fecar mille volta;
XXIV
Coti latto dicaodo. iotoroo tolorno
L’ abbraccia, e ttrìo^e a te la chiara froaU }
Iodi eoa vai di bei Irapaali adoroo
Per ooorate maa oobili e coale.
Che pii fo dato io qoel felice piorao,
Ch* epii abbatta le forse al ooocer proala
Del fero Aaealdo, che la biooda Itotta
Sotto il Mo crado impero area coadoUat
XXXI
Che a' ai foste mastier l' aodare ignudo,
Per vendetta cotale anco il faria.
Che '1 seo più fioo acciaro a '1 forte scodo
Era l'invitto ardir, che 'n saoo avia ;
Ma rampogoando il sol, 1* appella crudo,
Che si tosto coir' al mar lofialo Ba;
E gli par che l' iedugto d'ana notte
Totu Ja aoa sparaaxe eggia inlcrrotle.
XXV
Che fra mlH* altri don gli fa corte ta
Di qaatlo, eh' ei vorrebbe a pio lieta opra
Aver servato, ia eoi tatto il paese
Dcll'Armorico rtpao pioM sopra t
Come hao arll' Oceao la braccia siete,
Le qaali or lessi aade, or tatto cwopra,
Secoodo il vario corso ch'ave io cielo
La aortlla di qMl che oacqoe ia Dolo*
XXXIl
E mentre d' oao io altro aspro pcntìero
Il dolore a '1 faror la mcolc gaida.
Scorge vicioo il più aopra il sentiero
Della Natrice taa famosa a fida.
(joctia è la soa Viviana, a coi leggiero
Fo '1 vedere il cordoglio che s'aooida
Nell' alma iovilta, a che d’ alimi tico preda
L'arma incantala pria, ch'cUn gli diade;
XXVI
Coe quel dooqae 1' asciaga, e paro e octio
D'opnt taopoe e di polve tolto il rande;
Pei Iva le piena stese io aereo letto
Sovra fiao estro, e seta etto distaodaj
L’ascoade appresso dal mortale aspetto
Da tappete rìechisatmo, che peode
Da ciascoo lato, io eoi varia riloea
E di gemme e di perla altera loca:
XXXIII
Che io tollaeilo coca avea provvisto
Di quanto oopo facca oel gran bisogoo :
Così dove sedea peosoao a Uislo,
Quasi immagina xppar, che venga io sogno;
E ’n volto amaro, a di dolcexna misto
Comincia \ 0 figliuol mio, cui solo agogno
Veder sovra i mortai lieto e contento,
Qual ti affligga di aoovo aspro tormento f
xsvu
Là dove il citi parava, a la saa alalia
Bea dìstiolc fra loro ad uea ad eoa.
Poco man che la vera ardenti a belle,
Quaado più tcarca sia la ootia brooa;
Ha qoal regiaa poi Ira lolla quelle
Di caodidi adamaoli tra la looa
Cieta il volto divio, che ’olero mostra
Al pio germaoo, ad alla risia aoslra«
XXXIV
A COI rivolto il figlio del re Bano
Rispooda : or non sapete alma nutrica.
Coma il braodo crodcl di Segoraoo
Folte al mio Galealtu agro e 'ufclica ?
Ed a me mollo più eh' ogni altro iuvano
Accidente mortai chiaro e felice
Per mio restauro puù venirmi ornai.
Ch'io non spero altro più, che Usggcr guai.
xxvm
Qoesta oaa fa dell' onorata preda
Di Lancilotio già infinite allora,
Ch'a forsa viocilor l'ardito piede’
Posa in Benicco, a na ritrasse fnora
La vaga donna d’ ogni grasia areda,
Di cui chiara beltà larga dimora.
La vaga Claodiaca, che poi volse
Rendere al padre, e premio oeo na tolse i
XXXV
Ma beo bramo dal ciel per somma grasia
Che innanzi al mio morir, eh' è longe poco,
Mi faccia don eh' io renda 1' alma tasia
Di ma larga vendetta io questo loco;
A 6u di' or chi ee strugge c chi oe alrasia
Non mollo tl nostro mal si prenda io gioco;
E che '1 mio dolce amico intenda scorlo.
Che qual vivo l'amai, rami anco morto.
XXIX
La qoal dià poi Clodasso per itpote
Al fero Segurano, onde alfiii nacque
Dcirinvido Cavea la lite odiosa,
Che io altrui man vederla gli dispiacque*
Or poi che dalla vasta prcxioaa
Il msser Galcallo ocrollo giacque.
Del dolore incredibile condotto
Gìo dagli altri io disparte LaociJoUo.
XXXVI
Dogliomi io beo, che delle fatali arma,
Che mi vroorr da voi, diletta madre,
Non potrò, lasso, nell' aurora armarma,
E scorta averla all' opere leggiadre;
Ma fia che può, che non potrà vielarvna.
Se Qoo solo il voler del sommo padre.
Conica il qual nulla poosse, ch'io non vada
Nudo e di vetro ancor porli la spada.
I
1
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^363^^ l’ avaro H IDE
XXX VB
tur
Ch’aiMÌ Oli baiU il cor,*ch*io ^rie ia tcoo,
Cosi dicendo allora il gran pmfela
E r onora e 1' aioor di Oalealle,
Il desialo duo mi pom in mauo t
Che Uolo poOf ch'io ooa |;li «fipreizo meno,
Ed io qaaato euer poosae di ciò lieta.
Ch* arme ìocaolatr, al pcri§l<oao auallo ;
Grazie gli rendo eoo sembiante umano i
E tc por ne morrò, aorra *1 lerrcao
B volando ove l'eria c più quieta.
Accolla fia dal aao (aUorc io allo
B '1 sere» dalle ooLi più lontano,
QoaU'aliaa afflitta eoo perpcloa lode.
Tra '1 ebiaro Maol eh' elcrnamcate gode.
Ho segnalo al venir 1' alUfc strade.
XXXVIil
XLV
Tal dicea Laoeitollo, a coi ritpoae
E perqnant'io v'appreiso. e per suo nome
La BobiI donna d«l famo»o Lagoi
Con lotto il mio desir grazia vi cliirggio,
Il prave dool delle avvconlc cote
Che del pattalo ornai le dare Some
Vi fa di laatentar soverchio vago;
Scartar vi piaccia, e noo temer di peggio;
Nò ben coovieae a menti gloriose
Che se bea prie chc'mbianchia qaeslc chiome,
D' aleno foloro mal 1' esser presago {
Il vostro ultimo fio vcotilo veggio.
Ma il passalo soffrir costanle c forte,
Sarò con tale onor qoel breve tempo.
Sperando all’ avvenir più amica sorte.
Cb'asaai dolco ri fia partir per tempo.
XXXIX
XLVI
Nò temer gii dovreste ov* io mi trove,
Ma se voleste voi restando in pace,
Che vi maocasser mai l'arme pregiale,
Dentro al pairio terreo menar la vita,
Trapassar ti porrta qoel che vi faee
Onde al sommo d’ onor salir possiate {
Di qoesti anni la via corta c spedita \
Che con' io intesi l' infelici prove
Ma cercando d' onor raccesa face.
Di Galeallo, e come restavate
Come il vostro valore ognor v' rovita.
Del ferro privo, ond' io vi feci adorno.
Me lasserete c i vostri in larga doglia,
QoaDdo varcasta il mar nel primo giorno ^
Richiamando di voi U adolu spoglia.
xt
XlVll
Tosto ali'osmra tomba, dov' io Ugno
Così dèceva, e *1 fero Lancilolto
L'iocantator Mctiioo a mr snggello,
Risponde: Assai mi fia, madre pietosa.
N'andai pregando rha voi fesse degnn
Che'l cielo iafioo a qui m'aggsa condotto,
D’ altro acriar rivcilirr, c più peifelto s
S' io posse vendicar la morte odiosa
Ed et eb'aoeor per me soggiace al regno
Del caro amico; o poi mi spiega sotto
Cieco d' Amor, col più benigno aspetto
Lò, dove ogni mortai pcrpeloo pota ;
Che facesac ancor mai, mi dìsae : Donna,
E di vita aggia na’ ora questa salma.
Che seta a* ouci pensitr ferma colonna t
Pur ebe viva in onor poi aemprt 1' alma.
nu
xtna
Egli ò gran tempo ornai che te mie carte.
Qui ss tacque egli, ed ella olirà segoeodo
E gli spirti miglior, che meco stanno.
Gli dice: Poi eh' a voi quello non piace,
Mi mostrare, c oarraro a parta a parta
Col voler di lassuso io grado il prendo
Il presente di voi caduto danoo |
Presta al tutto soOrir eoi core io pare |
Perch'io fri fabbricar con divina arte
Arme celesti, che virtode avranno
Che Ca al chiaro desir guida verace.
Sopra qoaate mai faro, e di beltade
E così ragionando stende a terra
Non vide a loro «goali alcona etade.
L'arme, coi simil mai non scch io gmrra.
XI n
xux
B nel nobile scodo fri scolpire
Quando venne al boon dace le splcodorc
DI Lancilolto poi la larga prole.
A percuoter la villa ehe 1' abbaglia,
Che dee di tempo in tempo rioscire
Sroti laola dolcezza il tristo core,
Alla c famosa, ovneqiM aliarne il sole,
Che in estrema allegrezza se oc saglia ;
Perch' ei posta per lor gli sdegni e l' ire
E più raccreacc io lui 1’ ardente amore
Temprar miraa^, e ciò che pesa c duola
Di tosto riirovarte alla battaglia;
Far leve c lieto, e *1 mal presente oscuro
E lolle ad ooa ad ooa io maa si prese
Aiehiemar eoo T onor ih’ soci futuro.
Le parti altere del celeste arnese.
XUil
t
Or le prendete adnnqoc, e dite a lui.
Gnarda l' elmo ooocalo, ove il cimscro
Che non gli poò mancar chiara vendetU:
D’naa crioita stella ardea d' iotomo
Che fia cotal ch’ogni alta gloria alimi
Di bel piropo, eh’ avaozava il vem,
S* udirò al par di lei bassa a negletta,
Qoaado Ìl eiel più mrea ai mostra adorao,
E si eoaforli ta contemplar do’ sui
Allor che mìoacciar proviocia o impero
La regia stirpe, dalle stelle eletta
Di deano iolcndc, o di novello icemo ;
Per aitar con la spade c col consiglio
Che ’l popol tre tcmroza e meravìglia
Al quinto a ecslo cid i* aoralo gigho.
Alza devoto al eie! 1* umide ciglia.
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l’ AVARCHIDE
u
!.• peMnle eoratsa «itprtno pmuiei
Che di fìnÌMim'oro ha lar^n fregiA*
In cut davaolì 00 wl Incido prende
Di fìamoie aveolio di colore egregio:
E i raggi ardenti d' o^ni ialaroo ileodo
Tra raibonchi c topaai d'alto pregio,
E lì vaghi al mirar, che moslran bene,
Che da divin tnarlcl lai opra viene.
tviit
Alto apparta M magoanimo Roberto,
Che del famoao Augicro acetiro avea.
Io arme, io aenno ed io valore eipcrto
Sì, che i erodi ticàn a fren tenea,
E '1 popol laiae, c de' ano! beni incerto
Col medeamo aoo aangue difeodra ;
Che liberando quel d'acerba aorte.
Trionfi de' Normanni con aoa morte.
tii
Tolte r altre arme poi, che aon difraa
Delle braccia e del reato iofioo al piede.
Con mrnie allegra e di dnlectxa arccaa
(Qual driialo don) maneggia e vede,
E r apprecia colai, che non gli pela
Ch'or aia dell’ altre Segurano erede;
Che tanto a qoeile lon Ir prime egoali,
Quanto aon le terrene alle immortali.
LIK
Indi il minor Rnberto d'esio oaciva,
Che regni tra '1 Pircne c la Garona,
E '1 leggio Oilnn, che per bontade aebiva
Deir onorala Gallia la oorooa ;
Ma non già qoel, che la qnieta oliva,
Per acqniiiar cipreiM, 0' abbandona ;
Che mantenendo il pria gallato onore,
Longo il fcrtil Seaioo Ira l'arme mnore.
tilt
Poacia il brando celeate in mano ha prcao,
E del foder gemmalo ha trailo fuore {
Truoeal di tempra tal. che mal difeio
Ogni incanto aaria dal aoo furore;
NÌ di lai ai apaveola al grave peto,
Cui non men convenia che ’l ino valore ;
£ gii Tovria vicio, com' ha lontano,
Il crndcle avveraario Segorano.
ut
Di eni gtnvbi n’maao II grande Vgoou
Conira I nemici anoi fn ardente foco;
Ch' ora al Gallico re lemenia pone
Diapogliandoi lalor di pii d'nn Ictco;
Or gatligaodo il rio cognato Otooe,
Che '1 legame del aangoe alimi poco,
Qnandu al Nenatrio terrea la chiara Sena
Feo del aangne German vermiglia c piena.
UT
Il doro acndo al fio poiaenlc e grevt
Con ardente delio leva da terra,
Cum' on altro faria la acuma leve
D'arido aalcio, ch'Aqnilonc atterra:
la eoi di ino acciar cerchio non breve
Cinque acorsc dorisiiine nirrra ;
Le qua! regger porvìca ennira le prove
Delle folgofi aipriaaimc di Giove.
txi
Che '1 popol per oeor Capoto appella,
Ch'ebbe il dealio più amico e più giocondo,
E più corteae in dei ciaacona alelia,
Lì ai videa, ch'all'affaooato mondo
Riportava l' eli fiorila e bella,
Levando i gigli d'or negletti a baiai,
Colpa di' anoi rcttor di virtù caaat,
tv
Dentro d'argento e d'or mite coverte
Erao la ornate pelli, onde a* appende
Al collo, 0 'I braccio, dove a gnrrre incerte
Di lancia 0 ipada >1 cajraliero intende,
Con fcrmiitimi chiodi io caio inarrlc,
E di ciaicoo de' qoai la fronte iplendo
Di rubin, di diamanti e di lafiri
Da abbagliare il veder di chi gli miri.
tsit
Degenerala eiicndo il divin lenu
Del glorioao evede dì Pipino
Dopo il volger duo acculi, e che premu
Con loro il leno al mrao auo cammino. *
K quale al freddo del ocM'ore aireme
Porla dolce reataoro nel mattino
Il rianrgcnlc aol ; non ponto meno
Teon' ei bramalo al Gallico terreno.
IVI
Di fonr lovra 1' acciar comneiaa d* ore
Guarda la itirpe aua l'altero dace,
Diilcaa intorno in ti lotlil lavoro,
Che biiogna al mirar del aol la luce.
Ivi aoo qoei miglior, che primi foro,
1 quai virtule invitta ricondnee
Alia iniegoa rcal del giglio anrato,
Per difetto d' altroi gii in baaao alalo.
Lxttr
Ma perché rare volte, 0 mai non viene,
Che aia io ciaicao mortala il veder aano,
Ivi era acuito, come a lui convieoa
Muover cootra i più rei l'arme e la mano;
Abbaile il Lotleriogo, e '0 vita il tenne
Con la spola e i (ìglìaoi cortese e piano;
Pui Ira '1 popol miglior di lui contento
Prende M reale acellro, e*l sacro ongucato.
trii
Ivi irorgea oc' tooÌ gli eterni noeri,
E le chiare opre loro al mondo lule;
HA pure io Gallia i guadagnati aUori,
Ma i Germani anco ove mrn icalda il iole.
Congiunta cu'pip illnitri imperadort
Di tempo in tempo la felice prole:
Ma poi eh' al regno Saraone diacele,
Hitoenù in Gallia al tao natio pacac.
txnr
Pui nell' anno aeeondo fa ÌI figlinolo
Ruberto coronar (lui vìvo ancora)
Per far lieto di quel t'amico stuolo,
('•he 'n gelata lemeoxa ne dimora:
Questi il sommo fallar dell'alto polo
(’on si devoto cor mai sempre adura,
f-h'al buon pnpul frdel fu vero esempio
Di coltivar di Dìo l'eletto tempio.
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A VARCUIDB
fid ci ««a qaclU «mor l•ll^
Ch«*i bHoa «oltr d‘ «Ur«i f» il «omino Giove:
E raSrmsado «o «e le «v«r< voflie,
Cbc «petto «I viodtor viUocio mooTO,
Cooleolo »ol delle «ne oaliehc «poflic
Non vooi r «roMlo tioni drinore atlrove,
poi rb*«l toaimo peilor di Pietro crede
Coa dovala «aùlU a’ ìocliMa al piede j
uuuc
Poi nel Belgico tea po co oltre appare
Con le tdticrc a battaglia, e con l' iategoo
ladarao il wo awertarìo richiamare.
Di marnale ardor le voglie pregne ;
E qoello il patto iodìetro ritornare.
Qual topo, ove il leon vealigio tegae.
Che per più aogaita via, tpiaou c fotta
Spetto inlorno aaeollaado ai rimbocca,
tuui
Poto oltre aoeo apparia, dove il Teatoo
Va il terreno irrigaodo erboto c molle,
Qaaado il falò maligno, e *1 rio dettino
Della «ateca virtù la palma volle:
Dall’ OQ lato apparia *1 valor diviao.
Che 'I (amoao Frtnceaco io allo eatolle:
Dall* altro l'empia ed iavida Portooa,
Cb* ogai fona, cb* acca, conlr* atto adona.
Lcxavi
Ivi «cullo era ancor più d’uoa volta
L'empio avvertario tuo del terreo Gallo
Eiter fogalo, e con la gente folla
A grao danao e ditoor pagarne il fallo,
E ’ndarno tempre aver con pena molta
Sforiato maro ia etto, argine o vallo)
£ tencrae febee, chi potea
Biroggeodo tebivar la morte rea.
LXXXVM
Nè di Palude in lai motivava atcota
L’arte onorata e la «oa verde uliva:
Ma «i vaga, ti bella e tpeciota.
Che nel colle più aprico, o ’o calda riva;
Ogni Mota, ogai Graaia, qual la rota
In tcoA ai dolce aprii «eco fioriva)
E dolcemente ti vedeaoo inlorno
Spirargli amor d* ogni virtude adorno.
txxxvm
La nobil Gallia ii vedea per lui
Di toga ornala, e del telare alloro
Avanxar di «avere i vicm lui
Nel greco e nel latino ampio teioro :
E cuaira i colpi, e *1 vaneggiar d* altrui.
Come l’annoto pìoo all'Anitro e *1 Coro,
Tener bea ferme le radici prima
Dell' alta leggi del fatlor aablime.
Sopra I’ allo coraicr di ferro adorno
Coa la lancia arretlala «embra nn Maria,
E facendo a* aemici oltraggio e «corno
Ci vedrà qocata urtare, c quella parte;
Poi ’l fogacc de’ «noi tiniatro cumo
Ballo loiicma ripon con bellica arie,
E con r ittewa man vie più d' ua dace
Delle acmiefee tqaadra a morta iodocc.
Lxaxut
Ma ano paleada al Sa T ««trema polca
Sutteiier latto c «olo, ond' egli è ciato,
Dell'alma ìavitU ogaì villade «cotta.
Si vedea ’a altrui furia, ma non vinto;
Cile di contraria torte alla pcrcotta
Il naturale ardir oon ha più ctliulo,
t^tic faccia oulo liquor I* ardente fiamma,
Cli’al tuo primo arrivar vie più a’ io&amma.
IJIXSIV
ludi aggtoolo allo arano alla forleiaa,
E r onetlo euflrtr coa degniladr,
Nel crudo viocitor I* empia durexu
Rompe, e trova il cammio di libcrUde ;
In coi di vcadicar fatala aiprexia
Daorate riiruva c belle ttrade,
Contenleado pieloio il giogo torre
Agl* italici campi a i lacci aciorrc.
LXXXV
E ’l vicario di Critio, a quella aoglia,
In cui primo tedeo l'antico Piero,
Poi eh* etacr vede vergoguota tpoglia
Del Germano iofedel, del crudo Ibcro,
Il mcdctiaio re, di chiara voglia
Itipicno il giutto core, c d' amor vero,
Le pie galliche iaicgnc a Roma ateude,
£ deir iniquo «tuoi libera reude.
Al collo gli awolgea le braccia catte,
E 'I bianco manto tuo la para fede,
Qotti dicendo : Alcun non mi coalratle
Di lai fermar d' ogni mio regeo erede',
E per ciò beo chiarir l' CKmpio baite
Di quel cb’ ivi vicin «culto ti vede ;
In CUI vico P avvertario, il quinto Carlo,
Ditarmato e «oletto a vitiUrio.
xc
E lui polle in oblio Taiprc conlctc,
I ricevuti oltraggi, c l’odio antico,
Eitergli d’ ogni ben largo e corteie,
Com’ unico germano e caro amico ;
E qnal trioofaloe del tuo pacte,
Che più volle rateò fero nemico,
II menò aìcuriuimo in quel loco,
Ova ogai beut oprar conobbe poco.
SCI
Aaaodca dopo lai 1* altero figlio
Enrico invitto, al nome tuo teeondo.
Ch'ai ire lottrì compili l'aureo giglio
Di famoia vittoria fea tecondo;
B deir aquila cruda il fero artiglio.
Che parca minacciar 1' afflitto mondo.
Sol motlrandoii al Rodano feo tale.
Che più tatto, che quello, adopra Pale,
xcii
Non molto «adata ancor la verde elade,
L'Alpi olirà varca al più nevoio verno,
E del «erralo patto apre le ilrade
Con «oo «ommo valore, ed allroi «chemo;
Scaccia il nemico, e rende le cootrade
Forale allora al Gallico governo,
E igombraodo le nubi otcore ed idre
Chiaro c quieto il cicJ dimotira al padre.
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AVARCHIDE
SqaaKÌala poi U mal Irsiola pace,
Dace rimena ancor I' armale achìfrCy
Ove in Ira Ì Pirenei la terra piace,
Che *1 NerLoneie mar porria vederci
Torna indi poi conira i' ardente farCi
Che parca lormoolar I’ uilime ipcre,
Della ptierra mortai, eh* adnoa ioaieme
11 Belgico, il Germano, « T Aoglo acme.
ICIT
E COI! giovinetio, ore Matrona
Le piagge erbose dnirrmenle bagna,
Ora il fren aaggio accoglie or olirà aprooa.
Ove piò aperto il aeo dia la campagna ;
E eh* a lena, o furor non •’ abbandona,
Il vecchio imperadore in cor ai lagna;
L ch'egli aggia alla fin a' accorge in vano
Di Fabio rocchio, c di Marcel la naoo.
xcv
Onde all'eitremn andar fonalo appare
D' altra novella pace a conaenlìrr,
Con proiurate a lui dare, ad altrui care,
Ma con menle fermala di fallire;
Poteia ivi al cici tra I* aoime più chiare
L* allo parente *uo vedea aalire
Il grande Enrico, cno la pieli iteaan,
Che debbe in oobil core eaaere impreaaa.
xcvi
Dopo il cnt lagrimar, I* invino core
I danni andanti a vendicar a’appretla,
E deli* anglico aloni coatra il fnrore
La già indormila ipada alierò detta;
E r adopra colai, che *n lì poche ore
Ogni aalda roaraglia affilila reata,
Che dir punte t in tal fato I* arme cinti.
Che io un momento veooi, vidi, e vinai.
xeni
Poi che ridono al prialino loo impero
Ivi apparii il gran lilo de*llorini.
Non men piclnao mnalra Ìl aoo prolìero
A chi fuor aia de* Gallici confini;
Sentendo in preda dell* orgoglio fero
Di dii indotti gli avea gli aipri ricini,
II biinn duce rumano afflitto e anto.
Qual germano il aoceorre, o qual figlinolo.
xerm
E *I difende c manlien da quello ialciao,
Che gli dovria donar conir' altri aita,
(Ahi crudo cor) dal tiiocero, ch'oppreaso
li tenea (lauo) e* anoi nemici invila ;
E poi che al m<ier padre avea permeiao,
Che lolla foiae l' in.iidiala vita,
La medeima pia figlia, e i tuoi nepoti
D'ogoi paleruo beo fea ciati e voti.
XC1X
Ha il magnaoiiTio Enrico del loo uogoe
E de* tool gran letnri è at corlete,
Ch* ci riduce a salale il qnati eaangoa
Chiaro corpo illutlrittimo Farncie;
Poi r alma libertà, che morta languc
Pur dal frrr’ empio delle iipanr iifTcte,
Ritornar viva fa, integra e arrena
Tra r alme mora della etruaca Siena.
Tal ebe quanti hanoo Del le Tirrene onde.
Quante Ninfe o Drìade ha il terreo Toaco,
Ornando qnet le auc aliale aponde.
Quelle il chiaro criilallo e *1 rerde boato,
Ciaicoo divotamenle a Giore ìnfooda
Prieghi che mai non fia più eh* allor foaco
Del boon re Gallo all’onorata voglia,
Sì ebe tulio il lerren dai Ucci acioglia.
a
Non mollo longe a queato icnilo «ffiAre
Il medeiirao Enrico aovra il Reno
L* inviiiiuimo eaercito menare,
E dell' alma Germaoia il largo seoo
D’ ogni furor liranoico igombrare,
E deir empio aigoor romperle il freno;
E dall' infide braccia rìcoodace
L'ono e 1* altro di lei famoao duce.
at
E laaaaodo i anoi campi e *1 patrio nido,
Si vede in fuga aver t'infermo volo,
Del magnanimo Gallo al primo gride.
Di Giove il fero uccello aiflillo e aolo,
Mentre quel trionfante covra Ìl lido
Di Moaella e di Uosa il franco aiuolo
Bimena, al Cui valor noo fu secoro
Ferro, ùco, monlagoa, argioe o moro.
rni
Scolpito ha intorno l’uno e l’altro frolo,
Il secondo Franrrteo, e 'I chiaro Carlo ;
Quel furaron le Parche, congiurale
Di coronare Enrico, e 'a cielo aliarlo;
Quest' altro giunto a più perfetta elale
Tutto il tolte cnini che potea Carlo,
Cnn soverchio dolor del padre pio,
Del gran gerroano, « del lerrca oalìo.
civ
I qua! tolti vivean eoo ferma fpeme
Di veder inrmontare il ano valore,
E di render più illualre il divio acme,
E più apirodido far Ploralo fiore;
Coree teppe il terreo che Moia preme,
Che mal contrasta al giovine furore,
Qoal ben deaerino IÌ potei vederse,
Cha ratto al suo venir le alrade aperto.
ev
Nà il gran vate divino ivi entro ascose
Del frutto ferominil le piante chiare;
Del gran Francesco la sorella potè
Sovra quante fur alme altere e raro;
E quale t minor fior le vaghe rose,
Le vincea lai, che Ìo lotte P altre avaro
Parean le stelle, che versare in lei
Quanto bene al merlai donao gli Dei.
evi
Scritto avea nella fronte a lettre d'oro;
L'alma regina che i Navarri affrena |
Cingala Apollo del suo sagro alloro
In vitti più che mai lieta c serena;
Non lootan poteia a coti bel leturo
Si leggea *1 nome pio di Maddalena,
Di Franccten primier progenie degna,
Che nel Scolo terreo oon mollo regna.
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L AVARCHIDE
CTII
Di tatle r illre poi »olo ìa <)i»pirle
Il Bome ilio sorgici di Uarghctili,
Oft il up|;io tcultor ripose ago* irte
In moslrirli i ciiicun vagì e graditi;
Né lasserica le stelle alcuna parie
la farti olirà ’l mortai rara e compili
Di virtù, di valor, di cortesia,
saggia, culi, gcalile, oocita e pia;
rviM
E che merli eoo l’opre driltameato
D' esirr chiamala poi fìgliunia e soora
Di Francesco e d' Enrico, onde soveote
L*nno e l’altro dì lei té llesio onora;
Mostrava in vista dalla bassa gente.
Che aol falle rìcehraze c 'mperi adora.
Andar si longe con la nobil alma,
Che qoet tallo era a lei oeglelU salma,
cix
E qnanlo al ciel poteva aisìmigliane
Col giovare a* mortai de* ben eh' avea,
Taoto in vista parva beala farse
Qersia del secai suo terrena dea;
E perché nel mirare agli ocehi apparse
Di Lantiietio altor, ch'ella dovei
Regger d'Avareo il soo native regno,
DimosUò di dulccsza aperto segno,
ex
Poi si vede lasciar, dov* Amo bagni,
Deir alma Eimria il più fiorilo nido
La reai Caterina ; e s' accompagna
Col grande Enrico al Gallico soo lido;
Dal cui sommo vslor non si scompagna
Virtù, senno, oneiiadc ed atnor lido,
Che la fanno al grae re pregiala e cara,
A tutto il moodo poi lodala e chiara,
czt
E sa '1 mar provenzale arcor ss vede
Dal gran soucero sue, dal pio consorte,
Curac d'alta honié suprema erede,
E degna ai lutto di celeste iurte;
L* sitera nobillé che 'atorno assiede.
Par che *n suo cor mirando si coaforle
Di speranza immurili, che da lei scenda
Chi '1 Gallico terrea bealo renda.
CXil
Ed ella in vista alieramenie amile
Secondo i merli lor ciascuno appsga ;
Poi de' verdi anni suoi passalo aprile
Larga prole produce ornala e vaga,
Che del psleroo onor I' salico itile
(Come intagliato avea la man presaga)
Imiterìa colai, che 'I grido fora
Dal vecchio Aliante al nido dell’ aurora,
cxm
Lì ti vedrà, mentre eh* Enrico al Reno
Con I’ armalo suo stool gran cose adopra.
Ella regger per tu! di Callia il freno,
Né temere tl furor che a lei vien sopra ;
Ma il Belgico crudel d'orgoglio pieno I
Rispioge indietro dalla spietata opra;
E le pria per insidia avute spoglie,
Per magnanima forza a lui ritoglie.
cxiv
Poi con la gran bonié, che sia commista
Coo la dolcezza pria, che lega i cori,
De* maggiori e minor gli animi acquista,
Si che i privati c pubblici tesori
Di riversarle in sen nessun s'altriila.
Più che fa il buon dei trionfali allori |
Ed ella adorna di beuigno aspetto
Quando può mostra loro il regio affetto.
cxv
Di tali onor de* suni rimira nrnslo
Il divin Laurilollo il forte iciido.
Con l'alma lieta; e rende grazie al fato,
('.he di lunga memoria no '1 feo nodo;
E certo io core ornai che vendicalo
Saria del chiaro amico il caso crtido,
Poi che si corra il sol nell' occidente,
Ov’é il suo Galcalto andò dolente.
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l’ AVARCHIDE
XT
Prreh* io votomi fot di oiorto avvoltOt
Dr|(li arvmori looi (noafo c tehrmo
Drl mio boa Gal«allo il rofìo volto
Prr lo fooctlo moo dvl emdo Ibomot
Nodo dì polve e d'olvo cooitae ovvolto^
Di tolti i loiei pontirr tornwnio «Icrnoi
Ch'ovooqoc io volf^ moi ocelli t lo mento,
Qaol io'l rividi i«v, mi oU prtMolo»
mu
Com 'or forse bramando, a qoel eb'ia spsfo,
D* aUiasaoe di CUdasao il darò orfoglio,
Il fin per Segavano aectbo e fero
Condoase i» Galealto, in voi eorsleglìa,
Onde spento riman lo sdegno altero,
Ch* al vostro navigar ri (aicea sooglso t
Ma io lai gsMsa adopraado, acorla fida
È piò sempre di qoel cke 'a Ini s'affida.
xn
Mo poi eb'olfro ooo pooMe* oooieonvietie
Por eoo neceoMli T ootmo io poco
la qoel eh* é fìì oegoilo, perché owieoo
Del voler di cohn che tallo foce,
E dentro olle me broccia il male c *1 Lene
De'miieri mortoli oecollo fiacc;
B *1 soverchio dolene • doooo o|;grodo,
Eh* olirà a sfogare il eor no» ove tiroda.
nix
Però, caro figlìool, grasie reodrmo
Ai soo santo vedere, onore e lode;
Che pria che ‘1 danno soo giunga alTcalremo,
Drl bnlaooico stoni le preghiere ede;
Il qoal drl nosrvo amore, in che no* aemo,
RaccooMlaio Mi eor s'allegra e g<>de,
E per la vostra maa bramose aspetta
Cieria, irioaé», ooor, pace e veadolLa»
Mo il forte covolier mi vendfeorfe
Debbe aprire il srnltero al soo dolere ;
E oe trova in ciò far le sulle scorse,
Soppia H mondo lassar con drillo onore i
Or se in altro sUgieo qoesla fiomm* arte
D' oltre offeso guerriero on nobii core,
Arde oro il mio che d'Etao il monto sembra,
9e del soo Goleolto gii rimembro.
zt
B quanto oggi e poi scmpffc amica a cara
E giiscuoda mi aia la pace vostra,
Ve *1 mostrerò la smo che noo sia avara
Di quanta v* offerire òs vece nostra
Ualigante e i compagni, poi che chiara
Farem tornala alle palcrnc chiostra;
In coi voi tolto solo avrò piò io pregio.
Che qoaoli altri mai far di oeme agregiob
»fT
E però tutto ornile a voi rilonw,
Ogni sdegno primrer posto in obblio.
Pregando eh' a voi piacno in tal soggforao
Prender Ira I prggior vostri il braodo mio,
rii* io poiM ristorar 1* ovolo scoe»o *
Dall’empio Segarono c'I foto rio
Dei doire amico, ehc vedrò dal cielo
Che di lai mi rimon rioteaso aelou
Oli
Cavi parlava, c il chiava Laocilotto
Rispoodes Asaai mi fio quel poro amore
r.h'er mi moairate, il qoal m'ha aalo iadoUo;
Noo di (esor, oé d'altro pregio ooore.
Or pria che '1 sole io alto ricondotto
Surra il nostra terreo riscaldi l'orr,
('•hienrio ralicec trombe la battaglia,
E ripvcoda ciaacno l'aolica oiaglia.
!▼
Qoi Sai Loacnailo ; a qoet, che iIorini
D* intorno ad aacoltar, ferma Sdaoaa
Han gtò di rìcovrar 1’ aotico daooo,
Tal della soo virlode è la speraosa t
E ’l lieto bisbigliar che'ntorno fanno,
Empirà d* alio romor la regia stanaa,
Fin eh* amico silcotio Arloro impose.
Ed allora, il gran re, cosi risposti
XXII
Ed io 'olanlo fra* mìci farò ritorno
E vestirò volando 1' arMdnsa,
E di spioger avanti il noaire corno.
Sì che vada il primier prenderò enra.
Vago di sciorre oowi l' empio aoggioeuo
Delle genti aspro e delle acerbe mora^
Ove alberga mdnì ehc tolto m'ave
Chi solo d viver mio vcodea aoave.
avi
Yaloroso figline} del gran re Sano,
Io non posso oegar, che di ragione
ftott fosse il mio parlar tanto lonlaoo.
Che di farvi adegnar ri dié cagione
Ha Sappia il mondo por, ch'alfin ria vaao
De* piò saggi mortali ogni sermone.
Che spesso io questo, o io quel la colpa stenda
Di ciò, che *1 citi fra noi dispone e tnlsade*
xxm
B mostrerò, spcr* lo, se la virtmle
Di Laneiiotio ò moria, o se iudormila
Fn dallo sdegno ardeole, ebe si chiodo
In lei, s'al sno sàgoor poco ò gradita ;
E si potrao veder tant'alme nude
Prender booto sentier da qoesla vita.
Che maledetta ancor di Scguraoo
Da mille madri fia la eroda roano.
XVII
Pero i eh* t* non adempie il MO rolere.
Sciolto d* ogni altro metto assai aorcate.
Ma del bcoe, o del mal doaa il potere
Io eoi gli aggrade ocU* emana gente i
L'allr'ier gii piccqoe delle nostre schieso
Voa parte, qeal feo, render dolente;
£ cDoscoti fra noi l'ira e lo sdegno,
Per coodneer al fio i* aspro disegno.
XXIV
Or oasi ss lasse sodarno il tempo gire,
Moviam pur tosto, ove il voler sdì spcoos;
Ma ìi famoso re Lago a questo dire
Si volge e parla: Altissima corona,
Poi eh' al vostra gìostiesHoo deliro
Soccorre il csel, che s booo eoa ahbaedooa.
Io farvi ritoraar coogioato c fido
Chi d' ogni altro grao dece avauxa il grido i
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XXT
Hi ebe onai »• debba, qaala ha della,
TmIo a baUa|Iia aicìr, ma io manie avere
Che ooD fia mai |t«crrier ceeì perfello,
Che valgia il eflaooo a Metenera
AueUlo c eoo fame; a coi diedclto
Della nainra al fia oon eia il polare t
E peri^ il laliear, che mollo fia,
Prasda d* acca e di via Milano pria.
XlVf
Vadaa docque gli araldi, e*o voelro noma
Comaodia, che ciaaeea T albar|o Irore;
Solva il di§ian, poi di locenlì Mme
D*arme e*ca carco alle ballaplie aoove t
E qoeali regi e duci, cb’haa le chiome
Di tauri ornale io mille aJlere prore,
Farao ghirlaoda alla rotooUa menta,
Cb* agguagliali gli oaor per voi diipcoia.
xxm
Coll diiM il re Lago, e*l grande Arturo
Con lielisaimo rollo 1^ arcooieole,
Seguendo : Poi che 'I fato acerbo e duro
Impiagalo mi tico, laiio e doteola,
Che ne asiereoi almeo T animo «curo
10 veder qui di si famosa grate
Lo sconsolato e vedevo soggiorno,
E del suo Laucilolio cesare adoroo*
XVTIII
Qui fioilu il parlar, gii in mesco appare
Chi le meoaa, e chi I' caca coodocea i
Qoaodo il figlio di Beo : Certo mi pare
Oliimo ogoi coosiglio, rispoodea.
Che pochi poo fra gli oomioi dorare
Longa clagioo cootra la fame rea.
Ch'ogni vigor, eh’ ogni valore ammorta,
E eh' al tartareo eeoo andar uè sforsa ;
sxis
Pur vi supplico umit, che ooo vi spiacela
Glorioso mio re, che’ndictro rieda.
A ei& che al volo mio ooo cootrafiaccla :
11 quel i, eh’ al digioo già mai eoo ceda,
le nn che questa mso vendetta faccia
Di quel re miserei di morie preda;
E dopo lei se 'o vita sarò ancora,
Poco andrò poi di vostra vista fuora.
Sxx
Ma il saggio re deirOrcadi, che ioleee
Il dannoso consiglio, gli risponde :
La satura mortai mai sempre ietese,
Che la giovioe età di forca abboode |
La qoal degli anni poi seuleudo offese,
Al piu canuto vìver si oascoodei
E però in qocsia parte nou vorrei
lodaroo coutrastarvi e cedo a lei.
XSII
Non ò il senno enei, cb' ci vico dagli anni,
C nel cor giovenii mal poò trovane,
Ma dai passali sol travagli e danni,
E di te stesso, c d'altri può imparartes
Nè sia chi indarno mai pensi o s' affanni
Per grande studio in breve saggio farse.
Che non menu è ingannato, che chi spera
Saper l’ arte in un dì dal fabbro intera.
XXJB1
E ^erò a* io dicessi esser di voi
In questo per 1* elade assai sovrano.
Non vi sia sdegno il eooscalìrlo a soì.
Perchè dal vostro ottor ooo fia lootaoo {
E osi crediate qoetamente poi,
Ch' a voler bene oprar l' arma e la mano
Convica con 1* esca ferme maotenero
Il vigor, ebo di lei privalo pere.
XXXIII
O'amariaaime lagrime no aol giorau
Bcoder ai deve ooorc a chi sia morto}
D’esse indi tendo, « di sepolcro adoroo,
Prender al faticar dolce conforto i
Cbc per l'altrui doler non fa ritorno
Chi di morte al cammin dal fato è scorto ;
E t'armc io chi l'uccise la veudclla.
Non sopra il ventre suo, che *1 cibo aipcUa.
xcaiv
Non cercale voi stesso in grado porre.
Che non potsiaie poi seguir la voglia
Coti onorata io voi, di luce torre
A chi vi die* cagioo di tanta duglia :
Ha per ogoi cammin tutta raccòrrò
La forca iovilta, che i nemici addoglia.
Donando or qni fra noi giuconda salma
D* esca alle membra, c di dulccua all' alma.
XXIV
II gran figlio di Bao cortese In vista
Al buon rcttor dell' Orcadi riipose:
Il vostro saggio dir tal fede acquista.
Che riveder mi fa le strade ascose;
Ha del mio fido beo la morte trista
Ogoi ragione al cor per modo rose,
Che la salute soa gli sembra amara,
E U dannosa via soave e cara.
XXXVI
Ni gli poas' io disdir, ni voglio aneota;
Però vi prego umil, che mi sia dato
Girne all' albergo mio, dove dimora
Tolto lo t tuoi che già ro' allendc armato ;
Ed io spero con lui che 'o eicl s’ adura,
Pria che sia oell' occaso il di corcalo.
Vendicar Galealto, t scarco poi
Alla menta reale esser cun voi.
XXXVII
E diecodo coti, fece ritorno
Ove in ordio lilruova le sue Kblere,
Ch’ lian le squadre a cavallo fuor dei corno
E nel meuu spiegate le bandiere;
Va il tutto ratto viaitando intorno,
E dicendo a ciascuno; Ogn'uomo spere
Di fare oggi tal pruova, che sia ditto.
Che ’l vostro allo valor fu Mmpre invitto.
xxxvni
B non stnea cagione al mondo sembri,
Cb'a voi servata sia la prova estrema,
E dei buon Galealto vi rimembri,
L'alma chiara di cni la spoglia è scema,
Che de' tuoi sanguinosi e 'ncisi membri
Sol la speransa in voi loca suprema.
Che la veoJcIta sia così per tempo,
Che ooo ne rida Avarco lungo tempo.
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JtXZlK
Coll d«tlo« rìtom» si loo logglornot
Ove gisces diileio Gsicsho :
Il qosl diieoprc e pon le breccia inloroot
Poi dopo OD gran aoiptr fecoio ed alto
Gli dice; Aoima eletta, io qoeilo giuroOf
0 eh' io aarA dal doloroso assalto
Tcco congìonto io ciel, o che vedrai
Io altrtii piò, che io noi, lerreslri goai.
XL
lodi appella Saotlppo, il soo seodicro,
Che le sue celesti arme gli appresenla,
Ofld'ei ratto si roopre, e *n so ’i dcatriero
Tutto snello e leggier poscia e'avweota.
Al qoal ragiona: o mio Nilonle altero,
Non da io te la viriò per oggi spenta,
Ch’ allò gii il nome Ino per ogni loco,
Ove del guerreggiar pio ardesse il foco,
xti
E ’o questo ultimo di ti risovegoa,
Qoaoio al mio (lasso), aoai al tao stesso onore
Fallifti ier, che chi nel mio cor regna
Lassasti io preda all* altrui rio furore t
Sì eh' or piò bello oprar coovieo che spegna
La tea larga vergogna, e 'I mio dolore.
Riportando di Ini la spoglia opima,
Che posti D* ha d' ogni miseria io cima*
«tu
O t'appresta aoimoso ad esser privo
Oggi insirme (qoand* io) di questa luce;
Che* non s’ io tenda mai, elie resti vivo
Dopo il primo signor soli’ altro dace.
Coli parlando, e d' ogni iadngio schivo.
Deli' arme squadra la splendente luce,
Onde sovra '1 mortai Irato si goda;
Poi le braecie • la spalla accoglie • snoda,
xun
E provo ad eoo ad ua se strìnga, o grave,
O se ’t molo da lor vegna impedito ;
Ma il tolto gli è piò acconcio e più soave,
Che di serico dio drappo ordito ;
Prende poi l'asta io man sì grosM a grave,
Che non fa mai guerriero in alcun Ilio,
Che crollar la potesse, ae non solo
Ei, che par eoa aveo aoU' altro polo,
xiiv
Indi fra* t suoi ai spinga, a* qoali apparse
Marte, quando piò irato a terra scende.
Mulla cometa in ciel si lucida arar,
Qoal essa il di, ch*al soo cimiero splende ;
Presso all' aurato scodo erano scarse
Le chiome righe, che I' aurora stenda t
Pareao l'elmo e l'alir'armc fiamme vere
Scesce a Ini intorno dalle stalle altere.
SLT
Ma Gaveoo, il Re Lago e’Ipio Tristano
Con gli altri duci poi le genti accoglie;
Che pareao dagli alberghi uscendo a) piano
Api. eh' al gran matlin le regie aoglic
Laisan, quaodo I’ aprii resta sovrano
Del tempo rio,- che fior novelli c foglie
Van depredando avare, ovunque iuloruu
L'almo prato o'I giardm ai nsoaUe adorno.
«tri
Poi da'destrfcr perrotsa alta fremeo
La bassa valle, e la soa nuda arena
D’argrotalo colore esser perca,
E d'ardenti faville intorno piena;
Che siccome la torma il piè movea,
Sembrava tutta il ciel quando balena
Piò sovente la notte, onde si vrde
Ora il chiaro, ora il bron, che 1* aria Sede,
xtvii
Né le schiere d' Avareo d'altro lato
Stanno al muover di quei nel sonoo avvolte,
Ma per l'onor primiero guadagnalo
Han piò larghe sperarne in cere accolte ;
E '1 trionfante Iberno s'era orualo
Delle chiare armi al gran nemico tolte;
£ rìdaeendo a’suoi la forma aoiica,
Salutava ciaMun eoo voce umica,
XLeiii
Dicendo: Oggi c quel di, ch'aperto spero,
Che I* intera viitorìa io noi pervegna,
Se *1 giovin Lancilotlo irato e fero
Del miser Galealio a guerra vrgna ;
Ch'or piò non ave, ond* egli andava altero
L'arme incantata che securo il legna,
Siccome gii gii avvenne altra fiala
Con r aiuto immorlal della soa fata.
XLTX •
B cosi ragiooando, ionaosi sprona
Coo Clodioo, e Broooro, e Palamede,
Gallioanlc, e Rossaoo, c lolla dona
La cura a Terrigao degli altri a piede.
Or gii da tatti i lati s' abbandona,
Per r altro! guadagnar, la propria sede;
Sole il gran Lancilotlo il piè ritarda,
£ dove aggia a ferir, d* interno goarda.
t
Qoalc ardito leoo ch'ai prato scorge
Di cervellc c di damma i vili armenti.
Che non degna seguirgli e ionaoai porge
Gli occhi, eh' a maggior preda erano intenti:
Poi ch'atpro orso,o cinghiai vede che insorge,
Arma sol contr' a quei gli artigli e i denti,
E I fianchi percotendosi e la terra
Coo la actosa coda, muove a guerra ;
U
Tale il gran Laoeilolle acceso d* ira,
E d'ardente desio d'alta veedella,
S' ei vedesse l’ Iberno gli occhi gira,
Perchè contr* a lui sol Irovarse aspetta.
Poi conoscendo io sé, che 'ndaroo mira,
Né 1 poirìa riveder, tanto era stretta
La turba che veniva, e tal la polve,
Che '1 sabbioso scnticr di nube iovoive;
in
Or chi polré narrar, tenta l’aita
Che vien tela da vai, di Giove figlie.
Il valor sommo, a la virtù gradila
Di Lanciloiio, e I' alle rorraviglie,
Che tanti chiari cor privò di vita,
E fe’ I* onde dell' Euro adre e vermìglie f
Siale duuque al mio dir sostegno fido,
Cli’ ei se ne scola aimeo dappresso al grido.
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L AVARCHIDE
384
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AVARCHIDE
LXtXt
pc/ rtnpicr del rio le pUride code
Quella «quadra nemica, eh è iofìiiiU,
I*uù il (aiiiii»o fuerrier lanpe le «ponde
Trurare *1 »uo detir la tia spedila:
Tal ehe l' ira ma^pinr che Uarle infonde,
A mitehiafte con lei ratio 1* invila;
K eon ai pr*n romor •’ avventa tri entro,
C'.b-ei le*t credo, Uenar Pliiloii nel centro.
LXJHIt
FerfI r teqne »pomote, e in aria alzarae
Al prufooda saltar del gran detiriero,
E la chiareua lor rider caapiarte
In aepctto per lai Mnguif^o * fero;
Sta «olio alqaanto, e poi di «opra apparse,
Come nostro marin pronto e lepgicro :
E dove trorpe piu le calche airelte,
Cui ian|BÌnusu brando ivi ai nielle.
LXXXUI
Ni per leve foppir, che ’l popol faccia,
Al ditepnalo fin sccur ricace,
Ch’ ei, lenza abbandonar l'umida Iraccìa,
Or Cun qarali or tuo qoei ratto li mesce:
Qual rapace delfio, che aegua in caccia
Dopo il lungo diginno il minor pesce,
Ch’ or rifogge nel porto, or lotto il lasso
Dello icogito vieto più stretto e bailo.
LZXIIV
Tal rifoggendo quei, io I* altra riva
Cercai! levi posar I' aillilto piede:
Ma il ferui-e guerrier prima gli arriva,
4.hc' sien montati alla più asciutta tede,
E numero culai di vita priva.
Che con grave dulur, latto, li vede
Già r Curo nsiscrrltii avere il icno
Vie più di sangue sitai, che d'onde pirou.
IZIKV
E di tanl'anne colmu e di lini* aste,
Di tanti elmi * di scudi e di destrieri,
(.he la forza impedita ornai non baile
Per distender pio il corso a' suoi sentieri:
Le vaghe Ninfe soc nitide e catte
l.amrnlaiido fuggir gli assalii feci:
Ed «s per oots veder, l' erbosa fronte
Ascuia avea sotto al Ccmenio monte.
I xtzvi
Poi ch'ita sfogato alquanto LandIoUo
Cuntra il popwl laggiù I' avuto sdegno,
Sopra r asciutta Irrra ricondotto
In ritrovar J’ Iberno opra l' ingegno,
E dure i mcD In iiuul fugato e rotto,
Srurge «io gran cavalier, che mostra segno
Di nobiltadc insieme e d'alte prove,
E che 'n vereo di lui correndo muove.
LXXZVIt
Prcesi lieto io core, e leco ipcra,
rii' esser potesse il chiesto Seguranu:
Poi che gli vide in issan l' insegna altera
Del icon brun, conosce Dmadano,
U gli dice: Signor per quella vera
Virtù dovuta a gian guerriero untano.
Nou ini negate il dire, ove ur dimora
Il vostro Scguran, ih'ogui uuoio onora.
Risponde il cavalìcro in vista acerba t
10 non san qai, signor, per cura awre
Qual l«>ro Segiiraa ne rende ci serba.
Ma per alle spiegar le mie bandiere,
E per largo punirle, alma superba,
D’aver percosse le germsnc schiere.
Qual topo al bmeo le smarrite gregge
Senza il cane e '1 pailor che le corregge.
LtZXJX
Che mentre sn altra parte io slava inteso
A drizzsr di Cindino il destro eurno,
Udì Iniitsno il nuilro stuolo olTesn
D« tirso nuovo giiervier di bisnro adorno r
E ’t carnmin verso lui volando ho preso,
Per vendicar de’ miei I' avuto scorno;
E questo é il Scgiiran, eh' ite eerrsndo,
11 qual TI fxiostrcrù con questo brando.
xc
Itispose Laueiinite: Io non rifinto
A chi m'invita mai, nnova battaglia:
Ma ben di Segurano avrei voluto
Piò tosto che dì Voi, tentar la maglia:
(die di voi nullo oltraggio -h» ricevoto.
Ma d« lui lai, che nullo gli «'agguaglia:
Or i' ci vi piace por, facciasi presio
Che *1 soverchio indugiar saria molcslu.
xci
Coti detto, alza il brando e dallo scodo
I.' oscuro suo leon per terra getta.
E 'I forte Dinadsn di quello ignudo
Pen^a di tosto far larga vendetta:
E di colpo qual pnò p ù acerbo e crudo
Nel locid' elmo il fere, che saetta
Faville tante, che d' ardente foco
Fece intorno avvampare il vicin loco.
xcit
Ma bisogna altro colpo che mortale,
O che di Dinadan la forza passe
Prr fare a Laocilollo si gran male,
('.he pnr la fronte alquanto se a'shbss*e:
La spada indietro rimonlando saie,
(^uasì che 'i duro p^irfido loerasse:
Ha ‘1 figliool del re Bano il rìperciiule,
Ove di snudo avea le «palle vule.
xati
E't trova a un ponto in qoel mede imo nodo,
Ove il braceiu era all'iimero rummrssn :
E 't getta in terra io quello istesso mudo,
Che snol ramo di faggio o di cipresso
Il pailor che vuol far selvaggio ch odo
Per la maodra dubbiosa, che sia presso
Del bosco folto o delle alpestri rupi,
Ove insìdie maggior tcndauo i lupi,
zeiv
Tale il sinistro braccio ri disciolse
Dal famoso garrrirro e *n basso cade,
E tra le arene misero «'avvalse,
E del sangue die versa empieo le «iride i
naddoppia il colpo Lanciiullo c 'I cube
In luco onde cosvien che a morte vide,
(tve appunto la lesta al rullu aisiede,
E del suo giao dcslrier la pose al piede:
L AVARCniUE
ICV
cn
R (e' dèùlro al terreo ^fnoda alampa,
Poi mrge in piede e le nodote braccia
Qnal Faro toni che '1 popol rio ripOM
Ambe io giro menando, quanti arriva.
Sovr' alta torre a far netlarna lampa
O lalrindu feriti a terra caccia.
Al ■ocebier «lobbìo alle >laf;ioai ombrane:
O morti Mende alla nevota riva :
Che '1 (uly>ore cnidcl che ‘1 cielo arvanipa»
Salvo i aul chi lo icampo *i prneacria
Col poHcnle forore in baino p«>ie
Col ratio corto e l'altra gregee priva
Dalla parta contraria alle ialt'onde,
Rirnan di spirto ed ci rabbioso m vuia
Cbe nel lilo arcooau il meuo aieoade.
Conira a chi ti foggia rogge e a'auriata*
xcvf
citi
Come il vede cader, chiamando i' soai
fiot'i il figlio di Bao, poi eh' ha lamio
Laoeilotio dicea : niletlt amici.
L' arme (fugar de' mitcri germani.
Di riportar pon|ih' io la cara in voi
Il tuo diremo potere ha riversato
Colini, con qnanli avrò duci nemici
la eisi ad ano ad no, cit’ ha men lontani.
Condoni a morie, al padi|;lion di noi
Parano il primo fu, ch'egli ha trovato,
Con tulle l'arme a ciò ci»e 1' infelici
Che gii, rotta la lancia, ad ambe mani
Eticqaie aian di lai gucrner untale.
Alaa'l braoJo a ferir; ma pria rh* abbaile.
E di chiare TCiulcUe aì morti graie.
F'co le voglie ch'avea di (urxa catte;
RCmi
CIV
Risponde un ano acndier, chiamato Elcao
Ch'nna poota gli potè, ove le cotte
Non ha ’l voUro deair volo iT clFrllo ;
Dan curvale tu ‘1 petto al venire loco;
E di qnaitrn de'iooi l'ha pollo io te no,
L’ eterne nubi alle tue bici imposte
Che a»MÌ lotto il portaro, ove pii ha dello.
Fura, e tpenlo nel cor lo tpirto e ’l foco;
Ma il cavalicro ereioio, il piu Oromeno»
Ellero poi, che di Clodaito 1' otte
Vedendo aliar con doloroio affetto
Con quei di Sleaia railumò non poco,
Morire il boon vicino, il Caio rio
Trova il tecondo, e '1 parie dal cimiero
Di vendicar, potendo, uvea detiut
Infin dov'egli inforca il tuo deitriero.
xceiii
c»
Ha perche non ha ipeme, mcndo solo
Dmmeno i il terxo, che degli altri dorè
Di poter cooiratlare a forca tale,
Fu in questo aiiallo, e con più ardir li move; •
Eotcrn, e ’l tuo Faran con largo itooln
Ma neiritletta forma etto rondiire.
Del MIO corno german che In arme vale,
Nè gli giovar con Ini rantiche peovc ;
Chiamando dice t Ora iproniajno a volo
tihc Laneilolto alla tioitlra luce
Sovr’ a qoeito crudcl che i Dutlri aitale
Gli mite il brando a patta, ove riirove
In COI ilran furor che par eh* e* voglia
Della memoria il leggio, onde patito
Sol di noi riparlar trioufo e tpoglia.
Tiiiln, avanti al morir, d' eterno obbtio. i
xctx
evi
Or Icviamto di terra e tì drmottre.
Sovra gli altri da poi stende la mano
Ch'anfo nudre «irla 1* Albi e Yiiera,
L'ardito Lanciiutlo, infiu cb* egli ave
Che lunge inoodan le campagne noiire
Tulio il drappello ornai verulo al piano.
Non men ch*or facciao qui la Senna c l’Era;
F'nor solo alcun che rifuggendo pavé.
E te la lancia mia eoo 1' altre voatre
E '1 tuo fidalo Eleno a mano a roauo
Audandn vcrto un toi non avrò intera
F'a la schiera che '1 tcgue inloruo grave
La gloria, aitai ne «ia 1’ avere tpenlo
Del peto di c>aicuD, ch’ivi era duce,
(^tii timbra oggi di noi morte c apaveata»
Ch'aJ padigliou cun gli altri gli conduce.
c
ceti
. In colai ragionar too gìnali iniieme
Ma il falso Arvio, che quelli in gnerra aera
Venti chiarì goerrier ch'unili vanno
Nati, ove alla Pomeria é il mare aggiunto,
Conira il gran Laneilolto, e eiaicun preme,
Dall' aspra torte de* compagni e rea
O di lancia, o di brando a murlal danno;
Di dovuto dolor l'alma compunto,
Ma non crollao le membra, o l'alma teme
Ove il Qobil Brunoro comballea
Del frro Gallo ai colpi che gli danno ;
Col ponente Triilao, volando è giualo.
Che di valor fornito, e d’alta ipene
E gli dice: Il protervo Lancitulio
Con magnaniiiio ardir tallo aoatiene.
Ha il corno, ove noi temo, a bo condotto.
CI
CVIU
Siccome orto talor neH’Alpe mole*
Egli ha, chiaro lignorc, il fralel voatro.
Se di mai mattini ha ackiera intoroo,
L' altero Dioadan, sospinto a morte.
Che mentre qneato e quel ferir lo voole«
II quale in vau conira l'orrendo mostro
Fa più a te, eh' al nemico, oltraggio c Komo,
Si vide più ch'alirovr, ardilo c forte;
E di offendere in van ti lagna e duole
Ma oè'l tuo gran valor nè l’altro uoatro
L* itpidu vcl d’ogni lorteaa adorno;
Più revcrilo atuol, eh' ivi era a torte,
Ned ci ti muove pria che veggia tutto
Polco ben rinluxsar dì lui la rabbia,
HiitrcUn il cerebio in nn con poco frallo;
Ch'ha di spirto inferoal le futche labbia.
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L A VARCHIDE
CXXUl
£ gli vita lovra r«lo»o che aoo dora
Più eh* a grave martcl vetro ben frale;
Partegli il capo, e fino alla cintura
Sette tquarciaodo il ferro atpro e mortale;
Di tangne atperia e d* atra naba oeeora
L'anima diipcrata aperm l'ale,
£ del regno tartareo volò in teao
Lauaoito aperto il carcera terreno.
CANTO XXIII
ARGOMENTO
ó BrumaàoMio a Palamede av%»i$o
Che Lamctloito tanta etrage apporta i
Quegli i<* occorre e pugna e retta «icciro
Con Brunadasso oncor, che gli era scorta.
Clodattn intanto dalla torre assiso
Ifira la gente faggitifo e morta
Ita LancUatto, e il tuo /Igliuolo htesso
Da quello estintOy e Segurano appresso.
T » ,
1 eubito cader dì tì gran dace,
r.h' era d’cgniytoo ben la prima tpeme.
Nei germanici cor tal tema induce
Che per lotto fuggir l‘ un T altro preme,
Ciaacou con ratio piè ù riconduce.
Ove vedea de' tuoi più geate iniieme,
E ch’appiria la atrada più ticora.
Per gir d' Avarco alle bramale murai*
II
Ha in qnella arriva il fero Brnoadatto,
Ch* avra leco t guerrieri, ove Eoo e Lieo
S' acrompagua con 1' Utro e leeude io batto
Ove il Reaio terrea più viene aprico;
E con gran cura il fuggitivo patio
Dì quel popol vicino e dolce amico,
D' arreilar, cerca c lutto andava in vano,
Ch’ei tciu' altro atcollar giva loolauo.
ut
Nè potendo altro far, rivolge tl piede
Ove noo lunge a Ini dal destro lato
Conira il re Lago il nobil Palamede
In intricata guerra avea lattalo;
Quinci, e qnindì tpronò tanto ebe i vede,
E 'n parlar batto a lutti allri celalo
Ditte : O gran re degli Cbridl, noi temo
Senta il VOI Uro toccorto al punto etiremo*
IV
Morto è Fanno, Etiero e'I tuo Drumeno,
E '1 peggio è Dioadan potcìa e Brunoro
Dal crudo LaacìlaUo che '1 terreno
Ha bagnalo por or del taogue loro,
E già topra i German trionfa a pieno.
Qual tovra le giovenche, eh* hao del toro
Già tmarrila la guardia e del patlore,
Sfoga il lopo famelico il furore.
V
£ perù, te di noi punto vi cale,
Del uotlro Segorano c di Clodino,
Venite a dar riparo all’ aspro male,
Ch* al mortai nostro danno è già vicino.
Grave e nuìoto duol I' Ebridn aitale,
L'altrui biatmandu e '1 proprio tuo dettino,
£ rìman dobbìo alquanto, t' egli sproni
Ver Laociloilo e i tuoi quivi abbandoni ;
VI
O le pnr tegoa l'opra, ove ha speranza
Danneggiare il re Lago e ’l figlio Eretto,
Ma il penticr che d'naor quel primo avanza,
Scaldò il cor Dell'animotu petto,
K di poter gli reca àlta baldanza
Riportar la vittoria al fin perfcito,
Se Landiotio tpegne : che sol era
Degli avversari lor la luce intera.
VII
Coti fermo in tra te, Safaro il (rate,
Che non lunge era a lui, chiama in ditparle,
F. gli dice: Or il tutto riguardate,
Che sia beu provveduto iu ogni parie,
Mentre ch'io vo dove ha rotte e fugate
Le nostre genti ed ha per terra sparto
Le Germaniche iuiegne LancMolio,
£ eoa molti Brunoro a morte iodotlo.
vili
Tremo tutto nel core il pio Germano,
Quando udin del guerner la dura impresa,
E risponde : A me par, eh' adopre in vanu,
Chi te abbandona per 1* altrui difesa;
E chi più che 'I tuo ilctto ama lo tirano,
Cariude ha di Iurta fiamma acrcta;
Volete voi lassar per altrui scorno
Senza il suo proprio duce il vostro corno?
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tx
Ed or, rhe in tniii rrrt» TÌtlorla
Già tirali Orratli avrte e di Oavrno ,
Prr diiLbiota, daenota e vana |;loria
I.a volrle lattar nril' allroi amo ?
Qnanto »ia lun^a r rhiara la mrmoria
Nrl paino notirn e nolólr trrrrno.
Quando taran Ebridi ir toiflia
Degli Orcadi vicio cardie di apoglie f
X
Come fia pili gran toon del notlro nome,
Cile d* aver vinto >nl di Bann il figlio?
K d'infiniti aver le forze dome.
Clic del aaogtic d' un *olo rtwr verniixlio?
Per <]nrlli ornale arreni I* Ebridi rhìoine
Dal Britanniro fior, dal Franro giglio,
Abbattendo color che *o tn la rima
Tien di valore tI mondo c invilii esdma ;
XI
Hofi per aver nccito nn gaerrter aoto
Di furor più ripirn che «li virtiide.
Giovine e traporlatn d'allo duolo,
r.hr del morto compagno in ioi ai rhrnde;
Prenda il votlro Hetio piò altero volo;
rerrli! il votlro affannar piti degna inciiilei
E la spada famota in ogni terra
Sia poiU in opra a piò lodata guerra.
xn
11 frro Ehridn allor che 'ntrnde e vede,
Che'i timor eh* Ila di lui, muove il ano dire,
Ritpnnde irato t Or dniit|ne a Palamede,
r.lie ili portar due spade ba »olo ardire,
Fallirà I' allo ror, la mano c 'I piede
Dell’ nna e I* altra impresa oggi fornirr,
D' urcidff presto e d’ etnrr presto poi
A diatmgger qui Lago e tatti i tuoi?
xtii
Rimanete pur voi, prendendo cara
A* biaogni più gravi, io fin rh* io rieda
Da trarre il notlro pnpol ilÌ paura,
r.he d’ un >ol cavaliero é fatto pregia;
Mostrando altrui, come a virtù matura
Il giovinii furor pirgando eeda,
K gran fiamma elle vìen da juecini fisco,
AI tempestoso cìel cunlraste poco.
XIV
Coaì detto ai parte e ‘i fralel lassa
Pien di dubbio didor di tale impresa |
F. col Suo Brunadasso oltra trapassa,
Uve il ligi io di Ban fa grave offesa
Alla gente d* Avarco in guisa lassa,
Che posta ha nel fuggire ogni difesa,
Mentr'ei volgendo a questa e a quella maun
L’ odiato Segorao ricerca in vano.
XV
E mirando, vicio vede a Ini farse
L'altera coppia che spnmando viene |
C.h* ai primo riguardar degna gl* parte,
Che d'esterl'un de' doni gli accenda spelte;
E di sì gran de*ir nell’ animo arse,
C.hr d' alquanto aspettargli nun soiliene,
Ma iiicunira spinge il ran<lido eor«iem,
I^Mandu a lui del frrn I* arbitrìu intero.
XVI
Ma poi che pìn s'appressa e bianco e bmno
In quadri minniissìini distiulo
Scorge lo scudo in allo, sa che l'uno
Sia Palamede che ne viene accinto {
E di due spade, onde mai fit nessuno,
Sopra il sinistro fianco ìt vede cinto:
Dell' altro il cancro aurato in negra sede,
Che Brunadasso sia gli ba fatto fede.
XVII
In guisa di levrìer resta smarrito.
Che da Innge venir damma n cervetta
Seco itiiiiaadu, per 1* erboso Iito
Or si fa iurmilro ed or nascoso aspetta ;
Che sdegna in se de! suo pender fallilo,
Poi rhe vide eli’ ei fu correndo in fretta,
Un corntilo raonton, che a quella strada
0’ alcun lupo vicìn dubbioso vada.
XVJII
Tale avnene al guerrier, da poi ch*c certo,
Che 'I ricercato Iberno ivi non sia,
E ragiona in snu core: br reggia aperto,
QiiaiiUi ho ne' miei desir la sorte ria;
Clic mi fare il senlìer sassoso ed erto,
Cir ad altrui piano e dolce diverria.
Dì ritrovar cstluì, rhe in ogni loco
Suol non menu apparir, di' all' ombra il foco.
XIX
E *n lai dori pen«ìrr la coppia trova,
A mi parla : Signor, le vostre insegne
Conosco lo l>cn. die mille volte in prova
Qiiant* altre mal d’onor le vidi degne;
Né con lor cereberei battaglia nuova :
Ma se le voci mie non sono indegor,
Dì mustraniii il rsmmin vi pregherei
Da 'nconlrar Srguran, cb' io sol vorrei.
XX
Ma il ferocissimo Ebrido, che vuole
Di Lancibitio il di la palma avere,
Uisponde alle cortesi uie parole :
Liiuce è mollo di qui con Ir sue «rliirre,
E troppo in bavso ornai cadrebbe il sole,
Pria che 'I poteste in oaìo rivedere.
Ma per non trapassar quest' ora in vano.
Armale in vece sua ver me la uiaiio.
XXI
E rosi detto, il brando eh* alto avea,
.S<ipra la lesta srarca a Lanrìlutlo
Sì, di' ngn* altro guerriero a morte rea
Con l'infinita forza avria condotto;
Ma r intrepido cor che ’n sen lenea
1/ offeso cavalier, non resta sotto
Il grave peso estinto, ma s‘ arrende
Qual fiaiBina al vento, ove il vigur ripreade.
XXII
E dice lutto irato : Io non pensai
Da lì chiaro guerrier ricever qneslo;
Nè che 'I cortese aflìelto. eh' io mostrai,
A si gran cavalier fosse molesto :
Ha il elei chiude la vista a cui dar goai
Dispone, e gli apparecchia aspro e funesto
Fine al viver mortai, come a vui fare,
Poi che '1 torto adoprac meco vì piace.
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L A.V A tt e II IDE
E *n qaetU allo U fronte gU percuote,
Ove prima etto lui oel proprio loco,
E pii fece tremare ambe le eote,
E pii occhi empieo di sfavillante fuco;
Fiir le parli miglior di furia vote,
E che i sensi sniarrisaer maocù poco ;
Pur deli* elmn il valore, e 1 rore ìovillo
Il piegante vigor sostrooc dritto.
Or già del ano destrier disceso è in terra
Il cliiaru Lancilutto, c ’n pace atleude;
Mentre che dal gran fascio, che V alterca
Si dtscarca il nemico, e ’o dubbio prende;
Ma intanto Bruoadasso della guerra
Dal cumpagno inlcnncssa il carco prende}
E ben cir a piede il Franco si rìtrtiove,
11 corsiero spronando in esso moove.
E più saldo che mai, di punta il ftede,
Ove srudo non ha, dal destro lalo,
Dicendo : Discnrlcse Palamede
la alcuno atto suo non fu trovai»,
Né ascosamente a voi percossa diede.
Poi che vi ritrovò sul rampo armalo,
Ove adoprar convìrn la mano e'I brando.
Non andar altre fole raccoiilaudu.
No *l teme il gran gucrrter, ma fermo aspetta
Infio che sopra lei se ‘1 vede accorso ;
Nel destro lai» poi leve si getta,
E con la manca man gli prende il tiiors<> ;
Nè gli giova il volar, come saetta.
Che mal grado di lui finisce il carso ;
£ volto è io Lai furor, poi che s’arresta,
Qi*ove le groppe area, toma la lesta.
Tacesi Lancìlotio, e I* ira ascondr,
Che ‘I parlare c 'I ferir gii Ita do{>pia arreso :
Che quanto fosse unquauco stalo altronde.
Si senti il destro iato essere offeso.
Ha qusi leva Nelliiuno in allo 1’ onde,
Che nell' aperto Egeo rabbioso peso
Del sufliar d'aqiiilon nel verno sente.
Tal di sdegno al gucrricr bollia la mente*
lodi con r altra maao il buon gnerriero
llipusio il brando pria, di Brunadasso
Siringe il braccio stnislru, e del destriero
Senza rimedio avere il lira al basso;
E sopra l' arenoso aspro sentiero
Là, dove ci giacque abltandonalo e lasso,
Ritratta fuor la spada al collo il (ere,
A cui lontano il capo feo cadere.
E presta al vendicar cala la spada,
Che gli venne a ferir «opra lo scudit.
Di cui roti vico clic alrinia parte vada
Volando a terra, e di sé il lasse ignudo ;
K pattando per quel si face strada
Nell' omer rh'ei copriva, e ’l ferro crollo
Squarcia t’alirc armcappresso,e tanto serode.
Che i nervi, eh* ivi son, non poco uiì'code*
XXV ri
Nè smarrito è però 1* EbriJo altero,
Cile con piò grande ardir ritorna a guerra:
Ma il possente Nifonte al suo corsiero
La destra orecchia con la bocca afferra,
E crollando la fronte inw|uo e fero.
Come rabbioso can T affligge e serra,
£ eli dà tal dolore c 1 ticn si basso
Ctr ci nuo s' arrischia sol muover il passo.
Già il fi-ro Palamede io pJè risorto
Parte del breve assalto avea vediilu.
Ma come cavalier cortese e accorto
Non sostenne al bisogno dargli aiutti t
Che piu tosto il compagno rosi morto
Volse, che I’ onor suo veder perduto.
Scado due contro ad uno, ultra ch'egli ave
Di tal guerra con lui disdeguo grave.
XXXIV
£ con delti nmilissìmi si scusa.
Dicendo: L'altrui culpa in me non veglia
Nel cui bacii cor nulla vìllade é chiusa,
E la cui man nun fé* mai rosa indegna ;
Se nel suo stran paese questo s* usa,
Sìa del fallir la penileuaa degna.
Che chi assale il uemico io siini l sorte
Nuo merla puniaiuu uiiuur che iBurlc.
Disposto pore in se da Ini diicior'O
In qual guisa mro rea disreroer puvir,
Cotale adopra alfm, che si disinorsr.
Ma sema urectliia avere iodi si scuole,
£ levatosi in allo, tanto scorse
Tirato dal furor, che poi percuote
Riversandosi indietro su 1' arena,
Con grave del signor periglio e pena.
^ XXIX
S* aggiunge or nuovo alla primiera piaga
Colpo da non sprezzar sopra la lesta ;
Né per questo anco il suo valor sì smaga,
Né pensa al dolor doppio che il molesta ;
Ma piò clic fosse mai, lutto s' iudraga,
£ si rivolge in quella parte, e ’o questa.
Tal che moie il buuu animo e ’l citi volse,
Dal caduto cavai tosto si sciolse.
Lancilotio cortese gli rispose :
Non può il fallir di lui macchiare io parie
Dei vostro allo vslor Copre famose
Al quale in tal favore aspira Marie.
(jiii linilo il parlar, ciascun ripose
AH* assalto novri la forza c l'arte;
Ciascun dal collo già lo scudo ha tolto,
£ I suo braccio siuìstro in esso acc-ullo;
XXKVt
E s' accuurìa al ferire ; e fu il primiero
L' Ebridu, che di punta in mezzo il petto
Drizza all' allo avversario uii colpo fero.
Che se'l ferro finissimo c perfetto.
Cui di tempra iinmortal gli spirti fero
Era iiscn saldo allora, allo sospellu
Aver potea ciascun di LaticiloUu,
Ch all estremu suo di fosse cundollo.
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xxxvn
M* r|aal crudo leon, quando •! Mola
Dal rozzo orao im|Ma|[ar più, che non aoglia,
Che idegnofo c rabbiuio oe dircnta,
E d'ira micidiale arma la voglia;
Poi doppiato il furor, ratto l'avvenla
Di morir fermo, o riportarne tpoglia,
E rnggendo’ e fremendo fa temere
(guanti il ponoo ivi udire oomiai e fere.
XXXViU
Tale il figlio onorato del re Sano
Tulio d'ira iofiamniato a lui li getta,
Gridando: Tronchi il ciel la pigra mano,
Se dei aoitro dulor non fa Tendella;
E percuote il guerriero, e non io vaun,
Nel braccio, onde ietiea la fpada atrella t
Che fé* piaga* profonda, ma non tate,
Che '1 danno, che ne vicu, gli aia mortale.
xxsix
Opra ben al, che *1 brando che non era
Come iolea, di valida catena
(ioDgiunto al braccio, la percoaia fera
Scorrer fa da luntan sopra l’ arena;
Ua quella alma onorala, inrilla, altera,
Che non cura periglio o Mntc pena,
Impedito, qual è, 1* altro riprende.
Che d' un' altra cìuUira al collo pende;
XL
E gli viene a cader so 'I lato manco.
Più allo alquanto, ove impedir non puute
Quella che vieti più bassa sotto il fianco;
E dell'albergo suo ratto lo scuole ;
Indi senza mostrarse amido o stanco,
Più che mai l’ avversario suo percuote;
Ma '1 Colpo, cite sceodea dritto alla lesta,
Dallo scudo iolcrrotto in alto resta.
XU
E fu tale il furore, ond' egli scese.
Che non ebbe a suoi di simile assalto;
E quanto il taglio fulminando pre*e.
Che fu il terzu di lui, ne cadde d allo;
E Lancilottu a più spietate offese
Armalo ha il nuhii cor di crudo smalto,
K per dar fine alla dubbiosa guerra,
Vie più slrelio, che mai con lui si serra.
xui
E senza altra di se cura tenere
Raddoppia i colpi, e non s' arresta mai ;
Or sopra 1' cinin, or nella spalla il fere,
Or fa al braccio sentir nuovi altri guai ;
Non s' abbandona quel, quantunque iulere
Nuli aggi! il miserei le forze ornai,
Perche I braccio ha pur frale, e 'n più d'iin loco
Scale il saugiie versarse a poco a poco.
XUII
E Lanrilotio alfin di cruda punta
Gli ha drizzala la spada nella gola ;
Cdi' uve gli spirlì van, vihraudo spnntZf
Per formar Ira le lahhra la parola.
All estremo cunfiii l'anima giunta
Trista c rabbiosa in altra parte vola,
Libera in tulio del rorporro nudo,
Che a terra scorse in miserabd modo.
xtiv
Tosto che '1 vide steso LanciloUo,
Del suo fero destio mosso a pleiade
Seco si diiol d' avere a tale indotto
Un dei miglior guerrier di quella elade ;
E per chiaro saver, se 'I fil gli ha rotto
La parca ria, dall' arenose strade
Aiutato da'sooi l' innalza e scioglie
L'elmo d' intorno e dalb fronte il toglie.
XI.V
lodi, che scorge pnr pallido il volto.
Le labbra estere eiangoi, e gii oerhi attorti,
Dice qnatt piangendo: O mondo stolto,
Che 'ngaoni ancor quei, che più sieno accorti
Oggi é di vita parimente sciolto
Il fior dei cavalieri ardili e forti,
Come il più vii soo servo, o« gli valse
L'alta virtù di cui sola gli calse.
XLVI
E così ragionando EIen richiama,
E gli dice : Or si porti al padiglione
Fra molti anco costui, che d' alla fama
Di preporsi ad ogni altro è beo ragioae,
Cno Brunadasso : e qnci, come-chi brama
D'obbedire al itgoor, tosto ripone
Sopra gli omer di molti il doppio incarco,
Che '1 portar tosto al comandato varco.
XLVti
Il chiaro Lanciiollo sa *1 deslriem,
Che gli presenta appresso, riniooiato,
Più che fosse ancor mai gravoso e fero,
A ricercar l' Iberno torna irato;
E seco si dolca dentro al pensiero
Delle palme, onde allor giva onorato,
Diecnilo : Or fia però qnesla mia mano
10 ogni altro erotici, che 'n Segoraoo f
XLVttI
E eh' uccìsi aggia ornai colasti ansici,
E si gran cavalicr di sommo onore,
C.h' io bramava vedere alti e felici,
E che cari mi fur quanto il mio core ì
E questa sol per tutte le pendici,
Ov'or m'avvolga il mio fallace errore,
Non possa ritrovare io alcun loco,
Tal prende s mici desir Fortuna io gioco f
XLIX
E 'n tate immaginare il cammìn prende,
Ove fuggia ciasruo, verso le mura.
Or già Ciodiii «la Buslarino intende
DrII EbriJo reltor U iiiorte dura,
11 qual gli dice: Or sovra noi disientle,
Se 1 riel non ha di ciò piti larga cura,
Fortuna in tutto l‘ ultìnia ruina,
Clic minacciosa ornai ratta s' iuchioa.
L
Morto è il gran Brunadasso, e morto ancora
Ch'a gli stessi occhi miei do fede a pena.
Quel, che dd vecchio Atlante e dell' aurora
(.tascnoa riva del suo nome ha piena,
L'altero Palamede, che 'n brev'ora
Vid' io, lasso, disteso su T arena
Dal crudo Lancilutio, in guisa tale,
Ch è dal fero leone aspro cinghiale.
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l’ AVARCHIDE
u
Nc pria Bmaoro e DioAtlaao
Coa molli altri famoti ca?alieri,
(>hr raniru al mui poter cortero in easu,
Rapnar di «aagiie f;li aridi sentieri t
Tal rlie sol resta Ì1 noUil Septiraao,
r.h' ornai non so quel che SÌ fareia o speri,
E eoi tumino sip;aor, dal qnale aspetta
SaluU il vivo, e dii mori vendetta^
LVUI
A voi dieder te stelle oro e terreno,
E 'n dorali capei cannto senno,
£ gran forM c valor, ma cerio meno,
Ch‘a Cancilolto e Segoran non denno.
Or ciascun con la grazia, ond* egli è pieno,
Segua il rammin che gii ns'jstrò col cenno
Il ciclo al suo venir; non quel ch’altrui
Apeflisiimo è dato, e chioso a lui.
Ul
Nè vi convien tardar rhe lo spieCalo
Della fngace turba tanti atterra,
Che n* è rolna la valle io ogni lato
Si, che '1 volto è oasrofO della terra t
£ cfii pnole scampare, inda eh* entrato
Non sia nel cerrhiu, ciie la villa serra,
Seruro non si tiene, onde là entro
Pianto è maggior, che nel Tartareo ccatro.
IIZ
Pria eh* ora esporvi alla dubbiosa impresa
(Se vi cal del fidalo mìo consiglio)
Dovreste presso aver salda difesa
Di Segarano in si mortai periglio,
Che sia posseulc scudo all' aspra ufTesa,
Che far vi po«ia del re Bano il figlio;
Che *1 valor di «lue tali aggìtinlo insieme
Può *1 furore aCrcnar che tutti preme.
un
Aneollaodulo attento il giuvioetio,
r.h* olirà il poter nmano ode novelle,
Timor, duolo e pietà gli iogopsbra il petto,
E li lagna oel ror dell' aspre stelle |
Pur per non dare a* suoi certo sospetto,
Che le vaglie d'ardire aggia ruballc,
Con voce alla rispoade: Non si poole
Contrario andare alle celesti rote.
f.z
Gli rìspontir Clodin : Grazie vi rendo
Dei buon saggi ricor«li r dell' amore,
Ch* esser di ine per lunga prova intendo
Ora, e molti anni pria nel vostro core,
E tolto iu grailo dolcemente premln
Il vostro ragionar; quantunque fuore
Del dritto «la, poi che 'n si larga sorte
Laiidlolto di me stima più forte.
LIV
A cui poi ehe citi piace, a noi ronvieiie
Del lor volere a so (Te rena* armane,
E nel presente aver 1’ alme ripiene
D'alto e chiaro desio di vendiearse,
E rivestire il sen dì certa spene,
Ch' oggi non sien le nostre forze scarse
Più che fosacro ier, nè ehe d' uu solo
Meo vaglia un tanto e si onoralo stuolo.
tsi
. E vi prometto qui, che lutto Solo
Lni, dovunque iu '1 ritrovi, assalir voglio,
In mezzo ancor del suo Crancetro stuolo;
£ qual nave, che carra orrido scoglio
Trove, dall' aqiiiloo sospìnta a volo.
Tulio il fan't loruare; c pur mi doglio.
Che '1 cugin suo Boitrle c Lionello
Non sema seco, e lutto il loro ostello.
I.V
Or nsoviam lieti adunque a ritrovare
<juel, cui più che virtù, fortoaa aita
E così dello, snbilo ehiatuare
Fa eh' a lui vegna, dal famoso Ortrila,
Agrogern rrudrl , quel che dai mare ^
Di Iterliona ha la genie intorno nnita: |
Al «|iul giunto gli dice: Or di voi da.
Mentre io sarò lostao, la vece snia.
SUI
Or prendete pur qui la cura inUra
Di teuer salda e stretta qnesta gente.
Cosi parlando, irato e ’n vista altera
Bivujge e sprona il suo corsier posscnie;
Ma Terrigaiio il granile, e lunga schiera
De’ maggiori e miglior, che all' alma sente
Del suo gir coalro a tal leiuenza grave,
Pur mal grado di lui seguito l'ave.
I.VI
Ch a me forza è di gire ove gran danno
Il crudo Lanciotto ai nostri face.
Con securo sperar, che il breve alTaoao
Tosto rivolgercfno in lunga pace.
L* altro, eh' è de' primier, che mollo saouo
Per prova e per etade, allor non tace,
£ gli dice : Siguor, lodo ogni impresa.
Pur eh' al pubblico bea venga in difesa.
tZHI
Vaauo ultra ratti, e Buslarin gli scorge
Lungo il cammiu d' Avarco, ove 1* Oroiie
Su la man destra il lento corso porge
Di destiicr morti colmo e di persone ;
Né molto vao, che già virin si scorge,
Che del lor ivi andare era cagione
11 chiaro Lanrilotto, io mezzo ciiIraU»
Del popolo infelice e sconsolato.
LVIt
Ha come al mio gran re sommo e sovrano
Vi dirò ancor, ch'egeal 1' esperienza
Non avete al gran figlio del re Bano,
Né di forza alla sua pare ecceUciisa ;
(•he quel che nulla cosa adopra in vano,
Giiikio coinparle alla mortai semenza
Le virtù rare, e mai per nulla etatc
Furo in un petto sol lutto adunate.
tXiV
Quando il mira Cl«>dia, che proprio appare
L* accorto mictilor, che '1 verde fieno
Fa nell' aprii disteso riversare
Con la falce mortai de' prati io seno;
Q«icl vedea morto, e quel ferito andare
Dal brando micidial sovra ’l terreno,
Nè i miser contrastare a morte acerba
Più che faccia al V'Ilaa la spiga o t'crha :
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l’ avarchide
— ^
Si f* Dfl volto pallido e «rmarrìlo,
r.ir olirà opot crciirr *uo 1« |m)vr vrde}
£ pià drntrn al pnt»icr r^^la pentito
Drl vrndirarr il morto Palamrdo;
Ma l’onorr e '1 dovere il rende ardilo
Sì, rite por verso lai mnnve anco it piede,
Ma in si raneiata forma, rh' appario
Più freddo ia parte il caldo tao desio.
I.XVf
Qoale it pSoviae alan, rhe '1 rabido orso
Srorpe da^li alti colli entro alla valle,
r.hr’n ver Itti quanto può si sprona al corso
Per più dritto, spedilo e breve ralle j
Cl«e poi rhe vede oprar I' artiplio e '1 morso
Or nel rapo, or nel pelln, or nelle spalle
Depli altri inoi compagni, volentieri
Prenderebbe al tornar nuovi sentieri;
l-XVti
Ma lo stormo de* molti, e Palle grida,
£ *I voler giiivinii gli porge ardire
Tal, che più d’altro semptire s' alftda
Senxa riguardo aleno quello assalire;
Il qual lunge Irovandol d* ogni guida,
finde possa a Imon porto rìnscire,
Con le gravi unghie nella tempia il fere,
£ latrando lontano il fa cadere.
f.xvrii
Tale al miser C.lmiino allora avvenne,
Poi eh’ al cerio periglio era eondoUo;
Ma pur dritto il cammin correndo tenne,
Ove i molli abbatteva LanrtloHot
E d’Avarrn vlein tanto pervenne,
C.h* alla porla e la torre era già sotto
Ove con molli il rnUero Clodaiso
Tulio seernea, rhe si faceva in basso.
ixix
E eoo amere lagrime piange»
Con quanti ivi ha ron Ini, per la pietade
Di quei rh* a morte gir, lassi, vedrà
Di sangue empiendo I’ arenose strade ;
£ qn»«i a se medesmn duo credea,
Cdi*iiua soia apparta Ira tante spade
Vollarsc io larghi giri, e Patire tulle
Di forza e di valor morte e dislrutte.
Ha insino a qnesto punto di lontano
Non area ogni parte ronosciula,
Se non la fuga e 'I eonlrailare in vano
Della tnrba macftior, eh’ era perduta ;
Or più vicino if figlio del re Bano
All’ insegna famosa, che veduta
Più volte altrove area, disceme, e Irema
Per P aulica memoria, e nuova tema.
I.Xf(
Or tosto, eh* apparir vede non luage
Il pino anralo, e persa le bandiera,
Ch'aveva il snn (iglinnl, che ratto giunge
Siitlo alle mura ornai con larga schiera.
Tale acerbo dolor Palma gli punge
immaginando il ver, si come gli era,
Che ia barba svegliendoii dal mento
(juasi mnor di dolore c di spavento.
LXXII
Or ri tuo) avventar <lalP alte mora
Per difender laggiù P amato figlio;
Or ratto andar per via larga e sicura
Sena arme a Ini salvar col sno periglio;
Or da molli impedito a* snoi si fura,
E vuol render di se ’l ferro vermiglio j
Ha poi che «|ne«lo e quel tPalirni gli è tolto,
Chiama il fìgliuul con lacrimoso volto.
Lxxin
E spiogeodosi avanti, quanto lice
A chi ben ritenalo e alrrlto sia.
Gridava : Or dove vai, nato infelice ?
Quale spietata stella, otmè, l’ invia
Verso quei mictdial, che la felice
Già bella e oomero«a prole mia
Ha si bassa csMiJotla, che lo solo
CuQ qnatlro altri minor mi sei figlinolo f
«
i.axtv
E con qnri pochi ancor rendevi qneta
Questa eannla e lirbite Treehiezza ; '
E tatto il regno mio. che ‘n te s* acqueta,
Pur allendeva od di pace e dolcezza.
Or non tentar, cite morte acerba mieta
L* ultima nostra speme e la ricchezza;
Non Tuler porre in rìschio il nostro bene,
Che sol di tutti in vita ne mantiene.
txt»
Ma perchè ha fra! la voce e pnr s' avvede.
Ch'udire il snn parlar non può Clodino ;
Che tal grido e rumor I’ orecchie fieJe,
Che ’n van Pascolleria, dii gli é vicino:
Questo e quel chiama intorno, io cui pìii fede
Aggia per lunga prova: e basso e 'ochino
Umile il prega, non cun regie note,
Ch'ogni spirto orgoglioso il doulu scuote,
Lxavi
E dire: Or gite insieme, amici rari,
lì dove il mìo figliuol cu' suoi »' aduna,
E gli narrate i miei dolori amari,
A cui liinii non vide sole o Inoa;
E se ì paterni preghi ebbe mai cari,
Che non tenti oggi P invida fortuna
Contea il figlio di Ban, ma dentro regna
A salvar la città con qnella insegna,
i.xxvu
Van tntli qnelli, ed è di loro il duce
Il suo primo srudier, detto Araillaao;
Che con gli altri volando si cutidiice.
Ove Imve Clodin, ma giunse in vano.
Che già corso era alla dorata luce
Dell' arme illustri, che spicodea lontano,
L'ardito Lanciloilo, eh' avea i|>eme
Di trorar Segnrau con questi iusiemr.
LXXVIU
E conosciuto alfiu, eh* egli era solo
Il grande erede drl famoso Avarco,
Qual aquila affamata mosse il volo
D'ira in un punlo, e d’allegrrrza rarco ;
Che *1 figiianl riveder gli apporta duolo
Di chi *1 padre gli arca di vita tearco ;
Passi lieto al trovarlo in pace, dove
Possa di trarlo a fio porsi alle prove.
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l’ AVARO II IDE
LXXIX
E come fiìanpe a lai, leax' alleo dire
In mezzo a qtunti area dona alla letta
Di colpo lai, che allnr polca finire
La vita in totln, eh' a pattar pii restai
Ha Biutarino il prande, eh' al ferire
Di lui ben paarda, e che la apada ha prc<ta,
Con quella il pran furor, che 'n basto scende,
Haffircuaodo, Clodin sìcaro rende*
I.XXXTI
Ha pure il giovin re, eh' altro non vede,
Fuor che '1 fngpire a quel periglio scampo,
E più ln*to che ’ndietro accorre il piede,
Vuol fine aver sni declinalo rampo,
Si fa innanzi «pronando e nulla tede,
E fa qnal lume che più ardente lampo
Mostra che non solca, quando piìi scemo
Ila il nntrinenlo suo piunlo all* estremo ;
LSXX
Non però tanto fa, ch'ei non m amia
Delia pcrcotia li, die ne rimane
Stordito alquanto, ma oon piacque spenta
La vieto repia, o le toc forse vane ;
Ch* ardito più che mai, ver Ini s' avventa,
Come contro al rinphtal ferito cane,
Che ne* compapni «uni ponendo speme
Il erodo olTeodilor di nuovo preme. i
LlXXVit
Così fere egli; e molli rolpi in vano
Su lo scudo, so r omer, sci la fronte
Dona al figlio onorato del re llano.
Ma nuoce meno assai, ch'ai Pelio monte
Non fao l'arme temprale da Yuirano,
Quando ha Giove al ferir 1* ire men pronte;
Che pii pno ben crollar gli arbori e i sassi,
Ha il suo rigido dorso immoto stasai.
txsat
E con qnanto ha vipor presso al cimiero
Non aspettata allor pii pon la spada)
Buttano, Terripaoo e *1 furie Nero
Fan seco a priiova chi piò innaoaì vada ;
Quel nell' omero destro tin colpo fero
Gli diè da lato, mentre ad altro bada,
11 secondo ari collo, e ’l Ner perduto
D' una poeta nel petto l'ha ferule.
I.XXXVIII
Roape alquanto lo scudo, alquanto scorta
Della men dura maglia e del cimiero;
Gravagli il rapo e Icnlameote sforza
Il braccio in basso, che più piva altero;
Ma Lanrìiutlo alfin, con quella forza
Ch’avea più intensa e più spietato e fero
Che fosse forse ancor, verso esso sprona,
E 'n cotale aspro dir seco ragiona ;
LXXXII
Lnnpo altro sluol di cavalieri è mouo,
Che dei uo piuvìo re la ptiardia avea,
E con opnt poter ra lutto addosso
Al prude Laneilutio, e tal farea
Ch' opni altro ne saria di lena scosso,
E preda fallo ornai di morte rea;
Ma quella anima invitta la virtude
Fa in ptó doppi tnappìor, che dentro chiude.
t.XXXIX
Non pnò, spietato re. da me seampartc,
Se noo l'alto Kaltnr, che tulio puotc:
Chiama iovan pare il Itellicuto Marte,
Ch'bai tanto in pregili r le sue quinte rote:
Che ti cuovien volare in quella parte,
Ore adirai le diilomse note
Di più d' un tuo fratri, cui la mia spada
Suspinse acerbo alla Tartarea strada.
f.XXSHI
E quale avvien, se ad esptipnar le mora
Al nemico caslei, di orribil polve
Di nitro c solfo un' ampia fossa oscura
Ben chiusa intorno il tappiu duce involve,
Poi di io preda a Ynlcan, eh' ultra tnUara
Sforzando opni ritegno, apre e dissolve
11 monte altero e ’n paventoso tuono
GeUa i sassi lonUn che io esso sono: »
se
Così parlando ancor vibra una punta
Con latto il snii valor cunlra lo sritdo.
La qual con quel furor per esw spunta,
Come un'altra farta, chi fosse nudo:
Squarcia anco 1* arme e tra le roste gìunla
Corre in mezzo del core, e *1 colpo crudo
Ivi non retta, ma dati' altro lato
Per io apiooso dorso ha trapassalo.
LVXXIV
Tale il fere puerricr, ch'oppresso e stretto
Da tanti e lai nemici si ritrova,
D'ire infiammando 1' animoso petto,
Con r istesso furor par che si innova ;
Gira il forte corsiero e ’n se ristretto
Spiega le braccia alla incredibii proova,
£ del sinistro l'empio Terripaoo
Con ao roTcrso sul distese al piano. '
XCI
Fupgfsi r alma afllilla e disdegnosa
Di partir Indi alla ilapione acerba;
Cade il pran butto e duramente posa
Riversato tra’ suoi sovra arida erba :
Né lungo tempu al vecchio padre atrusa
Del fipìiuol l'aspra fin, lassa, li serba:
Ch'ei con rocchio medenno seerse il tutto,
Nunziu non mentitor del proprio lutto.
LxaxT
Col collo di Nifunle Bustarino
Insieme col cavai posto ha per terra;
lodi il Nero Perduto, che vicino
Pjù r impedisce ancor, con molli atterra; '
Poi con più rabbia al misero Clodino,
Che soletto riman, si muove a puerra;
Nè mai restò con lupo a tal fiapello i
Da cani a da paslor lassalo agnello.
xeti
Ha in quello {stesso punto che't destriero
Lasciò, morendo, il misero figliuolo,
£(«o i sensi tmarrili, sa '1 sentiern.
No '1 toileocndo alcun, cadde di duolo :
Ha il chiaro vincitore ardilo e fero
Coiitra quei, rh' ivi sono, addrixza il volo :
E '1 primter fu il superilo Bustarino,
Che risorto il cavallo è il più vicino.
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AVARCHIDE
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1
I l'avarchide
CTIf
Morto è *1 bann Dln«d*n, morto i Branoro
PaUtncdr il |;ran dnce, ( Buctarìno ;
Ma qitrl, rb’ afipiraTa più, morto c fra loro
Il vostro rarp « miimi ('.lodino;
E t gran leorrro vostro il ino tesoro
Vide roudollo airnltimo ronfino,
Clir sopra all'alta torre scer«r il tnttOy
Cliiamanilu arnipre voi con pianto e ludo.
otte
Ma T infiammato Iberna alfin condotto
Alle spi>nde vìcin della riviera, *
t'.ome scorge da liinge Lanrilollo, *
Gli dire iu voce minacciosa e fera ;
Pria die '1 giorno, ch*or luce, asconda tolto
L* oiraso il volto c si converta in sera,
Tremante il petto, e lagrìmoso il viso
Ti peutìrai d‘aver Cludiuo ucciso.
crin
Gridando: Ov'or si trova ogni mia speme
Il gran genero mi»? perché non viene
A u>rrorrer qirri resto dri mio seme,
r.lie la fortiiiia anror vivo ritiene?
E *n questa scorge ehi l' assalta e preme.
Poi ette gli ha tratto il «angne di pici vene.
Ferirlo in meixo il enr eoo Tempia spada,
£ rìvenar seni' alma sa la strada.
cxv
Né ti varri Pavere arme locantatn
Vano c folle gnerrìer della nutrice;
Né mille più di lei sagaci fate
Ti porriaiio srampar 1* ora infelice,
E triste oggi per te saranno siate
L’alt* vittorie, onde ti fai felice;
die i tuoi chiari trofei, le ricche spoglie
Spiegherai di PUton ndT aire toglie.
CIX
AI mi erodo radrr radde reti anrnra
Snpre le nostre tirarria afflitto e smorto;
E '1 re Vagorre mi comanda allora,
f'.lT io vi rrcrassi per cammiii più eorto,
E narrassi il gran danno ove dimora
La misera ritlà, tenia confurlo.
Sema sostegno ornai d* alcun de* inni,
Senza speranza aver le non io voi ;
csvi
AlT aspro minacciar tubilo volto
Il gran figlio di Ban, tosto rhe sceme
Ch* egli è pur Segurao, che 'atomo accollo
Più d' uno avea delle toc schiere Ibeme;
r.at cor beu lieto, e eoo allegro volto
Bende alle grazie alle virtù superne; '
Tra gli arcìou ti eonferma, e sovra il petto
Lo tendo addrìaza, e meglio il brando ha stretto ;
ex
Che i mido Lanrilollo in tale orgoglio,
In lai rabbia e fiimre oggi è salilo,
<^he di romper dì SrilU il duro scoglio
Col brando, eh'ei soslieo sarebbe ardilo;
Firn di sparrnlu in somma e di cordoglio
TuUo il campo in Avarco è rifuggito;
Sul questa parte di lìmor ai sgombra.
Che del vostro valor combatte alT ombra.
ezvn
Indi come leon, cht dal diginno
Lungamente gii oppresso, ha il dì cercato
Per boschi e valli, ué d* armento alcuno,
Né di Cerva, o di damma orma ha trovato;
Che <juando ha meno speme all* aer brano
Se gli mostra un gran taoro al verde prato,
€h* a luì s* avventa, qual saelU soglia,
Sbramando ingordo T affamata voglia;
CXI
Mentre il feroce Iberno le parole
Del tristo mcsiaggier tacendo ascolta,
Pton fu di ti grand* ira al caldo sole
Offesa dal villao mai serpe avvolta, I
l^om' egli allora, ed or nel cor si dnolt
Del ino Clodino, or della giurìa lulia,
Che mal può rìcovrar, poi che lui vivo
Sia d’un tanto figliiMtl Clodasso privo.
crrtn
Così verso il rorrenle Segorano
Il bramoso guerrìer muove il destriero.
L'uno e l'altro di lor Tarerba mano
Alza alT iitesso paolo ardilo e fero;
Ma T onoralo figlio del re Banu
A ferir T avversario fu il primiero;
E T oscuro dragon, che in oro siede,
Sovra U possente scodo altero fiede.
ceti
Hé sa con qnal conforti possa omat
Baffrcnare il dolor della consorte.
Né con la vecchia Albina scasar mai
La lontananza tua da quella morte;
Vergogna il punge, c gli raccresce guai
Puugenle invidia in piu gravosa sorte;
Che 1 giuvin Laocilotlo ornalo vede
Di Unte illuttri e si fasnote prede.
cz«
£ quantonqise d’acrìar la sesta scorta,
E GnUsima e grossa il riciogcsie.
Del sacro brando all* inGuìU forza
Non come conlra gli altri integro resse;
Che *1 parte fino al mezzo, e tanto sforzi,
(die la sinistra spalla aucora oppresse
E fé* iu basso piegarse il grande Iberno,
Qual T abete Aquilone al maggior verno.
cxm
E da' tristi pensier distratto il core,
Ove il pensa trovar ratio s'invia,
£ 'n un momento uscio di vista fuore
Del buon Trislan, rhe pretao il brameria |
rnrlus perdendo, sfoga il suo fnrore
Sovr' altra gente, e spinge ^ morte ria
Tanti t^uel di, che si porrìan contare.
Non piu che Tonde dell' Icario mare.
czx
Ma non senza vendetta, eh* esso irato,
Con la spada, eh’ ei tolse a Galcalto,
Tosto percosse Ini nel proprio lato
Culai, eh* ebbe acerbisaìmo 1* assalto.
L' argeutalo suo scudo, fabbricato
D'immortal Icnipra di porfireo smalto.
Pur con lutto >1 valor zi duro peso
Col suo nnovo signor fu molto offeso.
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^ L’ AVA.RCHIDE
CIXI
Qai dell'uao r drU'<ltro io ^oìm accrejcc,
Lo <pi«Ulo drtio di v«ttdirar>«,
The con manco forar s'awulgc c mesce
La fìjnima in Manfcibcl, qaaato più arse i
Ma pni die ’Ì ferir primo in ran riesce.
Per tosto vindlore a' suoi aaotlrarse,
L'un e l'altro di lor lassa da parte
Del marxial lavor la norma e 1' arie,
curili
Tale avvien di cuilor : or quello appare
Qnasi esser vincitore, e poi si vede
Quello con tal valor sopra tornare,
Clic di lui sol la palma esser sì crede;
Ma I* orgoglioso Iberno, ch'aver pare
Si sdegna al raoudo, e che si tiene erede
Di quanta gloria mai gli antichi suoi
Ebbero al inondo e tutti gli altri eroi;
casti
E scasa aver fi|tnardo ai suo vanUf;gio
Come Tira amministra, i colpì vanno
Più spessi assai, ch'ai tempestoso ma(c|tio
Graiidiuc, eh* alle spiphe apporli danno;
Né cosi ratto in |(iru il solar rapirlo
Muove specchio, eli* è mosso, come fanno
Le spade lor, che semlirano al sereno
Notturno estivo eie), lampo e baleno.
CXJIIZ
E ch'ornai trarre a fio vuol questa gnerra
E ch'ha vergogoa in se, che lauto dura;
Irato ad ambe man la spada serra
Per isforzar se stesso e la natura :
Drizzala in fronte, ma vaneggia ed erra.
Che '1 saggio LaDcìlollo, ch'ha pur cura
Di quanto avveuir punte, alxa lo scudo,
Che non vegoa su l' cimo il colpo crudo.
Caini
Il popol, eh' a vedere è inlomo accollo
DalTnaa e 1* altra parte, e stasti in pace.
Col cor tremante c con dubbioso volto
Or spera, or teme quel ebe piti pii spiace,
10 se parlando: Or n'è concesso, o tolto
11 fin bramalo e la tranquilla pace;
Perchè in man di costoro è posto solo
11 ben perpetuo, o '1 noslru eterno duolo.
CUI
E bene ad uopo fo, che in colai guiia
Rovinò in basso l'orrida tempesta,
C.h'ognt pietra durissima divisa.
Non pur di Lancilulto avria la lesta;
Ma r incantala guardia non incisa,
Nè pur segnata di quel colpo resta;
Fu ben Culai, che in un la mano c '1 braccio
Nè sentir lungamente amaro iiupacciu.
CXXIV
E levando le eiplia in preghi c *n voti
Ciascun quel che desia, domanda al cielo;
Questi con umil cor cliiaman devoti
Chi del ver prima ascoso squarciò il velo,
Quelli i fallaci Dei più bassi e noli,
Giove, Marte e '1 pastor riic nacque io Dclo,
t.he al suo donin vittoria, per mercede
Deir avola di lor credenza e lede.
CXXXi
Or non fu visto mai selvatico orso
Sovra l'Alpi aweotarse eoo laul'ira
Verso il fero mastio che l'avea morso,
E di lui paveiilaudu il piè rilira;
Che ruggendo e gemenibs il lardo corso
Muove infiammato, e latto rabbia spira.
In fin che rilumaio a nuova guerra
Con r artìglio mortai lo stese a terra;
CXXT
In questo tempo ì nobili guerrieri
Sono offesi fra lor dì danno eguale;
Van di pari al ferirsi ardili c feri,
E di pari han parlilo il bene e '1 male;
Son raduti per terra ambe t cimieri
E r incantalo ferro a pena vale
Degli elmi a mantener salva la testa
Dalia forza crudel, che gli molesta.
cixtu
Come in quel punto fece LanriloUo,
Spingendo il *uo deslrier nel percussore,
£ di punta il ferio, che scorse sotto
Lo snido al petto, che si mostra fnore;
Trapauu il brando addentro, ma cundollo
Non l'è lant' altra, che trovasse il core :
Che nella quarta costa in basso il prese,
Nè drillo gio, ma in alto si dislcie.
cvtvi
E senza piaga aver rimao sovente
L* uno e l'altro di lor quasi stordito;
Ma il core invitto, e I' animo possente
Mantiene al corpo il suo vigor si unito.
Che qual gravato più talor si sente.
Per vergogua eh' ci u' ha, più torna ardilo,
E tal la mano sprona al rendicarsc
Che non gli tornan mai le forze scarse.
rxvxiii
S'empson l’arme di sangne.enon ne cale
All'animoso Iberno, che già il sente,
E con più arihsrc il gran nemico asule ;
Ma inlanlo Ìl negro Eluu. che mcn posseuU
Fu di Nifonte, a contrastar non vale
Al farioso urlar, che alteramente
D'improvviso gli vico del destro lato
Sì che sopra ìl sinistro è riversato.
cxant
Qual nell' ampio Ocean, quando 1* offende
Il nevoso Aquilon con greve assalto,
Ch’ove più 1 onda spinta in basso scende,
Più in minaccioso luun risurge iu allo,
E ‘1 turbato suo corso ionanai stende.
Variando il camniio di salto in salto,
Si ch'ora eccelso monte, ora umil valle
Si lassa indietro alle spumose spalle ;
CXXXIV
E sopra il sno signor tutto si trova,
11 qual più presto assai, che leve augello
Da lui si scioglie, ed a novella prova
Si rappresenta minaccioso e fello ;
Ma il nobil Lancilotlo, a coi non giova
Vantaggio alcnoo aver, veloce e snello
Salta giù del destriero, e 'a larghi passi
Onde viea 1* avversario, innanzi tassi.
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4i3
J
L AVARO H IDE
CXXkV
Sìerndo t Or noo prnixte alierò dnre,
Che Tamor rii* ho porUto al chiaro amico,
£ 'I driio di vrodrlta, che m' indare
A chiamar Segnraoo a«pru nemico,
Mi faccia oggi oacorar la para luce
Di Tirili Ycra, e del calore antico;
O ricercar di toì bramala morte
Per allre, che d'onor lodale acorte*
CXtSTI
Riipoode Segttran : Frulla mi coro
Di (|aal per daouo mio prendiate ilrada;
Che del mondo e di voi vivo accoro.
Mentrr io man aonteoer potrib la apatia :
Or si dia tuie all* opra, anzi che oacnro
Laaaando il ouslro mondo altrove vada
li *ol cadente, clic m'avanzi aorora
D' opugnare il voalr* oate larga 1' ora.
cssxvit
K*n rotai ragionare on colpo dona,
Che gli venne a trovar la destra spalla,
E qorlla in guisa, e tutto l'altro intuona|
Che in basso rovinar di poco falla ;
Pnr reggendo alla c'nirgra la persona
Con nn ginocchio sol piegaado avvalla
Il dritto piè, ma tosto ne risorge,
£ '1 brando alla veodelta altero porge.
CTTXVm
E sopra il destro braccio per traveno,
E'I polca ben finir, ma torla viene '
La spada, e sovra 1* omero discende,
E 'mpiaga ai, che a pena più sostiene
La scudo ornai, che da qoel lato pende ;
Perch* avea i nervi incili, e I’ allre vene.
Onde il braccio sinistro il vigor prende :
Spinge nna punta poi, che dritta gìnnge.
Ove piò il collo al petto vi congìaoge.
CXMfl
Ha non venne lant'alla, che ritrovo
Il cavo in nti mortale il colpo fora. *
Or dalie prime piaghe, e qoeste nuove ^
Tai srogninose stille uscivan fnora,
Ch* a pena Ì1 piede, a pena Ì1 braccio muove
1/ afflino Iberno, e pnr si vede aocora
Lo spirto Invitto ardilo dimostrarle,
E^qaanlo oppresso è più, più altero farse.
extiv
E qual veggiam la ylocitrlce palma,
Che ’n famoso edificio pusta in opra
Quanto sente aggravar maggior la salma,
Più d'io alto montar te forze adopra,
Colai di Segnran la nobil alma
Io quantunque fortuna, a tutte sopra
Mai sempre si mantieo, nè prende cura
Delia vita mortai, die poco dura.
Ma il bnoo figlio di Bau, che vede ornai
Che più se ifpcrlo aveva, irato il fere;
Taglia oltre tanto, che di sangue asperso
Quant'ivi ha fino aeclar fece cadere.
Non si sgomenta il fero, e cangia verso,
Poi che sente fra se, che sosteuere . . /
Può il grave brando aneor. che nervo od osso
Impiagato oou era, o d'indi scosso.
cxxxix
Ma qual crudo leoo, che 1 cacciatore
O di strale, o di dardo aggta ferito ;
Che scernendo Ìl vermiglio atro colore
Vie più, clic non solca, diviene ardito;
Drizza r irsuto vello, e mostra fimre
L'artiglio c *1 dente e con la coda il Klo
Battendo intorno a se, di salto io salto
S' addrizza irato al micsdiale assalto ;
CXL
Tale il gran Segnran ratto s* arvrala
Verso n nrmiro suo pìrn di dispetto,
E con mille percosse in giro lenta,
£ la fronte c le braccia e *1 ventre e *1 petto,
Tal che *1 pupol Britanno si spaventa,
Che di vederlo urciso avea sospetto ;
Ma l'accorto giierrier senza paura
Di dilendersi sol prendeva cara.
czu
£ col divino scudo or allo, or basso.
Ogni colpo, che vien, Irnca lontano;
Né cangiando <#ma, o ritirando il passo
Solo in guardia ponea 1* arme c la mauo }
Piò clic *1 feroce Iberoo frale t lasso
Ornai eoùoKe II faticar sno vano ;
AMor più verso luì morendo il piede '
Con quanfó avea potere in fronte ìl Sede.
Giacer nelle sue man di Ini la morte,
Spoglia r ira rrodri degli altrui guai,
£ pietoso dìrien della sua sorte,
£ dice: Allo mio re, se foste mai
Per teinpo alcun da più cortesi scorta
Guidato a far mercede a giusti preghi,
Qoel, ch'io domanderà, ‘aoa mi si nieghi.
CXI.TI
Piacciavi oggi trovar 1* albergo mio
Del quale, e poi di me ri fo signore i
Ivi al re Galeallo ornile e pio
Domandar sol la pare, e fargli onore ;
£ vi prometto qui, se lon degn' in
D' esser da voi creduto, che ’n brevi ore
Vi renderò in Avareo ; c non vogliale,
Cb* io spenga ai gran lume a qoesta ctate.
CXLVtt
Che potete veder, eh’ ornai m' è dato
Sovra voi questo di certa vittoria,
La qnal non mia virtù, ma vostro fato
Stimerò sempre, e di noi par la gloria;
Ma lassar senza onore io tale stalo
Non potrei fuor di biasmo la memoria
D' un re sì grande, e si leale amico,
Ch'ogni esempio avanzò moderno e antico*
CSLVtlI
Risponde il cavalier tallo sdegnato,
E più che altrove mai, con alto core:
Tu dunque ardisti, folle e Kellerato,
Di Seguran tentar rinvitlo onore?
Usa la sorte tua, ch'ai duro stato
Vugl' io più presto d* ìniemal dolore
Per mille morti, e mille esser condotto,
Che questa vita aver da LaociluUu.
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Coiì parltado, cui vigor clic resU,
Chf pur poco era ornai, (orna a iiattaglia,
E qniocì e quindi qiianUi può moietta
Pel franco cavaliern or piatirà or maglia;
Drtxxagli al fìne il brando <ii la letta
Tal, rhe la vista quasi gli abbarbaglia;
Onde il nglio di Dan nu>tso a giotl' ira
Per dar fine aJia guerra uu colpo lira;
CI.
E drillanenle il colse ore la gola
A, li «piriti e ’l cilto ba doppia strada ;
L' una e T altra squarciando, inoaoai vola
Tinta d'alro culur I* agata spada.
Cui sangue mista rapida s’invola
L'alma, rat vero onur, non altro aggrada;
Cadde il gran busto, e l'arenosa valle
Empiou d'alto romor rannate spalle.
cu
Il cbiaro vincitor tosto V accoglie,
Ponto il cor di dulcìtsima pietate ;
E con sembiante iitnau dell' elmo scioglie
Le luci già dì tenebre adombrale:
Lo scado e’I chiaro hraodo indi gli toglie.
Aprendogli le man, che ancor serrale
Cosi morto tenea. come anco schivo
Di sì onorate spoglie ivi esser privo. ^
Tolto i| popolo Iberno, e T altro insieme.
Che quivi era vìrio, fogge in Avarco,
Qnat gregge, a coi leou col morto preme
Il pio pastore, e*l can di morie è al varco;
Ma il Brilaonicn sluol di certa speme,
E dì estrema dolceua il petto carro.
Corre a veder, né che sia crede ancora
Dallo spietato cur 1' anima fuora ;
cult
Né i' ardisce appressar, ma di lontano
Il fero volto suo. rhe Marte spira.
Il forte petto, e la possente mano,
Ch'eì teme anror, con maraviglia mira;
Ma dopo alquanto il (iglio del re Baao
Dal sovrastante vulgo tntlieiro il tira,
E riroperlo poi d' aurati fregi
Il fa seco portar fra gli altri regi.
rtiv
E condotta all'albergo il fa purgare
D'ngni marchia, rh' avea di sangue, n polve.
Con tepide acque, c dentro dispogliare
Dì che più tosto in putrido si solve ;
Poi sotto a Galealtn il fa locare,
Ma pria di tela serica P ìnvolve j
Fa il medetmo degli altri, e di Clodino,
Ch'ai forte ^egurau fu il più vicino.
ARGOMENTO
(^gni Britartno esaiia il t^incttorr,
Cht itmprf. mesto, r nìfin Jnl sonno prfsoi
£ (lo/ra/Zo presso al albore
(ili appnr, r dire eh' é dal del disceso.
Desto, alla salma o/ioi doluta onore
Con regia pompa, e molto pianto è resof
(ìmtndi ne' giochi funerali ai prodi
Porgonsi i doni e U mertate lodi.
Glorio il gran Segnrano, e rifuggito
Tutto l'oste avversario dentro Avarro,
Lassa il Britanna stuul già d' Boro il lilo,
E *n verso t padigliun di gioia carco
Volge il piè vincitore, e del gradilo
LancìloUo lodar nessuno é parco,
Dicendo - Ei tanto più d' ogni altro vale,
Clic non si dee stimar cosa mortale.
Il
E ben sì può bìasmar l'aspro consiglio
Drllo sdegncMo Arturo e di Oavetto,
Che n'avra lutti posti a gran periglio,
E la parte miglior di morte in senu.
10 lai parole il popolar bisbiglio
Correa d'intorno di lìrenaa pieno;
Gli altri duci maggior tacili vauno,
E rinvidia dì lui celando vanno,
Iti
Onde luti! soo colmi, fuor che solo
11 generoso cor del pio Tristano,
Che non teme poter di pa^ il volo
Stender un di, che poco avea lontano;
Or poi che le sacr'arme e'n parte il duolo
S'ha dispoglialo il £glio del re Bau»,
Con fresche onde alle mani, al collo, al volto,
L’altrui sangue c *1 sudor s'aveva tolto.
AVARO II IDE
Risponde LsnciloUo : 11 sommo impero ,
Cli’io vupljo s|tf;iate in me qnento avni vita.
Non di spogliarmi so) lo sdegno fero,
Che m* ave* contro » qoel I* «Ima feriU|
Ma fona ha tal, che nnllu amico iotero,
Ond’opni vof(lìa sua resti compita,
Troverà più di me : rosi vi ftioro
Qual {;nerrìer seuxa biasmo e serro puro.
XIX
Tanto poi più di' ogni ditrrelo core
Quella offesa in <ibblio lassar dovrìa,
Che non premendo addentro Ìl rcro onore
Fiamma ardente d'amor ragion ne sia,
Come io Ini fa t che mosso dal dolore
D’ esser di cosa privo, eh’ ei desia.
Volse più tosto irato Ì1 guardo avere
Al proprio danno suo eh* al mìo dovere.
XX
Cosi dello Tabbracia c lui Gaveno ;
Poi fiir sempre fra lor fidati e cari.
Or già il divo germano, ornato il seno,
Qual ne' più festi giorni ai sacri altari.
Il sanliisimo libro, ch'é ripieno
De* precetti divini e detti chiari,
Porge al figlio di Ban, ch'umile e piano
Rivoltandosi al esci, vi pou la mano,
xxt
Dicendo; Sommo Dio giuro e prometto,
Se la graxia di lui mi regna scorta.
Di mai non traviar di quanto ha dello
Il Briiaunico re, con voglia torta.
Qni r onn e 1' altro arnese all'opra eletto
Agraven nel suo dir correndo porla:
Ch'ai re Lago gli sproni in guardia ha dato.
Come al chiaro Tristano il brando aurato.
II qual baciato io atto riverente
Dentro alla regia man tosto il ripone;
Arturo in vista placida e rìdente
Del nubil Lancilnlto al fianco ìl pone;
Dirgli nel modo islesso uroiicmenle
L' Orcado invitto 1' uno e 1* altro sprone;
Kd eì pur di sua maii non sdegna ancora
Di cingergliene i piè, ch'ei tanto onora.
XXIII
Fui ch*c ginnio al su» fio l'onore altero,
Che suggello maggior ouo ebbe nnqoancoi
Non alcun re, non duce o cavaltero
Di lodar sue virtù si vide ilanrui
Ma il buon re Lago, a cui dona l' impero
Sovra tutti il color canuto e bianco,
t'.omiocìò in chiara voce; Oggi mi legno
Miglior, ch'io non solca, dì questo segno,
xstv
Fui eh' un si chiaro dure mi rìiruovo
r.ompagou aggiuolu per cavalleria,
Avvegiia io di molli anni, ed cuu nnuvo,
E ch'io d' Utero, ed ei d' Arloro sìa,
£ quantunque a luì pare io non m'approvo,
Pur venni anch'io per la mcdeuua via,
Il di, che '1 gran Saducco c Caioclolto
Di Paudraguii T esercito avea rotto.
Ch* io dace sol da quattro miei aegaito,
Sibilas, Sinadusso ed Arfaiaro,
E Randon persian, sovra quel Ilio
Fui contro al vincitor scudo e riparo,
Infin che 'I popol nostro sbigottito
Co' cavalieri a guerra ritoruaro,
P«>i rh' udir, che Sadoeco per mia mano
Premea sena' alma l' arenoso piano.
XXVI
Perchè nel luogo istcsso e tufo armalo
Sovra il destriero ancor da Pandragone
Hi fu il proprio soo brando posto a lato,
E di lui cinto i piè 1' aurato sprooc ;
E' 1 duedcciinu lustro è già passato
In questa, ove noi aiam, calda stagione;
Ma piacesse oggi al riel, eh' io fusti ancora
Di forza e di valor, qnal era allora.
XXVII
Coti dicendo, per dolcezza il volto
Bagna di larghe lagrime e 1* abbraccia ;
Ma già di servi stuolo insieme accolto
Della cena apprestar ratto procaccia;
Chi del gran padiglione ha iolomo tolto
Ciò che 1 fa imporu, o che lo spazio impaccia;
Chi adorna in giro la rotonda mensa
Di delicati lio, chi fior dispensa.
xxvni
Quel del frutto di Cerere l' ingombra.
Quel dì Bacco ìl liquor pone in disparte
In argentali vasi e ne disgombra
11 calur, che dà il ciel con onda ed arte ;
Quel luca i ricchi seggi, ove fanno ombra
l3i seta, d' ostro e d' or cortine iparle ;
E già la lunga pompa i pasti spande,
Ch' apporla in lei le splendide vivande.
XXIX
Già tebicra dì donzelli in urne aurate
Alt' alle regie mani umil presenta
Le chiare acque freschissime odorate.
Tal che r aer vicìo se ne risenta ;
L'imperiali inseguc il dì spogliale
Arturo a quanti suno egual diventa,
E questo e quel per snu compagno chiama
Re, dace c cavalicr di maggior fama.
XXX
Ha il chiaro Laucilotlo e '1 buon Tristano
Sovra qnanli altri sono onora e cole,
L'uno e 1’ altro di lor lira con mano,
E r invita in dolcissime parole;
Indi il vecchio re Lago in atto umano,
Qnal suo padre onorato, come suole.
Poscia appella Cavea, Fiorio e Boorte,
Che pure infermi ancor vennero a corte.
XXXI
Assiso al fine ngo'oom Ira l'esca e '1 vino
Al passalo sudur reslanro dona,
Mentre ch'or altamente, or col vicino
Delle fatiche sue basso ragiona;
Poi latti insieme con C»vor divio»
Dan delia intera palma la corona
Al gran figliuol di Daoo, a cui pur piace
Il lodar tulli gli altri c di se tace.
l’ a V a r g n I d e
»xn ,
XXV IX
Or poi eh« della »ete e del diglnnn
Dop' etto il re dell’ Orcadi e Trillano
Il naturai delio rimane vpento,
Con U tchìera famou ch'ivi autede.
Scarra la menu al fin, ledea ctaieuno
Securo il fan, eh* al giorno prottimano
Con le membra pin ultle e *1 cor runtenlo ;
Seco taran nella ucrata tede.
Solo il pio Lancilottu orrido c brano
Coti fermo in fra talli, a mano a mano
Tiene il pernierò al raro amico inlcnio;
Ogn'uom verto l’albergo volge il piede
E per altro compir, che in mente avra,
Col congedo del re, detideroio
Già drinaloii in piè, coii dìcea i
D'aver nel tonno ornai qualche ripoto.
xxmi
xt
Invittiiikno re, pni che conceiio
Ma II famoio Trìstan pria che rilrove,
M'ha il eiel dì vendicar chi tanto amai,
Benché atui travagliato, il padiglione,
Vorrei dar One a quel che viene appreim,
Verta gli ultimi fotti il patto muove.
Ch*è di preptio mapt^ior, che l'altro aiuì,
R r aule tue guardie intoroo pone ;
Di porger preghi al eiel, che voglia in ciio
Che ancor che intenda che l'andate prove
Spiegar la ina bontà, le '1 voUe mai
D' ctier tenia timor gli dian cagione,
In altro pio gnerricro, le ine colpe
E ben eh’ ei tta goerrìer d* invitto ardire,
Nel ungue del figliuol pietoM iculpe.
Delta guerra al dover non vuol fallire.
uzrr
XLI
B qoantonqne lauti oicntc raglia
Già rimbrunito il cielo e U campagna.
Pompoao onor, ma le preghiere umili,
Si ritrova ciateun nel tonno avvolto,
Per moitrar pur quanto di lui mi caglia.
Ditcarco il cor, come chi atui gutdagna.
E che i iDoi. che qni ton, non tenga viii|
E *1 loipetto e *1 dolor del tcno ha tolto.
Come il iole co* raggi al mondo taglia.
Solo il bnon Lancilotto ancor ti lagna
Vorrei eh' a voi ro* nobili e gentili
Dì doglioti pcoiier 1’ animo avvolto.
Yoitrì doei maggiori in negro manto
B ditpiace a te tUtto d' etter vivo.
Piacene cuce preiente al noiUu pianto :
Poi che d* amico tal ti tenie privo.
xaxv
xut
B dar r eitremo don, che qui ii dare
Pur* stanco alla fin verso 1* aurora.
A rmi altero cor, come il vedette;
Come no leve dormir gli oecl>i gii ingombra;
E far poi comandar, che pronto e leve
Più che mai folte, lieto icorgc albica
Tutto anco il noitro eiercilo l'appreile
Di Galealto tuo la placid' ombra
D’ euer ai unto offirio, e non gli greve
Non men lucente e vaga che 1* aurora,
Mover le voci pie devote e mette
Quando al eie! piò teren la nulle tgombra,
A Dio per quel goerrìer, eh* a morte è cono.
E gli dice; Fratti, perchè piangete
Scado a* perigli aooi fido aoccorao.
Del dìvio, ch’era io me, le torli Itele?
xxxri
XLlIt
A 11 gtotli detir r allo Britanno
Io mi trovo or lauìi tra le più chiare
Ritpondet Per (ratei, padre e Rglioolo,
Anime che ‘I Fatlor teco raccoglia.
Che gli folte cagion d’ eterno affanno,
Di quei, che d'opre tol lodttc e rare
Non piante alcun già mai con tanto duolo,
Nella vita murtale ornan la voglia.
Come al pubblico noilro ctlreno danno
E eh' alla tua bontà talda fermare
Di qocl che di bontà (n al mondo lolo,
Otar la tpeme lor; ch’a qncUa toglia
Ho fatto il primo giorno e ’l (arò umprc.
Di ulire il rammin gli mottreria
Mentre fia integra in me 1* unuiu tempre*
Per aperta e ticura e dritta via.
zxxrii
XLIV
E di fargli ogni onor qvaai immortale
Non vi dolete piò della mia pare.
Non cenerò giammai per ogni torte,
E che d' aspra prigion tia funre ornai.
Perchè l' amor di noi fa del tuo male
Se '1 beo di chi v' onora non vi tpiare.
C^gioQ, come dìcetle, e di tua morte :
O non piangete i mìei, ma i vostri guai;
Ma quando ciò non fotte, or ton io tale.
L’amor eh' ho vitto in voi, Irnppt mi piace,
Che della corlcria cbingga le porte
Nè vendicato pur mi tengo astai,
A Lancilotto mio, dorè eooviene
Ma troppo ancor; perchè qiiattìi non spira
Il dover, la ptelà, 1* onore c '1 bene ?
Il rabbioto furor di sdegno e d’ ira.
IXXVtlI
XLV
Coti detto, l’araldo Amato appella,
Le gloriole imprese e gli altri onori,
E gli ragiona; Voi con gli altri tntieme
Che ’n memoria di noi dì far bramate.
Gite dell* Ulte in qnetta parte e ’n quella
A tebivn non avrò, pur che tien fuori
Comandando a eiatcìin, che m' ama o teme :
Degli altri danni e d'empia crndeltate;
Tutto che il tol diman cacrìa ogni tlella.
Ma perchè il tot montando { tuoi colorì
Venga in gnita di qoel, cui doglia preme.
Rende al mondo quaggiù, lieto restate.
Sena’ arme al tempio, a far con umil Core
Sema turbar inai più co' pianti vutlri
A Galealto il re dovuto onore.
La pace eterna mia negli alti chiotlri.
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Meotrt parlava aocor, di Baco il G§Uo
t/' avide braeria a prenderlo atendea t
LafEnaù al Gn con lap-ìmofo ciplio.
Ch'aria vana e non Ini arco atriogea:
Poi molto più eh* al candido e vennlgiio
Ciel rivolgere il voi, iaaao, il vedrà.
Dicendo: E perchè m*è ai predio tolto
Il quetar gli occhi miei col vostro volto?
XLvn
Ma nel dir questo c porger prieght a] cielo,
Che ’l latsaue restare alquanto seco,
L' umido sonno già 1* osroro velo
Gli scioglie e fogge al ano nascoso speco ;
Ond' ei fuggendo con ardente telo
Gli occhi volge d' intorno e riman ciecO|
Che non T alluma più l’andata luce,
E r aurora anco acerba poco luce.
XLTin
Poi donando al gran sogno fede intera.
Dell' amico beato assai s'allegra;
Por segnrndo il costume, la ina arhiera
Tutta fece coprir di vesta negra,
E mostrarse a cìasenn come a chi pera
Caro padre, o ligliuol, dogliosa ed egra,
Non mcn di quella, ch'ai principio venne
Con Galealto e acco ai mantenne.
Or si slava tra lor penvoso e molo.
Fin che con gli altri Arturo ivi arrivassi,
Nè fu lungo 1* attender, che venato
£ chi il lassa lootan non molli passi;
Drinaat allora in piè, poi che veduto
L' ha presso al padiglìon ; nè 'orontra fassi,
Ma la fronte tnchinanilo alle sue soglie
Tacito e in atto semplice 1' accoglie.
X.
Fecel tosto asseder sn *1 manco lato,
Ch'ebbe il dì Laocilotio il primo onore;
Indi ogoi cavaliero, e ‘1 più pregialo
Vien primo sempre a dimostrar dolore :
Pc3scia si ripnnea, dove localo
Era il seggio per tutti ivi di fuore,
In doppio ordine posto, ove rlii siede
Di quel che incontra sia, la fronte vede;
LI
Assegnata in tra' duo! sì larga strada,
Che possa il varco dar che largo sia
A famoso drappri che io guisa vada,
Che i pedestri guerrieri «isan per via.
Come ripiena fu l'ampia contrada
Delia reale e nubil compagnia,
£ di' assisa fo alquanto, in alto dire
Comanda il regio araldo indi partire.
Lll
Drìiaansi Inni allora e '1 meno tiene
Del primier rigo il Gglio del re Bino,
Seco in sa '1 destro lato Arturo viene.
Il buon re Lago alla sinistra mano;
Preme indi appresso le dogliose arene
Sotto avendo Gaven, sopra Tristano,
Re Roribao, che Galcallo solo
Amù come fraiel, come Ggliuolo:
Che d' Xodromeda uscito a lisi MrclU
Il segolo fedelmente in ogni aorte ;
Poscia il giovio Candor, nato anrh'ci d'ella,
Vien tra *1 buon Ualigante e 'I pso Boorle;
I qoai mal fermi ove pietà gli appella,
Volscr pure onorar ai chiara morte ;
Poi seguir tolti quei die seco furo
In meuo a* cavalier del grande Arturo*
u«
Cosi tacili van con lento passo
Dentro al sacrato Tempio, ivi coostrnlU)
Non di pietra porfirea o Pano sauo
Dall' Egeo nè dall' Issteo condutto:
Ma in mariial lavoro iorulto e basso
Di più d' Oli ediCdo eh' han desirutto:
Pure in tal ampio spazio si stendea,
Che gran parte dell' oste ricevea.
LV
Cinto era tolto quel sopra e d* iolorno,
Chioso il lume solar, di drappo oscuro:
Ma lanle faci ha in sen, che fanno scoroo
Al di, ch'aggia I' aprii più vago e puro:
Poi lutto è in giro nieslameole adoroo,
Per mostrar del suo re I' dfcllo duro,
Di scudi, ove il leoo vermiglio asssede
Tra perse stelle in argentata sede.
LVt
Giaolo il famoso sluol, ss come ionanti,
Trova i seggi ordinali, ove ti posa
Ascoltando devoto ì preghi santi
Delta sacerdolai turba pietosa ;
Alle lor note amili, a' tristi canti,
Ch'hanno in voce or pieniuima, or' ascosa,
Chi con tacile labbra, e chi col core
ya invocando dal cìel l'alto favore»
LTII
Poi eh* al sacralo uffìcio il Gn a' impone,
Tatti al modo primier ritorno Canno
Del mesto Laocilotto al padiglione,
Ove poi che rassisi alquanto stanno.
Grida l'Araldo alior: Regie corone.
Duci aiti e cavalier, del preso aSàuoo
Vi rende grazie Laocilotto e i suul,
£ '1 partire, e '1 restar sia posto in voi*
Lvm
Drinaati il primo Arturo, e aalotati
Tutti quei che restara, iodi sì parte;
Colai di grado in grado i più pregiati
II segnon tutti alla medeama parte;
Ma Laocilotto, e gli altri sconsolali
Preuo al re morto asseggooo in disparte
L'un all' altro lonian, bagnando il volto
Coo r estremo dulor, eb' è io essi accollo*
tu
E così notte e di nel nono giorno
Questo angoscioso pianto ai distese ;
Come il decimo sol fece ritorno.
Fu imposto il Gne al lamentar palese ;
E ‘I buon Gglio di Ban per fare adorno
Come r uso rhiedea del suo paese,
Il gran funebre onor, snbilo chiama
Tarquiro Araldo suo di maggior fama :
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^ AVARGHIDK
tx
E |li diec t Or ▼« intorno • tulio Tolte»
E 'a mio nome dir»i, ehe chi dciix
Glori* e pilmc «cqoì«l*r» cb« 6ro prò poi lo
A* giuochi miliur» qui tosto sio;
Mo primiere ol groo re vendono esposte
Le mie ombosdoto» e<l egli lu cortesi»
Voglio di suo prescot» odduroe ooore.
Per clT ogni ilUo ol Tcnir dispongo il core*
LZV1I
Poi per gli altri guem'er, ehe tanti foto,
Che ’l nnmeru contar poteano a pena'»
Sena' ombra ricercare alT acr puro
Avean per seggio l'inGammsta arena»
Che di gregge e d’armento orrido e duro
Fu tutta iotorno rìrramente piena;
Ha tal ridotto al luogo foco e grave,
Ch’ al popol marzia! venia soave.
UH
Non riUrdo Torqoiro, e *1 commin prende
E come ol sommo Arturo il tutto ho detto»
Per cuugcdo di quello il posso stende»
Ove ilo duce o corolier più eletto.
Or poi che ’J compo le novelle intende»
Ogni migliur gucrrier •* ioGommo il petto
Di tosto olTolte prove riirovorse»
E m OS Ir or cbe non h» le Corie scene.
tzvni
Poi di ria preciosl erano sparti
Con mìsora maggior vasi infìoiiì,
Air intorno de' quali allegri farsi
S' udian dei grau remore i vidn liti ;
Nè di lodar fra loro erano scarsi
Di LanciloUo poi gli alti e graditi
Alti cortesi, e più TinviUa mano,
Ch’area taoli altri aecisì» e Scgnrano.
LZ'I
E 1 ciel, ehe fovorir T imprei» Toole»
Po» che quei, che 'mpiogati crono ovonti»
li buon oerbtu con erbe e con parole
Con sacri impiastri e con divini incanti
SoDoli ha sì, che ciò» che o|grovo c duole,
Ero fermo e risoldo in tutti quanti,
Sì ehe possoo venire io tutte prove»
Come focesser mai più forti altrove.
LUX
Ua in altro grave snon tra i duci c i regi
Si sentian fuor venir le sagge note
Di senno adorne e di bei detti egregi»
D’invidia in latto, «d'altrui biasmi vote;
E sovra tntti qnel eh' ha mille pregi
Tra le propinque genti e le remote,
Dico il gran re deH'Orcadi, ogni core
Riempie» di dolccua e di valore.
inni
Or gii primo il gran re ii rapprcienla
Con vestì aurate ai destinato loco;
Ogni altra gente a lui seguire intenta
Stampa Torme reali a poco a poco;
Ciascun d’ esser più ornato s' argomenta
Che '1 piacerò tal nom nou prende in giuoco;
li nobil Lancilolto Arturo accoglie»
Nè d* ooorarlo assai saaia le voglie.
LXZ
Poi ehe (T esca e di vin qneto è il desio
Guardando va T esercito Britanno
I pregi del cerlar, che luogo il rio
Sovra verdi troncon sospesi stanno,
Tutti di gran valor» che '1 gnerrter pio
D' amico sì fedel dopn il gran danno
Vorria quante ha ricchexae, oro e terreno
Del gran feretro suo versare in seno.
LXIV
Fa il medesmo da poi secondo il merlo
A quanti erau con lui regi e signori,
Solt' ampio padiglion» ch’era coperto
Dentro d'oro, e di seta e d'oslrn fuori;
Ov’era il ciel con le sue stelle inserto
iUia la luna e col sole in tai lavori»
Ch'ogui uum dicco con nuova maraviglia»
Che nou più Ìl vero al vero s' assimiglia.
LXXI
Già di sonore trombe ciato iotorno
L’onoralo Tarqnlr si mostra fuori
Di ricco argento e di vermiglio adorno»
Che del Gglio di Ban sono ì colori ;
Ma da poi che tre volle d' ogn* intorno
Pe* risonare il ciel d'alti romuri,
Grida : il gran LaociJotlo, per memoria
Del buco re GaleaJto» « per sna giuria»
uv
Questo fu del re Archindo, che tcoea
Co dolorosa guardia io suo potere»
Il qual già Laiicilollo a morie rea
Sospinse e vinse 1' aoimose schiere ;
E quante altre riechme ivi entro aveo,
Ai compagni c gli amici donò intere;
E sol volle di questo essere adorno
11 qual mai non spiegò 6no a quel giorno.
Lxxn
Oggi intende propor T ottava prova
Ai duci illustri e chiari cavalieri;
Il priniier sìa di chi più ratto mnova
Il corso steso ai nobili destrieri;
L'altro di chi più saldo sì rilrnova
Nella liitia, e più integro e più leggieri;
Il terzo poi nell' impiombalo cesto
Chi col pugno al nemico è più molesto.
LXVI
Sotto dri quale allor fece locare
L'aurata mensa» ove soletto assise
Il gran Britanno e di vivande rare
Fu più volle cercata io varie guise;
Poi sotto ombre frondose all' aure chiare
Non mollo a lui lontana dì fuor mise
Ulta rotonda tavola, dov'era
Degli altri ravalier Tornata schiera.
uuctit
lodi chi armala io bellicose giostre
Meglio addrizzi la lancia, c 't brando stringa;
Il quinto, chi più pronto il piè dimoslre»
Ch'ai corso velocissimo s' accinga ;
Poi chi Ga quel, che fra le forze vostre
Grave e ferreo baston più innanzi spinga;
Il sclliuio sarà, chi '1 segno tocchi
Più vieta con lo slral» die d’ arco scoochi.
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l’ AVAaCHIDB
L'nuriit
E jtercli* io TCftKÌo voi, povia novellu,
Co’ più Mpsi t fni{;Uur mellervi io prova ;
Vi dirò, che lo sprunr, e clie'l flagello
Adnprar eoo funir nìeote giova,
£ ’l paiaar nel prioripio quello e qoello
Alfio gloria danooia ai ritrova;
Che a meezo il rurio poi ai frale c itaoco
£ 'I miiero cavai, eh* ei uc vico manco.
xcv
Mosser tutti in un punto oone insìenu
Fosser legati, o fosse un coq>o solo;
Ogn'uom distende U freno, c '1 fianco preme
Al veloce cavai, che fogge a volo ;
Surge U polve in allo, il terreo freme,
E 'atomo applaude il risguardante sloulot
Van multi passi in no cungionli al paro.
In fin che voUe il franco re Ciotaro;
LXXXIX
Non con la forza aola a terra aieodo
L* arUur, ma più eoa l'arte, l’arcbileUo;
Nè tprsMi travialo il eammiu preode
Il difcreto nuechirr, ma dritto e atrello;
PIÙ aeciiro il auo gir mai aempre rende
Quel, che d'ogni periglio aggia aoipetto;
Tardo aia il eoniineiar di clii deaia
Poter lalvo compir la lunga via.
XCvi
Il coi Tracio corsJer dal vento sembra
Ch'a tutti ^li altri innanzi sìa portato;
Non par eh* adopre le correnti membra.
Ma qoal Aquila in del si nostre alato;
Il valoroso Eretto, a coi rimembra
Del paterno ammonire, il manco lato
Si va intero servando, c con le grida
Più, ch'oprando lo sprone, il cavai guida.
xc
Il primiero «pronar aia dolce e piano,
Che Doo farcia al deitrier timore, o adegno;
Sia il cono dritto e miri di lootaao
A eoi debbe arrivar 1' eletto aegoo;
Spingali aempre alla ainiatra mano,
CoQ ragion vera e debito ritegno
Di non urtar la mela, o gir «i Innge
Ch* entri fra quella e voi dii dietro pooge.
xeni
Il nobil Persevallo, che sì vede
Vie più che di destrier, fornito d’ arte,
Taolo col beo sollecita, e col piede,
Che '1 primo vien dalla sinistra parte ;
Poi meolre alquanto di prestezza cede.
Al più stretto cammla la via comparle.
Lieto, che questo e quel vagando giva
Perdendo tempo auai per altra riva.
XCI
Ma poi ch* caia varcando a lato manco
Per tornar qoÌ fra noi acle rivolto,
Allor potete all'imo l'altro fianco
Porre in opra lo apron, di tema aciuJio,
Che'! corrente cavai divegoa stanco,
(ibe *1 senlier, ch'ei de* far, non è poi molto,
E ’n breve spazio al Irapasaarvi poi
Non basterebbe Achille, e i destrier suoi.
xc«m
Ma il giovinetto Franco, in cui la speme
Già di certa vittoria si nutria,
Hitruova un fosso io fra le trite arene
Sepolto si, che fuor non app«ria;
Ponvi il Tracio ambe i piedi e gb convicoe
Batter la fronte su 1* sscosa via;
Pur sema danno alcun del suo signore
Di periglio e d' aSanno il trasse fuore.
zeli
Cosi detto, a* assise; e gU io brev'ora
1 cinque cavalìcr sono in arcione ;
E Lancilotlo di ciascuno allora
Dentro un elmo serrato Ì numi pone;
Poi gli trac ben misebiando, e *1 priiuier fuora
Venne il giovine Eletto, cb* a ragione
S* empie di gioia, ch'ai sinistro lato.
Che vico più in ver la meta, fu lucalo.
xcix
Ha il bnoa Neslor di Gare, die lui segue
Quanto fu indietro pria d' avanti acquisU;
Né lo sproD, nè la sferza ban paci, o tregue.
Che runa c l'altra vien dijgiunU e mista;
Ha il risurto cursier par si dilegae
Qoal nebbia al veuto, e subito racquisla
Il perduto vantaggio pria che vegna,
Ove indietro tornar la meta insegna.
xcm
Il Kcondo è Caveo poi Prrierallo,
Nestore il qnarlo, e 1' ultimo (Uolaro,
Ciré di ciò lieto, perché il suo cavallo
Tien fovra qnaiilì fur nel mondo chiaro,
Dicendo fra suo cor: Se maggior fallo
Non fa eh' ci soglia, é mio quel pregio caro ;
£ se ciò avvieu, di appeuderlu divulo
Al lempio Parigin fo cerio volo.
c
Né più il mosse, il valor che la vergogna,
Che scotia lamentarsi il giovinetto,
E che spargendo lagrime il rampogna,
Direodogli : Or sei la quel Tracio, detto
Al mondo senza par, cb' ogni uomo agogna,
E eh' oggi pur ^ me sei alato eletto
Tra mille, ch'io n'avea, come il migliore.
Per farmi Ìu culai luco un Ul disaorc l
XCIV
Lì secondo la sorte in breve riga
Il proprio LanciluUo gli diipuse,
Dicendo: Or sia cìasciioo ottimo auriga,
Siccome ottimo é sempre in maggiur cose;
Poi questo e quel del popolo gailiga,
Che 'n mezzo al lor viaggio s'interpose;
Indi Col terzo luuo, ch'ai elei rimbomba,
t^h' ornai sproni chi vuol grida U tromba.
CI
Passa olirà adunque, e onllo ornai contende
Mentre a lui ben vicino era Gaveno,
A cui venendo al pari il corso stende
Eretto, ch'ha fermato entro al suo seno
D'altro di uun veder, che quel ebe splende,
O del pregio secuiitio oroarse almeno ,
E perché c già vidu mollo alla mela,
11 sollecito andar non gli si vici*.
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cn
C««ì qoAiito p«À più ipiofcr il detlriero,
Nè mcn f«cea Gaven dairaltra parte,
Qaaodo han trovato, che alrin^ea *1 teoliero
l'n alto tatfo, che i confili diiparte
Tra doc victn, per dltroprìre il vero
Ai nouerior, che vivono io disparte;
Dall' altra era il |raii vallo, ond* era poco
Ai caper toUì due 1* annotto loco.
OR
Qaaodo il vede Gaven, eoa atpro ciglio
Grida: 11 voatro eorsier fermale alqiiaulo,
Nc vogliale oggi pome a tal periglio
Ch*a chi Dc porta amor ne regna pianto;
Allor piò «prona dal re Lago il figlio,
E di lui don ndìr ai finge in tanto,
E quel «eguita anror: Vot folle sete,
Nè di voi, nè d* alimi cura tenete.
civ
Non M eonvien si poro riverire
Chi di regno • d’età vi aia maggiore;
Ma il giovine rpreuando ogni tuo dire
Al corrente deatrier eretee il furore;
Onde Gaven, tememio ivi perire,
Prepoo la vita a) gaadagnato onore,
B *i lassa avanti gir, nè il potè poi
Racquìstar più con gli argomenti aaoi.
cv
Ma in qneslo roatrailar, già Persevalle,
Che lor dietro era ancora, ionanaì è gito
E già del meno per più aceorto ralle
Il corso primo a tutti avea compito;
Ma nel voltar so l'arenosa valle
Venne al girar la meta il piè fallilo
Al «no destriero, e l’ano c l' altro in eua
Ebbe la maaca spalla inaieme oppressa.
evi
Sarge tosto il mesehia, benché si seaU
Della percossa asprissima impedito;
Ma il sito cavai, che a muover «'argomenta,
Vie più, che non è loi, trova impedito;
E dopo tango aver la forza intenta,
A pena il pnè driiaar sopra quel lilo ;
Onde accasando il del doglioso e lasso
Il tira per lo freno a lento passo.
cm
Or già di Ctodoveo Tallero figlio
Primo a qnanti altri sono al segno arriva;
E 'I popoi Intto lieto l'aureo giglio
Va ÌDoalsando alle strile in voce viva.
B Laneilotio a loi con lieto ngllo
Dice: Caro signor, noo vegns schiva
Questa corona ornai di qnesla chioma.
Che d'altre aaaai maggiori attende soma.
cvni
Coti di propria man d' essa gli doge
La nubil fronte ; e '1 giovinetto adorno
D'onorato rossore il viso pinge,
E ’n fra' snoi lotto lieto fa ritorno ;
Nè il bonn vecchio Sieatnbro ancor •' infinge
D'appellar felicissimo quel giorno,
li) coi quel ch'ei nodritee e ‘I suo destriero
Di così chiaro pregio ir vede altero.
cn
Vien dopo il Franco re l'Orcado Eretto
Che si trova Gaven, che sprona a lato,
E correa ti vìdn, rh' avea col petto
Quasi T ardon dì dietro trapassalo,
E ae'l spazio del corso, ivi perfetto,
Si fosse pochi passi proinngato,
Era forse il secondo, ma in qnelT ora
Con grave ira e dolor terzo dimora,
ex
Po il quarto alT arrivar Nestur di Cave,
Che'l tirar d' un buon arco indietro viene,
Per ch'aveva rivai possente c grave.
Coi più del corso il guerreggiar cunvicne ;
E ‘I suo signor, eh' altissimo cor ave,
Di così basso onor aura non tiene,
Ha per far cosa grata a Lanciloito
Fu con poca speranza a dò cundoUo.
cxi
L* ultimo è Persevai, che frale e stanco
Biasmandu il suo deslio coutrario troppo,
r.oodure, il aie' che può traendo il fianco,
Per la brìglia il destrier debile e zoppo,
Come bifolco il bue, che venne manco
Arando al mezzo dì, che '1 fero intoppo
D'agnio legno entro alla siepe ascoso
Al rivolger l'aratro ebbe noioso.
CXII
Del quale a Lancilollo, che lontano
Già lo vede apparir, preode pietade,
E dice sorrìdendo: Or chi sovrano
Vive in quest' arte della nostra elide,
Se la sorte ebbe avversa, fia che 'n vano
Senza premio calcar debba le strade f
E 'n tal dire il destrier di Palamede
Preode, e far ne lo vuol famoso crede,
cxm
Ma T infiammato Eretto che ciò mira.
Tosto al figlio di Ban di mano il toglie;
E cou note tremanti e colme d* ira,
E eh' a gran pena dalle labbra sci«»glie.
Gli dice : Alto signore, ai torlo aspira
Chi corteae ss fa dell' altrui spoglie;
Nou più vostro è il cavai, ma fatto è mio.
Poi di' io fusai il secondo piacque a Dìo.
CXIV
E se di sue virtù vi astringe amore.
Non vi mancia corsieri, oro ed argento
Da dargli anco del mio pregio maggiore,
Ood' ei ai resti lieto, ed io contentu.
Rise del giovìnil semplice ardore
Il nobil Lancilotto a gloria inlento,
Kd abbracciando! dice: lo veggo scorto.
Caro più che figliuol, ch'oprava il torlo,
cxv
Riprendete il cavai vostro a ragìoae,
Ed io d'altro miglior sarò cortese;
Poi Tarq uir manda tosto al padiglione,
Che quel di Segtiran, ch'era ivi, prese,
Il qnal tutto doralo avea Tarciime,
E di prezzo infinito il ricco arnese,
E I presenta dicendo a Persevallc:
Questo lìa più sccuro in ogni calle.
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l’ AYARCIIIDE
C»T|
Or arnlre in altra parie il cbiaro Eretto
Ne mena il pre|t>o tuo di |lorÌa pieno,
D’ alto adeguo infiammalo c di dttpeUo
Air incontro di lui »urge Gaveoo,
E dire : Di Uì prtncipi al cotpetto
Yo' che *1 ver, qual eì aia, si arnia aliamo;
E giudichin da poi se ragion fia
Che 1 cavai più clic aoilro, di voi sia.
ex VII
Non coDfcolilc voi che per inganno
Fitste, non per valor vilturìoso ?
(*.he mentre tu mi leaea ptirtarvi danno,
Ritenni il mio corsier di voi pieluHi :
£ voi iprunaudu mi readeste alTaonu
lo vece del beo fare, oad io dogliuto
Hi trovo il terzo, che il secondo u *1 |>ciiiio
Fulea forse venir, l’ io dritto estimo,
cxnii
Qoandu il re giovinetto il vide irato
£ del padre c d' altrui biasmo leniea.
Gli dice: Per tornar nel primo stalo
Del vostro buono amor, cum‘ io solca.
Non sol qnctiu cavai ch'ho guadagnalo,
Ha quanti mai n'avrò, quanti n'avea.
Che Mcn voitri, signor, contento sono,
E d* ogni mio fallir chieggio perdono.
cxix
E così ragionando, io man gli pone
La briglia del corsier che seco adduce
Non alle s|Hghe all' arida stagione
La pioggia estiva più dniceua induce,
Che fendei giuviarllo il pio sermone
Nel petto irato dell' Orcanso duce:
L’abbraccia c stringe e gli risponde appresso:
A voi dono U cavallo e poi toc stesso.
CUE
£ riconosco or beo, eh’ è tutta in voi
La paterna vitto che non ha pare,
£ prego il ciel che voglia gli anni suoi,
£ l'alta sua forUioa in voi versare:
Vulgest a Laiicilotto e ’l prega poi,
Lbe voglia il Icrxo pregiu a lui donare i
£d ei di Massiminu in alto umanu
La supravvesLa alluc gli reca ìn osano.
CXXI
Ebbe il suo quarto don Neslor dì Cave,
Che di Vittorio fu la regia sella:
Riman l'altera coppa d'oro grave,
£ di gemme e di pietre ricca c bella,
Ch* è il quiuto pregio, che cursor noti ave,
Che più possa sperare ornarsi d'cJla;
Onde il piu LanciloUo in man la prende,
£ con casa al re Lago il braccio stende,
exxii
Dicendogli : Io vi prego lutto umile,
O chiaro re dell' Orcadi famoso.
Che non vi sia da noi prendere a vile
11 basso duo ch* a presentar sono oso :
Perche poscia possiate in Dura o tu Tile
Dentro al bel regno vostro in gran ri|»osu
Bevendo tra i miglior, del valor allo
Ricordarvi talor di Galealto.
cxxiii
Nè si conviene a voi farne riniiln,
r«»i che di guadagnar pregio altramente
Vi cniileoduiio or gli anni e ’l pel canuto,
Che le membra guastando ornati la mente.
Lieto r antico re del n'revnto
Onor fra (anta e si fiorita gente
Risponde: Troppo è ver, figlio oooralu,
Che *1 tempo ogni vigor m’ «ggia spoglialo.
cxxiv
Deh mi trovass’ io tal, quale allnr era,
Che 'I gran re C.alanesio fu sepolto;
Che non fu alnino in quella fe‘>la altera.
Che routro al min p<iler valesse molto;
Feci io del cesio alla batUglia fera
Restar quasi Irunron di vita sciolto:
Vinsi Unibnine alla lotta e 'I leve Aiterò
Nel corso a me la palma concedeo.
cevv
Nell’ avventar del dardo Afìcie ed Ali,
t.h' avaniavann ugtriiom privai d' nuore ;
Sol de’ deslrìeri in prova più pregiali
Fur di me alquanto Aranticn e Faiiurc,
Non dirò piò nell' arte ammaestrati.
Ha perche il mio rorsier nel gran fnrore
Fece al proprio tornar 1* istesso fallo,
Ch’ora il suo far vedeste a Fcrsevallu.
eaxvi
Or di natura all'ordine m’ arrendo,
Pasrendn il cor della passala ginria:
£ 'I vostro amiro don gioioso prendo,
Per la vostra e d’altrui chiara ineniurla:
N« di farmene adorno meno intendo,
Ch'io facessi niiqiia mai d'altra vittoria:
Ch' esser del vostro amor tenuto degno
È d’ intera virtù non dubbio segno.
• CRXTII
Rise il Rglin di Oao : rivolto poi
Verso i duri più forti e cavalieri.
Dire in alto eorlese : Or ehi di voi,
i'.he tanti ee ne son di nomi alteri,
Fia ehe lu(Un«lo gli avversari suoi
Stender ad nno ad im sii 1' erba speri,
Surga per onorar morto ehi solo
Fu vivo il primo onor di questo stuolo.
C!ixvm
E eli avem destinato il primo pregio
Nubi! vaio d’argento e fililo d oro,
In cui scolpio la terra il mastro egregio
Fra ronde accolla con sollii lavoro,
K verso i labbri in allo il ricco (regio
Ha Febo ìn seno e delle Hiivc il coro:
£ grande è si, che ìn esso il vincilotc
Fulrà lavar giaceudo Ìl suo sudore.
CXXIX
Nè il vinto anco sari senza mercede.
Che «r irsuta leone avri la spoglia.
C.oB la testa d' argento e cìa»cun piede,
Qual Ercole e Teseo portar ai aughai
K l'imo e l'altra fa tra le mie prede,
Ch’ arqnisUi già deulro alla regia soglia
DrI t.iiiibrieo Fire» clic voira, lasso.
Soccorso conira noi dare a Ctodasso.
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CXBX
Co«ì p»rl4VB imcur; qaindo H*lchioO(
M^lcltiuo il ^roiJo che litanie appare,
Drt popol di Moravia, a coi viriao
1] porlo di Salute affreoa il mare.
Ivi avanza riavron, tircome il pioo
Suoi gli altri arbori inlorao. aormootarc ;
Getta ogni vesta all* arcousa valle,
£ nu^lra oodc fuor 1' orride spalle*
raaxi
E quaoli io giro aon tanti ne sfida.
Dicendo: Or venga a noi di sì gran gente,
Citi più di tutti al suo valor s* affida,
E che si pensi mero esser possente.
Nessun risponde all* orgogliose grida
Per lungo spazio, rd ei più fieramente
Le voci addoppia e le sue forze pregia,
Come quelle d^ltruì biasina e diipregia.
CXXXII
Non sa più il buon Tristano ornai soffrire
lì superbo parlari ma poi che vede
Che pure allr'uutti non vuole incontra uscire.
Verso lui tutto qiirlo addrizza il piede.
Quando il mira Maicbìo, comincia a dire:
O di Meliadusse inviUo crede,
Usate il vostro ardir sovra il cavallo,
di' a piedi e meco poi farete in fallo.
CXXXIll
Tace il saggio guerriero e spoglia iolan'u
Ciò che *1 copriva e nudo si presenta:
Il gran Ualcliin, poi eh* ba tardalo alquanto.
Tulio pica di furore a Ini s* avventa :
Qual il geloso lauro, eh' aggia a canto
La tua cara giovenca, e guerra lenta
CoDlra il leone e d‘ atterrarlo spere,
Per aver più di lui le membra altere.
rxxxiv
Cingel sotto le braccia e cerca in vano
D' alzarlo e scniel fermo tu Tarma
Più cb* aspra quercia il vento Subsolaoo,
Nata infra dure pietre e d anni piena;
Lo scuote appresso or su la destra mano,
Or su l'altra più volle e 'n giro il mena:
Né ’l ritrova men saldo io ogni sponda.
Ch'alio scoglio maria di Teli ali' onda.
ex XXV
Ma il sagace Tristan eh' é sempre inteso
Di fare un colpo solo e ‘1 tempo aspetta;
Come il vede sforzando esser sospeso,
£ non tener coi piè la terra stretta:
Alzandolo più ancor con tutto il peso
CIT ha di petto e di braccia ivi si getta,
Ove il scote più io aria, e tal s'accampa.
Che delle spalle fa che il bto stampa.
cxxxvt
CXXX«tl
Drizzansi autrambt r *1 misero perdente
Forbendo in allo 1* omero arenoso
Di vergogna ripieno è si dnleote,
Che ’l cortese Triilan ne viro pietoso,
£ dice in alla voce: Assai sovrale
Fa la fortuna T iinm vitlorioso,
Che di tniuor virtù fornito sia,
Come forse oggi a me fallo ba la mia.
CXXXTIII
Però, t* a voi pareste, io non rifiuto
D* esser con voi nella seconda prova.
Rispoode ^nel: Pria ch'ora ho conosciuto
]l roagnanitno cor che *n voi sì trova:
Siami assai d' una volta esser caduto,
Senza cercar da voi percossa nuova t
E basti ciT io vi cedo con io scudo
Con la lancia, col brando, armato e nudo»
rxxxtx
Il cbiaro figlio altor del gran re Baoo
Si fa tosto portare il vaso aurato,
E dice: Or fia condotto al mio Tristano,
Che questo ed ogni pregio ha guadagnalo,
Ove vorrà spiegar T arte e la roano,
E I valor suo, che per vittorie è nato.
Risponde a lui Tristano: £ chi porria
Lancilotto agguagliar di cortesia?
CXL
E beo si prova in voi, che la virtode
Che si conosce in se non aver pare,
DrlTaitrni gloria nulla invidia chiude,
t'erta dì quella e tolte sormontare,
Non coavien più che s' affatirlie o sude
Per arqiiislare amai palme più chiare
La vostra altezza, eh' alt' estrema punta,
Ove arriva il mortai, d'onore è giunta»
CILI
Ride il pio Lanciluilo e diee: Assai
Mi fia premer dì voi Torma vicina.
Col vcHu del leoD poi gii aspri goal
Di Malchiu saoa e l'alta sua ruinat
Indi si volge agli altri e dice: Ornai,
Poi che già il sol dall’alto punto inchina,
Venga quaich' un con T impiombalo cesto
Ad onorar se stesso e ’l giorno sesto.
CXIII
E pregio limiglianle avrà il vittore
All'arme, onde acquistò gradila palma,
Ch* un nubii cesio fia, cìnto dì foore
Con piastre d' oro fio di grave salma.
Di seta ordito d' ostrico colore
Dentro ove della man enopre la palma:
£ se *1 ver di si luoge si conduce,
Fu il più onoralo arnese di Polluce.
CXUII
Con quello allo rumor, ch'argine o ponte
Combattuto dall' onde caggìa in esse:
Parve un colle minor sovra do gran monte
Tristan, quando Milchin col petto oppresse:
Le genti attoroo eoa allegra fronte.
Cut nuova maraviglia t cori impresse,
Alzan le grida al ciel miste di riso,
Di vedere il maggior da lui conquiso*
L'altro no* anfora d’or dì giusta altezza
Di preziosi ungocnli fido albergo.
Per dar conforto alla dogliosa asprezza
Di braccio intorlo o d’ impiagalo tergo*
L’ orgoglioso guerricr ch'ogn' altro sprezza.
Tosto cIT ode il parlar sì mostra a tergo;
Tanlasso è costui della moolagna,
Nato dove il Solveo nel mare stagna.
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L AVARO H IDE
rxUT
QaASteAvea veiti intorno «vvrnU à terra,
E d' impiombali enti amta le mani.
Poi anoiiaodo le brarria, invita a fiorrra
Quanti ha buoo eavalier pretsi e luolanit
E dando colpi al ciclo, or apre, or »erra
Le pofioa io fìro c dice: Come vani
Sarao tutti culor che penaeranoo
Altro rìtrar da me, che morte o danno !
cu
Ha perch* era pur grande, ivi noi coglie,
Che gii venne a radere io mezzo al petto,
£ '1 feri tal che d' ogni carne scioglie
L'osso più io allo in tra le coste astretto;
Ai l'ira il fer Britanno il freo discioglie,
E col folto rader, ch'arbore o tetto
Balte grandine al maggio, • colpi versa
Con Tona e 1' altra man dritta e riversa.
XLV
E piaceoe Og^i al ciet, eh* a ciò venire
Volraar un de* miglior che chiuda Avarcoi
Ch' io '1 poteiii percuotere e ferire
D’ogni clemeoxa e penitenza acarco :
Ch' asaai mi Ga pur dnol veder morire,
Chi per nostra salute è d' arme carco:
E questa man conira Clodasso accinta
Bel pio sangue civile aver dipinta.
cut
L'ammaestrato Fiorio che s'accorge.
Che conviene al furor conceder loco.
Ora il cesto ora il braccio innanzi porge,
E dell* ira immortai tien Innge il foco:
L' altro mentre s' abbassa e mentre insorge,
Va le forze scemando a poro a poro,
£ Col molto ferir già frale e 'ncerlo
Or questo loco, or quel lassa scoperto.
CILVI
£ per ch'ai chiamar primo aleno non viene,
t'he quel ritìen vergogna e quel timore,
Prende il gran pregio anralo, e: Si conviene,
Die' egli, a me questo primiero onore :
£ r altro ancor, poi che oesvun si tiene
Pusieote a cuiilraslar cui mio valore,
Ri>puode Lancillotto: lo vcl consento,
Se nullo or di tnusirarse aggia ardimento.
culi
Ed ci, che qual 1* accorto racciatore,
Che nascoso il Iron tra froudi aipetla,
Che quando gliépiiial dritto, io mezzo licore
Gli scocca iiievilabile saetta;
Come vede al Britanno il capo fuore
Della dovuta guardia, a lui sì getta,
£ nella manca lempia in modo il fere,
Che co* sensi smarriti il feo cadere.
cxtriì
Quando Florio il toscan che vicio era,
Vede tacere ogni uom, pleiade il prende
Della negletta e vilipesa sriiiera,
£ ’n ver l’ invitatore il passo stende,
Alto parlando: Or qursta vita pera,
Ch* a passo a passo nel suo Gtie scende.
Solo in un punto} prima che soffrire
Di tanto e tale stuolo il biasmo udire.
cuv
Va eoo la fronte in basso, si che appare
Combattuto dcllìnu al lito spiato,
Quando è più irato e Icmpeitnso il mare,
Dal feru austro vernai dì nubi cinto.
Come il vede in tal guisa a terra andare
Il cortese losraa da pietà vinto
Ratto il sollieva in alto c 'n seno il porse
Della schiera de* suoi che al caso corse.
CKLVUI
Grida il popol d'intorno e lieto fesse,
Ch' un sì nubil gucrrier si metta in prova ;
E *1 famoso Tristano ivi si trasse,
E ciò che fea mestier, per lui ritrova;
Non volle eh* altra mano il dispogliasse,
Nè che ’n porgergli aita altri si muova;
£i sol gli apporla Ì Cesti, ei sol gli «nge,
E la vittoria aperta gli dipinge.
CLV
E *I portaro all' albergo, dove sembra.
Quantunque viso pur, peggio che inori»;
Nullo appar moto alle indormile membra,
E *1 capo inchino e 'n su la spalla iolortot
Tutto il popol migliur tosto s* assembra
Iniumo al vincilur, picii di ruoforto t
t'.he lemea ch'im gucrrier si chiaro e forte
Non venisse al suo Cn per simil morte.
CLVIX
Or già s'é in guerra posto Taulasio,
R del fato di Florio assai gl' iocrcscc :
Ch* al soo colpo primiero ci saggia in basso,
Si sotto spera, che con lui si mesce:
Drizxaii l'un ver 1* altro a lar^o passo,
E quanto può sul piede alto s accresce:
Poi più vtein con sollevate Lracrìa
Esamina ciascun ciò ch'altri faccia:
et VI
Ha sovr* ogn’ altro lieto era Trìtlano,
Che più caro il tenea, che proprio frate ;
Né reca dì quell» il figlio del re Sano,
Ch* era a Ini simil d' anni e di bonUle,
£ '1 meritato don gli pone in maoo
nicendo: Quesln integro riservale
Per segno eterno dell' avuta gloria,
£ questo altro da poi per mia memoria.
et
E con Gnie percosse va tentando,
Come Irove il nemico acconcio all'opra:
Or ferendo leggiero, ora schivando,
Più l'occhio e l'arte che 'I valore adnpra:
E vanno il giro attorno ; ma poi quando
Vide il Toscano il sno vantaggio sopra.
Che ‘1 nemico scoperta avea la gola,
Di ferirlo aspramente >1 tempo invola.
O.VII
E gli fe* don di tutta 1’ araiadnra,
di' al superbo Cliidino aveva lolla.
Con la spada inraiitaU c la cintura
Di Gnissime gemme e d'oro avvolta;
Poi, che fosse portata, prese cura
A chi la guadagnò con pena multa
L’ anfora preziosa, indi si mnove
Per seguitar 1' incominciate prove,
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CI.SXI1
Surf e L«D«lone il dritro, rhe*n in *1 patto
Clic pili fnirda all* Ibernia arra la ledet
Po»rìa Alib«i di Lofrri e Finatio
Nudrilo in Catanrtia mI di prr«lc ;
Vira dopo il bei Nnriaalin MeliaiMi,
Alla cui gran beltade ofni altro cede;
Pili l’aftfinnfe Mandoro, e Bandefamo
Vaghi di riportar di pino il ranm.
CLnttt
Medeglt Lanrilollo in»ietne egnali,
Poi dii il lepao la tromba; e qnei repente
Qual la rigida corda ì Icti tirali,
Lattan il teggio lor Tclocemente.
Bonrte ra il prtmirro, c l'aveu’ali
D’Aqnila, non porria pire altramente;
Srguelo amai vicin Landone il deitro,
€b« Ira i primi cnrtori era maealro.
a. e* re
Poi Tenia Baadegamo e pretto t qneBo
Il vago Meliatio, rhe viecea
De* gioTÌnetli il nobile drappello,
('.he della pari etl nell' otte area;
Poro lontan Mandoro ed Alibello ;
Ma indietro a tntli gli altri rimanea
Con tuo troppo dolor Fisatto il bianco,
Che rinecr por potea, reoira al fianco,
ante
Già nel mraxo del corto area Landone
BarqiiiiUln Bonrte, e innanii giva;
Cir al cominciare, il fren piò che lo sprone,
In te mcdrtioo aiato, or rifiorirà
Il tcrvaio rigor, ma il cici t'oppone
Alla tperaaia tua gii ferma e vira ;
Ch'ore i dettricr giarean di Lancilotto
La notte a rinfretearte, era condotto*
CLXKVt
E *n fra 1' nmìda paglia e 1 lordo fimo.
Non riguardando beo, col patto trorte.
Tal che tt trova io basto, c 'I volto il primo
Nel bagnalo Icrren radendo porte,
Ogni iiom. che rovinar dal sommo aU'irao
Il quasi vincilor ai pretta trorte,
Grida per la pieli poi tcco ride,
Quando il rito Mciogarae irato il ride.
CI xxm
Non t' arresta Buorte, e con gran ginin
Dì riateun riguardante ha il sommo loco;
Ratto spedilo dall' avola noia
Arrivato è Landon dopo euo poro;
Viro Rrndegaino il terso, e ten' annoia
Tale il franco Mandor, che par di foro;
Che poi eh* esser non può fra’ primi dui.
Ferma tperansa avea di vincer lai.
CLSsriii
Alibel dopo lur venne, e Finatso
Così giiiali fra lor, che mal porria
Alrun ben giudicar, ehi t'abbia il pasto
Potlo più innanzi, o ehi ’i perdente sia:
1/ uUlroo a tutti gli altri è Meliatso,
La cui tenera età la tnnga ria
Mal potè sostenere, e ‘I volto ha pieno
D'amaro lagrìmar, di doglia il seno.*
ctzxts
E la vergogna e Tira in loi rarereire
Lo splendor giovinil, ebe 'I fare adorno;
Volgesi a Lancilotto, e latto meaea
Le note Ira i voipir con greve icornn,
E dice: Io veggio ben, di' al ciel rinrretee
Di chi viste qnaggiù piò Innso giorno,
Se di tolto lo tlaol di me più antico
Solo abbaatando noi ti noitra amico.
CLltX
Ride il pio Lancilotto, e gli riiponde;
Maggior d'etti mercede avrete certa.
Ch'alto detif», ehe'n giovin core abbonde,
Quanto l' altrui viltorie il pregio merta ;
Indi un' aurea ghirlanda, else le fronde
Agguaglia deH'allDr, di gemme intrrla,
Sovra i btoodi capei gli pone, c dice:
A) biioo voitro voler portarla lìce.
ctsxn
I doe famoti cao Boorte prende :
Landon quasi tdegnoso il leve pardo,
Dicendo t Tale onor, signor, vi rende
Più il mio fero detlio. che Tester tardo.
E l'altro a lai ridendo: Se v'ofiende
Il cielo, c del mio ben ha tal rignardo.
Astai mi pregio io più, perchè più vale
Favor divin, ch'ogni virtù mortale.
CLXSXtl
li preiioto dardo ha Bandegamo,
Lancilotlo a Mandoro nna einlura
Dona arricchita di toUÌI fieamo.
Con la spada, eh' è forte olirà mitara ;
£ per mai non aver ginttu richiamo,
D' adeguar bene il pregio assai prnenra
Intra Finasso il bianco, ed Alibelln,
Senza oflender la mente a qnetto, o a qoello
CLxxxin
Ed imo anreo mooile il qnal gli area
Il gran re Clodoveo T ahr' Icr mandato.
Che nnove volte il eolio gli eingea,
Per richietta di lui gl* fu portato;
E due d' esso egnat parti tic faeea.
Poi di par n'ha ciascun rorlese ornato;
Indi prega la schiera, eh* è piii degna,
Ch' a nuova «lira tenzuue ionaoii vegoa.
CLXIXIV
Coti fa in mezzo addnr di grave peto
Grossa sbarra di ferro, e dice poi t
Chi di questa in più spazio avrà disteso
Il corso per tna inan di tnlti voi,
Avrà il famoio brando, che Galeso
Oprò, quantunque indarno, tovra noi.
Quando al fin cadde a terra; «d è rotale
Che no *1 può bene alzar forza mortale.
ei.xzxf
Deli' altro sia il tuo tendo, eh* è »■ grande
Che Ire simili a noi porria covrire
Qual convenne a gigante onde ti spande
1/ aspra fierei/a, che faeea mnrire
I guerrirr vinti, e in orrisie vivande
Sovra la mensa poi gli fra venire;
li terzo avrà di Ini l'elmo e 'I cimiero,
Ov'lia Marte legala e prigiouìero.
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AVARC HIDE
Non eootò ((lì allH don, che Halìgaotc
Era già ratio arrc»fVO e Gargantino,
Pn$ria il re Pelinoro poro inoante,
AH'inroatro Agravco, che gii è vicÌDo;
Piò li’ iin re, duce e cavaliero erraote
Già prr eMer con ior prende il cammino ;
Ma vedendo TriiUn già larto in piede.
Privo d' ogni aperansa indietro ricde.
CLXXXVll
Fa il primo Gargantia,ehe in man li prende
La talda sbarra, e’alorno la rimira;
Le forM e ‘i peso esamina, e comprende,
E tulio iolcnlo alla vittoria aspira.
Alta qnanto sa il braccio, indi lo stende,
E col poter quanto ha spingendo tira
La ferrea salma, che volando freme,
E ben longe da luì l’ arena preme.
CLxxxvm
Dopo il primo avventar, viene Agraveno
A cui il loco secondo in sorte è dalo ;
Che di manco polrr non parve pieno,
Che fere al par di lai l'istesso lato i
Ma ben d’arte maggior che nel terreno
Meglio c conGtta, e io modo piò lodalo ;
Prlinom, ch'c’l teno, inoanii passa,
E i colpi d’ ambe due piò indietro laaia.
CtXXKtX
Viffl Maligaote appresso, e certo stima
Di potere avaniar quei Ire di mollo;
Ma perché vuole aver la palma prima,
Usa tutto il saver, ch’ha in se raccolto;
Ch* or la prende al piò basso, ora alla cima,
Or r ha nel proprio meato il pugno avvolto
E va intorno librando il come, e ’l d* onde
Al aecuro avventar meglio risponde.
cxc
Poi rhiuandosi a terra, dell’ arena
Hende aspro il ferro, e la sudante mano {
Stringel ben poscia, e la nervosa schiena
Forma in arco ioenrvato, indi pian piano
Ritorna io alto, e poi con tanta lena
Il gettò da’ suoi piè cosi lontano,
Ch'ai segno dei tre primi innanzi vada,
Quanto lunga due volte area la spada.
cxci
L’oltimo fu Trisian, eh* a lento passo
Alla prova ordinala si presenta;
Recasi il ferro io man, che giace in basso,
Così leggiero a lai, ch’a pena il senta;
Poi d’ ogni cara il cor snostraodu casso,
Qual asta il carriator, si forte avventa,
Che il nobii Maligante ha superato,
Quanto lira il baslon pastore irato.
cxcti
Grida il popol d* intorno, e *1 chiaro nome
Del vincitor Trisian porta alle strile;
E Lancilotio a lui: Le vostre chiome
Già di mille corone ornate e belle
Non devranno sdegnar, che di vii some
Il loro antico onor sì rìonovelle:
E ^lì porge d'oliva nna ghirlanda,
Ch^ei guadagnò nella famosa Irlanda,
excni
Dicendo: In colai prova guadagnai
Questa nel suo terreo dal buon re Claro t
E per eh' altra miglior non vidi mai
Infino a questo di, oc vìssi avaro ;
Or perché cedo a voi, s’ io meritai
Che dono alcun de' mìei vi fosse caro,
Prendetela, vi prego, e non vi sìa
A sdegno il suo valor, poi eh' ella è mia.
cxctv
L* accetta il buon TrisUo allegramente,
Dicendo : E come vostra oggi la prendo,
Non per ch’a voi non ceda interamente,
Che 'I vostro al mio valor auprenio intendo;
La spada beo avrò come vincente,
Poi che piò di quei quattro il ferro stendo.
Maligaote lo scudo e Pelinoru
Ila il grand'elmo lucente ornalo d'oro.
eaev
Una posaente scure ad Agraveao
Diede pur Lancilutto, eh' ebbe inaieme
Del medesroo Galeso; e fa sereno
Il cor di Gargaatin, che d'ira freme.
Con la mazza d' acciar eh' area Drumeno,
Che deU'lrcania nelle parti estreme,
Fu fabbricata in si mlrabil tempre.
Che ciò, che percolca, squarciava sempre.
czev;
AI dntto laelUr propone i pregi.
Dato a quel fine, il gran fìglìuol di Bauo ;
Una faretra pria d'aurati fregi
Piena di strali c 1' arco Soriano ;
Serba al secondo degli arcieri egregi
Vn forte aoel, che per tirar lontano
La corda incorche, ove un ruLio riluce,
r.he del foco, e del sol viocca U luce.
cxevM
Una fromba è del terzo ornala e bella,
Di serico lavor rontcsta e d'oro:
Già s’appresenta il primo, e gli altri appello
11 Norifolco onoralo Gineamuro,
Dicendo: Quei che spìnge amica stella
A commetter ai venti i colpi loro,
Veiigan srni' a*petlar nuova richiesta
A li oooraU impresa, come questa.
rzcmi
Surge Bareno allora il pio cugino
Del chiaro Lancilotto, ìndi il fratello
Del fer Boorte ch’era a lui virino.
Muove seco anco il Franco Lionello.
Son già i tre insieme: e ch'ai voler divino
Chi sia in prova il primiero, u questo, o quello
Conieotou si rimetta ; e i numi d' essi
Al profondo d' un elmo son commessi.
cxciz
Fu tratto innanzi il Gallico Bareno
Pui Ganesmoro c Lionello appresso ;
Ivi cuagiongon legni alti non meno.
Che nell' Ida Crelea pino, o ctprcsao;
Pongon poi d'essi nell' estremo seno
Una colomba candida, ch'oppresso
Ha l'uno e 1 altro pie da laccio breve,
Ch* esser de’ loro strali il seguo deve.
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L AVARCHIDE
CC
AUa il re Ganemoro il ano forte arco
Con lo tirai, ch'alia corda area la cocca;
Poi clÌMgnato auai con rocchio il rarco.
Che più drillo conduce, il nervo icocca;
Va la tacila ben, ma il colpo è parco,
Che del segno più io batto alqaaolo locca;
Snooa il verde totlegoo, e per la lema
L' ali il pavido ucccl acolcndo trema.
cciv
E dice : Chi vorrà venire in prova
Della lancia avventar drilla e lontana.
Avrà, Bendo il miglior, non d'opra nuova,
Ma di mano aalichistima e tovraua
Lo scado, olle donò, se 'I creder giova.
Teli al figliuolo alla cìllà Troiana,
Da Vulcan fabbricalo, ed a me il diede
Viviana, e che sia lai mi facea fede.
cci
Vien Baveno il secondo e drillo coglie
10 laccio, che la tien, col forte slrale.
Tal che senza suo danno la disciogUe;
Ed ella iodi fuggendo spiega l'ale.
Ha LioocI, che scorge le sae spoglie
PorUroe il vento, e I' aspettar non vale;
Lo tirai, che sovra l’ arco avea già posto,
Ove la vide gire, addrizza tosto.
crii
E quasi in fra le nubi in allo atCOM
11 colpo mìridial l'ha ritrovata;
Pcrcnutcla, ove all' omero si posa
La sinistra ala, onde rìman privala ;
Tal che poi moribonda e disdegnosa
Rivolgendo per Tana, e 'nsangninata
Ai piè del pcrcossor venne a cadere,
E '1 popolo empie il cicl di grida altere*
ceni
Poi molto dopo lei quell'ala aneisa
Raggirala dai vento in basso scende;
L* ona e l'altra raccoglie in lieta guisa
Il nohii Lionello e '1 pregio prende:
Cosi fan gli altri ; e Lancilolto avvita,
Che'l di, che ìn occideule il corso stende,
Non r animonÌKe ìn van, che rollav'opra
Prima si rechi a 6n, che *1 sol si copra.
cev
L'altro una atta bellissima, ch'ancora
Si pensa esser d'Achille in Pelio colta.
Crenso il seoescial si drizza allora,
£ dopo forse poi schiera più folta ;
Ma il magnanimo Arturo, che vico fuora,
E con la maìestà, ch'era io lui molta,
Dice : Io sarò con voi; fu la cagiooe
Che non vennero in prova altre persone,
cevi
E Lancilolto steaso, che s* accorge
Della troppa umiltà, va riverente,
E lo scodo fatato io man gli porge.
Dicendo: A voi eonvteo veracemente.
Perchè in voi tal valore, o più si scorge,
Che già nel sno signor primieramente ;
E poi senza provar, tutti iotcndemo,
Che io ogni parte a noi sete supremo.
CCTII
Però vi piaccia il prenderlo, e volere
Che del vostro Creoso l'asta sia.
Ride il famoso Artnro, c dispiacere.
Dice, non*. voglio a tanta cortesia .
E 'n memoria sii voi m' aggrada avere
Il preaioso dono, e per tal via
Prenda l' asta Creuso: e '1 pregio porge.
Che gliel aerhi Agraven che presso scorge.
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A V A R C H 1 D E
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Ivi irovao cW » ea »0 in i tnanino
V« il campo vwlUndo il pio Trillano,
Come la mandra «lol fido mavtiao,
A cui il lupo non sia mollo lontano;
nipuardapli ea»o, « poi ch'è piò viciuo.
Vede il baoo vecchio re, eh alai la mano
D’ aroicùia per »epno, « sceso in terra
Domanda pace alla perduta p«crra,
siri
Dicendo : O iavitlo, altero, < chiaro penne
Del piò onoralo tronco, che mai fiitse,
Dmil li prego per le ornate e ferme
Virtù del sacro tuo Meliadusse,
Che non voglia oppi alle fortune inferme,
di' al lor piò basso fine il cicl condusse
Giouger piò peso; e vi sovvegna ancora
Del re Vagorre, che fu v